Dieci Pezzi
1) 6 Luglio 2010
Quando col rastrello si portano via le foglie,
la terra nuda.
Quando si pota un albero
la linfa sgorga,
quando ad un uomo vengono cancellati i germogli,
la parola è muta
Il respiro corto
La giornata lunga ma non impossibile.
Basta aspettare
e
si riforma dall’albero la patina,
dalla terra la vegetazione,
dall’uomo la speranza.
2) A modo mio 9 ottobre 2011
L’incontro è
Capelli – pelle - tatto
Profumo – respiro - eros
L’incontro è
Mente – pensiero - emozione
Scelta – conoscenza - passato presente
L’incontro è
Anima - tutto – insieme
E occhi chiusi - l’altro scompare- scompari anche tu
Perdersi in un altrove, perdersi in un vortice
nel flusso del movimento
armonia di respiri, di ansimi, di soffi
di gorgoglii, onde che si rifrangono
che vanno, si ritirano, cerchi concentrici di piacere
che aumentano, si smorzano, riprendono intensità.
Pause - piccole - lente - lente
Sensazione nostalgica
Nostalgia di nuovo di riprovare, di ricominciare
Subito.
Ed è nel ritorno, nel ritrovare quel che si pensava perduto per sempre,
che diventa più intenso il turbamento,
più vicino al nulla, all’infinito
all’appartenenza al cosmico ancestrale sentimento della vita e della morte.
In un momento, in alcuni secondi, attimi concentrici, circolari per la donna
e, suppongo, lineari, di volo, di fuga, per l’uomo
sarà simile il librarsi nell’eternità del divenire
3) In macchina- 20 aprile 2013 ore 19 e 45
Ho acceso la radio ad alto volume
Per non sentire il silenzio assordante
Che mi è accanto, mi accerchia senza scampo.
Ha vinto lui, stasera
Ha vinto nonostante io avessi messo in campo
Le truppe in ordine
Una mamma piccina, fatina, vecchina
Una amica con nipotine giocose, ciarlanti, saltanti
Un momento all’Altrove, una associazione e poi
Una conferenza sull’arte africana e sull’origine del mondo.
Più scappavo più il silenzio, il disagio era con me.
Ho provato con le compere
Ma lasciavo lì pantaloni e magliettine
Verde intenso, verde mela
Reggiseni con il pizzo, con un po’ d’imbottitura
mutandine e canotte da abbinare, verde, ancora verde.
Li ho lasciati, erano estranei, inutili.
In gran fretta sono poi ritornata
Solo una fermata dal fruttivendolo
Due e tre mele, le arance, le fragole biologiche
Gli asparagi, la verdura a foglia larga
E al momento di pagare la signora mi domanda:- Le è successo qualcosa?-
Ed io di rimando:- Si vede, vero?-
Una tristezza così non la sentivo da anni
la giostra gira e rigira e ti riporta al capolinea
Pfui
Spariscono in un baleno i contatti, gli impegni,
il mondo reale e immaginario
sparisce il piacere, la gioia, l’entusiasmo
non basta un’agenda fitta di parole nella settimana che viene.
Ora c’è il vuoto
4) Ti senti meglio, amore mio?
ti senti meglio ora che ti faccio schifo
che hai vissuto con uno scarafaggio
che io sono per te un nulla e un niente
che mi hai ributtato in faccia l'ennesima meschina,
egoista, egoista, egoista che sarei io
ti senti meglio ora, amore mio?
ci sentiamo tutti meglio, vero, ora
ora che il vomito tracima e imputridisce
i visi alterati e deformi
ora che le parole hanno tagliato tutto quello che era il tessuto del possibile incontro con l'altro
5) Il tempo stonato
Vai a tempo-
Non sai andare a tempo-
Ditemi da quando si va a tempo?-
Conta, uno, due, tre e quattro.
La musica è matematica.-
Conto. Vi prometto che conto.-
23 Aprile auditorium del liceo Statale
Una folla di alunni davanti a me, i loro insegnanti, il dirigente, le autorità ed io dovrei contare.
Dietro di me, in alto, le note della pianola mi accompagnano, un sottofondo ai versi, alla miscellanea di versi, non miei, che io ho scelto e dovrei leggere.
Mi concentro e conto.
Uno, due, tre e quattro.
Inizio a leggere piano, chiara, sento più il suono che le mie parole.
Dovrei andare a tempo.
Attendo fra una stasi e un’altra, riprendo ad una nuova battuta
Rispetto il verso.
Sono pochi minuti, sono solo una manciata di versi,
un peregrinare nel mare che ci vide andare via emigranti
che ci vede inadeguati ora ad affrontare gli scafi insanguinati che arrivano
da anni.
Uno, due, tre e quattro
Come vorrei andare a tempo!
Ho finito, mi applaudono, per cortesia, penso io, cattiva con me stessa
Poi mi riconcilio e mi do un tempo, il mio
Stonato, e ormai irrimediabilmente amato
6) La dignità della solitudine
Ho popolato il mio tavolo di voi
ho fatto colazione pranzo e cena
chiacchierando con voi
e
fuori
poi
ho continuato a chiedermi di voi
senza però chiedervi niente
non si sfugge
al nostro destino
però si può
sicuramente
raggirarlo.
Una solitudine come destino
io l'ho presa in giro con un libro in mano,
con lo schermo di un pc
con un foglio bianco
che mi chiede
-Come stai?-
7) La convivenza silenziosa invecchia
Il silenzio amplifica i suoni.
La cialda del caffè nella Lavazza Blue deflagra
sboom
cade giù e io aspetto che diventi rosso il tondo per girare e ... e bermi il nero e schiumoso ristretto.
Lui è sul divano, dorme.
Di giorno si dorme.
Il silenzio ora è rotto dai tasti
un rumore inquietante, anche i tasti deflagrano, risuonano cupi in un martellare inchiodante e inutile.
Spariti i tempi di quando il pigiare era una vera comunicazione, le tante e le molte delusioni hanno reciso il suono umano lasciando i tasti a risuonare da soli un'eco lontana.
Il tavolo è ingombro di fogli, qui
in cucina nessuno
lo specchio del bagno rimanda una ruga che non possedevo
8) Io pubblicherò postuma
Io pubblicherò postuma
Come Emily Dickinson
Come Tomasi di Lampedusa
Come Ippolito Nievo
Io pubblicherò postuma
L’emarginazione letteraria,
spirituale, che altri hanno percepito
lo slargo, il vuoto abitato da nessuno al mio fianco ( Nadine Gordimer)
Io pubblicherò postuma
La raschiante invidia di chi vorrebbe essere come me,
più giovane, più bella, diversa
io allora sarò ascoltata
perché il silenzio della mia assenza
darà lustro alla loro presenza.
Io pubblicherò postuma
La menzogna di un amore
Ritenuto troppo a lungo degno
E perso come tutti gli amori,
nell’indifferenza, negli inganni, nelle carte.
Pubblicherò e testimonierò in vita
Il fastidio di essere fra miserabili
Fra persone che vendono la loro opinione
Per un lastrico solare, per un nulla, per un niente.
Scusate se esisto- direbbe lei, eterea e decisa prof di storia
E scusate se io parlo, mi muovo e sono felice.
Il cielo è azzurro, il mare un po’ meno,
L’aria è frizzante, pulita non più,
le cave sono in fiore, camion alacri vanno e vengono.
Siamo tutti felici di esserci.
Anche gli avvocati, gli amministratori delegati, i commercialisti,
l’agronomo, il mio. Sbadato, distratto, infingardo, proprio come me.
Ma lui non se lo può permettere. Non è mica uno studioso!
Lo studioso perde e riperde nella sua cartella
Pensieri parole ed opere
Perde e riperde concetti, nozioni, date.
Lui, l’agronomo, perde i registri aziendali. Non si fa.
Io scrivo come digestivo e come lo stomaco dei ruminanti.
Reticolo, rumine, omaso e abomaso.
E’ una ruminazione, la mia,
durante la quale il bolo viene riportato in bocca, rimasticato.
Un riportare che dà però una più facile digeribilità.
Scrivere per digerire. Meglio di un mepral!
19 maggio2011-
9) Io non sono una donna del Sud
Io non sono una donna del Sud
Non ho mai fatto la salsa di pomodoro
Le melanzane ripiene, la conserva di peperoni.
Non ho mai insaccato una salsiccia, non l’ho mai bucherellata
Mi fa senso il sanguinaccio, non lo mangerei mai
Non pranzo dalla suocera, però l’ho tanto amata
Non vado a matrimoni, battesimi e prime comunioni
Non vado neppure ai funerali.
Come potrei salutare quelle persone
Affrante
messe lì,
in fila indiana
Non conosco il parentado, non ricordo i vari gradi
Mi sfuggono gli intrecci, proprio quelli più succosi
Mi distraggo e poi apro le finestre, tiro giù le tende
Su balconi spalancati.
Non spedisco barattoli a mio figlio, non stiro le camicie
E poi non mi nascondo non dico- ho un impegno-
E non ho mai gente a casa, a volte solo amiche
Non ho mai abitato qui,
non ho mai vissuto qui, ma ora che lo vedo,
ne sono tanto fiera.
Il sud lo porto nel sangue, nel suo colore, nel suo calore
Nella storia, nel presente,
nel mio viso da bambina
Nel dolore delle mamme,
delle donne
Sempre attente, sempre pronte
Sempre vigili e custodi
di una cura sempre eterna
13 agosto 2011
10) Il calendario
Il calendario appeso in cucina
è sottile oramai.
Solo tre fogli.
Il vento leggero dal balcone entra
e fa cadere
ogni giorno
il calendario a terra.
Ogni giorno raccolgo
quel che resta dell’anno
e lo riappendo
al chiodo fisso della buona sorte
Ippolita Luzzo