Il limbo. Se un immagine stamani mi sovviene per dare un nome al 2020 il limbo dantesco mi sembra riassuma tutti i giorni vissuti in attesa, al chiuso o all’aperto, ma in attesa di passare da un’altra parte. Una umanità impaurita e confusa, un caos di sensazioni e di informazioni, una approssimazione politica fatta di incompetenza e cialtroneria, una comunicazione di ombre. Fantasmi. Sembrano giorni o mesi di impedimenti, di difficoltà a lasciare il peso di un anno che va via col suo pesante sacco di iniquità
lunedì 23 dicembre 2024
domenica 15 dicembre 2024
Miscellanea di Maurizio Carnevali a Proposte Design
In via Conforti numero 8 a Lamezia Terme Proposte Design crea uno spazio che permette “un legame emotivo tra persone e design, sottolineando storia, funzionalità e bellezza di ogni pezzo esposto.” Proprio in questa funzione di tramite fra arte e oggetto risiede la scelta di Proposte Design di inaugurare “Miscellanea” del Maestro Maurizio Carnevali, curata da Giorgia Gargano, mostra di quadri, sculture, acquarelli, che rimarrà dal 14 dicembre 2024 al 31 gennaio 2025.
Si sente sempre il desiderio di avere un luogo ampio, luminoso, dove poter far vivere le opere, dove conoscerle e ammirarle e ogni volta che succede ciò nella mia città è una festa.
Ieri sera tantissimi gli appassionati di arte hanno potuto ammirare opere e insieme oggetti di design con la piacevolezza di vivere nel bello. Nel bello e nel mito, nel bello e nella storia, nel bello e nella letteratura.
Le sculture ci parlavano del dolore di Achille alla morte di Patroclo, di maternità nell’abbraccio di una mamma e un bambino e di visionaria follia con Don Chisciotte, le pitture di Fetonte sul carro del Sole sempre più in alto e accanto il carro di Nyx (in greco antico: Nύξ, Nýx, "notte") una delle divinità primordiali della mitologia greca, nel blu dipinto di blu.
I colori vivevano e vedevamo la grana farsi immagine nel sapore di un gusto antico e pur sempre presente della sfida al tempo. Non teme il tempo l’arte perché essa interpreta il tempo, lo dipinge e lo mostra come se fosse un altro balocco. Torneremo ancora a trovare la natività all’ingresso e poi Demetra e Ligea e le sue sorelle, il giovane Orfeo e Tiresia, torneremo a rileggerci il mito, la storia, la letteratura su sedie anch’esse che sfidano il tempo
Ippolita Luzzo
giovedì 5 dicembre 2024
Dieci anni fa
Faccio slalom con sci mai messi.
Rimugino e cammino con mie gambe fra paletti e ostacoli di una discesa che traguardo non ha.
Faccio slalom fra la neve dei rapporti
Ippolita Luzzo
venerdì 29 novembre 2024
I baci del 2014
Due baci del 2014.
Due baci puri e depositati sulla stessa guancia.
La destra
Il 25 luglio e il 28 novembre.
Li amo entrambi. Per entrambi ho provato uno stupore e una appartenenza al tutto, al mare, al cielo, alla vita. Lei mi si è avvicinata saltando sul tavolo e poggiando il muso con delicatezza estrema, lui è risalito i gradini dell'anfiteatro nell'agorà umana.
Forse ho spaventato la gatta lanciando i miei inopportuni suoni, lei è fuggita via, forse nessun si ferma dopo.
L'attimo fuggente
Ippolita Luzzo
giovedì 28 novembre 2024
Il dottor Pistelli Alessandro Trasciatti
La prima volta che sentii parlare di Alessandro Trasciatti fu da un amico che lo aveva conosciuto ad un incontro poetico con Roberto Amato. Da allora ho sempre letto i post di Alessandro come se lo conoscessi e avevo gustato i suoi deliziosi racconti "Acrobazie" usciti per Il ramo e la foglia edizioni. “Ora sono qui nell’edicola di via degli Oleandri. Guardo le femmine che passano, mi sembrano tutte più belle e appetibili della mia. E qui all’edicola c’è un gran passaggio, ma io non posso mica andarci dietro, divento lo zimbello del quartiere. Io dovevo fare un lavoro diverso, tipo il fotografo delle modelle, ecco, quello mi piaceva. Però mi sa che anche lì sarei rimasto solo a guardare, non ho il fisico del latin lover.
No, non ho fatto un bel lavoro con la mia vita. Però la sera, prima di dormire, penso sempre di potermi rifare nella prossima, basta che la scriva.”
Vi metto solo questo per assaggiare Alessandro che racconta in modo surreale storie di gatti e di un lui argentino che torna in Italia per inseguire una sorella che non lo vuole e finisce a fare l’edicolante con una moglie che non ama. Il libro è arricchito da disegni piacevolissimi e seguiamo questa vita dall’infanzia alla adolescenza e alla maturità sorridendo anche di noi.
Nel libro Il dottor Pistelli una vita in ritardo Tralerighe libri ritroviamo un mister Magoo innocente e garbato alle prese con episodi vari della vita. Il primo lavoro, precario, l’archivista in un paese di montagna, lavorare per conservare e poi distruggere, il secondo lavoro inaspettato il postino con un contratto a tempo indeterminato.
Così mi rivolgo al suo autore: "Alessandro non avevo veramente idea che il protagonista del libro fosse effettivamente un postino! Ieri trovo nella buca della posta la ricevuta per ritirare la posta presso Via Aldo Moro e subito mi avvio alla posta. Prendo il numero e una donna mi fa:- Sicuramente è una multa!- io le sorrido augurandomi di no e la smentisco categoricamente. Allo sportello dopo avermi chiesto i documenti mi consegnano il tuo plico ed io abbracciandolo mi avvio verso la mia Panda Viola. Appena giunta so che devo aprirlo e fotografarlo e trovo il tuo delizioso biglietto e per me i regali di Natale numerosi giungono così con i tuoi disegni che farò incorniciare con il libro di tua madre Il postino Cavallo e il tuo libro Il dottor Pistilli sempre un postino è"
Lui mi risponde: "Cara Ippolita, certamente il dottor Pistelli è (anche) un postino, così come il sottoscritto è stato (anche) un postino. E postino era Facteur Cheval (lui stesso ci scherzava sul suo nome da trottatore). Che vuol dire tutto ciò? Non lo so. Certamente le Sante Poste sono una presenza molto ingombrante, nel bene e nel male, impossibile per me ignorarle. Che tutta questa faccenda tu la accosti ai regali di Natale non può farmi che piacere."
ma Alessandro in Avevo costruito un sogno, aveva raccontato le storie e le fatiche di un postino francese dell’Ottocento, Ferdinand Cheval, che in trent’anni di lavoro solitario costruì, pietra su pietra, il Palazzo Ideale, un’opera colossale e ingenua ammirata dai surrealisti e tuttora meta frequentata dai turisti. E se ha scritto quel libro, è anche perché un altro postino, anzi ex postino, Angelo Ferracuti, scrittore e reporter, lo volle nella collana editoriale che dirigeva.
Bello ora leggere e avere accanto questi due deliziosi racconti per me un vero regalo
Ippolita Luzzo
martedì 26 novembre 2024
Agli albori della chat
Agli albori del mio affacciarmi e ritrarmi da Facebook avevo tre contatti. Uno di questi era una collega di matematica. Una donna fra i quaranta e i cinquanta non sposata, non fidanzata, niente figli, molto benestante. Casa autonoma accanto ai suoi genitori. Buonissime relazioni nei club alti del Rotary Lions Kiwanis e similari. Eppure quella sera mi chiamò in chat. Erano le mie prime chat e credevo ancora ora come allora che io stessi parlando con lei come se le parlassi a scuola. Non ho Mai capito la trasformazione che avviene in chat e passo il tempo a spiegare il fenomeno dottor Jekill mister Hide. Lei mi scrisse che tutti le volevano male che tutti la spiavano che lei odiava tutti per questo. Mi impelagai in quella tragedia credendola vera e la rassicurai, per come potei, che quel suo sentire era frutto della sua immaginazione. Scrivemmo e scrivemmo. Lei mi ringraziò ad un certo punto e nella vita reale smise di parlarmi. Dopo tanti anni capitammo insieme ad una cena sociale fuori città. Io ero andata col pullman degli studenti e all’arrivo cercai il tavolo dove sedermi. Lei era seduta con altre tre sue colleghe e benché l’abbia salutata chiedendo dove dovessi sedermi lei fece finta di nulla e riprese a conversare. Mi misi a girovagare nella grande sala pentendomi mille volte di aver aderito e pagato il biglietto per la cena di beneficenza e fui salvata da una donna splendida che mi volle al suo tavolo con i figli e i compagni dei figli divertendomi molto.
lunedì 25 novembre 2024
Anna Vinci e Michele Riccio La strategia parallela
Leggendo il libro La strategia parallela di Michele Riccio e Anna Vinci edito da Zolfo mi sono ricordata di una frase che io cito sempre. La frase è della nonna del protagonista del film Il Sud è niente di Fabio Mollo. Un film del 2014.
La nonna dice al nipote:” Non importa ciò che tu vuoi o non vuoi ma ciò che puoi o non puoi” ed è ciò che mi sono domandata leggendo questo libro, chiedendomi chi avesse il potere, chi poteva, chi fossero coloro che avevano il potere in questo progetto occulto di assalto alla Repubblica.
La mia domanda è sempre su dove stia il potere e perché riesca a vanificare invece quella volontà, quel volere che vorrebbe, la ripetizione è voluta, il rispetto delle regole civili e sociali.
Michele Riccio, ora generale dei Carabinieri, racconta degli anni cruciali del 1996 quando viene ucciso Luigi Ilardo, e poi raccontando risale al 1973 e alle stragi del 92/93.
Lo racconta ad Anna Vinci, e mi rivolgo ad Anna che aveva già dedicato un libro precedente a Luigi Ilardo Omicidio di Stato con la testimonianza della figlia.
Cominciamo da qui con la risposta di Anna Vinci
“Non importa ciò che tu vuoi o non vuoi, ma ciò che puoi o non puoi”, come riporti nel tuo testo, citando la frase della nonna al protagonista del film Il Sud è niente, di Fabio Mollo
Ti rispondo partendo dalla nonna, anche perché come molte di noi, dobbiamo tanto alle signore che ci accudivano, raccontavano, erano presenti, purtroppo, a volte, per poco tempo, ma lasciavano il segno. Mi sto rivolgendo a te, alla quale mi avvicinano gli anni.
Nonna Annetta mi ha insegnato il valore del tempo. Impregnata della cultura contadina, fosse essa o meno di campagna o città, aveva il senso dello scorrere ineluttabile del tempo e pur nell’assecondarlo, era determinata a fare tutto il possibile perché si realizzasse un “buon raccolto”. Ciò comporta fatica e attenzione e cura. Lei aveva potere su ciò che faceva al fine di realizzare il suo desiderio, chiamiamolo se posso sogno, di portare a casa tutti insieme il sostentamento. Il fine era preciso, il lavoro era certo, così come l’imprevedibilità della natura e anche della vita. Tutto poteva accadere. Non per questo lei metteva limiti ai suoi desideri, i limiti li incontrava, lei era abituata a contrastarli, a sconfiggerli, a subirli, sovente. Pur tuttavia faceva in modo che ciò che voleva si avverasse. Conosceva il suo potere, era al servizio del suo potere per riuscire a realizzarlo concretamente.
Per far saltare questi principi, ci vuole una basilare perversione: allargare il proprio potere, essere dei, in un mondo di nani, ossia vedere e convincersi che ci sono soprattutto nani che si possono domare, imbrigliare. Per fare ciò si ha bisogno di specchi, dove riflettersi. E non potendo andare in giro con gli specchi, ecco fatto, cercare uomini simili: pronti a tutto per scalare la montagna, avere di più sempre di più.
Non credere che questi omiciattoli abbiamo a cuore qualche ideale, si ammantano di averne, a seconda delle necessità e dei momenti storici che vivono, questo insegna la storia e ne ritroverete uno spaccato, se avrete voglia di leggerlo, in La Strategia Parallela, che attraversa nello svolgersi degli avvenimenti, vissuti in prima persona da Michele Riccio – fatti solo fatti – la nostra storia dal 1972.
Una delle prime frasi che rivolge al giovane carabiniere che si presenta al suo cospetto, dopo qualche scambio di battute, il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa è: “Hai fantasia, ragazzo”. E visto che poi Riccio sarà uno dei suoi fidati collaboratori, vale la pena di approfondire questa affermazione.
Si ha fantasia, quando si è curiosi, e per soddisfare la propria curiosità, bisogna tenere gli occhi spalancati, avere il coraggio di attraversare la melma degli esseri umani, tutti noi, e anche la bellezza che in noi c’è. Bisogna conoscersi e riconoscersi.
Gli omiciattoli cominciano a organizzarsi, alla ricerca dei propri simili, testando accuratamente chi sono, quanto ubbidiscono, quanto codardia c’è in loro, quanto corrompibili. Gaspare Mutolo, uno dei più anziani collaboratori di giustizia palermitano, dal 1993, mi spiegò in quale modo cercavano i magistrati ai quali affidarsi. Eh, sì, conoscevano gli esseri umani: “Quando vedi morire un uomo, in quel momento scopri la sua identità, senza camuffamenti. Noi, che avevamo frequentato l’esperienza estrema, violenta dell’assassinio del fratello quando decidevamo di dissociarci dalla Mafia, eravamo attenti al magistrato al quale affidare la verità e la nostra vita. Riconoscevamo coloro che erano corruttibili con poco o con tanto, i codardi, gli indifferenti, i peggiori: vanno dove li porta il vento. Noi cercavamo i coraggiosi, gli integerrimi.”
Quando intraprendi una strada, non ti puoi più tirare indietro, fai parte della “gruppo”. Come nella Mafia: dall’organizzazione si esce andando in carcere o con i piedi davanti.
Questi uomini presentabili, con dentro il marcio di un arrembaggio al potere senza limiti, invece si pensano al di sopra della legge dello Stato e di quella mafiosa, che all’occorrenza usano, tenendosi lontano. In un gioco di ombra e penombra, chiaroscuro. Non si sporcano le mani, lo fanno fare ad altri. Anche questo racconta La strategia Parallela. Riccio li vede, li sente avvicinarsi quando lui si avvicina sempre più alla verità. Li nota e annota penetrare nel codice, nei codici segreti e sui loro volti transita la paura. L’inganno che hanno perseguito, per ottenere il potere che li riconfermi altri dagli altri, li possiede. E potrebbero sopportare chi non si adegua, addirittura osa opporsi, parla, cerca la verità e la giustizia?! Quando per loro la verità è sempre ‘L’altra verità’.
Tu mi hai chiesto di cominciare da qui, ti riferisci, immagino alla storia di Ilardo e Riccio. Io mi permetto di finire da qui. Perché, cara amica, bisogna conoscere la vicenda umana e professionale di Michele Riccio nella storia tormentata del nostro paese a partire dalla fine degli anni Sessanta, per comprendere la tragica vicenda di quell’incontro tra due uomini molto diversi, eppure uniti e legati da una loro singolare vicinanza, tanto da far dire a Ilardo, riflettendo su ciò che stavano osando: “Vedrà comandante quante ce ne faranno passare”.
Ilardo è stato assassinato davanti alla sua casa a Catania, il 10 maggio 1996.
Scrive Riccio nel libro: “[…] si può morie in più modi e quella sera sono morti tutti anche lo Stato”.
Anna Vinci
Roma 24 novembre 2024
Ringrazio Anna Vinci per la sentita corrispondenza e invito tutti sulle pagine del libro, dei libri che Anna dedica allo Stato e al servizio civile e politico
Ippolita Luzzo
lunedì 4 novembre 2024
Aspettiamo senza avere paura domani
Finisce con l’augurio di Caro amico ti scrivo “e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età” lo spettacolo “Aspettiamo senza avere paura domani” con Sasà Calabrese, Dario De Luca e Daniele Moraca al Teatro Grandinetti per la rassegna Vacantiandu 2024 /2025.
Una lunga storia di canzoni stupende, cantate magnificamente da professionisti bravissimi con un filo conduttore che inizia dalle prime prove di Lucio Dalla con il clarinetto suonato in modo ritmico e poi a sostituire Pupi Avati in una grande band e a far parte dei Flippers storico gruppo di persone che saranno grandi della musica.
A Lamezia l’omaggio a Lucio Dalla con lo spettacolo “Aspettiamo senza avere paura domani”
Spinto da Gino Paoli va al Cantagiro e il suo esordio è traumatico. Durante le varie esibizioni, nelle quali presenta la canzone “Lei (non è per me)”, ogni sera raccattava una buona dose di fischi e di pomodori, uno spettacolo nello spettacolo, che durò quanto la manifestazione. Lucio però tenne duro e va a Sanremo, prima con “Paff bum” e poi con “Bisogna saper perdere”. Cantandola proprio su come bisogna reggere l’umiliazione di non essere compresi, cantando come non bisogna darla vinta a chi vorrebbe tarpare le ali.
Quello stesso anno a Sanremo la morte di Tenco che non regge all’umiliazione della mediocrità, e Lucio Dalla suo amico gli scrive “È vietato morire per una umiliazione Ma chissà se lo sai Forse tu non lo sai. L’umiliazione che gente infima e mediocre perpetua sugli spiriti sensibili con la prepotenza e l’arroganza resta sempre un atto che bisogna saper guardare da lontano. E guardare lontano”.
Chissà chissà futura E il dolore ci cambierà e l’amore ci salverà. Ma più che l’amore ci cambierà A modo mio quel che ho fatto l’ho voluto io di Piazza grande intonata da tutti nell’affermare la dignità di tutte le persone senza dimora, senza titoli, ma con una piazza grande oltre le strettoie dell’avere o non avere un potere.
Nel canto corale di Piazza Grande termina la prima parte e si riprende con un Lucio ormai una star da concerti affollatissimi, con Lucio a Berlino, con Lucio contro la guerra, anch’essa una insensatezza inflitta ai popoli da gente miserevole che usa il potere per infliggere l’umiliazione, la distruzione, la tortura.
Se lui fosse un angelo direbbe a Dio di non perdonare i potenti, “Se io fossi un angelo
Con lo sguardo biblico li fisserei
Vi do’ due ore, due ore al massimo
Poi sulla testa vi piscerei”
ecco il gioco ironico dell’arte che permette sempre di trovare il varco per uscire verso la felicità. Ah felicità!
Avevo già visto questo spettacolo. L’ho trovato forse meno teatrale e più cantato, rispetto a come lo ricordavo, meno scanzonato come se avesse perso quella giocosità e quel riderci su che ho ritrovato solo un po’ verso la fine, però magari era l’atmosfera del teatro a far indossare ai tre bravissimi interpreti un abito “istituzionale”. Nella felicità che nella notte di fretta passa e va, canticchiando anche noi andiamo via dal teatro della città.
Ippolita Luzzo
domenica 3 novembre 2024
3 novembre 2021 La lettura è uno spazio aperto
A chi mi dice che ho solo contatti rispondo con la stima di chi mi stima e con le mie parole sull’agenda insieme a voi.
“La lettura è uno spazio aperto. Nello spazio aperto gli occhi vedono, l’immaginazione crea, un dialogo può nascere fra le parole scritte e le immagini create. La lettura è uno spazio aperto, non facciamolo diventare spazio chiuso.”
Ippolita Luzzo su Agenda Perrone Edizione.
venerdì 1 novembre 2024
1 novembre 2015 /2 novembre 2024
Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: Chiovi, e chiovi chiovi, quando chiovi un sicca nente.- Piove, e piove piove, quando piove non secca nulla.
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino.
Morto da troppi anni mio nonno unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole
ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra
Ciò scrivevo allora e stamani al 2 novembre 2024 mi ritrovo sui tasti del perduto stare senza nessuno più in quella casa.
Anche i mobili presero i tarli, e giacciono sotto teli trasparenti in attesa di guarire.
Un 2 novembre di passaggio su questa terra soleggiata e strana, su questa terra che ci sopporta da vivi e da morti senza eternità.
Restano però i tasti per scriverne ancora di passaggi e di paesaggi, di fiori e lumini, di lampade votive.
Ippolita Luzzo
martedì 29 ottobre 2024
Parthenope di Paolo Sorrentino
Cosa stai pensando? è questa la domanda ripetuta più volte nel film Parthenope di Paolo Sorrentino. Senza risposta, come succede a tutti noi quando chiediamo a chi ci sta vicino cosa stia pensando.
Film da vedere e rivedere perché mi sfuggì molto altro nella eterna domanda sul Cosa stai pensando
Ippolita Luzzo
I Luoghi
La maestosa residenza di Posillipo dove Sorrentino ha girato il suo ultimo film fu acquistata nel 1882 dal deputato catanzarese Achille Fazzari che vi ospitò Garibaldi. Villa Lauro, la monumentale residenza di Posillipo dove Paolo Sorrentino ha girato Parthenope.
https://www.italyformovies.it/film-serie-tv-games/detail/7393/parthenope Nelle riprese sono stati coinvolti il centro della città partenopea, via San Carlo, il quartiere Santa Lucia, il lungomare di Caracciolo e quello di via Partenope, tra la spiaggia della rotonda Diaz e Castel dell’Ovo, la sede dell’Università Federico II, la Certosa di San Martino. Un set blindatissimo per 10 settimane che ha fatto incassare a Napoli 6 milioni di euro, tra canoni al Comune, alloggi di cast e troupe, compensi per le maestranze locali. La produzione si è anche presa carico delle spese di raccolta rifiuti straordinaria e degli agenti schierati per impedire l’accesso dei curiosi, ha pulito dai graffiti la scogliera della rotonda Diaz e il colonnato della galleria Umberto.
Fanno parte del set a Napoli una nave azzurro-fosforescente, la stessa usata dai tifosi napoletani per festeggiare lo scudetto del 2023, che in un ciak notturno si muove in direzione del Borgo Marinari e di Castel dell’Ovo; un camion per la disinfestazione utilizzato ai tempi del colera del 1973; un maestoso e barocco carro trascinato da cavalli che accompagna un corteo funebre; un camion della nettezza urbana arancione e giallo, sul modello di quelli che giravano per la città negli anni Settanta.
Oltre Napoli le location del film comprendono Capri, testimone di una perfetta e spensierata estate da ragazzi. Con i suoi spettacolari Faraglioni osservati dal parco dei Giardini di Agusto, e le rive, tra cui la spiaggia del Faro di Punta Carena ad Anacapri. Set anche a Genova, dove sono stati ricostruiti alcuni vicoli della Napoli storica. Per gli interni il regista ha scelto una casa a Posillipo. Da Italy for movies
domenica 27 ottobre 2024
27 ottobre 2015 Aspettare ad un binario morto
Aspettare ad un binario morto.
Era questa la frase adolescenziale che caricata di nero campeggiava sulle prime pagine di un diario scolastico.
Stava lì ad indicare quell'inerzia e quel momento in cui ogni persona si sarà trovata negli anni della scuola.
Poi aspettando aspettando il tempo finisce e
anche se il treno non passerà
chi aspetta avrà per forza trovato il modo
per trascorrere l'attesa con un libro in mano
Ippolita Luzzo
venerdì 25 ottobre 2024
25 ottobre 2021 Buon Autunno
Ritorniamoci così
come un pensiero autunnale
da far cadere come una foglia secca dall’albero.
Le corna stanno sulla testa di chi le fa.
È inutile che si sposti il gesto di uno sulla testa di un’altra.
Chi tradisce, se tradisce, è sempre responsabile verso se stesso di un atto che può o non può essere un tradimento. Per esempio può essere invece un inizio di una relazione importante.
Così anche le scortesie rimangono a chi le fa, sono la cifra della minutaglia che avvolge la mente di chi vorrebbe nuocere.
Chi cancella volutamente un mio intervento, chi impedisce che io possa intervistare un mio caro amico perché non ho tesserino, cade come foglia gialla dall’albero della perdonanza.
Ognuno di noi è quello che dimostra coi gesti e non quello che vuol far passare con parole varie e ne è responsabile. Buon autunno 🍂
Ippolita Luzzo
mercoledì 9 ottobre 2024
Intervista a Vito Di Battista Il buon uso della distanza
Intervista a Vito di Battista da Ippolita Luzzo 18 gennaio 2024
Il buon uso della distanza
[Ippolita Luzzo] Ho conosciuto Vito di Battista penso nel 2018 poco dopo dell’uscita del suo libro “L’ultima diva dice addio”, un fascinoso racconto diventato il libro del mese del nostro gruppo lettura di allora. Vito è stato nostro ospite a Lamezia presso la libreria Mondadori e ne ricordo la gentilezza e la competenza.
Ora sono presa moltissimo dalla lettura di questo suo secondo romanzo, “Il buon uso della distanza”. Quando di un libro io mi innamoro stranamente non so più parlarne perché perdo proprio la distanza.
Ora però provo a dirvi le tante parole che vorrei. Intanto lo spunto iniziale del racconto è una storia vera. È esistito uno scrittore, a Parigi, Romain Gary, che ad un certo punto per avere di nuovo successo è dovuto ricorrere ad uno pseudonimo e con quello ritornare in cima al gradimento del pubblico. «Ho creato Émile Ajar per nostalgia della giovinezza, degli inizi, per riprovare l’emozione del primo libro», scrive,in una lettera all’editore, Romain Gary, autore del libro “La vita davanti a sé”.
Su questo autore Vito di Battista aveva fatto la tesi di laurea per la triennale e si era innamorato di questa storia. La riprende immaginando un altro scrittore, nato a Firenze da padre francese misterioso e da madre fiorentina. Lui, Pierre Renard, decide dopo gli studi di lasciare Firenze per andare a Parigi e lì lo incontriamo in una casa editrice dove lavora. Qui entra in gioco un imponderabile destino che chiameremo Madame. Madame propone a Pierre un accordo: lo pagherà per continuare a scrivere romanzi a patto che lui li scriva in anonimato, scegliendo sempre nuovi pseudonimi, da sembrare sempre nuovi esordi, e nei romanzi dovranno esserci dei riferimenti in cui lei, Madame, si possa ritrovare perché sono scaturiti dalle sue lettere. Il protagonista è titubante ma poi accetta. Aggiungo un brevissimo passo del libro per immergerci nella storia e chiedere a Vito se lui avrebbe accettato il patto.
«“Si scrive per colmare una lacuna” ha detto a un certo punto, evitando di incrociare il mio sguardo. “Per rimediare a una distanza, per compensare uno squilibrio naturale verso il mondo che non si lascia dire. Non si può fare altro che questo, allora: stare alla larga dalla verità, ma avvicinarsi quanto più ci è consentito. Non esiste altro modo di trattare il mondo. Un mondo che, come la verità è come tutti noi, è nato senza parole”».
Dal libro di Vito di Battista “Il buon uso della distanza”.
[Vito di Battista] D’istinto ti direi che sì, avrei accettato quel patto, e proprio per i motivi per cui lo accetta Pierre: non per il successo (che resta sempre un’incognita), ma per l’abbaglio di una libertà paradossale, del poter tornare continuamente all’inizio, del non farsi toccare da giudizi e pre-giudizi. Togliendo se stessi dall’equazione, ci si può illudere di mettere al centro solo le parole: un atto all’apparenza privo di ego, poiché si rinuncia al riconoscimento diretto, ma che forse è una scelta profondamente egoriferita, e per tutti i motivi di cui sopra. Poi però mi pongo da solo un’altra domanda: quello che intesse Pierre per far sì che questo patto abbia delle conseguenze, che entri davvero in azione, era indispensabile? Era l’unico modo possibile? E a questa domanda non esiste altra risposta se non quella del romanzo, ovvero la traiettoria sempre più perversa e oppressiva in cui Pierre si ritrova coinvolto. Con questo orizzonte in mente, la mia risposta allora cambia e diventa: “No, non avrei accettato quel patto”. Facendo una media fra gli opposti, mi sembra allora che l’unica risposta sensata alla tua domanda iniziale sia: “Non lo so”.
[Ippolita Luzzo] Continuo chiedendo e ricordando a Vito ciò che scrivevo nel 2018 sul suo libro “L’ultima diva dice addio”. Credo che ci sia già in embrione qualcosa di presente e sviluppato nel “Il buon uso della distanza”, vero? «L'ultima diva, nel romanzo di Vito, è la memoria. Ciò che noi facciamo con la memoria, cosa raccontiamo e come quando vogliamo essere ricordati, cosa vogliamo ricordare e tutte le trasformazioni con cui rielaboriamo i fatti. La memoria ultima dea.
In Foscolo era la spes, la speranza, ultima dea, qui, nel libro di Vito è la memoria. Una memoria circolare che ritorna spesso su alcuni dettagli. Sono infatti i dettagli a dare le epifanie, le rivelazioni. Un affresco a pennellate ripetute, questo il libro di Vito, originale e inusuale, una spennellata sulla memoria dimenticata attraverso un pretesto immaginifico e cinematografico, la biografia di una diva del cinema ormai ritiratasi a vita privata.»
Madame somiglia alla diva del libro precedente?
[Vito di Battista] Madame somiglia a quella diva, Molly Buck, in quanto personaggio che inventa Pierre. Così deve essere per via del loro patto. Perché in realtà – lì dove la “realtà” è il gioco meta-letterario che soggiace un po’ a tutto – anche “L’ultima diva dice addio” è uno dei romanzi di Pierre, solo che ne “Il buon uso della distanza” ha un altro titolo, che era il mio titolo di lavorazione al tempo. Pierre lo scrive in omaggio a Claire, uno dei personaggi di “Il buon uso della distanza”, dandole un altro nome e immaginando per lei un futuro da grande attrice ritiratasi a vita privata. Quindi Madame somiglia a Molly Buck, ma Claire è Molly Buck. Ed è come se, sempre dalla prospettiva di questo gioco, io fossi un altro degli pseudonimi di Pierre. Ho pubblicato due romanzi con il mio nome sopra, ma nel mondo della finzione letteraria entrambi questi romanzi sono opere sue, e questo è forse l’unico vero punto di contatto che esiste fra me in quanto persona e Pierre in quanto personaggio.
[Ippolita Luzzo] Ed adesso entriamo nel mondo dell’editoria, nel mondo dove ogni sgambetto è lecito, nel mondo dove si decide chi pubblicare e chi osannare, chi recensire sulle pagine più importanti, sulle televisioni, e farne un caso editoriale. Qui il libro si articola e ci regala uno spaccato veritiero di come e quando si decide e perché si decide, di chi ricatta chi, di chi odia chi, magari senza motivo oppure con un motivo lontanissimo nel tempo. Nel mondo intellettuale gli odi e i rancori restano fermi al primo momento di lettura, di incontro. Un quadro che Pierre Renard ci regala con esattezza. Quanto è vicino vero ce lo dirà Vito, per me è proprio come lo leggerete nel libro.
[Vito di Battista] Pierre vede e vive un mondo come tanti, anzi come tutti, che è fatto di compromessi, di bassezze, ma anche di intenti positivi e di genuinità. Si cala però soprattutto nel male che c’è, e lo fa per i propri scopi o spinto dalle ramificazioni involontarie del progetto che vuole portare avanti. E il male chiama sempre il male, in editoria come ovunque. Tutto sta a cosa si decide di farne, di questo male; come scardinarlo o sfruttarlo, ignorarlo o alimentarlo. Fino a che punto farsi contagiare o cercare un equilibrio, più o meno a distanza di sicurezza. Riguardo quanto sia veritiero ciò che si legge nel romanzo, potrei dirti che lo è totalmente, che ogni dettaglio e ogni episodio sono ispirati da fatti reali o ne sono una fedele ricostruzione, oppure che al contrario è un’invenzione, una menzogna esagerata per fini puramente narrativi. Non credo importi molto quale sia la mia verità, in tal senso, e lo credo perché una risposta netta sarebbe comunque solo la mia prospettiva e darebbe un’altra chiave di lettura alla storia, ne sposterebbe le coordinate in un campo di analisi che è molto più complesso e va oltre la storia in sé, oltre lo spazio che ci è concesso qui o anche semplicemente la mia esperienza in merito. Credo invece che a importare sia quanto ciò che si legge nel romanzo risulti plausibile, e poi ognuno trarrà le proprie deduzioni da questa plausibilità. Il tuo ritenerlo aderente al vero mi fa piacere soprattutto per questo motivo: dalla tua prospettiva, la plausibilità che ho cercato di raccontare ha funzionato perché è parsa reale, a prescindere da quanto lo sia davvero.
[Ippolita Luzzo] “Il buon uso della distanza” ci invita ad usare bene la distanza, anche dall’ossessione della scrittura, anche dalle critiche feroci o dagli elogi entusiastici, e ci aiuterà poi a trovare il bandolo come farà Pierre Renard nella sua storia raccontata con uno stile originale e affabulante. Nelle sue lettere a Madame ho ritrovato una mia lontanissima corrispondenza con un autore che avrebbe voluto avere successo, e le nostre e-mail ormai chissà chi le leggerà. Resteranno le e-mail come le lettere di una volta nei cassetti e saranno ritrovate oppure scompariranno nel nulla di un ricordo estinto? Me lo domando e te lo domando essendo appunto il tuo un libro di lettere inviate, di lettere che compongono una storia umana che riguarda sempre due persone, chi scrive e chi legge, chi risponde e chi ne farà un romanzo.
[Vito di Battista] In una qualche misura, forse meno affascinante ma solo per via di un gusto rétro, sì, resteranno, o comunque potrebbero farlo. Alla fine, ciò che ha una qualche ragione che vada oltre resta sempre, o quasi sempre, o scalpita per riuscirci. In potenza, tutto quello che ci riguarda può rimanere e, per un tempo più o meno limitato, dire ancora qualcosa. Il problema è che gran parte delle cose di cui ci circondiamo perde di senso nel momento in cui non c’è più una voce che le spieghi, che le racconti. Le parole, che siano in forma di lettera o di e-mail, per fortuna si raccontano da sole. Bastano a loro stesse. E uno dei grandi paradossi di Pierre sta forse proprio in questo: mette in piedi ricatti, sotterfugi, vendette, ma quello a cui mira è che le parole, un giorno, quando tutti i ricatti e i sotterfugi e le vendette saranno dimenticati poiché nessuno potrà più raccontarli, possano restare perché bastano a loro stesse. In un punto nel romanzo Colette, la maîtresse di un bordello illegale, dice a Pierre che «deve passare del tempo prima di raccattare cosa resta fra le macerie», che «il grano deve morire prima di diventare un tozzo di pane». Pierre (citando Gide) le chiede di rimando: «E se il grano non muore?». Colette risponde che allora ci si dovrà accontentare «degli avanzi della sera prima». Sta qui, forse, la risposta alla tua domanda. Il presente scivola presto via e si fa futuro per diventare passato. Ed è il passato che rimane, solo che non possiamo sapere in che misura accadrà, non a priori. Non possiamo saperlo quando è ancora presente ma non si è ancora fatto futuro. Decidono il tempo e la distanza, il caso e le circostanze. Noi, come Pierre e Madame, per il momento possiamo solo scrivere, e come Pierre possiamo cercare di fare un buon uso della distanza e delle opportunità. Lui forse ci è riuscito, forse no, sicuramente non del tutto, e la sua sorte in quanto personaggio racconta questo tentativo. Il tentativo di dare valore alle macerie del futuro e non alle ossessioni, alle critiche e ai giochi di potere del presente, per quanto siano indispensabili anche loro. Forse purtroppo.
Vito di Battista è nato nel 1986 in un paese d’Abruzzo a trecento gradini sul mare e vive a Bologna. Nel 2012 è stato selezionato per il Cantiere di Scritture Giovani del Festivaletteratura di Mantova. Agente letterario, editor e traduttore, ha scritto su “Futura”, la newsletter del “Corriere della Sera”, e su “Nuovi Argomenti”. Il suo primo romanzo, uscito nel 2018, è L’ultima diva dice addio.
domenica 6 ottobre 2024
"Via del popolo" Il cronometro di zio Nicola di Saverio La Ruina
Lamezia Terme, 5 ottobre 2024, Teatro Comunale Grandinetti, nell'ambito della rassegna "Calabria Teatro" con la direzione artistica di Nico Morelli e Diego Ruiz stasera Saverio La Ruina vincitore di 5 Premi UBU, l'ultimo, nel 2023, per il "Miglior nuovo testo italiano" proprio con "Via del Popolo"
Saverio La Ruina ci ha raccontato l'infanzia e l'adolescenza, ci ha raccontato Castrovillari e Via del popolo negli anni settanta, ci ha raccontato suo padre e suo madre, il bar e il futuro, la storia di tutti, la guerra, l'emigrazione, il '68, le canzoni.
Cosa ne faremo noi degli anni, ci chiediamo guidando verso casa con in testa il cronometro di zio Nicola in dono a Saverio che stasera sul palco del Teatro Grandinetti ha bloccato e poi sbloccato ogni qual volta voleva giocare la partita, le tante partite con cui si affronta la vita. Noi e il tempo, il tempo è il nostro mutamento individuale mentre intorno a noi muta il nostro quartiere, la città, le ideologie, la musica, il cinema.
Il tempo è il mutamento, partono gli zii per Rio de Janeiro, ne restano solo due o tre a Castrovillari, la città dove si erano spostati i sette fratelli La Ruina dai monti verso la pianura. Siamo negli anni settanta Saverio ha tredici anni e mentre il padre avvia il bar e compra casa e mentre il mondo sembra un’avventura, non sarà un’avventura ma una cosa tremendamente seria, il mutamento sembra essere una effervescenza.
Ripercorriamo con Saverio La Ruina dai suoi quattro anni ad oggi, nella quasi vicinanza d’età, i momenti salienti del nostro vissuto, il Living Teathre, la musica i Procol Harum A Whiter Shade of Pale, i Creedence Clearwater Revival, e nel buio sento sussurrare ancora quel tempo che vive nei gesti di Saverio.
Gli anni settanta scompaiono con la morte di Aldo Moro, con il sacrificio di Aldo Moro, agnello sacrificale offerto agli dei per consentire un regime sempre più disonesto. Una sconfitta irrimediabile. Morì un po’ tutto con Aldo Moro. Morì la fiducia nel sentirci decisivi.
E nel mentre Saverio cresce, dà il primo bacio e i genitori imbiancano e il padre una sera non torna più a casa. La mamma chiama Saverio preoccupata, il papà di Saverio ha 84 anni. Lo cercano, lo cercano ripercorrendo Via del Popolo, la via che poi finisce su via Roma, la via dove sta il Bar Rio, il bar dei ciuati, così era soprannominato il bar del papà di Saverio.
Ripercorriamo ogni attività commerciale su via del popolo, quando la via pulsava di vita, ed ora tutto viene relegato agli orridi centri commerciali, luoghi di non sense, ripercorriamo con in mano il cronometro di Saverio e partecipiamo alla sua ricerca, alla ricerca del padre, alla angoscia della madre.
Ma ritorneremo presto alla prima scena e dove stava Saverio nella prima scena? Stava nel cimitero a far visita ai morti, davanti alla lapide di chi non gli permetteva di poter assaggiare una pastarella, e quelle pastarelle negate restano nel languore della felicità assaggiata poi nelle tante paste offerte nel bar del Rio, continua in un dialogo con il suo papà, un dialogo che ancora un ultima domanda ci sta. Finisce Saverio il tempo della recita, nel mentre gli applausi, nel mentre la commozione, nel mentre e nel mutamento di un tempo che è già passato.
Ma cosa ne faremo noi di questi anni, aspettando Saverio per abbracciarlo come negli anni passati, abbracciando il passato, il presente e il mutamento, abbracciando il teatro amato amatissimo, il teatro vero
Ippolita Luzzo
venerdì 4 ottobre 2024
Ti guardo e non ti conosco
4 ottobre 2010
Ti guardo e non ti conosco
Una estraneità familiare come un tessuto, una trama che la moda fa riporre in uno scaffale.
Ben conservato, ripiegato, al riparo dalla polvere, così ti ho conservato bene nella mia memoria, dove proteggo ricordi e attimi, pochi, sfuggenti.
“Non recidere forbice quel volto” implora Montale alla memoria. Non allontanare Euridice, ma già lei si allontana e lui, in quel caso è un lui, con la lira in mano, vede lei sempre più diafana, sempre più confusa, nelle tenebre dell’Ade.
Eppure la storia era iniziata piena di speranza. Sì, c’era stato un dramma, una separazione, Orfeo era il più famoso musicista e poeta mai esistito, la mamma era Calliope musa della poesia! Quando suonava la lira dono di Apollo, tutto si placava. Innamorato della sua Euridice, la sposa, ma lei muore per il morso velenoso di un serpente, mentre fugge da un uomo che la voleva per sé. Orfeo non si rassegnò e con la sua lira scese nell’Ade per riprenderla. Gli dei, impietositi, daranno a lui un’altra opportunità, egli potrà condurre Euridice con sé, ma nel cammino non si dovrà voltare. Mai. Pena la perdita dell’amata per sempre.
Tante le versioni di questo momento. La più struggente vede Euridice chiamare Orfeo e chiedere a lui – Perché non mi guardi? Sono forse ora brutta? Guardami – E lui non resiste, si gira e lei viene sospinta nel vortice dall’aria fredda dell’oltre tomba e capisce di perderlo definitivamente. Ringrazia questo amore che ora perde e porge la mano a stringere quella di lui ormai lontana. Chissà perché il dio comandò ad Orfeo di non girarsi, chissà perché gli chiese questa prova!
“Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, (non far del suo grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre) Montale.
Montale, Orfeo e Euridice, per indugiare su un momento, su un tempo nuovo, nuovissimo, permeato da ricordi passati immaginati ma non vissuti. Un immaginario tanto forte da crearmi questa dolorosa sensazione di perdita. La forbice nella poesia è il tempo, nella realtà tutti noi agitiamo forbici più o meno taglienti, per recidere volti che un tempo erano a noi più cari della nostra stessa persona. Cari che hanno scelto altro, lontane dalle nostre cure, hanno preferito altre cure, hanno seguito un sentiero che a noi non è mai stato chiesto di percorrere.
Ippolita Luzzo
ps foto di settembre 2024 a Sciabaca con Giovanna Villella
Una bellissima mattina di sole
Una bellissima mattina di sole 3-12-2014
Estate qui con foglie secche ingiallite da sole che lasciano stanche il ramo, oramai.
Estate qui con fiore rosso, ibisco del mio terrazzo, che in agosto non fiorì, essendo stato piovoso e inutile come ogni agosto che vivo, oramai.
Estate qui con i suoi sommari, con calendari scaduti di un anno che va incontro alla fine scaldando i rifiuti dei giorni finiti, oramai.
Estate forever senza averla vissuta, mancante di tanto eppure con bilancio positivo, esperienze e delusioni, ho perso ancora ma, oramai.
Estate che non finisce in un anno senza estate, piovve a luglio, il mare sporco, nemmeno profuma questo sole, oramai.
E state bravi tutti che poi se arriva inverno non ci lascia scampo, ora possiamo uscire e andare a spasso, non in centro occupato dagli intelligenti, solo in periferia, oramai
Anno nuovo
Un appuntamento da procrastinare ai primi botti dell’anno che non verrà
Estate per noi senza bagagli, senza partenze e senza arrivi, senza grigliate e senza cori, senza la noia della compagnia, oramai
Oggi e sempre resistenza, oramai
Basta che ci sia il sole e tutto scalda anche i microfoni, le pinzillacchere, il mio libraio, i gruppi e le generazioni, oramai
Scaldati al sole tutti, care generazioni, come scaldatelli al finocchietto, oramai
Ippolita Luzzo
ps nella tenerezza verso ciò che si è scritto un tempo ci sta la rilettura a dieci anni da quel dì
Foto recentissima di domenica 29 ottobre 2014 al Palazzo Arnone in visita alla mostra Natura di Antonio Pujia Veneziano. Foto di Alberto Badolato.
venerdì 27 settembre 2024
La Benevolenza
Mer, 24/07/2013 - 17:32
Prima telefonata:- Scusami, potresti passare a prendermi per andare a mare?
I tuoi orari? Allora passi, vero?-
Io rispondo che per andare da lei dovrò risalire la città, lei invece non può scendere da me perché non sa far uscire la sua auto dal garage, io prometto che andrò e per due giorni risalgo e trascorro, a dir la verità, due ore piacevoli con questa prof di italiano e latino, ormai in pensione e presidente di una associazione di cui faccio parte.
Seconda telefonata da un'altra referente di una associazione culturale:- A M. domani sera relazionerà Tizio, ti andrebbe sentirlo?- e dopo il mio assenso- allora puoi passare a prendermi domani sera?-
Qui io rispondo la verità, e cioè che di sera non so guidare e che certo mi piacerebbe, potrei portare la mia auto e lei guidare.
Risposta negativa, lei cercherà un passaggio altrove e di me non sa più che farsene.
Terza telefonata uguale.
Stessa richiesta stessa risposta e ora che avranno trovato chi le porterà nessuno più mi chiederà se, nel caso ci sia un posto, io voglia andare.
Mah!
Mi sforzo di non pensare a niente
l'unica volta che io chiesi un passaggio ad un'amica di mia sorella per una serata musicale lei, elegantemente,
mi rispose:- Certo, sarò felice che tu venga, vieni, vieni, non hai una tua amica con cui venire?- ed io incassai e trovai un'amica che andai a prendere, allora guidacchiavo di sera, con molta paura.
La benevolenza sociale mi impedisce di pensar male ma io, giuro, non ho il brevetto di Autista, allora perché, ditemi perché, si ricordano di chiamare da me, ultimamente, stranamente, solo per non chiamare un taxi?
Ed ora scrivo e scrivo sì, autista no.
Non so guidare!
mercoledì 18 settembre 2024
Daniele Semeraro
"Daniele Semeraro nasce a Locorotondo nel Maggio del 1977. Vive a Martina Franca fino al 2012, quando si trasferisce a Firenze dove oggi risiede.
Chitarrista autodidatta, grande appassionato di musica e letteratura, si affaccia al mondo della scrittura da cantautore. Compone brani musicali per sé e per altri e nel 2008 si avvicina alla scrittura in prosa." dalla sua biografia prendo le prime note.
"Scrivere polvere", pubblicato nel 2011 dall'editore salentino Lupo, il suo romanzo d'esordio. Accolto dalla critica come uno dei migliori esordi dell'anno, Scrivere polvere appare tra le nomination del Premio PubliaLibre come miglior romanzo di autore pugliese uscito in Italia nello stesso anno.
A fine 2014 pubblica ancora con Lupo editore il romanzo Nel segno di caballero che si avvale di una nota di presentazione a cura di Shel Shapiro, storico leader del complesso dei Rokes.
Intanto, sempre nel 2014, partecipa alla terza edizione del Premio letterario La Giara indetto da Rai Eri.
L'inedito, "Nà jé m'/Non è adesso, si aggiudica la Giara di bronzo. La premiazione condotta da Giancarlo Magalli viene trasmessa a Luglio in diretta su Rai Due ed il romanzo, con cui torna a narrare la sua Puglia, va in stampa con Rai Eri nell'aprile 2015.
Seguiranno Ana Macarena edito Castelvecchi Premio Presidi del libro "Alessandro Leogrande" e L'ultima perla del filo.
La perfezione della solitudine è il sesto romanzo di Daniele e tratta del periodo storico dalla costruzione del muro alla caduta del muro di Berlino, dalla pandemia al 2029 in salti temporali dal passato al futuro prossimo.
Nei miei precedenti pezzi su Daniele, presenti in questo blog, scrivevo
"Un inizio non più nella polvere ma nel foglio, nel libro che apparterrà ai lettori, che leggeranno tutto quello che una sbadata scopa portò via da sotto il tavolo di tutti noi.
"Una lunga strada di racconti davanti a lui"
Leggendo La perfezione della solitudine:
"Il colore rosa, l'azzurro, il blu elettrico e il giallo acceso delle copertine degli album glam del Duca Bianco e dei T-Rex sembrano tonalità provenienti da un altro pianeta."
C'è tanta musica in questo libro, ci sono le band del 1974, la storia dei Klaus Renft Combo e dopo essersi sciolti Klaus sarebbe scappato a Ovest mentre gli altri sarebbero rimasti nella Germania dell'Est. La Rock band più ribelle della Germania.
La musica apre mente e conoscenza, scrive Daniele Semeraro, ricordando questo gruppo che lavorava sugli spezzoni di registrazioni fortuite, ciò che riusciva a captare dalle radio dell'Ovest, testi dei Pink Floyd, degli Stones, testi che poi assemblava e dava vita ad altri pezzi, di ribellione, di derisione al potere. E poi in quegli anni in Inghilterra un musicista poliomielitico Ian Dury guariva dalla solitudine e dall'invalidità attraverso la musica.
I Klaus Renft Combo furono costretti a sciogliersi ma rimasero una leggenda, e stiamo qui insieme a Daniele ad accarezzare loro e insieme le copertine degli album dei Ramones, dei Who, dei Sex Pistols, dei Led Zeppelin.
Pur nella ricostruzione precisa di momenti storici terribili lo scrittore trova il varco della musica per dare un senso ad avvenimenti ingiusti, a torture e a carcere, a privazione della libertà da parte di un potere bieco. Ad un certo punto troviamo il canto di Neil Young After Berlin e con lui vi rimando alla lettura del libro di Daniele Semeraro
"Proprio come un ragazzino che corre per strada
Canto la stessa vecchia canzone
Non posso tornare da dove sono partito
Ippolita Luzzo
sabato 14 settembre 2024
I fuochi Saverio Fontana
I fuochi, racconto di Saverio Fontana, è ambientato in un quartiere della periferia di Catanzaro. Un quartiere di difficile abitabilità e pur nella diversità lo sento vicino ad alcuni quartieri di moltissime città italiane, dove il degrado impera,. Conosco Saverio Fontana e so con quanta serietà e con quanta preparazione lui affronti ogni argomento e situazione. Un quartiere di difficile abitabilità e pur nella diversità lo sento vicino ad alcuni quartieri di moltissime città italiane, dove il degrado impera. Saverio Fontana, pur nella reale e difficile analisi del luogo e della sofferenza, lascia sempre spazio alla speranza credendoci in prima persona. Qui la storia ruota intorno a un gruppo di ragazzi che vorrebbero rendere redimibile il vivere e vorrebbero portare a termine un progetto con l'aiuto di Don Nino, il prete del quartiere. Saverio Fontana, pur nella reale e difficile analisi del luogo e della sofferenza, lascia sempre spazio alla speranza credendoci in prima persona.
Un libro come possibilità di riscatto, come luce che si accende su tanti, troppi quartieri dormitorio, periferici e abbandonati, un libro come anche un film , ricordo le belle iniziative di portare in questi luoghi maxischermi e fare rassegne cinematografiche, iniziative che servono come denuncia all'aberrazione creata da politiche terribilmente miopi che negli anni lasciato sedimentare il male di vivere. I fuochi che si accendono ne sono la visibile realtà, d'altronde io abito vicino il più grande Campo Rom del meridione e di fuochi e diossina sono impregnati i nostri bronchi essendo esposti al continuo bruciare come smaltimento delle gomme delle auto.
Un plauso dunque a Saverio per la sua sensibilità e attenzione da tutta la Litweb
Ippolita Luzzo
mercoledì 4 settembre 2024
Il carcere chiamato matrimonio
Il carcere e la cuccia, pezzo del 2011
Quelle unioni chiamate matrimonio
La bugia come finzione in due
La vedo palpabile sul viso di una lei, che ingurgitando corna su corna manifeste, coram populo, diventa malvagità e malizia nei confronti di altra donna, solitaria e sorridente.
Ucciderebbe l’altra, la sporcherebbe, per il solo motivo che l’altra le ricorda quello che lei non saprebbe mai essere. Libera.
Carcere e cuccia i matrimoni di molti, per esseri infelici e teatranti, un tirare a campare con obblighi e appuntamenti. I vostri raduni ai matrimoni altrui, della zia, della cugina, del vostro mondo mondano. I battesimi e le comunioni, le feste di laurea, i compleanni, poi la sfilata forse ci sta.
Al braccio portate un vostro ninnolo, marito o moglie, per l’occasione, lui intanto sacramenta oppure occhieggia, l’altra vorrebbe essere lontana da lì.
Chissà perché poi si chiami tutto questo-Stare insieme-
Vite tagliate- scrive Maria Gabriella De Santis, vite bugiarde, che tradiscono certo perché è umano tradire, nessuno può stare per sempre immobile su un sentimento che è movimento, su un desiderio che padroni non ha.
Vite tagliate con un coltello che mozzi la testa e il pensiero, che scolleghi per sempre il vero dal falso, che uccida quella fiducia che in noi sta.
Carcere e cuccia diventa una casa, dovere e peso sono i figli, da coccolare e da torturare, per fare scontare proprio ai più piccoli di esser la causa della prigionia.
Vite tagliate vissute osservando con vera malvagità chi si ritaglia in solitudine un vero momento di libertà. Quella verità che il tradimento mai vi darà.
Ippolita luzzo
Pezzi dal passato
sabato 31 agosto 2024
La beffa dei funerali
Ai funerali di mia madre tutta la Chiesa del Convento di Sant'Sant'Antonio era affollata di gente accorsa per essere presente alle esequie. Parenti delle più lontane contrade, vicini di casa e lontani vicini di casa, conoscenti e amici nuovi o non più nuovi, storici, insomma moltissime persone beneducate vennero, ci salutarono sulla porta della chiesa prima e dopo la funzione e poi sparirono.
Mai visti durante tutti gli anni in cui mia madre non poteva uscire più, mai visti nonostante mamma ne desiderasse la presenza, mai visti dopo, quando il vuoto dell'assenza di mia madre avrebbe in un certo qual modo suggerito loro un minimo di afflato umano.
Mi chiedo spesso il perché siano venuti al funerale, mi chiedo spesso a cosa serva questa recita a soggetto, un rito privo di ogni fratellanza, uno stringere le mani e dirsi condoglianze
Condoglianze di che? con chi si sono condogliati costoro e per quanto tempo, per il tempo che durò la messa.
Sono sempre più lontana da queste pantomime che mi sembrano anche offensive, residui ormai di tempi trascorsi quando il lutto si protraeva in qualche chiacchierata in casa del defunto, quando ancora esistevano le visite ai parenti.
Nella dissoluzione di ogni arcaico simbolo del passato anche il funerale divenne una beffa, e recentemente un funerale di un giovane uomo fu celebrato con palloncini lanciati in cielo, con una coreografia ormai simile in battesimi matrimoni e compleanni.
Sono rimasti i palloncini bianchi blu a librarsi in cielo, in volo su e più su, un palloncino e via, poi questi scoppieranno e ricadranno giù come una pezza slabbrata, sporcando inevitabilmente il tutto
Ippolita Luzzo
venerdì 23 agosto 2024
Quel lunghissimo gambo di rosa di Franco Costabile
Oggi entriamo ufficialmente sotto il segno della Vergine, il segno zodiacale mio e di Franco Costabile, essendo lui nato il 27 agosto del 1924 ed io il 13 settembre del '54.
La casa editrice Rubbettino ha pubblicato questo anno il volume La rosa nel bicchiere, tutte le poesie di Franco Costabile con prefazione di Aldo Nove e poesie disperse e nota biografica a cura di Giovanni Mazzei
Dice Aldo Nove nella sua prefazione «…la perdita di un mondo che progressivamente Costabile ci racconta ha certo la Calabria come punto di vista, come indissolubile legame natale, ma che si sposta lungo l’asse di un intero continente ed oltre, fino a raccogliere nel proprio respiro preciso e affannoso l’intero mondo e i suoi prometeici errori di prospettiva»
Durante questo anno molti studiosi o anche semplici lettori si sono applicati con esiti più o meno accettabili a produrre opere che fossero attestati di stima nei riguardi del poeta e alcuni con esiti esilaranti altri con esiti quasi offensivi verso il poeta stesso, rimpicciolito e ricondotto a poeta locale, quando lui dal suo paese ne conservava solo l'eco dell'ingiustizia, della povertà, delle offese.
Aveva il poeta altri grandi amici poeti che lo stimavano, da Felice Mastroianni a Pina Majone Mauro, ed io ho avuto il piacere di sentire sia da Pina che da Serenella Mastroianni, nipote di Felice, testimonianze dirette sulla vita di un poeta che abitava a Roma, insegnava a Roma, aveva le sue amicizie a Roma e scriveva su importanti riviste letterarie romane e nazionali.
Ritrovo dal 2015 ma risale ancora prima un mio appunto su una conversazione con Serenella Mastroianni. Lei mi raccontava che Costabile rideva spesso quando insieme allo zio passeggiavano. Era una risata sopra le righe, a volta sciocca, una risata di commento, a volte stridula. "Come la tua" aggiungeva la mia amica Serenella. Ed io capivo perfettamente cosa lei volesse dire, cosa Costabile volesse esprimere con questa risata nella quale è racchiuso tutto lo sconcerto di alcune situazioni, di alcuni rapporti, di un vivere che acchiapparlo non puoi perché fugge da tutte le parti, di esseri umani pavidi e aggressivi che alzano la voce per imporre scemenze abissali contro i quali, contro le quali, solo ridere noi possiamo.
Oggi lui, proprio per questa comunanza di amorosi sensi, come direbbe Foscolo, e forte di questa comunanza di risata, mi consegna una rosa dal gambo lungo, lunghissimo, pieno di spine, un gambo con cui fustigare tutti coloro che in occasione del centenario vorrebbero ridurre il poeta ad un pupazzo, ad un raccoglitore di rose e garofani, ad un poeta ad uso e consumo locale di vino, di pasta, di affettati e mettiamo pure qualche rutto via.
Lui mi consegna il gambo e mi dice di essere decisa e di continuare a fustigare fino al silenzio fino al modo di essere lui libero da ogni ricordo
Ippolita Luzzo
Quadro di Amedeo de Benedictis nel Regno della Litweb
martedì 13 agosto 2024
Aveva le mani d'oro L'omaggio a Peppino Leo
Sono qui con accanto un gioiello, un omaggio in oro purissimo, già la copertina è realizzata a mano con un allestimento bodoniano, un metodo di rilegatura antico e la carta crespa riveste il dorso. Infatti oro è la carta Fedrigoni Sirio Perla Aurum 300gr che conferisce al tutto un effetto dorato e luminoso, proprio dell’oggetto prezioso.
É un libro donatomi da Emilio Leo, dopo una serata ospiti del Lanificio Leo a parlare di un altro libro altrettanto unico e inusuale: Della morte non puoi parlarne, o della gioia di Alessandro Chidichimo.
Aveva le mani d’oro, il libro nasce dall'amicizia fra Emilio Leo e Prashanth Cattaneo che ne ha curato la pubblicazione, con interviste, storia e le biografie dei protagonisti, edita da Rubbettino editore e stampata in Rubbettino print, nel 2022, nel centenario della nascita di Peppino Leo. Un libro 10,5×14,8, un formato che si tiene in una mano come un piccolo oggetto prezioso, un gioiello.
Aveva le mani d'oro nasce come progetto di arte e design dall’incontro tra l’artista Pino Deodato e la storia di Giuseppe Leo detto Peppino, nato nel 1922, imprenditore che ha dedicato la sua vita al lanificio di famiglia
Pino Deodato ha dipinto un’opera che raffigura Giuseppe Leo nella gestualità rituale del filare e del tessere che ha ricordato fino agli ultimi giorni della sua vita quasi centenaria.
L’opera è stata poi riprodotta dal figlio di Peppino, Emilio Salvatore Leo – attuale proprietario e direttore creativo del Lanificio Leo – su un copricuscino per l’area living della casa usando una tecnica di maglieria jacquard. La Galleria Melesi di Lecco ne ha creato un’esposizione
Ma ritorniamo al libro, all'interno in carta smooth, tutto sembra carezzevole e già si vuol bene a ciò che leggeremo, a ciò che vedremo, fotografie delle opere create da Pino Deodato, fotografie di Peppino Leo accanto ai suoi telai, le mani di Peppino ed Emilio fra innovazione e conservazione.
La storia del Lanificio Leo, fondata nel 1873 a Carlopoli da Antonio Leo e nel 1935 trasferita a Soveria Mannelli da Emilio Leo, il nonno dell'attuale proprietario. Il luogo è diventato un museo dinamico, e nel 1997 fino al 2007 ha ospitato Dinamismi Museali. Festival di Pensiero Contemporaneo. Il festival è giunto alla finale del Premio Guggengheim ed ha vinto il premio Cultura di Gestione di Federculture.
Nel 2008 Emilio Leo e i suoi collaboratori riattivano con macchinari di nuova generazione il parco macchine storico rinnovando la tradizione dell'azienda con il design.
Nel libro vi è l'intervista ad Emilio Leo, che vi invito a cercare, a leggere e che si conclude con l'augurio per tutti di "costruire delle cose" essere felici di ciò che si può fare. Un po' il concetto di Epitteto, lo stoico citato durante il nostro incontro, su ciò che possiamo con la nostra volontà e su ciò che non riguarda la nostra volontà.
Vorrei anch'io finire questo mio pezzo riassuntivo con il pensiero di Ettore Sottsass, riportato da Prashanth Cattaneo nell'introduzione, che coincide con il modo di pensare di Peppino Leo, la vita coincide con il mestiere che si svolge, unito alle persone che si amano e all'essere contenti.
"Io sono rimasto con questa idea: l'idea che si può identificare l'esistenza passando il tempo a immaginare un ambiente artificiale, immaginarlo con tutto quello che può aiutare me e gli altri a vivere, a ritrovarsi, a disegnarsi, a mostrarsi al mondo e poi, più o meno, per quanto si può, a essere contenti"
E dal regno immaginario della Litweb, un'astrazione mentale che ha reso possibile creazione e incontri, non si può che essere d'accordo con Peppino, con Emilio, con Ettore Sottsass e con Epitteto.
Ippolita Luzzo
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sabato 3 agosto 2024
Non muoio neanche se mi ammazzano di Letizia Cuzzola
Letizia Cuzzola in “Non muoio neanche se mi ammazzano” riprende il titolo della biografia di Giovannino Guareschi e ricostruisce la storia del nonno Vittorio e di 650 mila uomini prigionieri nei campi di concentramento in Germania. Il libro nato da una documentata ricerca, restituisce un pezzo di storia italiana rimossa: quella degli IMI (Militari Italiani Internati) che dopo la firma dell'Armistizio furono fatti prigionieri dai nazisti e internati nei campi di prigionia. Uno di questi soldati era Vittorio Cuppari, nonno di Letizia
Nelle diverse interviste rilasciate Letizia racconta: “Stavo scrivendo un altro libro e per caso ho ritrovato l’Arbeitsbucher di mio nonno, Vittorio Cuppari. In famiglia sapevamo che era stato prigioniero durante la Seconda guerra mondiale ma ne ignoravamo i dettagli. Ho iniziato ad approfondire più per curiosità che per altro. Poi ho trovato il libretto di lavoro del nonno in Germania e episodi mai menzionati dalla Storia ufficiale mi hanno portato a chiedere informazioni in decine di Archivi di Stato, a partire da quello di Reggio Calabria a finire al Museo dell’Olocausto di Los Angeles, passando per il Bundesarchiv di Berlino e le Nazioni Unite a New York. Man mano documento dopo documento si raccontava una storia diversa da quella studiata a scuola. C’erano 650mila uomini che, quando Badoglio annunciò l’Armistizio, erano schierati sui confini esteri e vennero catturati dai Nazisti restando prigionieri per due anni nei campi di concentramento in Germania, ma che sfuggivano agli elenchi ufficiali per un accordo fra Hitler e Mussolini, e mio nonno era uno di questi. Con quell’accordo erano stati classificati non come prigionieri di guerra – quindi “tutelati” dalla Convenzione di Ginevra del 1929 –, ma come Internati Militari Italiani. Erano sospesi in questa condizione e spesso venivano chiamati a rispondere all’offerta di passare fra le fila dell’esercito tedesco o della Repubblica di Salò, ma per due anni risposero un no netto, senza ripensamenti, pur sapendo che avrebbe significato restare in campo di concentramento con tutte le conseguenze del caso. Subirono l’isolamento, le torture, i lavori forzati pur di restare fedeli alla divisa che indossavano».
A Letizia il nonno le ha suggerito cosa e come scrivere, dove trovare i documenti, dove le testimonianze, così com’è successo a Raffaele Mangano col suo amico Leone nel libro La riga sulla emme, così come è successo ad Emanuele Trevi con Due vite, la vita di Rocco Carbone, di Pia Peri. Succede qualche volta che la scrittura diventi quello strumento per aprire la porta fra i viventi e chi non c’è più. La scrittura come opportunità per continuare a vivere qui, conoscendo la vicenda umana universale del nonno di Letizia Cuzzola.
Anche lo scrittore Guareschi fu uno di questi soldati italiani e lui poi raccontò che era stato fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'otto settembre e marciava incolonnato, affamato e straccione in un' oscura landa polacca. Ai bordi della strada c'era una mamma con un bambino piccolo che stava mangiando una mela. Incoraggiato dalla madre il bimbo si diresse verso questi poveracci ed offrì la mela proprio a Guareschi che prendendola in mano vide i segni dei dentini sul frutto e gli venne in mente suo figlio, anche lui piccolissimo e, scacciando i pensieri di morte che attanagliavano ognuno di questi disgraziati, disse "non muoio neanche se mi ammazzano".
Questa è la paternità.
Accurata ricostruzione storica, come se il nonno vivo accanto a lei le raccontasse, e anche l'autrice conferma di aver avuto la sensazione di essere un tramite.
Un libro da amare
Ippolita Luzzo