23 settembre serata inaugurale della mostra al Marca di Catanzaro.
Giuseppe Negro: La camera anecoica
Senza eco vuol dire l'aggettivo accanto al nome, una camera dunque che impedisce il formarsi del suono, pareti che non rimbombano e donano silenzio.
Guardo Giuseppe Negro mentre parla con me, curvo, in una posa fetale, e mi verrebbe voglia di raddrizzarlo, poi capisco che quel suo curvarsi è adeguato alle parole che mi sta dicendo: il suo mantenere tutta l'espressione artistica nella sfera dell'intimità, nel suo mondo di affetti, di casa sua, fra pareti che gli appartengono.
La serata, già al termine, io l'ho trascorsa fra incontri piacevolissimi.
Elena è appena arrivata dal San Giovanni, dove è in corso un altro evento. Entrambe ci auguriamo che il Comitato per la tutela del Complesso Monumentale del San Giovanni blocchi la decisione di snaturare la destinazione data allo storico edificio e ci avviamo verso l'artista in conversazione con Betty.
Elena mi presenta Betty e poi va via, io resto con Betty, con lei attraversiamo l'arte con libertà in orizzontale.
Ci raccontiamo quell'essere fruitrici libere dell'opera d'arte, senza la specializzazione che potrebbe richiedere conoscenze troppo settoriali, ci scambiamo il piacere di gustare un'opera con sensibilità personale e camminando chiacchieriamo con Sergio; il sogno diventa realtà perché la data c'è.
Cita Walt Disney Sergio“La differenza tra un sogno e un obiettivo è semplicemente una data” e continua facendo la distinzione fra "Un mondo fatto di narcisisti e di altruisti, di chi persegue unica sua ambizione l'affermazione personale e di chi invece vorrebbe sistemare il mondo in un modo un po' migliore da come l'ha trovato."
Nel dire questo Sergio ha gli occhi sparluccicanti di gioia pura perché fa un lavoro che a lui piace e ricorda un mio antico modo di dire, quando andavo a scuola, in cattedra: "Mi pagano per divertirmi, per essere felice."
L'artista in quale delle due dicotomie potremmo pensarlo? Ha anche lui gli occhi felici, luminosi, e sento una grande empatia fra le opere e le persone, la semplicità di gesti e la giocosità umana di relazionarsi.
Giuseppe Negro ha creato cinque ambienti, con corteccia di albero, con carbone e con antichi copri tavoli presenti nei soggiorni degli anni sessanta, stasera messi a terra come tappeti e al centro proprio un tronco con i rami.
Vedo in una stanza una grande piastra tutta composta con carbone, per me sono pezzi di carbone e lui mi spiega come abbia incollato i pezzi e, mentre ripercorre il suo modo di lavorare, lo vedo con i suoi pezzi in mano costruire, dare vita a linee, a quadrati, a figure che cambiano a secondo della nostra posizione. Ci fermiamo a guardare.
Battiti, reliquiari, assemblaggio di legno, di legno bruciato su tela, carbone, frammenti di legno a creare pareti; il legno è un essere vivente. La serata si ferma nella mia immaginazione alla botola dove scendeva mia mamma, nella stanza della carbonella, lei con un foulard in testa, per non impregnare i capelli di polvere nera. Mi trattengo dal chiedere a Giuseppe se abbia fatto uguale alla mia mamma mentre con carbone e carbone lui compone pareti e cornici, lasciando traccia del tempo nelle stanze dell'anima.
Entrambi un fuoco dovevano accendere, per scaldare, per illuminare, senza rumore.
Dal mondo interiore al mondo esteriore un viaggio nel silenzio con la camera anecoica.
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