venerdì 14 dicembre 2012

Francamente me ne infischio



Francamente me ne infischio- disse Rhett Butler nel film "Via col vento" 1939

Francamente me ne infischio –dico io nei fantomatici siti letterari dell’anno 2012

Ora che vi ho letto, riletto, ho rivoltato tutti i miei siti  con attenzione, partecipato ad un blog, ne ho fatto uno mio, ho ascoltato tantissimi, ho corretto e mi son fatta correggere, ho vissuto come una speleologa in una grotta, ho parlato, come se fosse vera realtà, con  lo scritto che mi stava davanti,
Ora io posso dire lo stesso.
Certo anche Rhett, in fondo, amava Rossella, ma proprio per questo era ormai infastidito che lei gli avesse preferito per una vita quell’Ashley che non la voleva.
E così arriva per tutti il sano distacco da tutto quello che prima era vitale, era importante, l’unica e sola ragione di vita.
Francamente me ne infischio di beghe e di click, di commenti e commenti, di visibilità e di successo.
Quel che di bello era per me era soltanto poter pensare e  raccontare di Althusser che strangola la moglie e viene liberato, osannato, è pur sempre un filosofo dello strutturalismo!
Per mesi pensai a lui e alla moglie, per mesi pensai alla sua folle e risibile scusa di averla strangolata solo perché gli ricordava la madre, per mesi mi ribellai ai giudici che, dopo appena cinque anni, lo liberarono.
Lui scrisse poi un farneticante libro L'Avenir dure longtemps per raccontare ed io lo lessi, rabbiosa, pensando che agli uomini tutto è concesso.
Tutto è concesso, offendere, irridere, scherzano gli uomini, insinuano che tu, come donna, proprio perché donna, tu proprio con la testa, tu non ci sei.
Certo anche le donne, come Rossella, se la vanno a cercare la rispostaccia, se la meritano dunque, così imparano a parlare poco, a stare zitte, a compiacere e a dire sì, anche e soltanto per un commento.
Così sui siti, sui blog, sui giornali di carta stampata, le donne ingoiano frasi e frasette, tante carine, tante scemine, innocui e ridenti complimentini da fare perché tanto si può.
Francamente me ne infischio
se non posso parlare, se non posso dire un pensiero libero, se non posso essere libera, me ne infischio
di stare fosse anche sul Fatto Quotidiano, sull’Avenir che dura longtemps, soltanto il tempo degli uomini e non delle donne, perché è sempre uguale, uguale uguale, quell'avvenire che dura da sempre.


mercoledì 5 dicembre 2012

A Parigi anche l'aria profuma di Parigi



A Parigi anche l’aria profuma di Parigi

Non ero mai stata a Parigi.
Avevo vissuto per anni, sui libri, nelle vie di Parigi di Maupassant,
 ero con Forestier e  Madeleine quando incontrarono George Duroy, Bel ami,
 che li ringraziò dell' accoglienza sconvolgendo la loro vita.
Avevo subito con Eugénie Grandet l’avarizia atroce di papà Grandet, l’avidità che segna perdute esistenze di buoni.
Ero stata con Cosetta e i Miserabili di Victor Hugo dai Thénardier,
avevo sorriso con Molière e la sua scuola delle mogli
poi avevo percorso con la fantasia i boulevards, immaginando di incontrare Sartre e Simone de  Beauvoir ad un caffè.
Per anni Parigi è stata con me ed ora io sono con lei.
Sono veramente a Parigi, sono per la prima volta a Parigi, sono già nella storia del suono mouillé che canta e modula eleganza e charme.
In viaggio, sull’aereo, il mio vicino legge un libro, “ Anche le brioche si spalmano col burro e non con la margarina”, scrive un certo Tissot o Tessut.
Tutti leggono,
 Bukowski viene perso sulla scaletta dell’aereo che scende a Bergamo, rintraccio e restituisco il libro al ragazzo.
“I love Tiffany” della Hart è dimenticato in bagno da una giovane signora, alta, snella,
 con uno splendido paltò bianco latte, con collo di pelliccia, e borsa braccialini annata 2012.
La cerchiamo inutilmente, io e la mia amica,  tra un gate e un altro,  ma di lei resta solo il profumo ed il suo libro in mano che Mirella leggerà per tutto il viaggio.
Parigi mi accoglie e ci accoglie così, con un bistrot; un sorriso aperto e veloce ci delizia di un camembert, di un rochefort,  misticanza condita con aceto balsamico.
Da subito Parigi ha il viso, i visi attractifs dei due ragazzi che felici ci mostrano un anello.
Per ora Parigi è un colore, un verde profondo, forte e deciso, fiducioso e rotondo, un cerchio vitale che dallo smeraldo all’anulare raggiunge le iridi  degli occhi di Francesca e si allarga nel futuro degli occhi di Jeremy.
Peynet,  Prevert  o  Brassens con le sue canzoni erano tutti con noi, in  una realtà superiore ad ogni immaginazione
Se questo è un veleno  est un poison lente- disse Voltaire, così leggo nel bar tabaccheria dell’università di Parigi- Tabac de l’universite, 151 R. L’universite  e poi a Saint Germain de Prés siamo passati davanti Procope- fondato da Procopio dei Coltelli, siciliano, luogo famoso per i suoi caffè,  frequentato dagli illuministi, da letterati e da Voltaire che litigò anche con Procope, illuministicamente, però.
Una tre giorni parigina con uno scippo elegante subito da me in metro e d’un tratto mi si  sono volatizzati moltissimi euro, nel mio immaginario in mano a Cosette e a tutto un mondo brulicante di Pennac e La fata carabina,  Belleville e un mondo di magrebini e di popoli dell’est Europa ai quali io avevo regalato una festa dell’Immacolata ricca e abbondante..
Ho visto in volto la ragazzina che mi ha lasciato il portafoglio sul predellino, mi è sembrata una ragazza perbene, più perbene dei tanti altri scippatori che ho miei vicini.
Così, la mattina dopo sono passata leggera fra i banconi dei magazzini Lafayette, comprando con la mente foulard e borsetta, una era  rosa di Dior, sicuramente il valore che mi era stato trafugato e  l’ho immaginata mia, riconciliandomi con quello che non ho più.
Mi rimangono negli occhi le luci, i cerchi luccicanti degli Champ-Elisées, attraversati con una Seat Ibiza, guidata da Jeremy e poi parcheggiata davanti la Cattedrale di Notre-Dame immersa  in un rito antico eppure sempre nostro…la Messa domenicale della sera, con canti e suoni dal famoso organo e ai rintocchi virtuali  della campana  del gobbo di Notre-Dame.
Porto con me dalla Francia una scatola di allumettes Feudor, fiammiferi fatti rispettando l’ambiente, e le medaglie  benedette da una suora di origine africana in rue Due  Bac al 140,
Cappella  della Madonna della Medaglia Miracolosa, iIl  luogo dove Catherine Labouré ebbe le apparizioni.
Riuscirò  a conservare per giorni il profumo, la calma, il lento ma ricco svolgersi degli avvenimenti parigini?
Riuscirò a individuare cosa avranno mai spruzzato per le strade di Parigi per ottenere quella fragranza olfattiva che donava piacere a papille gustative e visive in  sensi che vagavano dalla patisserie alla brasserie, che volavano oltre il tattile e l’aereo dei profumi e dei foulards? Non credo, ma so però che
Parigi, Parigi col sole, ci ha regalato una realtà di tranquillità, una bellissima felicità.


domenica 25 novembre 2012

Regnante di un regno che non esiste- La letteratura Web




Già Fortini lo scriveva nel 1960-I luoghi dell’opinione e del gusto letterario sono stati sorpresi
 nel giro di pochi anni dall’insorgere di forme per noi nuove dell’industria della cultura
 che hanno mutato aspetto e funzione agli organi di mediazione fra scrittori e pubblico.-
All’apparir del vero tu misera cadesti…
 la società letteraria all’apparire di internet si è erosa, oppure è esplosa,
 e trasformata in pulviscolo è diventata una delle prime cause dell’inquinamento atmosferico.
La letteratura web, croce e delizia di tutti noi, utenti di un pc.
Nel 1993 Emanuele Trevi, nel suo Istruzioni per l’uso del lupo, lamenta la fissità marmorea e un po’ demente delle istituzioni.
Macchine sociali produttrici di consenso…noi cercavamo altro, abbiamo trovato internet, abbiamo il web.
Sarai regina e regnerai, le cose che tu sognerai diventeranno realtà- cantava Moustaki, un tempo lontano.
Perché non crederci?
Così anche io, a un anno a questa parte, pigio frenetica i tasti di un pc, iscrivendomi ai siti letterari, così è scritto su Google.
La Recherche, Neteditor, Alidicarta, Descrivendo, Altramusa…una infinità di siti dove, senza sbarramento, tutti possiamo iscriverci, tutti possiamo scrivere, tutti possiamo leggere e commentare.
Liberi tutti
Scriviamo tutti, molti, numerosissimi.
Scriviamo e scriviamo, poi litighiamo.
 Le risse diventano furiose come in un salotto letterario vero,
 per una virgola, per un commento,
 per come e per quanto un romanzo possa chiamarsi romanzo.
Io, nel mio sito di allora,  divento la pietra dello scandalo, io canticchio, faccio collage di canzoni, parole ed opere, di poesie, di film, un minestrone e i classici si impuntano, ne nasce un bellissimo dibattito e vengo incoronata regina della litweb da dissidenti dell’ordine costituito.
Mi aprono un blog,  mi invitano in un altro blog,  divento una blogger e tutto si trasforma 
sotto il regno del nuovo millennio
Evviva questo mondo,
Evviva noi, in fondo siamo in tanti a crederci, però,  una volta tanto vorrei che fossi tu a dirmelo, lo sai.
Tu… che non ci credi veri,
tu che non ci leggi mai,
tu, editore, scrittore,
tu giornalismo di prestigio,
tu premio letterario,
tu Università
il tu tu tu tu sempre occupato, una linea intasata da tante richieste.
Ma noi leggiamo e scriviamo, poi litighiamo, senza stancarci,
 senza annoiarci, perchè
nel regno  della litweb non tramonta mai il sole,
come potrebbe?
Manca il cielo in questo regno,
a dir la verità manca anche la terra. 



Ippolita Luzzo 






martedì 20 novembre 2012

Solo e pensoso i più deserti campi vo' mesurando



Solo e pensoso i più deserti campi vo' mesurando

Già, lo disse Petrarca, lo ripeto a modo mio, e rifuggo gli altri
affinché non si accorgano del mio tormento e possano dire:-Poverina!-
Ecco, l’umana condivisione si ribalta nel pietismo,
nel ridurre l’altra o altro con una analisi poverina di un pensiero poverino.
Il sociale non esiste, il politico neppure, il privato, dice Petrarca, è meglio se lo nascondiamo.
Non interessa proprio, oppure interessa solamente per consumarci sopra una pizza e una birretta.
Non contenti tutti siamo se poi non facciamo i conti, non tiriamo tutte le somme di un agire che non va.
Poverina, la contentiamo.- così mi disse una politica di una sua compagna di partito, in lista per il consiglio comunale.
Poverina sarai tu- mi trattenni io di sbottare
per non sentirmi dire:-Poverina, sei  nervosa?-
Poverino, sai? gli è successo un brutto guaio- esordisce pietosamente macabra l’amica e giù a raccontarmi ogni pannolone da cambiare, ogni terribile debolezza di un corpo di ammalato, a mostrarmi senza pudore anche il piscio e la diarrea.
Poverina sarà lei- io pensavo già ribelle e seccata da tanta impudicizia, da tanta indifferenza,  mascherata da pietismo
Poverini tutti quanti se impoveriamo gli altri con una bieca compassione.
Ecco da cosa rifuggiva il Petrarca, rifuggiamo anche noi dal manifesto accorger de le genti
perché giammai vogliamo sentire di noi, verso di noi, per noi, quel- Poverina-  che ci disturba tanto.
Bravo Petrarca-  bravo, sette più,
come  dicevano Cochi e Renato
in Quelli della domenica
... Solo e pensoso vo' mesurando...
Misura, misura… che ti troverai bene!

giovedì 15 novembre 2012

A Gianrico Carofiglio



A  Gianrico Carofiglio- Il matto o la matta seduti sempre in quel posto lì

Ho subito guardato il mio posto  per essere certa di essermi seduta nel posto giusto,
nel posto di chi legge diversamente
Nel posto di chi mangia con i personaggi  e  se li porta a spasso nel viaggio della sua vita
nella dimora abitata dalle sue tante letture.
A Gianrico Carofiglio che ha detto:- Questa sera il posto è vuoto-
posizionandolo a sinistra
Beh, in libreria come nella vita, il lato sinistro è quello più impedito,
Il lato sinistro, ma verso il centro, un lato ancora più scomodo, nemmeno un lato.
Ma non abbiamo parlato di lati, stasera, ma di attenzione, di ironia, di uomo scisso e di confine
Un confine, quello fra il bene e il male,  leggermente illuminato prima dal tramonto dell’onestà del sole
E poi fiocamente  dai lattescenti colori della disonestà della luna.
Un confine non confine, una ammunsillata.
A Gianrico  Carofiglio  che ci ha scritto –La manomissione delle parole-
Il primo libro al mondo  amato e cercato in libreria prima ancora di essere scritto
Ecco cosa vorrei dire questa sera …dal suo libro

Dal profondo della notte che mi avvolge
Nella feroce morsa del caso
Oltre questo luogo di collera e lacrime
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto pieno di castighi il destino.
Io sono il padrone della mia sorte.
Io sono il capitano della mia anima
Henley lo scrisse, 
Gianrico Carofiglio lo riporta nel suo libro
E io lo leggo come se fosse solo per me
E  lo ripeto come un mantra sul mio blog
Ringraziando la scrittura memoria del mondo
E i suoi ammanuensi
Che riportano con gioia e con amore
Scegliendo e sottraendo
Il meglio e il tanto di un sapere non indifferente

mercoledì 14 novembre 2012

Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno



Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno- la nuova comunicazione dei sentimenti

Prima di arrendermi ho tentato con l’amica più vicina, ho cercato di interessarla a pensieri più intimi, ma lei, pur cara e composta, è sfuggita al profondo, e mi ha riportato al nipotino  che cresce, al cane che le manca, all’altra amica distrutta.
D’accordo con lei ormai sono anch’io, d’accordo che ormai non si può più.
Magari il pensiero deve essere semplice, non deve annoiare, deve essere breve.
Un lampo.
Un twitter, e non abbiamo più amici ma followers.
Il pensiero breve.
Così abbiamo tutti, molti, abbassato la testa, piegati sui tasti,
 sui  quadrati di un tablet,
 raccontiamo e pigiamo di storie dell’anima, dolori e sapori, gelati e ricordi, inserendo nei nostri profili immagini di infanzie lontane, fotografie di gite festanti, codazzi di amici che fanno vittoria con due dita alzate.
Vittoria, Vittoria.
Abbiamo vinto l’incomunicabilità.
Lo zio ci risponde malmostoso al telefono?
Io lo scrivo sul sito
Il figlio decide di non parlarci più?
Noi tutti possiamo confidarlo in Australia, ad Abu dhabi.
Un  marito ci tradisce con Petruska, ma cosa importa?
Possiamo sicuro saperlo perché abbiamo una rete che lavora per noi.
Una rete amica fatta di amici, di amici carissimi, di amici amici,
certo anche loro con i loro difetti
Spariscono, infatti, non sono mai gli stessi, non durano mai oltre tre giorni, per la regola aurea che…dopo tre giorni l’altro poi puzza.
Non esistono affatto questi nuovi amici, ma sono perfetti, finché tutto dura, finché
ancora valga per tutti l’insopprimibile bisogno di essere vivi, di avere bisogno di parlare e sfogarsi senza le inevitabili rotture dell’altro, senza dover sentire e raccogliere il vero sconforto di un  prossimo vero.
Lo diciamo a tutti il nostro dolore così nessuno ci crederà, così nessuno ci sentirà, così come le donne africane urlavano e urlavano in una buca il dilaniamento di avere perduto
Noi lo urliamo nell’etere opaco del web
E diventa un gioco, diventa soltanto una fotina, un messaggino
Una mail
Un filmato
Un Url da trascinare, da saper ricopiare
Nella frammentazione dei rapporti retati
Nella immensa bugia di poter noi sconfiggere almeno una volta,
almeno ora, la nostra bellissima e solitaria malinconia
il nostro guscio di sensazioni, una prigione ma un universo,
da raccontare …a chi ci ascolta