domenica 25 gennaio 2015

La solitudine

Non ho scelto io la solitudine
La solitudine ha scelto me
Ho tentato di allontanarla,
ogni giorno
ho tentato.
Lei è ritornata da me,
sempre più forte.

Guardo mia mamma, stanca di tutta una solitudine antica, continua, senza un solo giorno di felicità, una solitudine di noia, di giorni senza aria, costretta alla cura dei suoi familiari, di chi l'ha carcerata, di chi l'ha soffocata, di chi l'ha impaurita.

Guardo mio fratello, mio padre, incarcerati dalle loro stesse circonvoluzioni.
Uno, disfatto da cotanto padre, l'altro, deluso da cotanto figlio.
Una lotta continua fra un debole ed un arrogante, fra un bambino e un bambino,
due bambini malati e fragili, un equilibrio che sembra sempre che stia pericolando in bilico fra sanità e follia.

Guardo mia sorella, saggia, propositiva e sfiancante, con tutto un carico di attenzioni verso casa, verso loro, verso tutti, un voler colmare il mare della disattenzione, con abnegazione, su piccoli, infinitesimali gesti quotidiani.

Una vita fatta di anni, giorni, ore, minuti, senza relazioni, senza visite, senza fuori, senza niente.
Invidiata.
Mi invidiano la mamma ancora in vita, i facentesi parenti, me lo dice dal fruttivendolo, incontrandomi, la lontana cugina plurimaritata, al ritorno dai campi da sci, me lo dice a voce alta:- Beata te, che hai tua mamma autonoma, che esce, mentre la mia è paralizzata e devo farle spesa!- Mi dice
Io ribatto che la sua mamma ha una badante notte e giorno ma lei, lei mi invidia.
Mi invidiano tutte questa mamma che a novanta anni fa cruciverba ed è lucida, carina, affabile, un lenimento al vivere, eppure ora tanto stanca.
Me lo dicono a voce alta, quelle rarissime volte, in decennali, in cui incontro il parentame.
Un parentame che mia madre ha sempre accolto al suo tavolo, e che si è pulito il muso, dissociante.
Un parentame sconosciuto e formicolante, che non vedremo ai nostri funerali, strettamente solitari, come abbiamo vissuto.
Nessun amico ha avuto il mio papà, almeno noi non lo sappiamo, lui andava solo al campo sportivo, la domenica, misurato, seguiva le partite,  non usciva se non per lavorare.
Alcune vicine aveva la mia mamma, ora sono tutte morte.
Nessun vicino, vicino casa mia. Svuotato il centro storico di un paese.
Solo la Chiesa accoglie mio fratello, i suoi riti, il coro, la messa domenicale.


La solitudine ci ha scelto come nucleo familiare, come entità personale, facendosi beffa del nostro essere sociali
Facendosi beffa del nostro voler vivere ed amare
Del nostro smisurato impegno a vivere una vita che sia normale
Ippolita Luzzo 



sabato 24 gennaio 2015

Gegè dopo Mogol, uguali



Gegé Telesforo.
 Dopo Mogol lui, con il complesso d’inferiorità che non  farà mai dire quanto sia stato utile, per entrambi, incontro con Lucio Battisti, Mogol, e Renzo Arbore per lui.
Anzi, Renzo Arbore trattato come un coetaneo, mentre lui, Telesforo  è nato  a Foggia, 14 ottobre 1961 e Renzo  a Foggia, 24 giugno 1937.
Tutto alla pari, nulla su Renzo. Lo chiamò, lo portò a fare il presentatore e lui, oh, lui, aveva già fatto altro.
Così si evince da conversazione lunghissima su un palco con conduttore a volte visibilmente a disagio, vedendosi sdoganare due palle, per ben due volte,  e canne e cannoni, che artisti si fanno per dare di più.
Veramente fuori  da eleganza, lontanissimo da Renzo, che è e resta il vero genio innovatore.
Inizia dicendo che a Foggia si sta male, malissimo, ultima città per tenore di vita, penultima.
Continua dicendo che è la mentalità sbagliata al  sud e che però lui fece palestra per pugilato, forse con Carofiglio?, e questo servì a difendersi ad Harlem.
Lui si sente Afroamericano di Foggia, la città diventò il suo parafulmine ed ha incontrato, lui di Foggia, Myles Davis e Ray Charles, il resto, io, non conoscendo, non ricordo.
Insomma lui un grande diventò, con questa passione per la musica, assorbita a casa, dal suo papà, architetto, cultore di jazz,  che gli regalò una batteria, a pezzi, un pezzo alla volta.
Un uomo fortunato, da sesto piano.

Marcello Balistrieri- Angelo e pittore




Marcello Balistrieri  é un funambolo, piacerebbe molto a Daniela Rabia, che di funambolismi e di equilibri ne fa vita e sul filo teso fra realtà e immaginazione cammina. 
Marcello Balistrieri piacerebbe molto a Gianluca Pitari che di vertigine è il poeta.
 La voluttuosità della vertigine, per te, Marcello,  é il dipinto, per Gianluca é il verso. 
Piace molto a me che sento una vertigine, nell'euforia, nell'essere rapita da fantasia, nell'ebbrezza da astemia che gira e gira come una trottola il gioco che ci incanta. 
Marcello ha capito tutto e non ha capito niente, lui vive altrove.
 Nel mondo dove stiamo, mica comodi ci stiamo, noi siamo proprio nessuno, noi siamo dei bambini, noi ci divertiamo e siamo sorridenti. 
Ci incazziamo se qualcuno ci distrae con futili pensieri,- quanto costano queste scarpe e dove le hai comprate, che prepariamo oggi per cena e per il giorno?-
 Lui ha già trasformato il mondo che era prima, lo ha bello sciorinato su tela e con colori.
 Tutti possono guardare, anche sullo stesso quadro, in tanti si guardano dentro e sono proprio dentro.
 Ci stanno infatti lì, seduti ai tavoli, i suoi amici cari, la moglie e i suoi oggetti, il mondo che lui ha in testa.
 Un vero illusionista, un grande giocoliere che fa volare in alto piatti e personaggi.
Giochiamo insieme, dai, sei sempre il tuo bambino, sei sempre fuori, in giro a traballare un po'... sul traballante mondo che rutilante va.

venerdì 23 gennaio 2015

L'ubbidienza è fra gli ideali nobili della politica- Domenico Marcella dixit

Toto Presidente impazza sulle pagine di Facebook
Oggi un attore, un cantante, un presentatore.
Domani una donna, due donne, tre donne, un tris,
 Le Gorgoni, una trimurti,  Medusa che ci pietrificherà.

Toto presidente impazza sui giornali stampati
sulle trasmissioni radio e televisive, cantando in coro: Rodotà,Veltroni, Bonino, Finoccharo, stamani.
 Un Amaro del capo ci farà digerire.

Un toto presidente amarissimo con Emma in cura
e non potrebbe, eppure Pannella dice che può.
Unica e sola, che ubbidiente non sarebbe,
deve ubbidire ad una chemioterapia, ad una cura che tempo richiede.

Domenico stamane scrive  così su un suo commento,
 il vero titolo che deve avere un presidente:
Essere ubbidiente ideale nobile della politica.-
Essere ubbidiente a chi ti paga, non a chi ti vota,
che ormai tu li voti e loro vanno da un'altra parte,
essendo uno solo il comandamento.

Credere ubbidire e combattere,
disse qualcuno mandando una nazione al macello.
Credere ubbididire e mandare tutto e tutti a puttane,
dicono ora i nostri rappresentanti
nel termine bieco di comprare ed essere comprati.
Da presidenti e da umile gente




giovedì 22 gennaio 2015

Inconsapevoli



Il 2014 inconsapevole- Settembre

Ed anche questa è fatta- fece Tala, soddisfatta, poggiando il microfono di radio 204 la sera del 15 settembre.
Aveva parlato sciolta di umane responsabilità al ribasso, in quel luogo che è la nostra società, sempre pronti a scrollare sugli altri colpe e j’accuse. Un mondo in cui apparenza e sostanza navigano sulla stessa superficie, senza approfondire mai il senso e la ragione della notizia.  Era stata proprio brava, poi in collegamento finale aveva chiamato, senza più sentirla dalla sera del tredici, quell’idiota che aveva messo in contatto i due personaggi per realizzare la mostra, che era argomento della trasmissione.
L’aveva presentata come una Sgarbi in gonnella, una che parlava male degli altri, e poi, non dandole nessun spazio nel collegamento, aveva messo in luce quanto fosse imbranata, distratta, incompetente.
Ora a fine puntata poteva dirsi soddisfatta.
Avrebbe completamente ignorato questa inutile persona, non istituzionale, non capace di lavorare in gruppo, assente ai riti della sottomissione.
Buffa.
Buffa con quel cappello in testa sbilenco, buffa nel suo ridere tagliente, amaro e condannante.
Come se già sapesse cosa io farò- continuò Tala, infastidita, perché, piano piano, la soddisfazione di averla distrutta si rivelava poca cosa.
Certo non l’avrebbe rivista più, avrebbe buttato qui e là qualche osservazione malevole, ma di tutta questa sua vittoria non ne sentiva il gusto.  

lunedì 19 gennaio 2015

La dimenticanza

Poi ti dimentichi anche chi tu sia, quindi cosa vuoi ti importi più di singoli momenti che non ricordi più?
 Certo furono sofferenze, stentasti a capire come mai fossero successe simili cose, provasti a trovare una spiegazione, a fartene una ragione, ma col
Tempo tutto si dimentica.
 Dimenticherai il volto della invidia pura, della gelosia altrui verso il tuo vivere serena con un mondo personale. Dimenticherai chiunque sia, ai quali hai voluto bene ricevendo in cambio il solito pugno in faccia. 
 La dimenticanza esalta e atterra ogni miserabile gesto solo se tu lo vorrai far vivere dentro te.
  Assumiamo dosi letali di scortesie, offese, provocazioni, eppure serene restiamo, compatiamo chi vive in continua guerra con chi non gli farebbe male alcuno. 
E ricordare o dimenticare non serve a niente, cantava una volta Fiammetta, facendo bruciare ogni risentimento al fuoco della pietas Eneidica

Caro Italo- Film Cartolina



Italo- Film Cartolina

Una Scicli barocca, i vicoli, ‘U Gioia, le campagne, il mare.
Modica con l’aula consiliare del Municipio, i corridoi e l’atrio del Palazzo San Domenico e  il Teatro Garibaldi con il Tondo del maestro Guccione, Cava Ispica, la Conca del Salto.
 Gli attori principali, Elena, la maestra, Barbara Tabita, la  consigliere comunale Nigro, Marco Bocci il sindaco, e  Vincenzo Lauretta, il figlio, insieme con i grandi attori del teatro siciliano  fra cui Tuccio Musumeci, Lucia Sardo, Andrea Tidona, Marcello Perracchio, Saro Spadola, Assunta Adamo.
L’opera prima di Alessia Scarso, montatrice diplomata al Centro Sperimentale,  procede sospesa tra favola e realtà.
Al Cinema Due Mari, il film ispirato al cane randagio Italo, vissuto negli ultimi anni della sua vita in via Francesco Mormino Penna, salotto barocco della città di Scicli.
Scegliamo di vedere Italo, io e la mia amica, attratte più dall'orario dello spettacolo, primo pomeriggio, che dal soggetto e poi, man mano piacevolmente sorprese e commosse ci siamo rallegrate di averlo visto.
Il cane Italo, la storia vera di una amicizia di un paese con un cane.
 Smentendo una iniziale diffidenza, il delicato e lieve uso del racconto, senza mai scivolare nella caricatura, il rispetto dei sentimenti, il corale di tutto un luogo, già raccontato anche da Ficarra e Picone, qui diviene favola, commedia italiana con una sua dignità.
Il dire che rappacifica, il narrare come unità, il corale che ci farà popolo, rimanendo persone nella semplicità.
Tutto questo avviene per affetto verso una bella storia regalataci da un cane, un meticcio di labrador, un cane umano, saggio.