giovedì 13 marzo 2025

I giorni pari di Maria Caterina Prezioso


 “8 dicembre 1940

I preparativi fervevano da alcuni giorni.

Quella domenica pomeriggio, festa dell’Immacolata Concezione, Roma pareva dormire distesa lungo gli argini del Tevere. Il giorno prima aveva lasciato l’amaro in bocca a mia madre Miriam che non si dava pace.

«Che sia maledetto il sabato fascista.»

Mio padre, incollato alla radio tenuta a basso volume, seguiva la partita Lazio-Torino, non sembrava prestare attenzione alle parole di Miriam, ma all’improvviso si alzò dalla sedia, andò da lei e se l’abbracciò stretta.

«Vedrai, si aggiusta tutto. Facciamo passare la buriana. Intanto sistemiamo Sara al sicuro. Noi staremo bene cara vedrai, vedrai.»

Se la cullava come fosse una bambina imbronciata. «Dio conta le lacrime delle donne.»

«E allora che le contasse per bene perché le ho finite.»”

Inizia così il libro di Maria Caterina Prezioso e poi continua con la proclamazione della guerra il 10 giugno 1940 quando Mussolini dal balcone di Piazza Venezia annunciò l’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler. Sappiamo che un mese prima, l’esercito nazista aveva occupato il Belgio e le truppe tedesche avevano occupato Bruxelles. 

 Sara e Silvana, l’una scampata alla Shoa, troverà rifugio a Sperlonga, l’altra verrà ricoverata al Forlanini, intrecciando le loro storie e nella dedica l'autrice scrive “A Silvana del mio ricordo. A Sara della mia immaginazione” ci sono due elementi fondamentali della sua  scrittura. Il ricordo e l’immaginazione.

 E mentre la guerra infuria Silvana si ammala di tubercolosi e conosciamo il Sanatorio e il modo come allora, senza antibiotici, si veniva curati. 

L’ospedale Carlo Forlanini, il “Sanatorio” ospitava tanti ragazzi e ragazze con  duemilasessanta posti letto a fine del 1940.  L’ospedale era diviso in quattro padiglioni, due riservati alle donne e gli altri due agli uomini, più un reparto chiamato clinica medica-donne. Nel 1941 si aggiunse un nuovo padiglione ortopedico costituito da altri duecentocinquantuno posti letto dedicati esclusivamente a quelli che erano affetti da forme tubercolari osteoarticolari... la tubercolosi ossea. Vi era a capo il professor Giusto Fegiz un medico umano e professionale. 

Leggiamo nelle pagine del libro la storia d'Italia fino alla fine della guerra fino al voto con la grande speranza verso un futuro "Il 2 giugno noi donne andammo per la prima volta a votare. Ci recammo in massa alle urne. Non fu una concessione, ma una conquista. Anche noi avevamo fatto la resistenza, partecipato attivamente alla lotta di liberazione. L’Italia uscita dalla guerra era chiamata a decidere con voto finalmente libero tra Repubblica e Monarchia."

Un libro molto accurato nella ricostruzione storica e un libro che tutti dovrebbero leggere per sapere com'è facile piombare in una guerra. 

Una testimonianza seria questa di Maria Caterina Prezioso, nostra amica nel Regno della Litweb con  un romanzo di un “nuovo neorealismo poetico”

Ippolita Luzzo 




martedì 11 marzo 2025

Gianni Barone recensisce Pezzi

 

 Ippolita Luzzo, Pezzi (dal Regno della Litweb), Città del sole, 2018.


Da sempre il mio cuore ha battuto e continua a battere più forte per il sud della nostra penisola: per gli amici di quelle regioni, per le scrittrici e gli scrittori che da lì provengono e per le loro opere, per la storia, la cultura, i paesaggi, per il loro saper essere resistenti a tante sciagure e a tanti sciagurati. E in quest'ultimo periodo, in particolare, è soprattutto la Calabria che mi sta traboccando dal cuore: nonostante i noti problemi economici e strutturali che affliggono la regione, nonostante una politica che latita e che costringe molti giovani a tentare di farsi una vita altrove, so di sacche di resistenza assolutamente ammirevoli, miracolose. So di una casa editrice indipendente che si rifonda per merito di Pina Labanca   e che sceglie come sede Tortora, piccolo paese del nord della regione; so di Mariangela e Maria Rosa poetesse di Reggio Calabria, come di Reggio è Antonio, sperimentatore di scritture, che però è emigrato; so di Giuseppe, che vive a Catanzaro e che ha pubblicato tanti saggi critici (su Bianciardi, Fortini, Palazzeschi, Roversi e altri) e sempre a Catanzaro c'è Elisa, attiva anche lei per la diffusione della cultura;  so di Antonella che vive a Paola, che scrive, ha un blog e promuove scritture altrui; so di Rodolfo, di Limbadi, che legge e diffonde poesia; so di un gruppo di resistenti / divergenti di Lamezia Terme (Daniela, Alessandra con Gianfranco, Domenico, Valeria) che si muovono tra scuola, scrittura, teatro, carta stampata; so di Antonella di Cosenza, che si occupa di letteratura e cinema e che forse si è trasferita a Milano, credo; so di Martino, di Tortora, scrittore, blogger, giornalista, moltiplicatore di cultura; so di Carmine, che pubblica libri e testimonia la lingua e la cultura arbëreshe. Insomma, tanta vitalità, tante energie, tanta letteratura, tanta passione e tanta voglia di fare e di cambiare questa terra seducente e dolorosa

E queste passioni, questo fare combattivo, propositivo, canalizzato e condiviso nei social (ma non solo), li ha impersonati colei che tutti noi conosciamo come la creatrice della Litweb: Ippolita Luzzo, anche lei di Lamezia Terme.

Il suo libro "Pezzi", di cui ora parlerò, raccoglie frammenti dello storico blog che Ippolita ha condotto dal 2012 e che tuttora è seguitissimo. Fu subito un boom di visualizzazioni e interazioni perché, oltre a recensire libri, la blogger condivideva commenti ai fatti del giorno, interviste, suoi testi, riflessioni politiche, analisi sull'editoria e supporto alle case editrici indipendenti, inaugurazioni di mostre d'arte contemporanea. 

Il movimentismo di Ippolita fu talmente frenetico e coinvolgente che ben presto i limiti del social verranno superati; la popolarità raggiunta la porterà a far parte di giurie di premi letterari e di Fiere e Saloni del Libro. 

Ricollegandomi a quanto dicevo prima, l'esempio di Ippolita Luzzo lo ritengo emblematico di quanto si possa fare quando si è animati dalla voglia di cambiare le cose e di lasciare il segno. E allora penso che anche dagli amici che citavo all'inizio, animati dallo stesso fervore, dalle passioni e le disperazioni che serpeggiano per  le contrade e le città di Calabria, dagli umori e dagli spiriti divergenti, giacobini e anarchici che girano in quelle terre, potrei aspettarmi le medesime egregie cose, e forse anche di più. Se unissero le loro forze, lavorando su progetti diversificati

e condivisi, su obiettivi concreti, i miei amici (e altri con loro) potrebbero, non dico risollevare le sorti della Calabria ma, oltre a fare letteratura, cominciare a cambiare le cose.


Il libro di Ippolita Luzzo, edito da Città del sole, inizia subito con una splendida provocazione, quando nei primi versi scrive:

"Io non sono una donna del sud

Non ho mai fatto la salsa di pomodoro/

Le melanzane ripiene, la conserva di peperoni(...)"

 per poi aggiungere

"Il sud lo porto nel sangue, nel suo colore, nel suo calore/

Nella storia, nel presente, 

Nel mio viso da bambina,

Nel dolore delle mamme,

Delle donne (...)"

I Pezzi si alternano, tra prose e versi, sempre percorsi da una vena corrosiva, da visionarietà e da dichiarazioni di intenti, come quelle che troviamo in "È meglio scrivere che drogarsi" o nel testo "L'invenzione più innaturale del nostro secolo è stata la famiglia monocellulare", ricca di affermazioni apodittiche e anticonvenzionali. Insomma, il libro è una selezione dei post e dei contenuti pubblicati nel blog di Ippolita. Molti li ricordiamo. Molti continuano a sorprenderci per l'attualità delle riflessioni. Dall'insieme, ne emerge a tutto tondo la personalità di Ippolita, ricca di interessi e di passioni, che da Lamezia è arrivata a conquistare il web; ma anche -in filigrana- la lettura e le considerazioni riportate nel libro ci fanno ripensare e riflettere su un periodo della nostra storia recente, che la stessa blogger definisce "parte di un secolo sperimentale". È dentro questo magma, in questo sperimentalismo già percorso da Ippolita, che mi auguro che i "ragazzi di Calabria" di cui sopra possano portare avanti le loro ipotesi di lavoro per cambiare non dico il mondo, ma qualcosa della loro amata amara terra.

Gianni Barone 


Giovanni Barone Traduttore indipendente ha collaborato alla collana Autores italianos contempóraneos pubblicata dall’editore argentino Laborde, per la quale ha tradotto, con la moglie Mirta Vignatti, La sonrisa del ignoto marinero di Vincenzo Consolo. In seguito ha dato voce italiana ad Animali domestici di Guillermo Saccomanno e a Carne di cane di Pedro Juan Gutiérrez (entrambi per le edizioni e/o). Da poco è in libreria la sua ultima traduzione, La metà del doppio di Fernando Bermúdez (Edizioni Spartaco): sette racconti in cui l’autore dimostra la sua abilità nell’esibire la tecnica narrativa senza farle perdere efficacia https://www.diatomea.net/author/gianni-barone/

sabato 15 febbraio 2025

15 febbraio 2015

 Ritrovare pezzi 

Mentre parlo con te io vorrei vedermi. 

Vorrei vedere mie espressioni. 

Sempre fuori le righe di un composto muover, mi spaventerei. 

Io Penso mi spaventerei.

Così ricompongo viso e riassetto muscoli, stirando verso il basso l'esagitazione scomposta. 

Nello spazio mi riapproprio della mia immagine, volata per un istante nella testa tua.

Ippolita in ritrovamenti 

mercoledì 12 febbraio 2025

Wanda Marasco Di spalle a questo mondo

 


Wanda Marasco
nel regno della Litweb con questo suo libro presente nelle librerie da nemmeno un mese ed è da allora che io lo porto con me, ne parlo con amiche e non so scriverne. Non so scriverne per pudore, per paura di non sapere, per lasciare intatto il piacere della lettura. A volte anche il silenzio è una forma altissima di gradimento. Ci provo dunque ma già confesso di non aver terminato la lettura, non si può leggerlo saltando, d'un fiato, bisogna invece recuperare una lettura lenta e accurata per entrare nel mondo di Ferdinando Palasciano. Una forma di resistenza credo sia scrivere libri con ricostruzione storica dettagliata, con fonti certe, con testimonianze accurate e poi scrivere le storie con la cura di un linguaggio ricco, corposo, con aggettivi che a volte appaiono ma non lo sono  desueti tanto non siamo più abituati alla ricchezza della lingua italiana. 



Come vi ho già detto dal 23 gennaio sto leggendo Wanda Marasco nella bellezza della letteratura e qui è insieme a Fabrizio Coscia che raccoglie e omaggia artisti immensi e sfortunati, immensi come il protagonista del libro di Wanda Marasco il dottore Ferdinando Palasciano. Due libri arrivati insieme in Litweb ed entrambi amatissimi. La grande letteratura abita Il Regno della Litweb. 

Questo libro racconta la storia di Ferdinando  Palasciano, medico di Capua vissuto nell'Italia dell'Ottocento sotto la dinastia borbonica e dai Borboni condannato a morte e poi graziato perché  aveva deciso di curare anche i nemici in guerra.  Chirurgo di fama si vide strappare d'autorità alcuni reparti della Facoltà di Medicina e dislocati poi presso il Convento di Gesù e Maria, in poco tempo trasformato in struttura sanitaria, quale ancora è, e che già allora  Palasciano riteneva non rispondente a quei minimi requisiti igienici indispensabili per la nuova destinazione.  

Questa grande ingiustizia lo segnerà e lui non reggerà tanto da dover essere internato in manicomio. A nulla varrà l'affetto della moglie, e la residenza a Capodimonte,  splendida turris eburnea, riproduzione della fiorentina torre di Palazzo Vecchio, dove  veniva fin Thalberg a suonare il pianoforte, e la Torre svetta ancora oggi a Capodimonte e l'autrice l'avrà ammirata nel corso degli anni. E mi piace riproporre uno stralcio dell'intervista a Mirella Armiero per Il Corriere Del Mezzogiorno " Come nasce l’interesse per Palasciano?

«La Torre di Palasciano fa parte della mitipoietica dei luoghi della mia infanzia e della mia giovinezza. La vedevo costantemente dai miei balconi, come fosse una quinta dell’animo. A volta mi faceva paura, a volte mi destava un umore sognante. Da piccola non sapevo nulla dei suoi abitanti, eppure compare in tutti i miei romanzi. A un certo punto ho iniziato a studiare Palasciano e mi si è aperto un mondo, sono stata sulla sua tomba e ho scoperto la scritta in cirillico che riporto nel romanzo: “Dio non respingere la sua anima sconvolta dalla crudeltà del mondo. Il male che era in lui non era il suo male, ma il male del mondo”. Non potevo non scriverne. È stato un grande personaggio, il primo a proclamare il principio di neutralità dei feriti di guerra. Un monito che oggi viene calpestato, in questi nostri tempi di guerra in cui si spara sui civili, su donne e bambini, quindi mi è sembrato che ponesse temi attualissimi. Ma ho lavorato a lungo, non ero mai contenta, strappavo i fogli, finché le mie amiche scrittrici mi hanno fermato... così in tre anni e mezzo ho finito il romanzo»."

Il racconto degli ultimi anni di vita di Ferdinando, ripercorre  tutta la vita, per frammenti, dall’infanzia  all’incontro con Olga, la nobildonna russa sua paziente e moglie, le amicizie con Nicotera, Dalbono, Schilizzi e con Antonio Ranieri, con in quale ebbe contatti sia in Parlamento essendo entrambi senatori, e  condividendo con lui il culto di Leopardi. 

Leggiamo dunque Wanda Marasco Di Spalle A Questo Mondo vivendo con lei e con i suoi personaggi e parlandone con l'antico piacere di sentire "una liquidità sonora intorno alle parole"

Ippolita Luzzo 

Wanda Marasco è nata a Napoli, dove vive. Ha ricevuto il Premio Bagutta Opera Prima per il romanzo L’arciere d’infanzia (Manni 2003) e il Premio Montale per la poesia con la raccolta Voc e Poè (Campanotto 1997). I suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza 2015) è stato selezionato per il Premio Strega 2015 e portato in scena dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Claudio Di Palma. Nel 2017, sempre per Neri Pozza, è uscito il romanzo La compagnia delle anime finte, arrivato finalista al Premio Strega.  





venerdì 7 febbraio 2025

Inverness di Monica Pareschi


 Inverness, una raccolta di racconti che Monica Pareschi pubblica per Polidoro nella collana diretta da Orazio Labbate nell'ottobre 2024 mi giunge ed io la leggo con una commossa partecipazione e veramente lusingata di poter avere la possibilità di parlare sia di una bravissima scrittrice quanto di una apprezzata traduttrice. 
Lei pubblica questi racconti a distanza da dieci anni dal primo suo lavoro e cosa siano i racconti per lei lo faccio dire all'autrice,  in questa intervista di Valentina Barengo Monica confessa:"  i racconti sono più gestibili, non richiedono la metodicità di scrittura di un romanzo. La scrittura di un racconto può essere episodica, durare qualche giorno, o anche anni quando certi nodi non si risolvono, ma non richiede l’impegno costante ed esclusivo di un certo numero di ore al giorno. I racconti sopportano di essere abbandonati, anzi, a volte i mesi di “non scrittura” sono funzionali per capire dove si sta andando, per trovare l’elemento che fa tornare i conti. Il bello dei racconti – o perlomeno i miei funzionano così – è che si può partire senza sapere dove si sta andando, lo si scopre man mano; a volte, come dicevo, grazie a lunghe soste. Il racconto è un viaggio particolarmente avventuroso, che richiede la disponibilità dell’autore (e del lettore!) a lasciarsi sorprendere dall’esito, che a volte è del tutto imprevisto. Il racconto, per come la vedo io, si gioca tutto sull’effetto di mistero che producono i non detti, gli spazi bianchi, le lacune del testo." e ancora "La scrittura è un’attività ordinatrice, crea nessi, porta senso dentro un caos apparentemente irriducibile. E dare senso al caos – perlomeno di tipo estetico – mi pare la funzione più evidente e forse anche più utile della scrittura."


 Eccomi con la sua scrittura e con i  suoi otto racconti, uno più intrigante dell'altro, sui Baci di Munch, o la percezione dell'amore mi sono ritrovata a pensare come la protagonista, oppure credo che l'autrice eserciti un tale grado di convincimento da farci immedesimare e poi Fiori è un amore che finisce che è finito ma ancora non si è detto che è finito e allora i gesti si ripetono fiacchi e stanchi, ripetitivi, e Troppo amore uccide tra "il ghigno e il singhiozzo" e "I Gabbiani" mi ha precipitato nel film Gli Uccelli di Hitchcock e a guardare con sospetto il grasso piccione che ogni mattina fa la sua passeggiata sul parapetto del balcone della camera da letto. Nella tristezza della vecchiaia con Mors tua vita mea e la vita scivola mentre Gheri non sembra voglia accettarne i segnali. 

E poi Inverness che dà il titolo ai racconti. Inverness è un viaggio, una destinazione, ma anche un immaginario sostantivo inglese, l’“invernitudine” che caratterizza lo sguardo dell’autrice e il destino gramo di noi tutti. La storia di un'amicizia nata dove nascono le amicizie,  tra i banchi di scuola, la storia delle nostre assemblee, dei nostri cortei, delle manifestazioni in cui si gridava "Lotta dura senza paura" e “Ce n'est qu'un début”e poi le cariche e poi i viaggi con l'autostop. Il malessere dell'adolescenza, il malessere di crescere, il malessere di non conoscersi, di non accettarsi, i medici, le pillole, il corpo curato come una cosa e non come essere senziente. C'è tutto in questo viaggio di Monica, un viaggio con una amica verso questo paese pieno di sole e di luce ghiacciata, azzurra. Viaggiando con Monica abbiamo accanto la grande letteratura che ci interroga, che ci spaventa e ci rimprovera delle nostre disattenzioni.   

 Poi ciò che conta è lo stile, è il ritmo, il suono di questi racconti, una scrittura unica, nel senso proprio della creazione pura. La purezza dello scritto è ciò che tiene fermi alla lettura e Monica Pareschi la possiede e per questo noi la amiamo nel Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 


 Monica Pareschi vive a Milano e dove da oltre vent'anni traduce e lavora come editor di narrativa per le maggiori case editrici autori di lingua inglese tra gli altri i racconti di Kevin Barry per Adelphi, Doris Lessing, James Ballard, Bernard Malamud, Willa Cather, Shirley Jackson, Charlotte Brontë, Alice McDermott, Hisham Matar, Mark Haddon, James Hogg, Paul Auster, Muriel Spark. È autrice di È di vetro quest'aria (Italic 2014, Premio Renato Fucini). Insegna traduzione all'Università Cattolica di Brescia. Nel 2020 ha vinto il Premio Gregor von Rezzori per la traduzione di Cime tempestose, pubblicata da Einaudi nel 2019


Nel 2020, per la sua traduzione di Wuthering Heights, ha vinto il Premio InternazionaleVon Rezzori e il Premio Letteraria  e  nel 2023 il Premio Fondazione Capalbio per la traduzione di Piccole cose da nulla di Claire Keegan).
 Attualmente è impegnata in una nuova traduzione di Wuthering Heights per i Classici Einaudi. Suoi racconti e interventi sono apparsi su diverse testate. Tiene corsi e seminari di traduzione letteraria e editing in diverse università. Ha inoltre ricevuto una menzione speciale al Premio Arturo Loria 2014, ed è stata finalista al Premio Bergamo 2015. Vive a Milano con suo figlio

Da dopo l’estate  del 2024 sono ben cinque i libri tradotti: Quando ormai era tardi di Claire Keegan, Christopher e quelli come lui di Isherwood, Una nuova vita di Tom Crewe, Elizabeth di Ken Greenhall e La roccia bianca di Anna Hope 

sabato 1 febbraio 2025

Fabrizio Coscia Esercizi d'ammirazione


Esercizi d'ammirazione o piuttosto il racconto autobiografico di un'ossessione, narrato attraverso le vite degli altri. Fabrizio Coscia ci ha abituato a libri come Soli Eravamo, come La bellezza che resta, libri amatissimi dove lui racconta la vita di grandi autori, di grandi artisti da lui, da tutti noi, ammirati. In questa nuova opera letteraria ammiriamo con Fabrizio chi pratica l'arte ma nello stesso tempo è in lotta con il mondo intero per la sua sopravvivenza. Un mondo piccolissimo e ristretto fatto da quei quattro o cinque che dovrebbero sostenere l'artista e invece lo dileggiano. "La sopravvivenza in un mondo che gli rimane estraneo e in cui vive come perenne esilio" scrive Fabrizio nell'introduzione di Suicidi Imperfetti

 Si possono leggere uno alla volta, così come alcuni di questi capitoli sono apparsi negli articoli pubblicati su Pangea. Si possono leggere seguendo i nomi degli artisti ricordati da Fabrizio Coscia nell’indice: David Foster Wallace il primo e per ultima Marina Cvetaeva, scorrendo dall’America alla Russia, scorrendo l’infelicità individuale e l’infelicità collettiva, la grande sofferenza di Cesare Pavese, di Francesca Woodmann.

Attraverso loro, i protagonisti del libro, passano le epoche storiche di ingiustizia e soprusi, la fine dei genitori di Paul Celan, il padre morì in un campo di concentramento, la madre con un colpo di pistola in un campo ucraino. Ogni capitolo ripercorre la vita di artisti “nell’asfittico spazio del destino” per dirla con un verso di una mia amica poetessa. Per ora ne ho letto quattro e intanto ammiro sempre la scrittura di Fabrizio nel suo raccontare amandoli questi autori di un amore smisurato.

Sono scrittori, poeti, attrici come Marilyn Monroe e Jean Seberg, fotografi come Francesca Woodmann o pittori come Rothko, sono artisti esuli, estranei, pur nel successo internazionale.

Porto con me il libro di Fabrizio, tutti i libri di Fabrizio, come amici cari, come un discorso ininterrotto fatto con lui in persona un solo istante, pochi minuti al binario due o tre della Stazione di Lamezia Terme ormai parecchi anni fa. Il dialogo continua e continua l'ammirazione verso i suoi libri, verso la sua persona sempre amatissima nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo


Fabrizio Coscia (Napoli, 1967) è docente, editorialista e critico teatrale del quotidiano «Il Mattino». Ha pubblicato la raccolta di saggi narrativi Soli eravamo e altre storie (ad est dell’equatore, 2015, tradotta in tedesco), La bellezza che resta (Melville Edizioni, 2017, finalista premio Brancati), Dipingere l’invisibile. Sulle tracce di Francis Bacon (Sillabe, 2018), I sentieri delle Ninfe. Nei dintorni del discorso amoroso (Exòrma, 2019), Lo scrivano di Nietzsche (Mattioli 1885, 2019). Per questa collana, che dirige, è autore del volume Nella notte il cane (2021).