sabato 8 febbraio 2014

un filo sottile



UN FILO SOTTILE
Presentare un libro è come presentare una persona agli amici,  la si presenta e poi può iniziare una nuova amicizia, un amore o niente, presentare un libro un rapporto di fiducia… questa mia non è una critica letteraria ma una interpretazione... amo molto leggere e fare miei i personaggi, le battute, gli intrecci, associo, con cerebrali costruzioni, dice una amica, poesie, canzoni, film, collegando e scollegando, e come in un puzzle, almeno per me, i vari pezzi si ricompongono in un discorso unitario che è sempre lo stesso. E’ un filo sottile, dice Caio, che mi ha letto qua e là le poesie a lui più care, raccontandomene il motivo ispiratore, divagando sulle sue frequentazione e i suoi anni presso i Salesiani. Ed io ho vagato con lui, l’ho  seguito adolescente, lasciare il nostro amato Liceo Classico negli anni difficili di una lotte fratricida tra giovani di destra e giovani di sinistra, lotta alimentata da suggestioni che ora pericolosamente vedo risorgere, l’ho seguito nel suo nuovo Liceo, ultimo  anno, in una classe di energumeni alti e robusti, muscolosi e palestrati, violenti, a dir poco, e mi tornavano in mente i racconti di mio nonno.
Nella  infanzia tra le favole della nonna e i racconti affabulatori di mio nonno era sempre presente la storia della famiglia dell’avv. Fiore, coinquilino nella prima metà del Novecento di mia nonna.  L’avvocato, così descritto, era un uomo di media statura, magro, elegante, un sigaro in bocca, un uomo affascinante, che difendeva solo clienti dei quali era certa l’innocenza, dei quali era certo avessero subito una ingiustizia, un danno, altrimenti era pronto a rifiutare e a restituire il compenso pattuito, le cause poi le vinceva tutte, grazie anche alla sua oratori dannunziana. In un racconto del nonno lo vedo chiamare Caterina, la donna al suo servizio, per restituire il gallo con il quale il cliente  intendeva pagarlo mentre lui aveva già rifiutato la difesa, e Caterina di risposta – Ma signore avvocato gli ho già tirato il collo, e già in pentola!- E lui fu costretto ad accettare la causa. Dopo un primo  matrimonio con una cugina del mio bisnonno, la sua nuova compagna era donna Margherita, bellissima, avvolta in splendide mantelle, con il cappello in testa, era stata la moglie del fratello di mia nonna, matrimonio voluto forse dalle famiglie, e quando lei era andata via, mio zio aveva eliminato tutte le margherite del suo giardino, mentre mia nonna aveva mantenuto rapporti così amichevoli con  sua cognata da abitare nella stessa casa. – I fratelli di mio fratello non sono fratelli a  mio fratello – era quindi ciò che dicevano fra di loro i figli di questa famiglia modernissima, intelligente, colta, anticipatrice di modelli più nuovi, mentre la mia, patriarcale, si sedeva ogni giorno al tavolo insieme intorno al nonno e figli, a loro volta con moglie e figli, noi piccoli, fermi in un modello ottocentesco che vedeva la donna attenta solo al focolare domestico. Non so quanto ciò abbia influito  nel farmi accettare di presentare il libro, ma quando Caio nipote di quello avvocato me lo ha chiesto, quel filo sottile della memoria ha preso a svolgersi in un veloce flash back tutte le immagini prendevano vita, i suoni, i racconti, e mio nonno era con noi, vivo, che ci parlava, ironico e sornione, ci parlava di quella bella famiglia di un tempo che fu.

FIABA
Non è il bacio per una rana
Né quello che tutto risveglia
O lo specchio che in silenzio mi parla
O le gesta d’un cavaliere, che pure riesce a volar.
Ogni tempo ha le sue
E quelle di oggi son certo più vere…

La Balena di Scilla

A Scilla, in quella notte di luna
Il fruscio delle onde nella corrente
Ad un tratto un lamento, o una voce, non so….



Se una fiaba vogliamo raccontare, se una fiaba racconteremo allora tutti seguiremo con il poeta il lamento della  balena nel mare di Scilla. Nuota e si allontana nel mare aperto la balena e racconta la storia  di una bella donna sfuggita alla violenza di alcuni uomini. Portata via dai delfini troverà un varco, una fuga nel mare aperto, nel racconto, nella poesia, non sappiamo se si salverà, ma a noi piace pensarlo, perché nelle fiabe c’è sempre con la fuga la possibilità di salvarsi dal cattivo. Elogio della fuga (Laborit). Anche nella realtà, a dire il vero possiamo fuggire da costrizioni varie  solo che tanti vorremo trovare un cavaliere che sul suo destriero ci porti via.

RICORDA CHI SEI

Solo a Scilla
Delle vecchie sirene
Fra gorghi, la loro voce, a malapena si sente.

Povere Terre le nostre oramai,
ricolme di storia:
dai pitagorici a d’Ulisse l’esplorazione,
filosofia, diritto, arte ed industria.

E l’occhio per il gioire:
valli, ed insenature
boschi e scogliere.

Ma le sue genti?
Il tarlo lento e silente
Dei suoi nuovi bramosi padroni
Ogni speranza ha nascosto oramai
A chi, per gli anni suoi, più non crede.

Un soffio di vento ho appena sentito,
una brezza leggera
col profumo dell’erba e del mare,
di migliaia di giovani, di occhi e di cuori
che urlano ed urlano,
ed urlano ancora,
quel che questa terra ancora sussurra ed implora…
ricorda chi sei!

Ricorda chi sei, ricordalo perché le voci delle vecchie sirene a male pena si sentono. Il tempo ci ha rubato i ricordi, il tarlo ha mangiato il tessuto della nostra infanzia, i nuovi padroni arroganti, che sono tutto ciò che procura dipendenza, la politica, il lusso, il sesso, i soldi, l’apparire, tutti  si appropriano del nostro tempo, e i nostri giovani non parlano, ma muti urlano ricordi, ricordi che non avranno mai più. Ma ricorda chi sei perché sempre devi avere in mente Itaca (Kavafis). La nostra Itaca è la vita stessa, che noi possiamo far scorrere vuota o ricca di esperienze, di viaggi, di profumi, di amori, di cibi, di risate, di amici.

ITACA

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
Devi augurarti che la strada sia lunga
Fertile in avventure e in esperienze.
………………..
……………….

Devi augurati che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
Quando nei porti – finalmente, e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta.
…………………….
…………………….

Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messa
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Ma chi è Kavafis e perché me lo ricordo ora insieme al filo sottile? E’ un poeta greco, coetaneo di d’Annunzio, che lavorava in un ufficio governativo alle dipendenze del Ministero dei lavori pubblici d’Egitto, ad Alessandria. Alessandria è un porto che si affaccia sullo stesso mare di Creta, di Patrasso. Lui scrive e non stampa in volume, ma le sue poesie su fogli volanti venivano regalate agli amici. Poi quando ne aveva un certo numero, proprio come ha fatto Fiore, li raccoglieva, li spillava, li fermava con un fermaglio metallico. Solo dopo la morte, è uscita l’opera completa e nel centenario della nascita, la casa editrice Icarus di Atene stampò in due volumi l’edizione completa, il successo e la diffusione… Tutti così i poeti! Simile il suo viaggiare con quello di Caio, con quello di noi tutti. Il viaggio della memoria. Tutto finisce. Niente finisce. Due modi di essere si fronteggiano, quasi due partiti. Uomini, donne, che cancellano amori, amici, idee precedenti. Uomini, donne che fanno tesoro di ciò che hanno vissuto, è la loro vera ricchezza. I primi diserbano  il campo dal passato e neppure un filo d’erba sopravviverà,  i secondi considerano con rispetto passioni, ideali e amici, un retroterra, un humus da cui rifiorire. Infatti vendicativi e rancorosi resteremo se il nostro vissuto non viene elaborato in positivo.
Sull’isola dei Lotofagi, i compagni di Ulisse, come tanti, mangiano il loto e dimenticano, non hanno più memoria della loro Itaca, dei familiari che aspettano il ritorno, di se stessi, non hanno più memoria, felici e immemori vogliono restare, senza più quel filo sottile che lega passato e presente in un continuo srotolare. Inganni, sguardi, affetti, gioie, risate, ricorda  Caio e noi con lui e ricchi di tanti ricordi non vogliamo mangiare il loto, noi.
Itaca … il viaggio.
Un viaggio, un camminare questo nostro esistere e Caio cammina e ricorda Auschwitz, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, il coma di Sharia, clandestina, passeggera in un barcone,  un ragazzo morto per un incidente con il motorino, una ragazza per overdose, l’amico che perdona la moglie dopo un tradimento, perché ci sono anche gli uomini che perdonano, l’amica che non c’è più dopo una malattia, tanti volti a lui cari presenti con affetto nei suoi pensieri. I luoghi: Firenze, Buenos Aires, Berlino, il Perù, il mare, sempre presente, una creatura vivente che respira, amato e vissuto nella diversità delle ore, delle stagioni, il mare di Scilla, il mare di Pietragrande, semplicemente  il suo mare. Situazioni: la pioggia che scende in mille fettucce, la notte di S. Lorenzo, il cane fiero che vorrebbe parlare ma può farlo solo con lo sguardo, un vecchio biplano che vola. Una poesia descrittiva, senza descrizione di luoghi, una poesia atemporale, non c’è un prima e  non c’è un poi perché il tempo non è una gabbia, è un tempo senza orologio, senza costrizioni, la sua non è una poesia nostalgica, perché tutto è presente e quello che è stato è con noi a creare il nostro essere oggi. Un passato guardato senza recriminazione, a che serve infatti star sempre a dirsi “ ah  se avessi detto, ah se avessi fatto”….


TI SPINNI E TI SPINNACCHI

Quante e quante volte è capitato
Aver dovuto sentir dei tuoi rimorsi:
s’avessi fatto!
S’avessi detto!
Quasi dispiaciuto, apparvi pure
Una volta, due…tre
Ma ormai so, che così sei,
e neanche amaro è il più il tuo pensiero
desolante finzione
quando
ti spinni e ti spinnacchi!

Ma tu che ti spinni e ti spinnacchi a fare, dice lui sorridente, quando vuoi per forza sentirti vittima degli altri, del destino, ma noo! I veri nemici li creiamo noi con la nostra mente e le situazioni anche le più difficili, possono risolversi facilmente spostandoci e prendendole per il giusto verso. Ecco la positività della serata. Un invito a riflettere e a rasserenarsi che dal libro ci giunge con immagini lievi. 
Dalla lettura delle poesie e dalla conoscenza con l’autore affiorano in me immagini floreali, primaverili, il mare azzurro, la diplomazia, la cortesia, il gusto del bello, del morbido. Una leggerezza dolce un approccio diplomatico alle asperità e una condivisione verso una nuova realtà.



INTERNET

Sei come l’acqua e le sue mille forme,
come i sogni, che non puoi domare,
e gl’occhi, che non puoi limitare,
vederti, senza guardare
sentirti, senza ascoltare
accarezzarti, senza toccarti,
tremori…respiri e pensieri
come fantasmi
liberi
sempre presenti…

Internet è l’acqua, il sogno, gli occhi, il nuovo filo che ora ci lega e ci slega. Resta anche nel computer, amico, resta la poesia, l’eco della nostra esistenza.
Pavese dice:  - di una vita non si ricordano i giorni ma si ricordano gli attimi. - Solo attimi ma la vita è pur sempre bella da percorrere. Il piacere del ricordo, il ricordo propositivo, il ricordo creativo  la plasticità del ricordo.

SAMBAPATI’

Quelle note che non sentivo da una vita
Hann lacerato il silenzio
Dei miei pensieri
Riportandomi
In luoghi e ricordi
Finiti ormai chi sa…
Riportandomi
I tuoi occhi
Spensieratezza e profumo
Di brezze di mare,
di zagare e ciclamini
di cicale il canto
di gioia, noia, vita, tramonto,
di pensieri banali
d’un giorno pregnanti,
riportandomi
a cercare quel che non c’è,
non è nostalgia…
ma il piacer del ricordo,
come la corteccia d’ulivo
che tutto conserva
e la mano accarezza
sentendo i racconti.

Potenza della poesia!!! Con un solo verso visualizza tutto uno studio di ricerca che è valso nel 2000 il Nobel per la medicina a Kandel, neurobiologo austro-americano che ha individuato la trasmissione del segnale nel sistema nervoso, la plasticità sinaptica. Quando memorizziamo imprimiamo le tracce in una zona specifica del nostro cervello. La memoria nasce dalle sinapsi, i collegamenti, la rete,  e tutto resta come la corteccia di ulivo che tutto conserva.
Anche la persona più algida conserva sogni e ricordi, unico laccio che ci tiene stretti al futuro e al passato: i mattoni portanti della nostra vita. Un profumo, un sapore, una musica, una voce, possono riaccendere il bambino che siamo stati nella sequenza filmica del nostro passato, azzerando il tempo. Questa è la memoria, la memoria che rievoca e rinsalda, la memoria che fa di noi quello che siamo. Il tempo è un optional il ricordo è un filo sottile.

E’ UN FILO SOTTILE

E’ un filo sottile
Che mi divide da dove sono                                
E dove vola il pensiero                                        

E’ un filo sottile
Fra bene e male
Fra vivere e chiudere gl’occhi                             
E perdersi pure

E’ un filo sottile
La mia memoria
Che corre lontano fra valli e città
Fra boschi e candide spiagge
Se chiudo gl’occhi
E’ un filo sottile
La mia mente, invisibile pure
Continua a vagare
Senza mai pace
Ma custode segreto di vivi ricordi
Di gioie d’affetti, di sguardi, d’inganni.


Dimartediculturando
15 Febbraio 2011                                                       Ippolita Luzzo
                                                                                  Dott.ssa in Filosofia








La Lumaca



Le  lumache  18-06-2011

Davanti ai miei occhi le tante lumache che il mio papà portava dalla campagna.

Contadini volenterosi, i nostri coloni di allora, le raccoglievano, quando esse, dopo una breve pioggia, risalivano sugli steli dell’erba che ondeggiavano al loro peso.

Tante lumache venivano regalate anche a noi e mamma pronta le metteva a spurgare.

Le chiudeva in una grande pentola con un capace coperchio e sopra,  per impedirne l’uscita,  una grossa pietra. Così digiune dovevano restare almeno due giorni, per poter poi essere cucinate e mangiate, estraendole dalla chiocciola, dalla loro casa, ormai cotte ed insaporite  con tanto peperoncino.

Ma prima qualcuna riusciva a fuggire per la cucina, sul tavolo, sulle sedie, sul pavimento e ricordo io bambina con una lumaca in mano osservare lo strano fenomeno che tante volte tutti noi osserviamo nella nostra vita di relazione con altri.

La lumaca, poggiata sul tavolo,  usciva lenta, guardinga, si accertava, acquistava fiducia, s’ingrandiva, si allungava, le corna si alzavano ritte, come sensori captavano l’esterno, poi s’incamminava lasciando dietro di sé una scia, la sua bava.

Io,  curiosa,  la seguivo e mi avvicinavo, ma, quando arrivavo a sfiorarla, le corna si ritraevano, lei si ripiegava, si rintanava nella sua casa, sparendo alla mia vista.

Ripetevo e ripetevo  varie volte l’esperimento con le lumache, in diverse pose,  in diversi momenti, toccando qua e là nuovi punti, ma il risultato era sempre lo stesso- Una chiocciola nuda nelle mie mani.

La guardo ora questa chiocciola, una delle  chiocciole  così numerose, così impaurite, diffidenti, indifferenti, che ora dallo schermo del computer mi rimanda frasi, pensieri contrastanti e guardo la lumaca, questa volta, con maggiore curiosità.

Sono troppo curiosa. Cosa vorrei trovare in una lumaca ancora oggi  che non ho trovato finora nelle altre? Cosa me ne farei?

Insisto però, come da  bambina, non mi  stanco, anzi la reiterazione del gesto mi ipnotizza. Mi ha sempre irretito anche ora che so che nulla è per noi in quel guscio e che niente potremmo e vorremmo avere da lei!

                                                                                                                                                            Ippolita 


giovedì 6 febbraio 2014

La pittura di Maria Bicci e di Ines Bova




Dilettanti allo sbaraglio, era il titolo della Corrida di Corrado, in quella trasmissione si presentavano sulla scena bravi e meno bravi al giudizio di trombette, piatti e fischietti  e  quel titolo purtroppo associò alla parola una connotazione negativa che, in realtà,  non ha.
Dilettante, participio presente del verbo dilettare, vuol dire colui o colei che fa qualcosa con piacere, si diletta e vorrebbe dilettare,  un puro piacere che gioia  da.
Autodidatte entrambe e senza scuola, scuola pittorica intendo, che di scuola, dopo mezzo secolo, Maria ne è appena uscita,
 autodidatta, colui o colei che impara da sé, spesso si dice anche ciò in termini riduttivi, come se, solo alti studi possano dare l’estro e la curiosità di immergere pennelli o inchiostrare versi.
Noi prendiamo i due lemmi in positivo e siamo fiere di essere dilettanti, autodidatte e alla prima esperienza, io per esempio non ho mai presentato una mostra di pittura, non è quindi  un mestiere questo, io parlo  per amicizia, per simpatia e per trasporto, loro due dipingono…
I colori di un’amicizia, è il titolo della loro prima uscita e …
 questi quadri sono un bellissimo dono di due amiche che, giorno dopo giorno, stabilendo il giorno della settimana, si sono incontrate in un piccolissimo  forno, ed hanno impastato colori all’odore delle zagare in fiore, al miagolio dei gatti, al profumo delle rose, del gelsomino, mentre prendevano forma sulla tela paesi, barche, marine, spiagge, visi, alberi, sorgenti irruenti, prati sferzati con  erba ondeggiante.
Allora che Maria desiderò dipingere l’erba mossa dal vento, eravamo ad una mostra di Azzinari, guardavamo incantate i suoi paesaggi, le radure, i campi, tutto quel verde in movimento e lei, benché timida, chiese come si potesse ottenere questa magia.
Lui rispose evasivamente, era un suo segreto e lei tornò rimuginando a casa e guardò gli oggetti che aveva intorno per individuare con cosa  avrebbe potuto trasportare sulla tela il movimento. Lo individuò.
Quando i suoi quadri presero a muoversi, giustamente e sorridendo fece una ideale linguaccia ad Azzinari…
Ines intanto lasciava da parte i suoi quadri naif, ingenuo, vuol dire il termine in francese, nativo in latino, che nasce da noi, in noi, spontaneamente sorge,  ricordo di un mondo fanciullesco e semplice che aveva popolato la sua infanzia e adolescenza, quei dipinti senza prospettiva, fatti di  piccoli uomini e piccole donne, panni appesi a balconi, una visione poetica e magica della realtà. Ines  regalava i suoi quadri ad amici, a persone che  stimava, in segno di riconoscenza.
Ines ha sempre dipinto, fin da bambina, al contrario di me che, quando il mio professore  mi dava da fare un disegno lo spiegavo con frasi … lei  dipingeva il tema.
 Ines, dicevo, dall’incontro con Maria, inizia a dipingere altro.
I nostri tre Papi,  la Sacra famiglia, immagini, visi, e paesaggi con stile adulto, con decisione, con ombreggiature quasi simboliche.
Le due amiche si influenzano l’uno con l’altra, mantenendo sempre una grande indipendenza di idee, poi fanno vedere a casa ai mariti…
E qui dobbiamo ringraziare i due mariti che… quando le due tornavano a casa, convinte di aver fatto un capolavoro, loro diretti e obiettivi scuotevano la testa, ne vedevano e sottolineavano i difetti senza scoraggiare…
Beh, mica la prendevano bene le pittrici, anzi meditavano vendetta, però  i mariti, erano così propositivi, malgrado le stroncature, così fiduciosi, così sicuri che, rimaneggiando, il quadro sarebbe venuto fuori che loro si rimettevano con maggiore lena al lavoro.
Dobbiamo ai mariti, al loro incoraggiamento se Maria e Ines hanno deciso di mettere i  quadri in esposizione.
In effetti tanti di noi chiedevamo di vederli, tanti di noi li abbiamo visti mentre nascevano, mentre cambiavano, crescevano e si moltiplicavano, e molti di noi avremmo avuto piacere di vederli insieme così… eccoci accontentati
Allietati da orchidee bianche e da fiori… i  quadri si specchiano  e conversano. Sembra di essere nella serra di Nero Wolf
I colori di un’amicizia  questa tre giorni, questo vernissage, senza critici  e senza pretese solo un incontro collettivo per festeggiare un’arte, la pittura, per festeggiare un dono divino.
Un dono dello spirito che regala a tanti, a molti, l’abilità di donare a loro volta emozioni sotto forma di canzoni, musiche, film, racconti, e dipinti affinché tutti noi ne possiamo fruire ed esserne gioiosi. 
Serenità dai quadri di Maria e abbracci da quelli per Ines, stasera, con insieme la certezza di far parte di uno stesso convivio… un banchetto  fra eguali
Lo storico Vico afferma che ogni momento collettivo e individuale nasce da una grande emozione, poi viene il momento della riflessione, dell’impegno, dello studio e della realizzazione.
Infatti l’arte nasce da una spinta inconsapevole e istintiva che porta l’uomo in un altrove fantastico a vedere con occhi nuovi il quotidiano che abbiamo sempre davanti e poi questo stesso vedere l’artista vorrebbe mostrarlo a noi.

Loro due hanno fatto un lavoro stranissimo ai miei occhi.

 Abituata io all’immagine classica del pittore con cavalletto e tela in boschi e praterie, vicino ad un ruscello oppure con una modella in posa, mi sono dovuta abituare al loro modo che, senza uscire dal forno, dipingevano con l’ausilio di immagini varie scelte  da luoghi diversi secondo un piacere immediato.
Sulla tela quelle anonime cartoline, quelle immagini prendevano vita e personalissima interpretazione di colori risultando lontani e vicini dell’originale.
Ed ho capito la trasformazione…
Che noi possiamo ora con occhi liberi e sereni gustare nei quadri stasera in mostra…
Dalla sirena Ligheia  che Ines ha donato al centro di neurogenetica
…Alle erbe lacustri di Maria, ultimi loro quadri  che camminano insieme per donarci il sogno  di una trasposizione su tela della vita con colori ad olio, con pennellate man mano più decise, con tinte aranciate, gialli pastosi, azzurri luminosi e poi  trasparenze oltre le quali riusciamo a vedere le pietre, il fondale o solamente i riflessi dei raggi del sole…
    Ora  un augurio ironico e simpatico  rivolto a tutti noi…

“Sto ancora imparando”, disse Michelangelo a 87 anni. Per i prossimi giorni, lo nomino nostro santo patrono. Se ci ispireremo alla sua instancabile curiosità, forse la nostra fame di nuovi insegnamenti aumenterà. ci renderemo conto che non sappiamo tutto quello che c’è da sapere e non abbiamo acquisito tutte le competenze che siamo destinati ad avere. Siamo tutti  ancora nella fase iniziale dell’esplorazione di esperienze importanti per diventare le persone che vogliamo essere. Anche senza iscriversi ufficialmente a una scuola, è ora di portare la nostra istruzione a un livello superiore.


con l’augurio di poter fruire ancora del piacere di ammirare i vostri lavori  vi prometto che studierò tutta l’arte … In nome della pittura …di Domenico Purificato, il libro che mi è stato regalato lo stesso giorno che ho saputo della mostra e che nelle  pagine dopo pagine   ho letto quanto sia naturale, spontaneo, arcaico e primordiale  il gesto stesso e l’attività o pratica del dipingere.
E termino domandandovi:- Che cos’è in fondo un quadro?
Se non una poesia dipinta…- e che cos’è una poesia?- se non un  quadro in versi…
                                                                          Ippolita  Luzzo

   

domenica 2 febbraio 2014

Pollo alle prugne



Pollo alle prugne italiane
La vita è un soffio e l’arte vola
Quel ghirigoro, quella voluta di fumo. quell’impalpabile che disse Verlaine… poesia è
Quel che non hai avuto mai, quello che resta sempre con te, quel che giammai via se ne andrà.
Seduta su quel bus ritornavamo in gruppo, accanto a me una signora anziana. Avevo ammirato la coppia, la bella coppia che erano lei e suo marito. Feci i miei complimenti e lei:- Non ho mai amato mio marito.- Gelai io e zitta rimasi lei continuò senza fermarsi
 -Ho sempre amato il mio primo amore, i miei non vollero che lo sposassi, non vollero che lo frequentassi ed io mi sposai con il primo che me lo chiese e che piacesse ai miei. Mi sposai per dispetto, per rabbia e  da allora non ho mai chiuso occhio tutte le sere della mia vita senza pensare a lui, al mio primo amore.
Certo mi è andata bene, in fondo, quel ragazzo aveva un carattere litigioso, difficile ma io lo amo, sono in contatto con la sorella, lui si è sposato ed è infelice, a me, forse è andata meglio, ma lo amo come se fosse il primo giorno.-
Ero annichilita, ero turbata, sono sempre tramortita da rivelazione che ottengo così improvvisamente senza voler sollecitare alcunchè, mi lascio poi invadere da sentimenti di empatia verso persone che son sconosciute ma che squarciano il velo sul loro passato.
Il passato non passa, sta sempre lì, certo si può trasformare in arte, in canto struggente, in musica e immagini. Si può continuare a sublimare quel sentimento che vita ci da, si può decidere e non decidere di spaccare il destino con violenza, come il profeta del film  che parla con il musicista dopo i funerali della mamma, si può affermare di voler vivere malgrado tutto poi remi contro. « Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato. »
Su quella barca che noi remiamo, sempre risospinti nel nostro passato dal Grande Gatsby alla Grande Bellezza, possiamo volare via nel soffio, nella nota, nel film che ci porta via. .
“Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia ... e una bella mattina... »
In un sapore che gusteremo applausi per tutti ci stanno bene.