sabato 7 novembre 2015

Alla corte del re Roberto D’Angiò. Roberta Morosini all’Uniter



Siamo  nel 1309 e Roberto d'Angiò, detto il Saggio, nato a Santa Maria Capua Vetere, 1277 e morto  Napoli, 16 gennaio 1343, era re di Napoli dal 1309 al 1343, re di Sicilia, re titolare di Gerusalemme, duca di Calabria (1296 - 1309) e Conte di Provenza e Forcalquier (1309 - 1343).
Giovanni Boccaccio, nato all'inizio dell’estate del 1313 a Certaldo, già da adolescente andrà a vivere alla corte del re e ritornerà a Firenze  nel 1340 rimpiangendo il mondo rutilante della reggia di Napoli, gli stimoli culturali e le chanson  de geste.

Roberta Morosini, nata a Sarno, in provincia di Salerno, nei pressi di  Santa Maria di Capua, più o meno, insomma, campana come il re Roberto, di cui porta il nome, Roberta è professore ordinario di Lingua e letteratura italiana presso la Wake Forest University in North Carolina. Si occupa, fra altro, delle relazioni tra  cristiani e musulmani   nell'opera di Dante  e Boccaccio nel contesto di studi del medioevo mediterraneo. E’ co-curatrice di un volume su Sindbad mediterraneo. Questa sera ci parla di  “Penelopi in viaggio ‘fuori rotta’ nel Decameron e altrove. ‘Metamorfosi’ e scambi nel Mediterraneo medievale” Questo il sito dove trovare la relazione, una parte. http://escholarship.org/uc/item/3nd68932#page-31
L’altra relazione, quella umana, è con noi questa sera, in una sala affollatissima ed attenta, che partecipa con Roberta ad un viaggio per un mare periglioso, oggi come allora, dall'altra parte del cancello, oltre le mura della città, un viaggio da un altro punto vista sull'opera più raccontata del medioevo, Il Decameron.
Roberta parla con il corpo, con i gesti, con le mani che le tremano, ci confida, scuotendo e arruffando i suoi bellissimi ricci capelli, da araba perfetta, che è maggiore stasera la sua emozione di quando è in conferenze internazionali, come Abu Dhabi, forse per la caratteristica stessa dell'Uniter, associazione che ha per motto: Dare vita agli anni. 
Ci rapisce lei, come i pirati rapivano le donne, senza in lei nessuna violenza se non la cura e la preparazione, e ci trasporta per un mare letterario raccontato attraverso miniature  raccolte a Parigi, a Firenze e nei musei di oltre oceano. Ci fa vedere quello che non avremmo mai visto. Il dettaglio.
Da una scena in  una fiera di mercato, gioiosa, un assassinio si sta consumando più lontano…
Ci mostra donne strattonate che volgono il capo versa la terraferma, Elena, e con il corpo debbono però salire sulla barca, affrontare il mare della separazione…
Ci mostra come sia il carattere e la decisione a salvar la vita nella scelta di chi decide di non parlare per non svelar le  sue origini ai cristiani
Nella storia sanguinosa fra saraceni e cristiani, tanto sangue, troppo sangue, ed interessi, scambi, truffe e un mercato globale, diremmo noi oggi, di schiavi.
Una lezione sul dovere civile che un autore come Boccaccio sente, e civiltà sarà vivere entro le mura perché fuori ci sarà la rapina, la violenza, lo stupro, e civiltà è saper travestirsi, imparare e poi ritornare.
Ed il ritorno in un mare che ci vide noi, da Procida Ischia e Capri, andare verso la Tunisia ed  ancora con Braudel tutti i popoli  che lo attraversano morendo. Dalle donne agli uomini, una denuncia di tipo sociale su un mare che spazio di dispersione e divisione è, in una storia che è un fiume e ci trascina con i nostri detriti.
Noi poi questi detriti li facemmo diventare studi. e questi studi a loro volta sedimenteranno altro, nella circolarità della trasmissione. 

nell'abbracciare e ringraziare Roberta del viaggio che ci ha regalato, voglio raccontare quel treno, stavolta e non una barca, dove Roberta stava seduta davanti a Peppino ed a Costanza, coppia di sconosciuti con un libro in mano.

Costanza mi ha raccontato spesso quel momento in cui il libro si mise a parlare, quasi,  con Roberta e da lì poi la bella e proficua amicizia che ha reso possibile a Lamezia un viaggio nelle immagini e nel Decameron da sponda a sponda. E ritorno. 
La letteratura legge e racconta la storia, così  Roberta Morosini ci illustra le miniature medioevali sul Decameron di Boccaccio, con un libro in mano. il suo.

mercoledì 4 novembre 2015

Tremate, tremate. Le streghe sono tornate

1 febbraio 2010
Tremate, tremate le streghe sono tornate
Strane e pericolose cose può fare una donna!  
Peggio di Pandora che, aprendo il suo vaso,  liberò tutti i mali nell'umanità.
Peggio di Eva  che, addentando la mela, ci precipitò dall'Eden, il giardino incantato, nell'inferno quotidiano.
Peggio di Elena che, fuggendo per amore, con Paride, fu causa di una guerra decennale e della distruzione di Troia.
Peggio di Messalina, Santippe, Giocasta.
 Peggio delle streghe del Medioevo che barattavano l’anima con il diavolo e venivano arse vive.
Peggio, molto peggio, siamo  additate noi, che ci aggiriamo inconsapevoli e incoscienti nel  vivere quotidiano, rompendo qua e là equilibri, creando dissesti finanziari, scatenando bufere, e come un elefante in cristalleria , mille schegge di vetro vanno in frantumi, rovinando un bellissimo progetto, una bellissima costruzione sociale costata sangue e fatica. 

Ma erano forse riconosciute innocenti le streghe, che nel Medioevo, saranno state semplicemente donne che conoscevano le erbe, curavano e sapevano come lenire i dolori, donne che qualche volta si sanno ribellate a qualche sopruso, avranno subito violenza e avranno pensato di fare giustizia, donne troppo belle e quindi tentatrici, donne troppo brutte, e quindi si sa gli occhi sono lo specchio dell’animo?
Avranno anche loro spergiurato sulla propria innocenza fino a quando la ruota della tortura non è stata più tollerabile ed allora pur di non subirla più hanno confessato- E’ vero, è tutto vero, abbiamo fatto l’amore con il diavolo, abbiamo fatto la danza col diavolo,  il papà del bimbo è il diavolo- Meglio la morte. 
Ed allora la storia, magister vitae, la storia deve pur insegnarci qualcosa, non sono stata insegnante di storia per nulla, perché continuiamo  a protestare una innocenza, una non colpevolezza, perché ci ostiniamo  se la tortura si affina e distrugge intorno a noi chiunque dimostri solidarietà. 
E poi le donne scrivono di tutto questo
Scrivono  perché non vogliono  morire, perché nonostante tutto una serenità interiore ed una grande dirittura morale lo impongono.  Una consapevolezza nuova di essere donna ci inorgoglisce, ed anche a nome di tutte le donne calpestate, umiliate, raggirate, isolate, ridicolizzate, una nuova forza ci impone di mantenere le nostre posizioni e di cercare le alleanze, però, solide, concrete perché una donna sola è solo una donna sola. 
Elena ritornò con il marito, anche Pandora, anche Eva, perché tutto torna. Ed il ritorno ci dice che non erano colpevoli ma solo uno strumento. 
-Tremate, tremate, le streghe sono tornate – gridavano una volta  le femministe in piazza e adesso tremiamo noi, donne, solo dal freddo, denudate ed usate come oggetti decorativi. Ci siamo stancate di lottare, la ruota è stata troppo forte e abbiamo accettato supinamente la morte della nostra anima. Dalle sciocche quote rosa ai diritti derisi in nome di una parità che non può esistere.  
Dobbiamo tornare, ma dove tornare?

lunedì 2 novembre 2015

Salò o le 120 giornate di Sodoma

Salò o le 120 giornate di Sodoma e Facebook
Oggi 2 Novembre 2015 dal profilo di Lorena scelgo di vedere su Internet il film con regia di Pier Paolo Pasolini, uscito sugli schermi dopo la sua morte, il 2 novembre 2015- Il regista  ucciso come alcuni delle vittime del film stesso.
Sono le 16, 30 e fra pause e legumi a cuocere ora mi ritrovo a voler scrivere di un film che ricordo e non ricordo di aver visto altre volte.
Un film triste come triste è a volte la vita di alcuni, delle vittime e dei carnefici. Un film triste perché vittime e carnefici non sono eroi, non hanno ribellioni, non si organizzano se non nel vuoto della sopraffazione.
Un film triste su una infanzia violata ed incarognita nei racconti delle megere, assuefatte ad ogni vizio e col viso lascivo del Dorian Gray, del turpe gioco su sessi vuoti di vita.
Un film triste su una violenza babba, una violenza senza ideologia, un ottenebrare i sensi alcolizzanti e declamando Baudelaire, o forse no.
Nessuna organizzazione fra le vittime, nessuna congiura se non alla fine la delazione, lo svelare quello che di più caro una aveva conservato sotto il cuscino. Oppure il gesto di un rapporto fatto per amore.
Un film che non è violento, nel senso delle immagini, lo è nelle connessioni, negli incastri, nei rimandi. La violenza del nulla, dell’essere asserviti al circo del momento e di ingurgitare la cacca del giorno come piatto di portata.
Il rimbalzo, essere senza redenzione, la disperazione di non trovare una preghiera che sia la morte e dopo quaranta anni sembra ancora vera, verissima quella desolazione, quei corpi al guinzaglio siamo noi, quegli aguzzini potrebbero chiamarsi Cappelli, come lo scrittore che oggi felice di sporcare, con prove in mano dice lui,  diede ogni possibile smerdata sul cadavere ancora all'Idroscalo del poeta, oppure chiamarsi perché no? come me, che ancora non so come sfuggire alle chiamate di complicità

sabato 31 ottobre 2015

Crocifisso Dentello Finché dura la colpa


Comincia così
" Febbraio 1998
Talvolta, rapito da una macabra immaginazione, contemplo di buttarmi dalla finestra della mia stanza per sperimentare l’ebbrezza della caduta nel vuoto, l’impatto sull'asfalto, i gemiti dei passanti.
Nessuna sofferta vocazione di un gesto estremo. Solo una via di fuga dalla noia, una ricreazione mentale con la quale spezzare la routine."


Crocifisso Dentello Finché dura la colpa       di leggere
Aggiungo io di leggere al titolo del primo  libro di Crocifisso Dentello perché questo mi sembra il significato più bello di tutto il suo scrivere, la colpa di leggere, leggere tanto, leggere sempre e vivere per leggere.
Poi ad un certo punto della vita del lettore avviene il passaggio e con rispetto, devozione, si scrive quasi per omaggio ai nostri scrittori, nel suo caso a Pier Paolo Pasolini del quale, proprio in questi giorni, ricade anniversario della sua morte, quaranta anni dal 2 novembre del 1975.
Crocifisso Dentello, che io ho conosciuto su Facebook ai tempi in cui ero Lo Stile della Litweb e lui Andrea Dentello, ama la letteratura, dialoga con i libri, scrive un suo originale ritorno sulla strada del foglio, delle parole amate. 
Nel farmi il grande onore di poter leggere in anteprima il suo “Finché Dura la colpa”, in uscita il 26 novembre per la casa editrice Gaffi,  voglio ricordare cosa ha detto  tempo fa del suo racconto Renzo Paris, scrittore e critico di scuola pasoliniana: «Dentello ha scritto un romanzo bellissimo dentro il filone dei personaggi inetti e nauseati del Novecento, da Svevo a Tozzi, da Sartre a Salinger» e  Andrea Carraro, autore di Il branco : «Ho letto il romanzo ancora inedito di Crocifisso Dentello e mi è piaciuto molto. Sarebbe bello che venisse pubblicato»
Ora il libro è pronto, sarà in libreria il 26 novembre e farò allora un evviva alla mia maniera, con quello che mi sono conservata del nostro essere lettori e fratelli. Io pure ho concezione animistica della lettura.
La mia vita è un lungo martirio di cellulosa: le pagine dei romanzi letti, i ritagli di giornale, i fogli riempiti con la mia calligrafia spigolosa. Una metastasi di caratteri neri in corpo 11 che mi sono rifluiti come macchie scure sotto la pelle, come globuli infetti nelle vene, come sacche di liquami oleosi negli organi.
La mia vita è proprio fragile e precaria come l’altare di carta cui mi sono immolato. Un semplice strappo può lacerarla per sempre. Uno scoppio di fiamma può bruciarla per sempre." riporto da lui
Leggo e  mi è piaciuto il senso di benessere che provavo nel leggere un italiano curato, una lingua rispettata, una cura del tempi e della scelta dei termini, la pulizia con cui veniva raccontata la storia, nessun discorso arzigogolato, tutto veramente ben argomentato.
Aspettare ad un binario morto. Era questa la frase adolescenziale che caricata di nero campeggiava sulle prime pagine di un mio  diario scolastico. Stava lì ad indicare quell'inerzia e quel momento in cui ogni persona si sarà trovata negli anni della scuola. Poi aspettando aspettando il tempo finisce e anche se il treno non passerà chi aspetta avrà per forza trovato il modo per trascorrere l'attesa con un libro in mano "Ecco che, contravvenendo a un tabù pressoché inviolato, tiro fuori i fantasmi della mia infanzia falcidiata, il sentimento inconfessabile di sentirmi rintoccare nelle viscere l’eco della dolorosa virata impressa alle nostre vite."
Libriamoci con Crocifisso.  Altra immagine ricorrente in molti è il disagio, lo stare senza agio in un luogo dove bisognerebbe viverci. Una sensazione più diffusa di quanto si creda che ben gestita può produrre arte e scrittura. Librandosi, appunto, via dalla morta gora
Evviva Crocifisso Dentello. Scrittore vuol dire colui che scrive. Uno che legge prima di scrivere, legge tanto, con amore e poi tutto questo amore diventa scrittura. Gli altri non scrivono, raccontano fatti. Testimoniano il battesimo della bimba, l'incidente e la malattia, lo stupro e l'alcolismo, la morte di un proprio caro, la politica e lo sfacelo... ma tutto questo letteratura non è. Leggeremo Crocifisso che dei libri scrive: Erano loro i miei amici, perché dentro quelle pagine mute risuonavano tutte le mie attese.
Tante le attese che alcune volte ed il 26 novembre, in questo caso, arriveranno puntuali.
Decretando 
Una mancanza che diventa vita 

giovedì 29 ottobre 2015

Lamezia Terme Cosenza New York

Questa sera nello Studio Gallery di Domenico Mendicino con l'associazione P-Art inaugurazione mostra "INTORNO A BURRI / SCATTI D'AUTORE a cura di Tonino Sicoli e Andrea Romoli Barberini
La manifestazione promossa dalla Regione Calabria, nell'ambito di un POR CALABRIA FESR 2007/2013 è organizzata   dal MAON (Museo d'Arte dell'Ottocento e Novecento) in Calabria, per il Centenario della nascita di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza. 1995), uno dei massimi artisti del Novecento. 
Le celebrazioni di quest'anno: mostra al Guggenheim Museum di New York, a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo e in Italia  nella sede della Fondazione di Palazzo Albizzini intitolata a Burri a Città di Castello"
Che vi dicevo? Da Lamezia a Cosenza, a New York. 
Stasera siamo qui con gli scatti fotografici  di Sanford H. Roth, Sandro Visca, Aurelio Amendola, Willem Sandberg, Vittorugo Contino.

Esauriti i preliminari possiamo passare ai momenti della serata. Non conoscevo la galleria ma molti dei presenti erano miei coetanei, quindi vedo un compagno di scuola, la collega di lettere con amica, la giornalista del Quotidiano, varie televisioni, e la critica d'arte insieme col curatore della mostra e poi due giovanissime Silvia e Federica del Marca di Catanzaro. Eccomi mentre leggo.
 Intanto mi intrattengo con i gentili soci,  con Francesca Ferraiuolo dell'associazione su un tema da me molto sentito. Lo spazio. La possibilità per ogni gruppo, oppure singolo, di poter usufruire e gioire per iniziative che rafforzano a vicenda il tessuto di interessi e di stimoli di una cittadina. 
Lamezia Terme, negli anni passati, è sempre stata un luogo di fermenti vivaci, sia nelle arti pittoriche e la presenza stasera qui di Francesco Antonio Caporale e  di  Silvia Pujia lo confermano, sia nella  fotografia e in ogni suggestione artistica. 
Una città viva, certo con pochi mezzi, ma con gallerie d'arte e con sollecitazioni continue. Ne siamo felici. Guardiamo le belle fotografie fatte a Burri da grandi fotografi nel corso di età diverse e all'improvviso riconosciamo in una un volto, una somiglianza, Rocco Papaleo, Burri somiglia a Rocco almeno in questa.
In altre foto è un uomo fascinoso e tenebroso di cui innamorarsi, Omar Sharif, 
in altre un uomo semplicissimo, insomma la fotografia è come  un mago, una bacchetta magica misteriosa e l'uomo che viene ritratto sono tanti uomini, tanti visi, nella molteplicità che ci contraddistingue. 

   


mercoledì 28 ottobre 2015

Matilde al Liceo Campanella accompagnata da mamma e mamme


Io,  Michela e Licia saremmo le mamme che insieme alla mamma Daniela accompagniamo Matilde a scuola per la sua prima uscita ufficiale. Come al ballo delle debuttanti lei debutta nella classe prima A, B, C, nelle classi del Liceo Campanella dove le insegnanti Michela Cimmino e Licia Di Salvo stanno per iniziare Libriamoci, la settimana dedicata alla lettura, rassegna nazionale che fa parte di un grande progetto interamente dedicato alla diffusione dei libri nei mesi dell'anno, dal Maggio dei libri a Piovono libri.

Lei, Matilde, a suo agio fra le tante ragazze e qualche ragazzo, era perfetta, integrata, sembrava lei stessa quella adolescente che con più decisione prende in mano il volante e si mette a guidare. Una ragazza positiva, un personaggio positivo, con idee proprie, nasce nel racconto e dalla penna di Daniela Rabia, sua madre di foglio, e come Atena stava nella testa di Zeus e fu partorita spaccando la testa del dio, così Matildina, così ogni tanto la chiama Daniela, bussava e bussava dalla sua testa per uscire fuori. Per fortuna il foglio ebbe la meglio e non ci fu bisogno di rompere testa!
I ragazzi seduti sui banchi addossati ai muri, seduti nelle sedie dei  banchi ed accanto una grande carta geografica, ascoltavano i viaggi che Matilde aveva fatto per i venti paesi dai quali alcuni di loro venivano ogni mattina, Maida, e poi Tiriolo, Serra San Bruno.
Uno di loro Gaetano Chiodo
lesse dei versi proprio per lei, lei musa, lei ispiratrice. La prima poesia a lei dedicata.
Ed intanto anche gli altri, ormai rapiti, avrebbero voluto continuare a viaggiare con lei se non fosse suonata l'ora di andare.
Reuel Sole Ludovica Martina Greta e poi libriamoci con i vostri nomi, con il vostro entusiasmo, intanto io che resto con loro, mi contagio di quella freschezza, di una tenerezza che poi sarà terreno fertile da cui ripartire. 
Nei binari delle tanti stazioni a volte si  aspetta ad un binario morto. Era questa la frase adolescenziale che caricata di nero campeggiava sulle prime pagine di un diario scolastico. Stava lì ad indicare quell'inerzia e quel momento in cui ogni persona si sarà trovata negli anni della scuola. Poi aspettando aspettando il tempo finisce e anche se il treno non passerà chi aspetta avrà per forza trovato il modo per trascorrere l'attesa con un libro in mano. Leggere è stata la nostra forza, dice Daniela e dico anche io con Michela e Licia, Leggere è una zattera che sui mari andrà perché ci solleva dalla quotidianità. Uffa, scrivo sempre con la rima! Matilde forever sarà. ed eccola in libreria 




Pari, dispari e donne. A piedi verso la libertà. Anna Pascuzzo

Noi siamo delle creature primitive. Non possiamo essere moderne. Cosi Sofia, interpretata dalla grande Paola Cortellesi nel film Due partite della Comencini, ci parla delle donne.
Nel film che associo al libro di Anna per somiglianza e sorellanza di tematiche ci sono quattro donne agli inizi degli  anni sessanta che si incontrano per giocare una partita e portano le loro figlie  che poi saranno le giovani donne del movimento femminista. Saranno e sarebbero noi, nello scambio generazionale che ora, mi sembra, non vada più ad anni, ma nel riconoscimento di alcuni diritti. Validi per tutti.
Noi siamo la barbarie del mondo, continua la Cortellesi, disegnando con le sue parole donne intente ad allattare, a sgravare, con quel vero e necessario periodo di gestazione a garantire sopravvivenza alla specie... umana. 
Gravate effettivamente da questo compito, sacro eh, bellissimo anche, se fosse libero e desiderato, rispettato, le donne degli anni settanta hanno rivendicato con forza che l'utero fosse loro e lo gestivano loro, chiedendo consultori, conoscenze sugli  anticoncezionali e legge sull'aborto. Con moltissime difficoltà, chiedendolo e rivendicando una parità, come donne. Io ora direi come individui, come persone.
Apparve allora quel manuale "Noi e  il nostro corpo" una specie di nuova bibbia, in senso lato, di come la conoscenza avrebbe impedito errori e gravidanze, utilissimo ma  poi  scoprire che non ci può essere un manuale a risolvere le storture e le differenze. Tutto questo sta nel libro di Anna Pascuzzo in una rievocazione su una donna " Un luogo? La casa di un’amica. Un tempo? Primi anni Settanta. Inizia così l’avventura di Emma, il suo viaggio al tempo delle lotte femministe, quando la domanda di riconoscimento incalzava, quando le donne erano in rivolta." nella prefazione di Alessandro Orefice da pochi mesi suo marito. 
Anna fa lo stesso giro di Cristina Comencini, in tempi e luoghi diversi, per arrivare alla conclusione simile.

 Ed a lei dedico questa relazione da essere umano ad essere umano nella bellissima lettera finale del film " "Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l'umanità femminile. E questo progresso trasformerà l'esperienza dell'amore, che ora è piena d'errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all'amore che in questo consiste: che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda."

(Rainer Maria Rilke, "Lettera a un giovane poeta")
Ora cosa sia rimasto nel 2015 non lo so proprio, ma sento l'urgenza di Anna e di chi crede a questi concetti di libertà personale come fondamenta di uno stato civile, nel riprendere in mano leggi e nuovi manuali per ricomporre una lotta verso il rispetto e la dignità di tutti.