lunedì 29 agosto 2016

Il teatro cerca casa

Conferenza stampa di TeatrOltre stamani.

Al Museo della memoria, in occasione dei quarant'anni di Teatrop, Pierpaolo Bonaccurso legge Un brano di Jerzy Grotowski che termina con queste parole "Trovare un luogo dove tale essere in comune sia possibile..." 
Nelle stanze del museo quaranta tavole tematiche sono sintesi di una contaminazione voluta da chi nel teatro crede come progetto.

Fra le foto questa di Gianni Piricò, scomparso da pochi anni, fra i fondatori di teatrop, alter ego di Piero.  
Al tavolo della conferenza stampa, insieme al sindaco e all'assessore, a Giovanna Villella, responsabile  della rassegna Lamezia Summertime, Pierpaolo con Piero Bonaccurso, suo papà, e Ivan Falvod'Urso raccontano storia e teatro, da Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, artisti eretici del teatro italiano che hanno contribuito a rinnovare con i loro allestimenti, di sapore beckettiano, quasi sempre "muti" e  ripresi da Teatrop nel loro primo spettacolo " Sacco (1973)"

E poi ci hanno mandato via... racconta Ivan, dalla prima performance nel piano terra dell'allora Liceo Classico ai vari traslochi fino al Politeama Costabile, ed ora senza casa. Un teatro senza teatro. Un recente bando, una recente gara, ha privato della sede chi si occupava di teatro e ha imposto loro di dover pagare per presentare uno spettacolo. Rimaste senza dimora, di fatto l'esito del bando penalizza le compagnie presenti sul territorio. A Lamezia gli spazi esistono, diamoli a chi fa teatro, creiamo la residenza teatrale, con la partecipazione delle compagnie storiche e conosciute in Italia e all'estero, Teatrop, Scenari visibili, compagnie che potrebbero insieme rilanciare un teatro amatissimo in città. Nel festeggiare i quarant'anni del teatrop, ora diretto da Pierpaolo Bonaccurso, vediamo i volti giovani degli alunni dei laboratori, del liceo Scientifico, come  Nicola Muraca, del liceo Classico, vincitori del premio nazionale  Gerione, vediamo una città, sempre attenta e culturalmente sensibile, che non vuole essere più delusa.
I teatri devono vivere in una buona casa. 
Accanto a me Alessandra Caruso, altro giovane volto da tempo nel Teatrop. Sono in tanti stamani in una affollata conferenza stampa, a rivedere gli spettacoli teatrali  e a  rivedersi. 
Nella foto iniziale Pierpaolo Bonaccurso con una forbice in mano aspetta per il taglio del nastro della mostra. Un taglio di contaminazione al teatro che c'è. 
Inizia la rassegna Teatroltre, festival di teatro in strada, un programma con artisti internazionali per le strade della città. Applausi  

domenica 28 agosto 2016

Viaggio in Giordania

Giugno 2010
Appunti di Viaggio in Giordania  con la Golden Helm

Il viaggio che non ho fatto. 
Il viaggio che ho fatto. 
Ne dovevo fare uno e ne ho fatto un altro, totalmente diverso, ma reale, pratico, duro. 
Non culturale, come sghignazzando o enfatizzando si usa questo aggettivo, 
un aggettivo che connota, ora, il vuoto della conoscenza, della consapevolezza critica, della coscienza di una diversità. 
Tutto è uguale… In  questo viaggio melassa la storia è annullata, gli individui inesistenti, la capo scostante e indifferente, la guida, scelta per l’uopo, non ha colpe.
 Eppure questo vagare senza senso da un albergo ad un altro comincia a piacermi, a darmi il polso di un malessere che pervade il nostro tempo. 
Guardo e scopro affinità, tristezze e malinconie negli occhi di alcuni,  sofferenze per  come la vita li abbia cambiati, ci abbia  cambiato, solitudini risolte o nascoste col cibo, con l’acquisto continuo e reiterato di piccoli oggetti da portare via, da regalare poi come un  obbligo ottemperato.  Sento, percepisco una rassegnazione, una accettazione, una obbedienza alla vita, in generale, e al capo, in questo viaggio, senza scatti, prona,
eppure questi posti avrebbero dovuto essere visitati con la coscienza di viaggiare nel tempo a recuperare le origini del nostro cammino umano.


Oggi la città dei nabatei! Che meraviglia! Rosa, scavata nella roccia, dimenticata, la città che nel terzo secolo avanti Cristo era vivace,  fiorente ed ora non c’è più. 
Un viaggio non si fa solo per vedere, abbiamo cinque sensi, possiamo usarli e sicuramente, al di là dell’inganno di un viaggio promesso sulla carta da una agenzia di viaggio e non mantenuto, questo viaggio avrà la sua personalità, il suo personalissimo valore.                                                                                                                                                                                                                    Un viaggio non è un viaggio se non ci sono smarrimenti, imprevisti, ritardi, equivoci, litigi, intolleranze, delusioni.
Un viaggio non è un viaggio senza stupore, meraviglia, fascinazione di luoghi. 
Un viaggio non è un viaggio se gli occhi della mente non si abituano a vedere le differenze, le somiglianze, a sentirne il contatto e il profondo baratro fra mondi diversi. 
Se viaggiare è questo, allora, nonostante tutto, ho viaggiato.
Stimoli diversi- dicevo. Ostacoli superati con facilità, per ora. 
Prima sera: stanza ermeticamente chiusa, aria condizionata, difficoltà respiratorie.
Risposta secca, dura del capo - te ne vai
Io, decisa, ferma- Sì, me ne vado-
Non smarrita davanti alla aggressione, alla indifferenza, ma consapevole che era l’unica risposta che io sapessi dare. Forse non quella giusta.
 Perché è il capogruppo che si fa carico dei problemi del suo torpedone. Qui è diverso. 
Poi un principe, il cugino del re, come nelle favole, comprende e fa aprire una suite  reale con terrazzo, la fa pulire e risolve, per quella sera, si badi bene.
 Rimane quindi  valido l’imperativo e il consiglio di andare ad acquistare subito il biglietto di ritorno. -Dove?
-Sono affari tuoi
- E un   sussurrio … non  avrà i soldi … non ha ancora dato la mancia!
Si scoprirà, in seguito, molto in seguito, che le finestre degli altri alberghi si aprono tutte. 
Come? Si scoprirà facilmente, banalmente, telefonando, se telefonando … 
Ma la nostra capa, senza una erre da mettere dove si vuole, come mi suggerisce MeriLou, non sa.
Tante le cose che non sa, scopriremo più tardi, malgrado i suoi innumerevoli viaggi.
 Ma, forse, il suo è l’atteggiamento giusto, responsabilizza l’altro, lo riporta all'ordine e alla disciplina, lo ignora per lungo tempo e lo blandisce solo al passaggio del fogliettino che pubblicizza l’ennesimo tour.
Merylou perde il bastone, la Kapo si gira dall’altra parte, qualcuno cade, noie!
Vai a Petra e vuoi vedere il monumento più importante,- è lontano - è la sua risposta - non c’è tempo-  E così siamo andati a Petra senza esserci stati, come se fossimo andati a Roma senza vedere il Colosseo.
Ma lei, prostrata da una raucedine fastidiosa, probabilmente sintomo di qualcosa di più serio, non raccoglie, è una lastra, e si è scelta una guida all’uopo. Docile, inconsistente, senza contenuti, asmatico, stanco, l’uomo guida è affiancato dal responsabile del Garden Travel, nervoso e diseducato, diabetico e infelice, che per fortuna, va via subito. Mi è sembrato di essere su Scherzi a parte.
Era un bel viaggio sulla carta, ma la carta è solo un pezzo di carta. 
Qui ora ho visto alberghi confortevoli e lussuosi, ottimo cibo, e per caso, ma questo non era incluso nel programma, una compagna di camera gradevole, acuta, sorniona, una presenza piacevolissima, una miss Marple giovane, una Elisabeth di Ragione e sentimento, più adulta, una camperista, quindi abituata a gestire con poco spazio, poca roba le sue esigenze.
Io le sarò sembrata  con troppi bisogni, di docce, di riposo, di cibo. Eccessiva, dicono i miei cari. Comunque è andata bene. Questo era un optional. Lo pagherò a parte. Non all’agenzia di viaggi, però, ma alla nostra cara amica comune che, lungimirante, ci ha messo insieme. 
Resta, comunque negli occhi lo scenario rupestre e infinito del deserto del Wadi Rum.

Il nostro scorrazzare su scassate quattro per quattro  nel laboratorio di uno scultore senza limiti e confini, uno scultore, un architetto, un disegnatore insuperabile. 
Lo spettacoloso della natura basterà da solo a ripagarci di tutte le noie della villeggiatura.
Ci ripagherà e sentiremo il desiderio di voler ritornare ancora in un deserto vero perché lì ci sentiremo meno soli del nostro permanere nel deserto quotidiano fatto di incontri e vicinanze.                                                                                                                                                                                                                                                    Ristorante giordano Giovedì. Accanto a me una tavolata di uomini- giovani- tutti-  tranne uno due tre forse i capi che portano a pranzo gli operai, i dipendenti. 
Mangiano silenziosi, a volte sorridono, concentrati. Due splendidi occhi assorti. Riprendono a mangiare. Sono pranzi di lavoro. Non  si dicono niente. I subalterni temono il capo e stanno composti, sottomessi, il capo guarda, si intrattiene con gli altri anziani- capi 
Alcuni indossano la giacca, altri portano i baffi, avranno la donna a casa, con i piccoli.
 Dedicheranno un pensiero a questa donna, una attenzione in altri giorni, capiranno che esiste anche l’altra, chissà!
Intanto cosa sanno di loro, al di là del possedere un orifizio dove immettere cibo, mettere lo stuzzicadenti, tenerlo ben dritto, stretto.
Fanno foto di gruppo, mi ricordano altre fotografie, di altri uomini, che mangiano, che bevono, lontani con la mente, con il cuore, con il corpo, da un corpo che saltuariamente li ospita, lontani anche da se stessi. 
Cosa pensano, oltre al lavoro, oltre alla pancia, alla tasca, al dominio, non so.
 Eppure vedo da un altro lato uomini con le mogli, una di queste velata e coperta interamente di nero, uomini, alcuni attenti, altri seccati, alcuni generosi, altri dediti. Allora esistono altre categorie di uomini che non si annoiano con figli e mogli, non sempre almeno, che sanno ritagliare del tempo anche per la compagna, che diventa sorella, amica, compagna di un cammino umano difficile senza di lei, senza di lui!
Un cammino senza eredità di affetti non ha senso. Ma anche così, se guardo intorno a me, anche così, se si ha interesse verso i nostri simili, possiamo cancellare tavolate di soli maschi e dirigerci leggere verso la conoscenza di chi ha il piacere di conoscerci.
 Giordania che non ho visto, il viaggio che non ho fatto, eppure resta di tutto questo una profondità saziante. Questo solo possiamo dire:- ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Sono bulimici, i nostri compagni di viaggio, bulimici e annoiati, ripetono che non ne possono più di viaggi, ma già si preparano a scorrere il foglietto del prossimo che la capo gli fa pervenire sollecita sotto gli occhi. Sono appena ritornati, alcuni di loro, pronti a ripartire.
La mia alter ego mi rimanda una immagine discorsiva, descrittiva, analitica, organizzata di un modo di vivere che facilmente non  può essere che condiviso. 
Mi invita a studiare gli uomini del luogo, i loro sguardi, il modo di parlare, la loro cortesia, la benevolenza verso un turismo che sicuramente porterà  benessere e posti di lavoro.
Oltre c’è lo scambio di un ciao in arabo, di un vocabolario italiano-arabo, raro in questo paese sotto il dominio inglese, un vocabolario da rilanciare, una occasione
LE PROMESSE NON  MANTENUTE. - Oggi potrete fare un giro in barca e vedrete i fondali del Mar Rosso, la barriera corallina, i pesci più colorati, più diversi, uno spettacolo al  costo di venti euro.-
Mi propongo alla escursione, ho letto che ad Aqaba c’è un parco marino, esiste veramente quello che viene promesso. Così in venti seguiamo fiduciosi fino al porto la guida che ci fa salire su barconi sconnessi e luridi, con oblò scarsamente trasparenti. 
Guidati da uomini scortesi, veniamo fatti girare per tutto il tempo nel porto fra puzza di petrolio e navi ancorate, ci indicano, con scherno, l’unico pesce che per caso passa inavvertitamente da lì.
Gli unici pesci che abbiamo visto erano stampati sulla mia borsa Braccialini, sul foulard in tinta, sul portachiavi a strisce, bianchi e neri e non a caso l’unico pesce che abbiamo avvistato era a strisce bianco nero. Renato era contento lo stesso! Era il pesce della Juventus! 
Ritorniamo all’albergo, ed eccetto me, tutti giustificano la guida che certo sapeva quello che non avremmo visto e certo sa cosa avremmo dovuto vedere.
 Un luogo bellissimo che potremo ammirare guardando i documentari sulla barriera corallina di Aqaba, la più settentrionale di tutte le barriere. 
Ma ora dovrò dire di tutte le altre promesse non mantenute, quest’ultima non era inserita nel programma. 
Non abbiamo visto Amman, la Cittadella, il Museo che conserva alcuni rotoli del mar Morto, la Moschea, il tempio di Ercole, o per  essere precisi,  ci siamo passati, tutto molto fuggitivo, l’esposizione, la visita, in fretta,  non c’era tempo, c’era l’appuntamento al suk o da uno scultore. Questi,   gentilissimo, ci ha ricevuto in casa, e prima a fare acquisti e poi in una vera casa araba a mangiare e a bere the – caffè arabo con cardamone – frutta - e poi lo scultore ci regala - tutti gli arabi sono generosi!- statuine di modesta fattura che tiene lì in mostra nel portico antistante. Non c’è tempo nemmeno il giorno dopo e viene cancellata la visita ad Umm Qais, l’antica Gadara, una delle decapoli romane, troppo simile a Jerash, evidentemente, dove di controvoglia veniamo lasciati per un’ora o meno.
D’altronde come dicono alcuni  romani di Roma del nostro tour, loro vivono a Roma, cosa importa del decumano, del cardo, del teatro che non vediamo, di ogni struttura che ricorda loro i fori imperiali che ogni giorno hanno sotto gli occhi. 
Cara mia compagna di stanza abbiamo fatto un bel viaggio, ma sulla tua guida Lonely Planet, ogni giorno avidamente leggevamo quello che non avremmo visto e nascondevamo diplomaticamente la nostra delusione, essendoci accorti che, per quasi tutti gli altri componenti del tour, era quello il migliore dei viaggi possibili. 
Questo che non è stato un tour culturale, è stato invece un tour gastronomico- alberghiero. Ben cinque le strutture visitate. Tutte cinque stelle. Lussuose, megagalattiche, con cibi curati, ottima cucina, dolci superlativi, sempre colazione abbondante, pranzo- cena, sempre super nutriti, ben satolli, siamo rientrati a casa con due o tre chili in più!
REGENCY PALACE
Ho dormito dove dormì Poirot e Jacqueline Kennedy 
E scrivo. A Petra
Nulla è per sempre.
Una frase banale nella sua ovvietà.
Allora perché noi, umani, continuiamo a chiedere ai nostri pensieri, ai nostri affetti, ai nostri progetti una eternità inesistente?
Avrei voluto mettere la crisalide sotto una boccia di vetro per impedirle di mettere le ali, di trasformarsi, di essere altro, avrei voluto  per sempre la mia adolescenza, mia mamma giovane, mia nonna che raccontava le favole, mia sorella giocare a basket lanciando il suo pallone contro un divieto d’accesso, avrei voluto, per sempre, sentimenti ondeggianti e sway, come la nota canzone, barcollanti. -Mi amerai per sempre?- E’ una banalità, ma può essere vera se poi aggiungi- finché sarà possibile-  finché avrò vita- finché tu lo permetterai- 
Poi si scoprirà che il sentimento è univoco, poi si scoprirà che per sempre è un bellissimo sogno, come un bellissimo tesoro celato alla vista degli altri da portare con noi in  quei pochi istanti di confine tra la vita e la morte,. 
Quando attraverseremo la barriera porteremo con noi per sempre pochissimo e moltissimo, nei flash finali, il sorriso di nostro figlio, se c’è stato, la pazienza di mamma, la sollecitudine di sorella, e un grande amore e rimpianto. 
Non  so proprio per sempre come sarà. Le persone entrano ed escono dal nostro spazio vitale dandoci testimonianze diverse. 
Come attori, anche noi, pronunciamo battute e andiamo avanti, come attori mal diretti improvvisiamo, poi, ogni tanto, stanchi del logorio di battute stantie e ripetute, scambiamo i logori fogli del copione con altri già recitati.
Nel cerebrale delle mie costruzioni mentali le parole di libri letti prendono forma e vita, le faccio mie e nel giorno che nasce nuove frasi appaiono confortanti. 
Nulla è per sempre, tutto è diverso, e chissà perché mi viene in mente Petra rosa, vista dal Siq, scomparsa, ritrovata, visitata, troppo poco. Irrimediabilmente sciupata ed amata nel tempo.
Giugno 2010



martedì 23 agosto 2016

Il valore

Fra i tanti significati della parola "Valore" ci sta il significato di prezzo, costo. 
Valore di scambio:quantità di un bene o di moneta che si dà in cambio di un altro bene o servizio di cui si abbisogna o che si desidera. 
Valore aggiunto:aumento di valore che riceve una cosa per effetto delle lavorazioni e trasformazioni delle materie prime ausiliarie impiegate.
Valore come pregio. Ciò che è vero, bello, buono, secondo un giudizio personale più o meno in accordo con quello della società dell'epoca. Il valore artistico di un quadro, di una statua, di una ceramica. 
Il valore è distinzione. Ciò che distingue e mostra a tutti un qualcosa da ammirare.
Tutto ciò di introduzione sul valore di cui oggi voglio raccontarvi. 
Il valore che ciascuno di noi attribuisce ad un libro, ad un articolo, ad un pezzo, secondo una personale stima.
 Alcuni anni fa passeggiavo per via Garibaldi, guardando il barocco dei palazzi e le intemperie degli anni e degli uomini sui muri, sui balconi, quando fermo lo sguardo su un dipinto esposto in una galleria d'arte che ora non c'è più.
Prendo appunti, entro, chiedo il prezzo, chiedo mail dell'artista e riesco. Il quadro viveva nella mia testa, i fiori volteggiavano felici davanti i miei occhi e aperto il PC ho iniziato a scrivere. Un pezzo. 
Felice di questo mio blog che mi permette di scrivere a Scianna, Daverio, Recami e Di Paolo, come se fossero amici e di avere da loro gentilissime risposte.
Non mi aspettavo altro quindi che una mail, ma la realtà ci sorprende sempre e dopo qualche tempo mi vedo arrivare il bravissimo artista a casa con il quadro ammirato in dono. 
Rifiuto e protesto che non posso accettare e mi convince argomentando  sul valore che dà al mio pezzo, già messo nella sua cartella pubblica, come presentazione, insieme agli altri articoli che parlano di lui.
Il mio pezzo ha un valore per lui.
Altri artisti, negli anni a venire, hanno ripetuto il gesto dando il valore ai miei pezzi. 
Così ho deciso di raccogliere questo anno i pezzi sull'arte, sulla mia felicità di applaudire la bravura, e dopo aver pubblicato su lulu, la piattaforma di autopubblicazione, ricevo un'altra telefonata. Dalla Sicilia,
- Ciao, Ippolita, voglio regalarti un mio quadro e comprare il tuo libro.
- Cosa dici? Io il libro te lo regalo e non posso accettare un tuo quadro. 
Lui però mi fa il discorso del valore, del valore che si dà alle cose, agli scritti, alle parole come ai sentimenti, ai libri come ai dipinti, alle azioni come alla vita tutta. Il valore che si riconosce. 
E mi riconcilia sul genere umano che ha valore e dà valore.    
  

lunedì 22 agosto 2016

Sulle note degli U2

22 agosto 2012 scrivevo così: Sulle note degli U2
With Or Without You.
Il complesso guidato dalla voce dell’avvocato Massimo Sereno ha dato voce a tutta una cittadinanza giustamente fiera che il tribunale fosse rimasto lì, non perché fosse città di mafia, questo no, ma perché Lamezia terme è una città grande, viva e normale e vuole tutto funzionante, ospedale, scuole e tribunale.
Il canto si librava nell’aria sereno e gridava a tutti che non è vero con te o senza te sia la stessa cosa, ma che tutto è necessario in questo mondo di ladri, altra canzone cantata, dove tutti noi andiamo vagabondi, e qui abbiamo cantato tutti. 
Io vagabondo che son io.
Una splendida batteria ha battuto I tempi della riscossa con una nota di rimpianto, triste elegiaca al pensiero degli avvocati che non erano presenti, su tutti uno in particolare, GianLuca Materazzo, da poco non più , per un banalissimo incidente in moto, non causato da lui e che probabilmente in un ospedale più attrezzato avrebbero saputo salvare.
Ma il nostro ospedale non è più.
Ed allora la prossima dovrà essere la mobilitazione seria per un ospedale non più sguarnito, ma cuore vero di una cittadina bisognosa di cure pronte e attente, bisognosa di aria , di studi, di vita.
La serata ha intonato il canto e l’inno del tribunale e le parole di un sindaco giustamente orgoglioso ma….
Ricordiamoci sempre di voler l’impossibile, un ospedale efficiente in una città viva.
Ippolita luzzo

Padre, madre, figlio, figlia, zia e cognata, cugina e nipote, scrivono tutti.

- E come state in famiglia?
- Bene, grazie, scriviamo tutti.
 Così rispondono i fortunati consanguinei della penna, gli scrittori dei florilegi e dei madrigali.

Solo a casa mia se apro bocca vengo redarguita con: - Smettila di parlare di mafia - mio zio alquanto seccato, e a nulla vale per mia discolpa chiarire  che io di mafia non scrivo. 
- Allora smettila di parlare di gay! - mi intima ancora più seccato. Mah! dove avrà letto da me non so, sono sicura che non mi ha letto mai. 
Sono altresì sicura che non mi hanno letto mai i miei familiari, dal più stretto al più allargato.  
Non solo. Nella mia famiglia la scrittura è vista con fastidio. Da sempre. Mio padre leggeva moltissime riviste, ogni giorno. Mia madre, quando poteva sedersi, sfogliava il giornale e ora ha imparato la settimana enigmistica, fratello e sorella non leggono e non scrivono da poeti e scrittori, quindi finisce qui il rapporto con le amene letture a casa mia.
Io fuori sto. Da lettrice. 
Noto però con vero piacere e ammirazione che esistono famiglie in cui tutti leggono e scrivono, uno poi presenta e incensa l'altro, e nella felicità più assoluta stanno, avendo un libro per le mani. Il loro.
Evviva.
Felice per loro che non conosceranno mai i dispiaceri degli esiliati, degli esclusi, di chi legge per sopravvivere un testo al giorno e che non sia il suo o della proprio famiglia.
Leggersi la letteratura prodotta nelle stanze di casa propria deve dare quella soddisfazione spalmabile che prende a chi prepara le marmellate in estate, autunno e inverno. Fatta in casa meglio è. 
La marmellata. 
  

giovedì 18 agosto 2016

Piangere per la Siria. Ferragosto 2016



Laggiù nel Medio Oriente

come un bufalo impazzito

Sarà ricordata così questa epoca insanguinata di civili usati come soldati, di merce uccisa per far spazio alle armi.

Mi rende conto di non voler conoscere nulla da alcuni anni, da molti anni, e di aver spento audio e video sul mondo da troppo tempo. Al Jazeera era l'unica televisione che vedevo allora dopo aver spento ogni altra. E ora accendendo Tiscali vedo dal PC il volto in lacrime del giornalista denunciare la stessa impotenza che mi prese quando decisi di spegnere, solo che ora l'impotenza deve accendere una azione. Spegnere e accendere, sul mondo del male, delle armi, del capitale, della ricchezza e della infamia, spegnere e accendere nel mese delle ferie, del ferragosto di guerra.   
da Lettera 43 tutti i numeri della catastrofe: In cinque anni 470 mila morti. Il 45% della popolazione ha perso la propria casa. Quasi 5 milioni di profughi. L'Onu: «Ad Aleppo rischio di disastro umanitario». 
TG1 online:Il dramma dei civili in Siria. L'immagine di un bimbo estratto dalle macerie e messo in salvo su un'ambulanza diventa il simbolo della catastrofe ad Aleppo, colpita ripetutamente dagli attacchi aerei. Le Nazioni Unite sospendono la task force di aiuti umanitari. "Aiuti impossibili"
Aleppo: È patrimonio dell'umanità dell'UNESCO dal 1986.
Nell'anno 2006 Aleppo è stata la prima città a fregiarsi del titolo di "Capitale culturale del mondo islamico".
La cartina per situare un luogo geografico con i confini anch'essi insanguinati nel tempo: Libano, Israele, Giordania, Iraq, Turchia.
Il Medio Oriente. Abbiamo appeso la bandiera partigiana della nostra Palestina. Una Palestina che sia pace per tutti i popoli
 Laggiù nel Medio Oriente come un bufalo impazzito trionfa il pirata americano... (russo e cinese uguale è) era una canzone degli anni settanta, ora Il Disastro umanitario.
Ferragosto 2016 Siria, «Qui ad Aleppo i bambini non hanno più nulla da mangiare»: giornalista di Al Jazeera in lacrime in diretta.
Il reporter Milad Fadel stava raccontando la drammatica situazione nella città siriana sotto assedio ed è scoppiato a piangere. 
Laggiù nel Medio Oriente

 


mercoledì 17 agosto 2016

Sebastiano Lo Monaco Il berretto a sonagli

Togliere il berretto a sonagli della pazzia e... beeee
 A Lamezia Summertime 2016 commedia in esclusiva per la Calabria. 
Quando la rabbia acceca e la vendetta, sperata e invocata come libertà, diventerà una prigionia, questa in sintesi la traccia della rivisitazione teatrale di Sebastiano Lo Monaco, nel portare in scena il testo di Luigi Pirandello.

Noi non sappiamo quale strada prenderà una azione, e su questo non sapere, su questo mistero dovremmo stare sul ciglio della decisione ed alimentare il dubbio, sembra ci dica nel primo tempo l'attore e regista, che giocando coi toni della farsa, della commedia, si distacca dal testo quel poco che basti a inscenare un rapporto di complicità con il pubblico, nel patto di fiducia che si instaura fra spettatori e attore, un patto di affidamento e di partecipazione. Stiamo giocando, sembra che ci dica nel primo tempo il regista, e gli scappa da ridere su tutto un assetto, su tutto un prendersi troppo sul serio, che va dall'atteggiamento della moglie del cavalier Fiorica al sussiego del delegato Spanò, al moralismo della madre, fino allo stesso Ciampa, marito geloso eppur consapevole del tradimento, a cui sarà costretta, noi supponiamo, sebben perpetrato dalla moglie, donna tenuta sotto sale, come le sardine, chiusa con un catenaccio.
" Moglie, sardine ed acciughe: queste, sott'olio e sotto salamoja; la moglie, sotto chiave."
Tutto si regge fino a quel momento, sembra dicano nel primo tempo gli attori, se non prendiamo sul serio i propositi di verità. 
Pausa, primo atto.
Secondo atto. Pupi, tutti Pupi, nel dramma. Il puparo non sta sulla scena del berretto a sonagli. Non si vede e benché tutti ne parlino o ne subiscano sue prepotenze si rivolgono al suo indirizzo con sussiego. Sola a ribellarsi la moglie, non tanto per rivendicare una sua identità ma per desiderio di scoperchiare un inganno: La vanità della moglie di Ciampa che esibisce, alla finestra, i gioielli avuti in dono dal cavaliere e il regalo di una collana a pendagli che non vedremo.
Come nella vita, nella società civile e non, nel secondo atto la conclusione dell'azione va per strade sconosciute a chi l'ha voluto e assistiamo allo sconcerto, al rimescolar di carte, al terribile non ritorno delle conseguenze.

Il berretto a sonagli, commedia in due atti di Luigi Pirandello, fa parte della raccolta Maschere nude, analisi di una società civile che esiste se indossa una maschera, se ognuno dei partecipanti recita per bene il ruolo che gli viene assegnato, o quello che trova, o quello che viene imposto, nello spazio ristretto e asfittico della libertà personale. 

Alla fine, fra gli applausi finali, Sebastiano Lo Monaco ci intrattiene, ci trattiene con lui, quasi a voler ricominciare  la recita di un copione libero, un altro copione, il suo, sul suo vivere di teatro, un teatro sempre più difficile da far vivere e da viverci,  sui legami che si creano fra una compagnia teatrale e un luogo, un pubblico,  il piacere di tornare e voler ritornare ancora a Lamezia, la prima risata che unisce spettatori e attori in una complicità. 
Ogni dramma dissipa l'azione umana, svanisce al vento, e svanire è anche il mezzo con cui si vince o si perde, nel momento individuale e nel fatto sociale.  
Uno strumento da accordare giorno per giorno, il nostro ruolo con il contesto e risentiamo le parole di Ciampa mentre ci allontaniamo dai ruderi dell'abbazia benedettina, composti e meditabondi.
"La corda civile, signora. Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa.
La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. ‑ Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati.
 Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!" 
e "Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua
per davvero, tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità. Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d'ingozzare, che c'infràcidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! il non potere aprire la valvola della pazzia! Cominci, cominci a gridare!" Eh no...