domenica 7 luglio 2019

Maura Chiulli Nel nostro fuoco

"Sente il cuore accelerare e fermarsi. Sulla tempia, una vena pulsa e se ci appoggia sopra un dito la sente rigonfia di sangue. Le estremità del suo corpo si stanno addormentando e lo stomaco è come squarciato, diviso al centro in due parti. Vorrebbe convincersi della transitorietà del malessere, socchiude gli occhi e si dice di respirare. All'improvviso sente solo di dover riposare, di voler cadere in un sonno profondo. La città si consuma, brucia, corre ed è come se lui non esistesse. Non ha il coraggio di chiamare aiuto e si accorge che senza voce è invisibile. Non esiste perché non chiede, non soffre perché non grida. È davvero così che funziona? Davvero è necessaria la voce per dire? In quell'istante si rende conto di non aver mai provato neppure a esserci, di aver preferito la resa, di aver sempre approfittato dei vantaggi di una vita già scritta, già detta da altri."
Il racconto di Maura Chiulli ha lo stesso evolversi di una lingua di fuoco, si anima con l’ossigeno e comincia a bruciare, così come succede all'inizio di tutti i fuochi.
Il protagonista è Tommaso, e insieme a lui il fuoco. 
Il fuoco per esserci deve essere alimentato e subito dopo Tommaso ci racconta del suo incontro con la domatrice del fuoco. 
Un incontro importante, quanto lo è il fuoco nei quattro elementi base della filosofia dei presocratici: aria acqua fuoco e terra. 
Seguiamo Anassimene di Mileto e poi Empedocle e sapremo come leggere e mescolare gli elementi naturali nello svolgersi individuale e universale delle storie.
Elena è la donna fuoco che incendia e fa innamorare Tommaso, la donna che ha un modo di vivere col fuoco. Lo usa per il suo lavoro da donna drago nelle piazze. Una mangiafuoco di professione. 
Ed il fuoco incontra la terra di Tommaso, insieme daranno vita a Nina, aria e acqua, una bimba che avrà pezzi mancanti per essere autonoma. Sarà un esercizio durissimo dover essere responsabile della vita di Nina. 
" Inizio il mio esercizio per la vita. La mia permanenza nel mondo dipende da quanto in fretta ritorno a respirare da solo. Un treno di emozioni mi attraversa, senza fermate. Sono forte, sono vivo. Inspiro ed espiro, ricomincio e sono un bambino. Non sento le voci. Le ho uccise insieme ai serpenti. E ho attraversato una fiamma altissima. «Oggi pomeriggio esci».
L’andamento della scrittura non è tanto il raccontare ma il vivere dentro gli elementi, dentro il cuore consumato di Tommaso, dentro le pagine come se il lettore fosse un elemento in più. Il libro non è un romanzo, appartiene invece al diario, come se ogni pagina fosse la pagina carpita della scrittrice ai suoi protagonisti.
Un esercizio per la vita, imparare a respirare. 
Insieme all'invito ad uscire, ad andare a chiedere aiuto. 
Maura Chiulli Nel nostro fuoco
Ippolita Luzzo 

sabato 29 giugno 2019

Antonio Forcellino: Leonardo, ritratto di un genio. A palazzo con lo scrittore

Ed eccoci a Palazzo Nicotera, serata conclusiva di "A Palazzo con lo Scrittore", una rassegna ideata e diretta da Raffaele Gaetano.
Tre incontri con tre autori per far conoscere i palazzi storici di Lamezia Terme. 
Questa sera con noi Antonio Forcellino parlerà di Leonardo, ritratto di un genio.
Il genio dissipatore- potrei chiamare io, usando blasfemia, Leonardo Da Vinci. Stasera Forcellino ci ha regalato un Leonardo inedito, umano, indipendente e fermo nelle sue visioni, un conoscitore di zoologia e botanica, un uomo curioso e in attesa della rivelazione.
L’arte come rivelazione, come prova.
Cosa spingeva Leonardo a preparare feste e quindi fondali scenografici andati persi?
Cosa spingeva lui se non un desiderio di riscatto, potremmo noi banalmente dire ora con un termine preso dalla psicologia? Leonardo è un grande pittore, il più grande della sua epoca, il più grande fra grandissimi, Raffaello, Michelangelo, in un Rinascimento italiano, epoca d’oro dell’arte mondiale. 
Forcellino ci racconta Leonardo attraverso le fonti del tempo, gli scritti del Vasari e di Baldassarre Castiglione, Il Cortigiano, un Leonardo già trentenne che dipinge La Vergine delle rocce ammaliando tutti per l’uso nuovo della luce. La luce che rimbalza sui corpi e colpisce ancora altro con le tonalità diverse a secondo del colore del corpo. Un Leonardo capace di stare ore e ore davanti ad una sua opera in attesa della pennellata. 
Meditava? 
In quale luogo si rifugiava con la mente prima di vedere quello che avrebbe creato sulla tela? 
Nel suo capolavoro della Gioconda lui toglie, toglie la donna della buona borghesia che aveva fatto da modella, toglie ogni particolare che riporti a un solo personaggio e dona l’universale femminile, l’anima del sorriso, la dolcezza della umana pietà. 
Il sorriso enigmatico che sarà il più riprodotto, il più fotografato, il più visitato, diventando un’icona di genialità pittorica. Ed eccolo Leonardo, trasformato e usato dal fascismo e ora dagli americani, eccolo sfuggire ad ogni classificazione con il sorriso della Gioconda.
Dal Palazzo Nicotera stasera anche io col sorriso saluto e ringrazio  Antonio Forcellino e Raffaele Gaetano, la splendida padrona di casa Maria Luigia Cimino, e mi appresto a leggere il libro dedicato al genio dissipatore. 
Ippolita Luzzo   

L’ultimo caso dell’agente Evangelos Nicolas Verdan

Il romanzo come atto di resistenza
"Uscire, devo uscire dal libro, riprendere il racconto come voglio io, evitare di farmi coinvolgere dai ricordi degli altri. Devo parlare un’altra lingua, cambiare vocabolario. La mia missione è ripercorre le vite precedenti, spiare le vite degli altri, quelle delle persone che interrogo, di coloro che faccio sorvegliare."
L’ultimo caso dell’agente Evangelos di Nicolas Verdan, Nuova Editrice Berti Parma 2019, ha per protagonista l'agente Evangelos. 
Sembra il destino nel suo nome.
Io mi domando come mai sia arrivato da me.
Domanderò ad Evangelos.
Intanto ringrazio e leggo questo racconto avvincente che inizia col ritrovamento di una testa mozzata, con i passi che causeranno la decapitazione all'uomo che ci appare di passaggio in un parcheggio di Eros, un equivoco bordello.
Siamo in Grecia e siamo in questi tempi orribili di esodo, di invasioni di popoli che si spostano, di individui ai limiti di una sopravvivenza che fuggono e fuggono verso filo spinato, mare infido e muri altissimi.
 Dalla seconda lettera ai Corinzi: I pericoli. "Viaggi innumerevoli... pericoli nella città, nel deserto, sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli" Sarà stata sempre così la storia dell'uomo? me lo chiedo smarrita.
Il racconto affascina per aver dato vita ad ogni singolo gesto, alla stranezza della storia. Vi è quel senso di stupore che prende mentre tutto scompare davanti al protagonista che indaga certo su una testa mozzata ma indaga soprattutto su un filo spinato, su un muro che deve dividere popoli, storia, e il passato dal presente. Un romanzo poliziesco storico e insieme una tragedia classica con uno strano deus ex machina, un nonno di una bimba chiamata Vita.
 Il testo ha un senso del racconto molto amato. Lo scrittore ama ciò che scrive e noi con lui amiamo quella storia dove in tanti non raccontano più il passato ma stanno nello sperdimento del presente. Evangelos non ricorda oppure non racconta più ciò che è stato il suo passato.
Nessuno è sicuro più nemmeno dei ricordi. 
La storia ci viene incontro romanzata, la Grecia, Atene, i confini, chilometri di filo spinato che il governo greco vuole srotolare fra la Grecia e la Turchia. Un baluardo contro i migranti, un affare di 3, 5 milioni di euro.  
Un romanzo noir con la tensione giusta per far passare il messaggio. Una critica sociale.
Dice Nicolas Verdan a proposito del romanzo noir, in generale: "Le roman noir est pour moi un mode d’expression, une manière de mettre en tension le récit en faisant passer un message, affirme l’auteur. Mon livre est une critique sociale de la Suisse d’aujourd’hui et, en reprenant les codes du genre, je parviens à mieux témoigner d’une forme de violence". Forte di questa  convinzione, Nicolas Verdan ha aperto a Losanne nel 2015 una libreria antiquaria specializzata nel romanzo noir. Il suo nome: "Molly & Blum", da "Ulysse" di James Joyce.
 Per l'Italia Nicolas Verdan, L'ultimo caso dell'agente Evangelos è stato tradotto dal francese da Francesca Cosi e Alessandra Repossi che per questo volume hanno vinto una borsa di traduzione di ProHelvetia.
"Per cogliere il movimento ci vuole un’inquadratura fissa. Tendiamo a considerare le cose sempre dallo stesso punto di vista. Cercare di cambiarlo significa condannarli a rifiutare il cambiamento. Ma noi siamo governati dal cambiamento" pagina 25
Ringrazio la Nuova Editrice Berti di Parma che in questo 2019, confuso e fatto di muri e sbarre, abbia scelto di offrire una lettura di riflessione e di pathos. Il libro è un romanzo appassionante e noir, come nera è la storia del nostro tempo, di tutti i tempi.
In Litweb resistere è d'obbligo, con la lettura come atto di resistenza.
Ippolita Luzzo   



Nicolas Verdan

Nicolas Verdan è nato a Vevey nel 1971, da madre greca e padre svizzero. Ha lavorato quindici anni a Losanna per il quotidiano 24 Heures, prima di mettersi in proprio: propone tra l’altro dei seminari di scrittura. Il suo ultimo romanzo, Le Patient du docteur Hirschfeld, gli ha permesso di vincere il Premio del pubblico della RTS e il Premio Schiller del 2012. Nicolas Verdan vive a Chardonne.

mercoledì 26 giugno 2019

Recensione di Teodolinda Coltellaro su Pezzi dal Regno della Litweb

Teodolinda Coltellaro ha molto amato i miei pezzi e ieri a commento della recensione fatta in occasione della sua presentazione al MARCA con Anna Macrì dice:
I tuoi Pezzi sono lo specchio inquieto di una società che ha perso la capacità di autoanalisi, asservita alle deità' del tempo. Per fortuna ci sono i pensieri liberi come il tuo a restituirci la giusta misura del vero.

Pezzi di Ippolita Luzzo: quando un libro è una finestra sul mondo

"PEZZI dal Regno della Litweb",  è il titolo del recente libro della blogger lametina  Ippolita Luzzo, pubblicato per Città del Sole Edizioni, per cui  Letizia Cuzzola ha selezionato tra gli oltre mille post del suo blog scritti  nell'arco temporale che va dal 2012 al 2018, quelli che ne costituiscono la sua sostanza letteraria.

Dopo la riuscitissima presentazione in un luogo d’arte e di cultura come il  museo MARCA di Catanzaro nel mese  di gennaio scorso, dove  io stessa, col contributo  dell’attrice e scrittrice  Anna Macrì nonché della stessa autrice Ippolita,  ne ho delineato un excursus  analitico, il libro continua il suo percorso divulgativo riscuotendo ampi  consensi e attenzione dal pubblico e dalla critica letteraria,  è stato  presentato, sempre da me, nell'ambito  del “Fare critica festival”, a Lamezia Terme. Io l’ho letto con la fertile curiosità della scoperta, del “vediamo cosa propone la pagina dopo”, dell’indovinarne  il sorriso  caustico  nascosto tra le righe, insieme a  tutti gli aspetti  linguistici dirompenti di una scrittura  modulata per il web: creativa, breve, immediata che si offre ad una lettura altrettanto veloce da consumarsi nel giro di pochi minuti e in quella brevità incidere, graffiare, restare, ritornare, scavare, lentamente e in profondità.

E, leggendo, ho scoperto come, gioiosamente e con "grazia", ogni pezzo  evidenzi i limiti e i parossismi di un contesto ( "il testo ha bisogno di un contesto in cui enunciarsi"-E. Morin) fatto di complessità in cui si tessono, si intrecciano relazioni spesso segnate dal “minima moralia” dei nostri tempi, “dall’indigenza della spiritualità” o, più semplicemente,  dall'aridità o fecondità di valori che il singolo contesto comporta, laddove  ci si  può sfiorare senza incontrarsi, ciascuno perso nell’ insignificanza del proprio destino o nella solitudine di luoghi e cammini individuali.

Ho letto, nella consapevolezza che  il libro si possa, dopo una prima lettura, assumere anche per monodose, soffermandomi di più su alcuni testi, rileggendoli dunque, nella densità ed efficacia stilistica  del  linguaggio, per meglio assaporarne la vena ironica, dissacrante, l’analisi, a volte tagliente e senza mediazioni, del reale, del quotidiano con le aberrazioni e le discrasie che solo può cogliere e sagacemente restituire  chi nella parola scritta coltiva il pensiero libero, non asservito ad alcun potere, la libertà di  interpretare il mondo  affacciandovisi, come ad una finestra, da un blog che traduce la transitorietà e la frammentarietà  di un universo in costante mutazione, liquido, come è, per sua stessa natura, quello del web. E il suo blog, da cui il libro è, appunto, una ben articolata restituzione, è proprio una finestra sul mondo- come dalla citazione di Raffaele  La Capria- “  è un’identità forte , capace di includere in sé tutte le altre” .

Così, ogni pezzo del libro di Ippolita  può essere assimilato al singolo punto di un ologramma ognuno  dei quali  contiene il tutto – il mondo-  di cui fa parte e, nello stesso tempo, il tutto, ossia il mondo,  fa parte di ognuno di essi. Ne consegue che “ si deve  ricomporre il tutto per conoscere le parti” e “una finestra  aperta sul mondo” permette di farlo, nei singoli  frammenti, nei singolo “pezzi” che lo contengono. Il libro, quindi, è un territorio semantico in cui le parole, i pezzi raccontano, dicono dei  destini individuali e collettivi, della bellezza di un quadro, dell’armonia di un testo poetico e della dolorosa poesia del vivere, dell’emozione di un libro,  di uno spettacolo,  di un evento. Il libro sottrae i pezzi scritti da Ippolita alla dispersione del tempo, all'esasperante  velocizzazione dell’esistente, li preserva  così dai perversi meccanismi  di fagocitazione bulimica, di consumo senza memoria, imposti  dal divenire incessante del mondo globalizzato. I suoi pezzi vanno oltre la dimensione liquida dell’eterno presente, sollecitando il pensiero a percorsi  interpretativi più profondi che non si esauriscono nel “qui ed ora”. È per questo che, laddove Ippolita  ne promette la pubblicazione postuma, la traduzione cartacea dei suoi “Pezzi”, il suo libro insomma, diventa  non già l’apparente nemesi dei suoi intenti contraddetti, ma  la  possibilità preziosa di ripensare il presente e il contesto  e di  riflettere  sul nostro futuro che si annuncia più povero e fragile allorché il nostro  vissuto si dissolve nella dimensione virtuale dell’esistere.

Teodolinda Coltellaro






"Teodolinda Coltellaro, fa parte del Comitato Scientifico del Marca, ed  è, forse, la sola in Calabria che svolge 
un'intensa  attività  critica collaborando con quotidiani, riviste e periodici di Arte contemporanea e con musei nazionali ed internazionali,  lavoro  documentato presso l’ archivio storico della Quadriennale nazionale di Roma. La sua attenzione è rivolta alla cura di cataloghi e mostre allestite sia in Italia che all'estero." 

domenica 23 giugno 2019

La filosofia del cazzo: Forma e contenuto

"Tante persone se ne sbattono un cazzo" con questa chiusa finisce il suo intervento a Trame, Festival dei libri sulle mafie, lo Chef Rubio, Gabriele Rubini, nell'intervista condotta da Gaetano Savatteri nella Piazzetta San Domenico all'ora del maggiore ascolto. 
Il pubblico è quello delle occasioni pubbliche molto ben pubblicizzate e televisive, dunque ben disposto a sentire "cazzi" disseminati qui e là come florilegi. 
Lui è un fenomeno social, televisivo, un personaggio molto conosciuto. Per me è la prima volta che lo ascolto e che lo vedo, dunque lo conosco solo attraverso ciò che ci sta dicendo dal palco. Nel presentarsi, o almeno dalle sue parole, vengo a sapere che lui stava in Nuova Zelanda a giocare a rugby, poi, rientrato in Italia, ha iniziato la carriera di chef, prima però ha fatto tre anni di università e non diede nemmeno un esame. 
Questa sera presenta un video, un documentario prodotto da lui, da una sua società, suppongo.
 Fra le cose dette alcune sembrano di buon senso, il suo stare vicino alla vita in carcere e alle comunità Rom, il suo farsi carico di alcune istanze sociali, tanto che Savatteri rischia la domanda se lui, lo chef, sia di sinistra. 
Rubio risponde che lui sarebbe anarchico, alla Pinelli aggiunge, ed intanto si affretta a sconfessare subito dopo, rivolgendosi rassicurante alle forze dell'ordine e affermando di essere ben conscio dell'importanza dello Stato e delle regole.
Tutto quindi a posto.
 Nel suo discorso i cazzi non hanno il contenuto eversivo della parolaccia contro un sistema ma vengono elargiti, destrutturati, come modo di pensare un po' alla cazzo. 
Forma e contenuto divergono.
Vedo ciondolare, nelle suo dire, tanti cazzi, privi della appendice corporea, e mi chiedo perché questa grande impostura venga spacciata per un pensiero da applaudire. 
Facciamo prima a disgustarci ma mi accorgo di essere la sola ad esserlo, non tanto per i cazzi, che ormai flosci e inutili  mi fanno anche tenerezza, ma per quanto sia stato pericolosamente ingannevole un ragionare siffatto. 

Ippolita Luzzo 

mercoledì 12 giugno 2019

Il vuoto di Serena Penni

Risalgo alla prima lettura e alle prime sensazioni e cerco le tracce che avevo compulsivamente raccolto su una storia di relazione molto singolare, singolare nel senso di appartenere a una singola persona. Quelle relazioni asfittiche che finiscono in matrimoni:": Non riuscivo a rinunciare ad un sogno che per un tempo molto breve, eppure significativo, mi era parso realizzabile. Ora lo capisco: neppure io amavo Francesco, infatti non soffrivo davvero per le sue assenze. Mi piaceva, lo trovavo bello e, le rare volte in cui comunicava con me in modo sereno, anche simpatico, ma mi aveva delusa e l’amore era passato alla svelta. Però ero convinta di amarlo e questo bastava. Soffrivo per la solitudine e la disillusione."
Leggo in modo compulsivo il 14 maggio alle ore 13:52 la testimonianza di lui, e credo ci siano due colpevoli in un matrimonio, visto che a siglare il contratto sono in due i protagonisti  "Dopo il matrimonio, visto che con mia moglie per lo più mi annoiavo, iniziai quasi subito ad andare in giro per conto mio. Con la scusa di fermarmi con dei colleghi di lavoro o con gli amici del tennis dopo una partita, finiva che non cenavo quasi mai con Ilenia."
 Il vuoto matrimoniale raccontato a due voci, da parte di lei e da parte di lui, il vuoto matrimoniale "allietato", si fa per dire, dalla nascita di un figlio. Lei ce lo confida e noi non possiamo aiutarla a salvarsi da quella prigione, Vorremmo dirle di scappare, di andare via, vorremmo offrirle asilo, ma nessuno può aiutare un altro e tanto meno noi lettori possiamo.   
" Sono sempre stata sola. Ma la solitudine più grande della mia vita credo di averla sentita nei giorni in cui allattavo Paolino: ero chiusa in casa come in una tomba. Faceva troppo caldo per uscire, e io non avevo forze. Dal mio corpo uscivano lacrime, latte e sudore, più o meno in uguale quantità. Ascoltavo i rumori della strada: il clacson di un’automobile, un motorino, una discussione animata."
 e lei continua a chiederci aiuto, in una dipendenza ormai letale "Non so come, Francesco mi ha fatto il vuoto intorno. All'inizio è successo perché mi ha dato l’illusione di riempire lui tutti i miei spazi: era coinvolgente, travolgente, direi addirittura totalizzante. Poi le cose hanno preso il loro corso: un bel giorno mi sono svegliata e mi sono resa conto che avrei voluto chiamare il tale o il tal altro amico per bere qualcosa, per andare insieme a vedere un film, per fare una passeggiata, ma erano passati mesi, forse anni dall'ultima volta" ed eccoci qui, noi lettori, a sentire tutta la partecipazione ricordando simili situazioni e vedendo ancora oggi alcune e alcuni stretti e soffocati in un matrimonio assassino.  "Riesci a universalizzare situazioni individuali", ho scritto da subito a Serena Penni e riconosco in lei la grande abilità di aver saputo mettere su carta una follia a due chiamata matrimonio: Il vuoto. 
Un titolo che è già una epigrafe su anni ed esistenze sciupate a rincorrere sentimenti strazianti. Nel delirio di entrambi i protagonisti noi siamo collusi e guardiamo come un film, come se fosse troppo per essere vero, come se non fosse possibile eppure lo è, perché questo non è solo un romanzo ma una cronaca fedele di moltissime relazioni, chiamiamole amorose, come le chiama la stampa. 
Serena è riuscita ad entrare nei pensieri di entrambi e a donarceli così come si sono presentati, così come hanno vissuto, così come sono precipitati giù nelle delusioni della vita.
Una grande sensibilità la sua, con gli applausi del Regno della Litweb

Ippolita Luzzo  

Dolor y Gloria di Almodovar

Film presentato a Cannes. Non ha vinto ma è come se avesse vinto. Ho riso moltissimo già dall'inizio quando ci enumera i malanni con cui convive e che tanto cambiano il corso del suo vivere, ho continuato a ridere quando lui ci racconta come sia diventato un grande regista anche se totalmente ignorante in storia e geografia perché doveva cantare nel coro del prete al seminario. 
Da regista aveva imparato la geografia viaggiando per presentare i suoi film. Ho continuato a sorridere felice alle scene coloratissime delle donne al fiume a lavare i panni e stendere le lenzuola mentre cantavano e ballavano quasi sotto gli occhi del ragazzino che era stato.

Ridendo ho seguito il suo vivere stanco e senza più mordente benché il gioco prendesse la mano e si facesse quasi unico filo conduttore per unire attori alla trama. Così il legame con l’attore del suo film di trent'anni prima, interrotto allora bruscamente ritorna di nuovo a riprendere la via del litigio, di nuovo, per poi approdare ad una nuova collaborazione.
 E tutto si incastra pacificamente, con garbo, in un dipinto che riporta l’infanzia, il primo amore, il primo desiderio, lo chiama il regista che trasforma in un film il suo ritrovamento casuale. 
A me rimane quella battuta iniziale: Se ho molto mali credo in Dio, se ne ho uno solo sono ateo 

Ippolita Luzzo