martedì 19 novembre 2013

Il termovalorizzatore di Lamezia Terme




Il termovalorizzatore di Lamezia Terme
modesta proposta per prevenire il colera...
Da tempo ormai è in uso un efficace modo di smaltire pneumatici, gentilmente offerti dai gommisti, presso  il  termovalorizzatore nostrano.
Moltissimi anni fecondi hanno incenerito il nostro cielo di grigio, creando benessere e incrementando popolazione di nomadi pronti e solleciti al fuoco.
La pira arde senza possibilità di incorrere in divieti e regole, sanzioni e chiusure.
Quindi oggidì visto che abbiamo una emergenza sanitaria, visto che il puzzo tracima nelle case, perché non dare ai nostri beneamati popoli, senza fissa dimora, il compito di ardere la spazzatura al cielo azzurro della nostra piana verdeggiante?
Sarebbe una scommessa vinta, un atto di coraggio, una vera ventata di aria pura, una vittoria etnica e trasversale, con voti distribuiti a pioggia sull’asciutto e sul bagnato.
 Tanti anni fa, quando io, incosciente, mi accorsi del fumo nero, saranno almeno 15 anni fa, telefonai ai pompieri, vigli del fuoco, e li pregai di intervenire.
Per tutta risposta ebbi che loro si sarebbero mossi solo se scortati dalla polizia, perché avevano appena ritirato il loro mezzo dalla carrozzeria e non volevano rischiare di rimanere sotto una grandinata di sassate.
Interpellai la polizia che mi rimandò ai carabinieri o viceversa, poi mi consigliarono di fare denuncia alla magistratura, in quel caso, loro, con una ordinanza del giudice avrebbero accompagnato i vigili del fuoco.
Così mi avviai a fare denuncia, l’impiegato mi mostrò quante altre denunce giacessero su quel tavolo con lo stesso argomento e rincuorante mi incoraggiò a scrivere la mia.
Ma io, ormai sfiduciata, andai via.
Ora però quello che era un tormento potrebbe essere la salvezza, affidare al nostro campo il compito di ardere la spazzatura sarebbe un balsamo e una operazione che potrebbero fare solo i nostri zingari, senza regole, senza controlli, senza ispezioni.

Ippolita Luzzo



lunedì 18 novembre 2013

la cucina Rizzoli



Il polpettone che molti mangiano e io no

De gustibus non est disputandum
La casa editrice Rizzoli non è slow food
Nel corso della mia insignificante vita sono sempre stata bastian contraria. Quindi, da ragazza, non mi piaceva il ragù, pezzi di carne fatti bollire per ore in una salsa rossa di pomodoro con una cipolla, che veniva usato per condire bucatini, altro orrore, e perciatelli.
Non mi piaceva la parmigiana di melanzane e quella di zucchine, nemmeno il polpettone, una grande fetta di fesa di vitello, arrotolata e farcita con mollica di pane, aglio tritato uovo bollito sminuzzato, prezzemolo e salsiccia. Da grande i gusti si sono ancora più assottigliati, non mi piacciono  pasta, fagioli,  patate, dolci.
Questi comunque sono affari miei.
Adoro invece il riso, la zucca, gli arrosti al sangue, il pesce all'arancia.
Riconosco che anche i cibi che non piacciono a me sono buonissimi, so capire però se un cibo è artefatto oppure no.
Da astemia so a naso se un vino è ottimo, questo mi è stato confermato, così al palato mi basta un assaggio da esterna.
Questo per quanto riguarda la cucina di casa mia
Ora passiamo alla cucina Rizzoli
Quando una casa editrice è sul mercato deve vendere e per vendere deve seguire il gusto del pubblico. Il pubblico legge e mangia polpettoni? Tutti i suoi autori devono cucinare polpettoni.
Così ho capito come mai Carofiglio, che è un autore stimato, bravissimo nelle Manomissioni delle parole e in Ragionevoli dubbi, Testimone inconsapevole di Un passato è una terra straniera, si sia messo in cucina a preparare per la Rizzoli un simile pasticcio.
Nessuno se ne accorgerà, il pubblico compra il suo nome, al pubblico piace il suo stile e un polpettone fa sempre una buona figura in tavola.
Anche la mia amica Eli, con cui condivido letture, nel porgermi Il bordo vertiginoso delle cose, mi fa:- Ti piacerà tanto. Bellissimo. Parla tanto di filosofia e poi lui, sai, da alunno si è innamorato della sua professoressa di filosofia che spiegava, Oh come spiegava!, ogni sua parola incantava la classe.  Sai, parla di Bari, della sua adolescenza, in fondo racconta di sé, non credi?-
Così, giuro, mi misi a leggere questo libro con l’acquolina in bocca.
Più leggevo e più mi irritavo, riconoscevo frasi già dette, in altri suoi libri, ripetute stancamente, come se lui, Gianrico, stesse svolgendo un compito di malavoglia.
Anzi ne sono sicura, nemmeno lui si è divertito a scriverlo questo romanzo.
Poi  guardo il catalogo della Rizzoli e l’odore della cipolla mi assale.
In cucina comando io, campeggia un titolo, oppure Io ti vedo, ti sento, ti parlo, ti lecco, della Cao, anzi visto che ancora non c’è io suggerisco di  scrivere Io ti digerisco, massimo dell’erotismo Rizzoli
Della cucina Rizzoli solo piatti per palati decisi… sanno quello che vogliono!
Una vera festa dell'insignificanza, caro Kundera, non per niente Adelphi, cucina raffinata, la tua.
Ippolita Luzzo 

domenica 17 novembre 2013

Michele Branchi- L'infinito buio



Michele- L’infinito buio

Una indagine difficile per il commissario Capurro

Un commissario fragile e solitario, convinto però che chiunque compia un assassinio, un atto criminale di qualsiasi natura poi voglia raccontarlo. Chiunque.

Da Dostoevskij a noi, basta aspettare e inevitabilmente la rivelazione verrà fatta, come una liberazione.

Giallo psicologico e di introspezione accurata, giallo di ambienti che abitano strade, case e Genova.

Mi trovo sul comodino L’infinito buio per una bella amicizia, per temi condivisi con l’autore.

Identico infatti lo scetticismo che, attraverso i tasti, si possa davvero amare, innamorarsi, essere amici.

Identico il convincimento del pericolo della suggestione che una immaginazione può creare.

Identica l’ammirazione per grandi autori che capirono, prima di internet, come una molteplicità di stimoli azzerino oppure fanno disconoscere l’unico motivo valido.

Ricordo  la chiacchierata sul grande inquisitore, sull’uomo che condanna Gesù, ritornato sulla terra per liberarci.

La stessa cosa potrebbe succedere ora.

Non riconoscere chi viene per dare la luce, la conoscenza, liberarci dalla schiavitù, per dare amore.

Il popolo è ondivago, manipolabile e segue… segue

Seguirà l’inquisitore che, benché turbato dal bacio, continuerà nella sua opera di condanna.

Forse la grande e difficile arte del narrare sta proprio nello svelare, non troppo, quello spiraglio di luce fra noi e le tenebre.

Poco però per non abbagliare.

Indagini quindi fino ad entrare nella mente dell’assassino per capire, per accendere la luce.

Mi piacciono i gialli, mi piace un genere che, indagando su un omicidio, in effetti indaga sulla miseria di vivere come si vive, nel vuoto assoluto di luce.

Fissati tutti, convinti che l’altro, che gli altri siano i cattivi, gli invidiosi, i maligni, convinti che uccidendo un altro, si possa eliminare il male, il malessere profondo di abitare nell’individualità.

Riflessioni autunnali, con accanto il libro dalla copertina rossa, come un tramonto.

venerdì 15 novembre 2013

Uomini visti da donne



23 settembre 2010

Uomini visti da donne



Una signora va a fare la spesa in un grande supermercato della città. Nello spazio antistante vi è un ampio parcheggio e alcune ragazze marocchine vendono fazzoletti – chiedono un euro. Un uomo distinto, conosciuto, si avvicina alle ragazzine. Parla con loro e poi convince una delle due forse la più piccola a salire in macchina, la sua macchina. La signora osserva incuriosita, perplessa, sulle prime avrà pensato che l’uomo si propone di aiutare le ragazze, ma deve ricredersi. Lui ha il classico atteggiamento dell’adescatore, l’occhio torbido, la voglia stampata sulla faccia. Così turbata la donna rimane indecisa e torna a casa. Sarebbe creduta? No, lei stessa si risponde. Lo racconta ad una amica. Anche l’amica non crede. Questo uomo è un uomo devoto, pio, un uomo molto religioso. Non può aver fatto, pensato di usare minorenni, senza difesa, per un piacere personale. Sembra assurdo. – Zitta – Zitta. Passa il tempo. Poi stranamente all’amica scettica viene raccontata la medesima storia dalla moglie dello stesso uomo. Oh no, la moglie non può dire:- Sai, mio marito… - Non può. Però racconta, racconta storie di violenze, di uomini adulti, molto adulti, rispettabili, rispettabilissimi, con sessualità non risolte, con mogli invisibili, che non toccano più, uomini che desiderano toccare o farsi toccare da bimbette marocchine, ucraine, o semplicemente da bimbette facilmente avvicinabili e indifendibili quando si sarebbero messe a raccontare. Chi crederebbe a queste bimbette? La moglie continua nel suo sfogo addolorata, mortificata, - Certo – spiega – non si fa così.- Sta bene attenta a non dire – Sai è mio marito questo uomo, sai è lui che torna a casa con questo odore un po’ così, di selvatico, addosso come un lupo. – Non dice così. Chi la crederebbe? Ascolta al telefono ancora scettica, molto sorpresa l’amica, e pensa a come la vita gira da sola e mette in comunicazioni situazioni diverse per poi evidenziarne una, una sola, e prosegue il suo giro. Continua a chiedere questa moglie che venga scritto, che venga scritta la vergogna di uomini ammantati da spirito cristiano, di uomini che hanno figlie, figli giovani, che vanno con bimbe. Solo dopo tanto tempo riesco a scriverne. Mi sembrava inverosimile. Ma quando ho letto che Simenon si vantava di essere andata a letto con una ragazzina, che Gandhi voleva una bimbetta nel letto la sera, che Montanelli aveva avuto in dono in Etiopia una bella bimba profumata, ebbene allora ho cercato di mettere su foglio una stranezza. La donna non è uguale all’uomo. Le bimbe poi sono più fresche. La donna non cerca bimbetti da infilarsi in macchina. Se lo fa è una maniaca, una pazza pericolosa. L’uomo è uomo. – Mio marito è un signore – disse sempre la stessa moglie una volta a chi le domandava se il marito la soddisfaceva sessualmente. Ma che risposta è? E’ la risposta giusta. Più i mariti sono indegni più le moglie incensano. Le donne non sarebbe credute. Visionarie. Si meravigliano con gli occhi increduli, non vogliono capire, ma come? Simenon se ne vanta e lei moglie ne soffre? Ma va! Nel libro di Giuseppina Torregrossa, alcune moglie siciliane parlavano delle zoccole dei loro mariti, se ne vantavano, una ne lodava la bellezza, con orgoglio affermava che suo marito sì che aveva gusto, avevano visto quanto era bella, quanto era appariscente la zoccola del marito? Mi sembrava anche questo inverosimile. Ma nel mio raccogliere le tante storie che voi donne mi raccontate ormai convinte che io le trasformerò in letteratura, una donna colta, intelligente, critica, analizzando anni accanto ad un marito femminaro, è questa la parola giusta?, osservava  che lei avrebbe accettato qualsiasi donna  purché tante donne accanto al marito, ed anche ora che lui ne aveva scelta un’altra, avrebbe capito se questa nuova fosse stata più bella di lei. Strana competizione. La nuova però non è più bella - non è più intelligente – non esiste. Le donne sono sempre in lotta fra loro per il possesso di un individuo ana – senza. Uomini visti da donne.

 -Io sono sempre  la moglie – mi dice una gentile ed elegante signora – dicono tante falsità su mio marito !  Ci vogliono male – E così continua, lei che può, a camminare imperterrita al braccio di questo uomo che manifesta, malgrado le tante donne avute, così dicono, una devozione encomiabile verso la sposa. Sarà vero? Voglio credere che fra noi possa ancora esistere  la possibilità di guardarci negli occhi. La sessualità è uno strano miscuglio di desideri, di appagamento, di potere, di risentimento, di violenza, ingabbiarla in un matrimonio è un artificio ormai logoro. Per le donne, per la maggior parte delle donne, questo artificio era la loro difesa, era l’unico spazio possibile. Io penso ancora  che sia per l’uomo che per la donna possa essere una bellissima opportunità di conoscenza. Ci saranno pure uomini e donne umani o è solo letteratura? Nella conoscenza solo letteraria della mia vita, ho filtrato la realtà sempre attraverso le parole dei miei libri, ho creduto possibili amori e interessi, ho percepito poi un malessere soffocato, tra quello che si vuole e quello che sia ha, tra quello che si crede giusto e quello che è giusto. Ho visto poi la grande differenza tra vita e letteratura. Un uomo visto con gli occhi di una donna è solo un marito - un figlio - un padre - prepotente ma ancora potente. Che sciupio di forze! Quanta energia per reggerli! Ma senza di loro la vita sembra che non abbia sapore, odore, senso, senza di loro la vita non è vita, è un’altra cosa.

giovedì 14 novembre 2013

La casa che abitiamo e gli amori che viviamo su facebook



La casa che abitiamo e gli amori che viviamo su facebook



Razionalmente scrivendo nesso non c’è. Razionalmente vivendo nemmeno.

Posso però solo razionalmente spiegare.

Siamo abitanti di case che ci riflettono. Ognuno  ha la casa che è.

Disordinata oppure ordinatissima, pulita o sporchetta, con troppa chincaglieria o spoglia, essenziale.

Case colorate e allegre, oppure monocromatiche e fredde, case con uccelli impagliati su trespoli, con chitarre e spartiti, con mille bomboniere e centrini, con sigarette spente e cenere dappertutto, con bagni odoranti profumi inebrianti o puzzolenti da fogna.

Da queste case a volte usciamo, sempre usciamo, per fare la spesa, andare al lavoro, fare due passi.

Più spesso restiamo a pigiare sui tasti, cosa che ormai possiamo fare dappertutto, pigiamo infatti in fila al supermercato, fermi al semaforo, ad una conferenza, al cinema, al ristorante.

Gli amori che viviamo su facebook, pigiamo.

Con una mia amica, un giorno, abbiamo letto i mi piace, i commenti, le risatine e approvazioni, il prendimi e seguimi, in modo letteralcorretto.

Abbiamo così scoperto che tizio amava una lei, che ricambiava, almeno quel giorno! Abbiamo così legato storie che avrebbero fatto un romanzone

Amori fatti nascere da un impulso, un piacere, una distrazione, perché… non si ha niente da fare.

Palesi e squadernati, gli amori su facebook sono impudichi, si rincorrono da un contatto ad un altro, si commentano ad alta voce, si offrono alla platea senza il filtro della casa.

Traslando statue bianche che lascive si accarezzano, ridendo ad ogni anelito del lui o della lei, assecondando il narciso che esiste  e blandendo la rabbia e la gelosia, gli amori su facebook tralasciano il corpo abitato, sono puri immateriali, soltanto un conclicco, non un contatto. Io ti conclicco perché tu mi piaci.

Amori senza una casa dove abitare, trascurano ormai la casa abitata, e ridicoli, buffi, agitano anche libri e pennelli, fogli e quaderni, per ornare un ornato da appendere al  vuoto.
Oscillano al vento le cetre amoranti un amore sussultante e citante, gitante, un amore per lui, per lei. Oh quanto t'amo, quanto t'amo, non lo sai...