martedì 23 settembre 2014

Anime Nere- Film di applausi



Fra Africo eBianco, la favola  racconta Anime nere
Ho applaudito felice  quando il padre di Leo ha puntato la pistola,  sparato il fratello e poi  tutti i responsabili  della morte del figlio.  Sollevata e giuliva avrei voluto parlarne ma non sapevo con chi.
Avrei voluto dire che quando la moglie:- Posa la pistola- esorta verso il marito, il film finisce ed entriamo nella realtà.

 Dopo il racconto, il fabuloso mondo da tragedia greca si era dissolto con il deus ex machina di due o tre colpi di pistola.
Anime nere. Una favola nera. Una tragedia individuale.
Non è un film denuncia. Un racconto. Da un romanzo.
Alcune volte succede  che indicibile realtà abbiano bisogno di capovolgimento  letterario, si  abbia necessità di ricorrere a strumenti insoliti per narrare quelle anime, quei silenzi inespressi forieri di tragedie vere.
E’ nell’aria, si sente che tutto si svolge e nell’aria andrà via.
Così come il postino, personaggio di un altro libro su un paese della Calabria," Breve Trattato sulle Coincidenze" di Domenico Dara scrive di una Girifalco all’epoca dello sbarco sulla luna, una Girifalco fra il sonno e la veglia, panni appesi e lettere artatamente trascritte e rispedite per reificare il corso di avvenimenti, così, nel libro e nel film dello scrittore Criaco e del regista Munzi, il padre di Leo, Luciano, primogenito appartenente ad una numerosa  famiglia di Africo,  già segnato dall’uccisione lontana di suo padre,  riscrive storie di un sud fatto di silenzi.
Un sud magnificamente fotografato, Aspromonte percorso nelle sue curve e mulattiere, le case non finite, lo squallore e le bestie scannate e mangiate senza aspettare che vada via la cadaverina, che si frollino le carni, mangiate ancora vive. Fumanti di vita, di sangue, uccise e squartate, sgozzate e divorate con crudele fame, divorando insieme  ogni possibile e probabile bellezza.
Tutto deve essere brutto nel regno della bruttezza, della malavita, si chiama proprio così, e chi ne vuole scappare può andare via solo nell’onirico, nella mescalina, nella rinuncia a farne parte, con bontà.
La bontà dell’uomo che cura le bestie e le accarezza contro la violenza del coltello che tronca il giugulare e fa zampillare il sangue.  
Dal sangue del sud, e questo  è un sangue universale, il conflitto all’interno di tutte le famiglie, l’odio e le differenze in una saga, dal sangue la parca recide il filo ed il destino si compie. Resta lo sguardo di Luciano, che interpretato da un attore bravissimo, Fabrizio Ferracane, ci rimanda nel riscatto che attendiamo da millenni, dal dì che tutto ebbe inizio. Resta uno scarto fra realtà e racconto che non riguarda una regione, un paese, un gruppo. La sottile linea al di là dello sguardo, degli occhi velati di pianto, di una bontà costretta alla violenza con  una volontà mai abbandonata di esser diversi.

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