Risalgo alla prima lettura e alle prime sensazioni e cerco le tracce che avevo compulsivamente raccolto su una storia di relazione molto singolare, singolare nel senso di appartenere a una singola persona. Quelle relazioni asfittiche che finiscono in matrimoni:": Non riuscivo a rinunciare ad un sogno che per un tempo molto breve, eppure significativo, mi era parso realizzabile. Ora lo capisco: neppure io amavo Francesco, infatti non soffrivo davvero per le sue assenze. Mi piaceva, lo trovavo bello e, le rare volte in cui comunicava con me in modo sereno, anche simpatico, ma mi aveva delusa e l’amore era passato alla svelta. Però ero convinta di amarlo e questo bastava. Soffrivo per la solitudine e la disillusione."
Leggo in modo compulsivo il 14 maggio alle ore 13:52 la testimonianza di lui, e credo ci siano due colpevoli in un matrimonio, visto che a siglare il contratto sono in due i protagonisti "Dopo il matrimonio, visto che con mia moglie per lo più mi annoiavo, iniziai quasi subito ad andare in giro per conto mio. Con la scusa di fermarmi con dei colleghi di lavoro o con gli amici del tennis dopo una partita, finiva che non cenavo quasi mai con Ilenia."
Il vuoto matrimoniale raccontato a due voci, da parte di lei e da parte di lui, il vuoto matrimoniale "allietato", si fa per dire, dalla nascita di un figlio. Lei ce lo confida e noi non possiamo aiutarla a salvarsi da quella prigione, Vorremmo dirle di scappare, di andare via, vorremmo offrirle asilo, ma nessuno può aiutare un altro e tanto meno noi lettori possiamo.
" Sono sempre stata sola. Ma la solitudine più grande della mia vita credo di averla sentita nei giorni in cui allattavo Paolino: ero chiusa in casa come in una tomba. Faceva troppo caldo per uscire, e io non avevo forze. Dal mio corpo uscivano lacrime, latte e sudore, più o meno in uguale quantità. Ascoltavo i rumori della strada: il clacson di un’automobile, un motorino, una discussione animata."
e lei continua a chiederci aiuto, in una dipendenza ormai letale "Non so come, Francesco mi ha fatto il vuoto intorno. All'inizio è successo perché mi ha dato l’illusione di riempire lui tutti i miei spazi: era coinvolgente, travolgente, direi addirittura totalizzante. Poi le cose hanno preso il loro corso: un bel giorno mi sono svegliata e mi sono resa conto che avrei voluto chiamare il tale o il tal altro amico per bere qualcosa, per andare insieme a vedere un film, per fare una passeggiata, ma erano passati mesi, forse anni dall'ultima volta" ed eccoci qui, noi lettori, a sentire tutta la partecipazione ricordando simili situazioni e vedendo ancora oggi alcune e alcuni stretti e soffocati in un matrimonio assassino. "Riesci a universalizzare situazioni individuali", ho scritto da subito a Serena Penni e riconosco in lei la grande abilità di aver saputo mettere su carta una follia a due chiamata matrimonio: Il vuoto.
Un titolo che è già una epigrafe su anni ed esistenze sciupate a rincorrere sentimenti strazianti. Nel delirio di entrambi i protagonisti noi siamo collusi e guardiamo come un film, come se fosse troppo per essere vero, come se non fosse possibile eppure lo è, perché questo non è solo un romanzo ma una cronaca fedele di moltissime relazioni, chiamiamole amorose, come le chiama la stampa.
Serena è riuscita ad entrare nei pensieri di entrambi e a donarceli così come si sono presentati, così come hanno vissuto, così come sono precipitati giù nelle delusioni della vita.
Una grande sensibilità la sua, con gli applausi del Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
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