L'ultima diva, nel romanzo di Vito, è la memoria. Ciò che noi facciamo con la memoria, cosa raccontiamo e come quando vogliamo essere ricordati, cosa vogliamo ricordare e tutte le trasformazioni con cui rielaboriamo i fatti. La memoria ultima dea.
In Foscolo era la spes, la speranza, ultima dea, qui, nel libro di Vito è la memoria.
Una memoria circolare che ritorna spesso su alcuni dettagli. Sono infatti i dettagli a dare le epifanie, le rivelazioni.
Un affresco a pennellate ripetute, questo il libro di Vito, originale e inusuale, una spennellata sulla memoria dimenticata attraverso un pretesto immaginifico e cinematografico, la biografia di una diva del cinema ormai ritiratasi a vita privata.
"Una volta ho chiesto a Molly Buck quale fosse il criterio di selezione più adatto quando si deve ricostruire una storia. "Non ha senso raccontare quegli anni" mi rispose, riferendosi agli inizi "perché sono uguali a quelli di tutti. Ferma una qualunque persona per strada e ti dirà le cose che potrei dirti io, solo vaneggiando vagamente sui dettagli, ma la solfa rimane sempre la stessa" Dettagli, cantava Ornella Vanoni, nel 1973 con un testo di Bruno Lauzi e musiche di Roberto Carlos
"È inutile tentare di dimenticare per molto tempo ancora nella vita dovrai cercare dettagli così piccoli che tu non sei ancora pronto per capire ma che comunque contano per dire chi siamo noi" e Flaiano scriveva che nella vita sono due o tre i giorni importanti a costruire una vita, gli altri servono a far volume.
Dettagli.
Mentre il biografo raccoglie i dettagli della vita di Molly si accorge di stare a raccogliere i suoi dettagli e dare un nome alle cose fino ad allora successe. Gli anni di Annie Arnaux, il lungo elenco, gli anni, il 1974, 75, 76, 77. Scrivo pensando a quegli anni. Ricordando di quegli anni gli errori e gli orrori, non salvando quasi nulla se non la musica, una musica interiore di curiosità, di studio e di letture. Eppure nel fascinoso gioco del tempo, nella fretta e nell'ansia di perdere gli anni, Molly rivela grandi momenti di saggezza:"La verità è che tutta quella fretta non è altro che paura. Paura di perdere quel treno che passa una sola volta, paura di arrivare a trent'anni e di non piacersi quando ci si guarda allo specchio"
Scrivo sentendo Lucio Dalla del 1988 e mi rendo conto di fare altra lista di canzoni da aggiungere a questo rapinoso racconto sulla memoria. D'altronde la memoria è una rapina, un furto che noi facciamo al tempo sottraendo all'oblio alcuni dettagli
"ah felicità su quale treno della notte viaggerai lo so che passerai ma come sempre in fretta non ti fermi mai"
La meraviglia che Vito ci regala, con questo romanzo, aleggerà stupefatta sui giorni che scorrono, raccogliendo per noi le foglie, il foglio che vorremo conservare per dire chi siamo. La vita è un giorno, ho spesso scritto e quel giorno non si dimentica. Possiamo dimenticare tutto ciò che avevamo deciso di ricordare a perfezione ma il punto di fuga dal tempo che fugge dobbiamo conservarlo. Questo sembra a me la bellezza e la grande lezione del racconto di Vito, che fa una lezione senza voler farla, non è questo il suo intento. Cos'è che rimane a raccontare? Si chiede. Dovrei trascrivervi interamente pagina 195 e 196 del libro per dirvi l'importanza delle riflessioni lette, l'ingiustizia senza riscatto, la disumanità estrema della poca attenzione a cui molti guardano ai dettagli, e il cercare nell'affetto un rifugio da questa ingiustizia. Anche l'affetto ha mille sfumature e stamani anche io, avvinta da affetto verso l'autore, Vito di Battista, verso Giuseppe Girimonti che ringrazio per la grande amicizia e stima con cui mi propone da leggere libri come tesori da scoprire, anche io scrivo per sfuggire alla disumanità estrema della poca attenzione.
L'ultima diva dice addio ma non per ora, ora l'ultima diva ci accompagna verso altro, salutando noi amici di lettura, verso i tanti altri racconti che Vito ci regalerà, facendoci entrare nella Firenze che luccica, in piazza della Repubblica con quell'arco che si finge un po' Parigi e le insegne delle Giubbe Rosse su di un lato.
Con il regno della Litweb accanto
Ippolita Luzzo
Vito di Battista è nato nel 1986 in un paese d’Abruzzo a trecento gradini sul mare. Ha vissuto a Firenze, dove si è laureato in Italianistica scegliendo una tesi su Romain Gary, Tarjei Vesaas e J.M. Barrie. Si è poi trasferito a Bologna, dove la stessa sorte è toccata a Ted Hughes, Sylvia Plath e Hart Crane.
Collabora con la rivista letteraria «Nuovi Argomenti» e ha pubblicato il romanzo L’ultima diva dice addio per SEM – Società Editrice Milanese.
Dal 2016 lavora come editor e agente dei diritti esteri presso l’agenzia letteraria Otago e organizza il festival letterario Garp Under 30.
Ha maturato esperienza nella progettazione di una nuova startup in ambito creativo-culturale partecipando al percorso personalizzato Fare Impresa.
Lo mandano in crisi le riduzioni ai minimi termini, soprattutto quando hanno a che fare con le biografie
mercoledì 18 luglio 2018
lunedì 16 luglio 2018
Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici di Giuseppe Muraca
L'atto d'amore verso i Quaderni Piacentini, verso quegli anni di grande vivacità intellettuale.
Giuseppe Muraca incontra nei primi anni settanta, come me, come quelli di una generazione entusiasta, le poesie di Franco Fortini, i Quaderni Piacentini dove scriveva Fortini, e decide, alla chiusura della rivista, di scrivere una monografia sui Quaderni.
Incontra Piergiorgio Bellocchio, editore-amministratore della rivista e da lui avrà i numeri mancanti. Vi sono in questo libro una raccolta di articoli di Giuseppe Muraca su quegli anni, su quella rivista, su cosa è avvenuto dopo.
Nel 1962 nascono i Quaderni Piacentini e nel 1966 si aggiunse a Goffredo Fofi. Grazia Cherchi c'era già.
Per quasi un ventennio Bellocchio si è dedicato alla preparazione e diffusione della rivista, portando in Italia la conoscenza dei pensatori francofortesi, Adorno, Benjamin, Marcuse, e poi via via Brecht, Fanon, Don Milani.
Quegli anni sessanta, dal movimento studentesco alla sua parabola, saranno seguiti sulla rivista con attenzione.
Nel 1985 Piergiorgio Bellocchio darà vita ad una nuova rivista, Diario, un lavoro appartato.
Man mano che il tempo sgretolava certezze e volontà Bellocchio è diventato un "invisibile", per scelta, per dissenso al pensiero dominante.
Qui ho con me "Scompartimento per lettori taciturni" di Grazia Cherchi con la prefazione di Bellocchio del 1997.
Nel 2007 Bellocchio pubblica Al di sotto della mischia, il silenzio come lotta. Dagli anni sessanta al duemila la sparizione di ogni idea diventa sempre più impietosa e nel libro Dalla parte del torto Bellocchio raccoglierà l'esperienza e gli articoli tenuti sul Diario. Il mondo è diventato un immenso parco divertimenti, gli unici valori che contano sono:"grinta, piaceri, efficienza, soldi, successo" Assuefazione sembra la parola per descrivere questi tempi sguaiati, così li chiamo io. Nell'ultimo libro di Bellocchio vi è uno scrittore disincantato, dolente e sconsolato.
Abbiamo incontrato Goffedro Fofi a Cropani un anno fa e in lui vi era rabbia, rabbia che ora sarà maggiore con la chiusura delLo Straniero, la rivista da lui creata.
"È impossibile- dirà Grazia Cherchi in Fatiche d'amore perduto- non prendere atto che è sparito, si è perso tutto quello in cui credevamo, che amavamo. Non credo a un progetto che oggi ci possa unire. Un gruppo c'è soltanto se c'è una battaglia politica, anche in senso lato"
Il libro di Giuseppe Muraca ci racconta un periodo lungo e breve.
La storia, diceva Braudel, ha fenomeni di lunga durata la longue durée."Questi emergono alla vista storica nella misura in cui seguiamo il loro tempo, senza imporgli le categorie temporali delle nostre provvisorie immagini di mondo, nella misura un cui seguiamo il territorio e non le mappe. Da qui, la differenza tra rivoluzione ed emancipazione, breve e superficiale la prima, lenta e profonda la seconda, legata alla mappa che disegna il capitalismo la prima, legata alla mappa che disegna la gerarchia la seconda."
Aver perso o meno non sarà il tempo umano, relativo agli anni di una esistenza, a poter dirlo.
Seguo il libro di Giuseppe Muraca come un amico in più, seguo questi anni dal luogo dove sto e dove mi giungono libri su libri, alcuni parlanti, come questo, altri sempre più conformi agli usi e costumi del tempo effimero in corso. Nel parlare e nel proporre etica e scelta vicini a questo libro mi piace ricordare Filippo La Porta Il Bene e Gli Altri, Alessandro Leogrande La Frontiera e guardare sempre verso la lunga frontiera della storia.
Ippolita Luzzo
Giuseppe Muraca incontra nei primi anni settanta, come me, come quelli di una generazione entusiasta, le poesie di Franco Fortini, i Quaderni Piacentini dove scriveva Fortini, e decide, alla chiusura della rivista, di scrivere una monografia sui Quaderni.
Incontra Piergiorgio Bellocchio, editore-amministratore della rivista e da lui avrà i numeri mancanti. Vi sono in questo libro una raccolta di articoli di Giuseppe Muraca su quegli anni, su quella rivista, su cosa è avvenuto dopo.
Nel 1962 nascono i Quaderni Piacentini e nel 1966 si aggiunse a Goffredo Fofi. Grazia Cherchi c'era già.
Per quasi un ventennio Bellocchio si è dedicato alla preparazione e diffusione della rivista, portando in Italia la conoscenza dei pensatori francofortesi, Adorno, Benjamin, Marcuse, e poi via via Brecht, Fanon, Don Milani.
Quegli anni sessanta, dal movimento studentesco alla sua parabola, saranno seguiti sulla rivista con attenzione.
Nel 1985 Piergiorgio Bellocchio darà vita ad una nuova rivista, Diario, un lavoro appartato.
Man mano che il tempo sgretolava certezze e volontà Bellocchio è diventato un "invisibile", per scelta, per dissenso al pensiero dominante.
Qui ho con me "Scompartimento per lettori taciturni" di Grazia Cherchi con la prefazione di Bellocchio del 1997.
Nel 2007 Bellocchio pubblica Al di sotto della mischia, il silenzio come lotta. Dagli anni sessanta al duemila la sparizione di ogni idea diventa sempre più impietosa e nel libro Dalla parte del torto Bellocchio raccoglierà l'esperienza e gli articoli tenuti sul Diario. Il mondo è diventato un immenso parco divertimenti, gli unici valori che contano sono:"grinta, piaceri, efficienza, soldi, successo" Assuefazione sembra la parola per descrivere questi tempi sguaiati, così li chiamo io. Nell'ultimo libro di Bellocchio vi è uno scrittore disincantato, dolente e sconsolato.
Abbiamo incontrato Goffedro Fofi a Cropani un anno fa e in lui vi era rabbia, rabbia che ora sarà maggiore con la chiusura delLo Straniero, la rivista da lui creata.
"È impossibile- dirà Grazia Cherchi in Fatiche d'amore perduto- non prendere atto che è sparito, si è perso tutto quello in cui credevamo, che amavamo. Non credo a un progetto che oggi ci possa unire. Un gruppo c'è soltanto se c'è una battaglia politica, anche in senso lato"
Il libro di Giuseppe Muraca ci racconta un periodo lungo e breve.
La storia, diceva Braudel, ha fenomeni di lunga durata la longue durée."Questi emergono alla vista storica nella misura in cui seguiamo il loro tempo, senza imporgli le categorie temporali delle nostre provvisorie immagini di mondo, nella misura un cui seguiamo il territorio e non le mappe. Da qui, la differenza tra rivoluzione ed emancipazione, breve e superficiale la prima, lenta e profonda la seconda, legata alla mappa che disegna il capitalismo la prima, legata alla mappa che disegna la gerarchia la seconda."
Aver perso o meno non sarà il tempo umano, relativo agli anni di una esistenza, a poter dirlo.
Seguo il libro di Giuseppe Muraca come un amico in più, seguo questi anni dal luogo dove sto e dove mi giungono libri su libri, alcuni parlanti, come questo, altri sempre più conformi agli usi e costumi del tempo effimero in corso. Nel parlare e nel proporre etica e scelta vicini a questo libro mi piace ricordare Filippo La Porta Il Bene e Gli Altri, Alessandro Leogrande La Frontiera e guardare sempre verso la lunga frontiera della storia.
Ippolita Luzzo
giovedì 12 luglio 2018
Cetti Curfino Una lunga Lettera di Massimo Maugeri
Cetti Curfino è una donna di una bellezza ferale.
In questo modo Andrea Coriano, il giornalista la descrive.
Cetti in questo modo appare a Massimo Maugeri, quel giorno in cui lui scriverà il racconto dal quale è stato tratto il monologo teatrale Ratpus. Forma errata per raptus, detto da Cetti per dire come mai abbia ucciso.
Nel 2014 il giorno 8 marzo, a Catania va in scena Ratpus un racconto contenuto nella raccolta Viaggio all’alba del millennio (edita da Perdisa Pop). Ne abbiamo parlato anche l'anno scorso a Vibo.
Una lunga lettera attraversa il monologo e una lunga lettera continua a fare Cetti Curfino a Massimo Maugeri spingendolo a scrivere ancora di lei, prepotentemente.
La lettera sarà il filo conduttore del romanzo, attraverserà tutti i momenti e dirà al mondo che non le rispose mai, alla maniera di Emily Dickinson, la sua verità.
Un romanzo che ci farà entrare nelle carceri femminili, e qui non posso non ricordare Rocco Carbone che insegnava a Rebibbia nel carcere femminile, non posso non portare con me "Libera i miei nemici di Rocco"
Come Cetti anche Rocco ha abitato casa mia, da anni, da quando ho saputo da Romana Petri quanto lui fosse bravo.
Un nostro grande scrittore di cui questo anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa.
Ci sono personaggi inventati o no che vivono e ci chiedono testimonianza come Cetti a Massimo.
In questo modo Andrea Coriano, il giornalista la descrive.
Cetti in questo modo appare a Massimo Maugeri, quel giorno in cui lui scriverà il racconto dal quale è stato tratto il monologo teatrale Ratpus. Forma errata per raptus, detto da Cetti per dire come mai abbia ucciso.
Nel 2014 il giorno 8 marzo, a Catania va in scena Ratpus un racconto contenuto nella raccolta Viaggio all’alba del millennio (edita da Perdisa Pop). Ne abbiamo parlato anche l'anno scorso a Vibo.
Una lunga lettera attraversa il monologo e una lunga lettera continua a fare Cetti Curfino a Massimo Maugeri spingendolo a scrivere ancora di lei, prepotentemente.
La lettera sarà il filo conduttore del romanzo, attraverserà tutti i momenti e dirà al mondo che non le rispose mai, alla maniera di Emily Dickinson, la sua verità.
Un romanzo che ci farà entrare nelle carceri femminili, e qui non posso non ricordare Rocco Carbone che insegnava a Rebibbia nel carcere femminile, non posso non portare con me "Libera i miei nemici di Rocco"
Come Cetti anche Rocco ha abitato casa mia, da anni, da quando ho saputo da Romana Petri quanto lui fosse bravo.
Un nostro grande scrittore di cui questo anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa.
Ci sono personaggi inventati o no che vivono e ci chiedono testimonianza come Cetti a Massimo.
lunedì 9 luglio 2018
Tutte le cose
Tutte le cose 17 ottobre 2011
Tutte le cose hanno un principio e una fine in questo misero mondo anche quelle che non iniziano…
muoiono,
all'alba grigia di un divenire.
La prima parte della frase era proverbiale a casa mia, sempre ripetuta, col commento scherzoso della reazione della cugina di mia mamma nel ricevere la lettera del fidanzato che, appunto con quella frase, chiudeva il legame, la lasciava.
Lei fece in mille pezzi la lettera e disse tante parolacce, così raccontano, poi seccata se ne andò ad insegnare a Merano dove sposò l’uomo più buono che noi avessimo conosciuto.
Un uomo che lei comandò aspramente, forse facendo scontare a lui il rifiuto del suo primo amore. Lui, dolcissimo, la adorava
Lei, malgrado le sue stranezze, le sue uscite spiazzanti, corrosive, era benvoluta da tutto il parentado, era così, "sprudente" -diceva la mia mamma.
Credo invece che questa mia zia sia stata una donna pratica e non si sia fatta comandare da nessuno e che abbia attraversato fascismo e guerra con la freschezza della sincerità ed abbia anticipato movimenti e ideologie con una semplicità disarmante.
Quasi tutte le altre donne, compresa la sorella, rimasero ingabbiate in rapporti subiti, dolorosamente distruttivi, ed a nulla valse loro una laurea, un insegnamento o una abnegazione costante ma rimasero stritolate da uomini incapaci, fannulloni e prepotenti e concludono ora una vita con l’amarezza di averla malamente sciupata.
Guardo mia mamma e la sorella di mia zia, guardo queste donne ottantenni, capaci, intelligenti, che hanno allevato figli, hanno insegnato eppure ingabbiate.
A mamma non è stato concesso nemmeno di terminare l’ultimo anno di scuola superiore ed ha trascorso la sua vita sognando di insegnare.
Guardo queste donne che non vogliono parlare più, che vogliono solo dimenticare lo sciupio delle loro capacità e ne provo una pena infinita.
L’autunno porta sempre insieme alle foglie rosse degli alberi il crepuscolo,il freddo improvviso, il coprirsi e riflettere con li calore rubato alle piume d’oca.
L’autunno perché
ed ora non c’è che
una pena infinita
Ippolita
Tutte le cose hanno un principio e una fine in questo misero mondo anche quelle che non iniziano…
muoiono,
all'alba grigia di un divenire.
La prima parte della frase era proverbiale a casa mia, sempre ripetuta, col commento scherzoso della reazione della cugina di mia mamma nel ricevere la lettera del fidanzato che, appunto con quella frase, chiudeva il legame, la lasciava.
Lei fece in mille pezzi la lettera e disse tante parolacce, così raccontano, poi seccata se ne andò ad insegnare a Merano dove sposò l’uomo più buono che noi avessimo conosciuto.
Un uomo che lei comandò aspramente, forse facendo scontare a lui il rifiuto del suo primo amore. Lui, dolcissimo, la adorava
Lei, malgrado le sue stranezze, le sue uscite spiazzanti, corrosive, era benvoluta da tutto il parentado, era così, "sprudente" -diceva la mia mamma.
Credo invece che questa mia zia sia stata una donna pratica e non si sia fatta comandare da nessuno e che abbia attraversato fascismo e guerra con la freschezza della sincerità ed abbia anticipato movimenti e ideologie con una semplicità disarmante.
Quasi tutte le altre donne, compresa la sorella, rimasero ingabbiate in rapporti subiti, dolorosamente distruttivi, ed a nulla valse loro una laurea, un insegnamento o una abnegazione costante ma rimasero stritolate da uomini incapaci, fannulloni e prepotenti e concludono ora una vita con l’amarezza di averla malamente sciupata.
Guardo mia mamma e la sorella di mia zia, guardo queste donne ottantenni, capaci, intelligenti, che hanno allevato figli, hanno insegnato eppure ingabbiate.
A mamma non è stato concesso nemmeno di terminare l’ultimo anno di scuola superiore ed ha trascorso la sua vita sognando di insegnare.
Guardo queste donne che non vogliono parlare più, che vogliono solo dimenticare lo sciupio delle loro capacità e ne provo una pena infinita.
L’autunno porta sempre insieme alle foglie rosse degli alberi il crepuscolo,il freddo improvviso, il coprirsi e riflettere con li calore rubato alle piume d’oca.
L’autunno perché
ed ora non c’è che
una pena infinita
Ippolita
mercoledì 27 giugno 2018
L'efebo di Mozia
L’efebo di Mozia nel maggio 2011
29 maggio a Mozia. All'imbarcadero saliamo, il mare è piatto, una laguna, la laguna dello Stagnone. I pescatori sembra che ti diano un passaggio sulle loro chiatte, addirittura in tempi recenti un carretto trainato da un cavallo percorreva il tracciato della strada fenicia che collegava l’isola alla città di Marsala. Solo sei stadi la distanza fra l’isola e la costa. Qui i fenici tessevano le stoffe e le tingevano di rosso con la porpora, Mozia-filanda, l’isola era una filanda, qui i commerci erano lucrosi, arrivavano, compravano, ripartivano i mercanti, prima che le guerre e le rivalità portassero morte e distruzione. Agli inizi del novecento l’intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo, erede di una famiglia inglese arricchitasi con la produzione e la vendita del Marsala e dal 1971 l’isola è stata donata dalla figlia Delia alla fondazione che porta il nome del papà. Nella loro casa vi è ora il museo dell’isola ed in una stanza abita lui, da solo. L’efebo, la statua ritrovata nel 1970 coperta da detriti nella zona kappa, giaceva in quel luogo probabilmente dal momento in cui l’intolleranza religiosa decapitò teste vere e simboli di altre religioni. Non so chi sia, se il dio punico Melquart oppure Nikomachos, uno splendido atleta, un auriga alla guida del suo cocchio direttamente Apollo, o soltanto un bellissimo ragazzo molto amato dallo scultore, chissà. L’emozione di aver ritrovato l’efebo, nel suo peplo plissettato, nel suo nuovo e integro corpo, ricomposto, malgrado la decapitazione, malgrado il seppellimento, malgrado l’incuria degli uomini, era fortissima. L’efebo ora era davanti a me, aveva attraversato i secoli, sempre bellissimo, elegante, divino, è diventato il simbolo dei giochi olimpici della città di Atene ,dei giochi invernali di Torino. Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio, forse dedicato a lui, ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, che la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. La sua postura leggermente sensuale stordiva un po', il movimento del suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla, come se reggesse un’elsa, increspava le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, spostava leggermente il suo baricentro. Sinuoso, ma fermo, ci aspettava, si offriva al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue. La storia fenicia, la porpora, gli elimi, popoli appena precedenti la classicità greca, regalavano serenità e consolazione a viaggiatori presenti nel maggio 2011.
Ippolita Luzzo
29 maggio a Mozia. All'imbarcadero saliamo, il mare è piatto, una laguna, la laguna dello Stagnone. I pescatori sembra che ti diano un passaggio sulle loro chiatte, addirittura in tempi recenti un carretto trainato da un cavallo percorreva il tracciato della strada fenicia che collegava l’isola alla città di Marsala. Solo sei stadi la distanza fra l’isola e la costa. Qui i fenici tessevano le stoffe e le tingevano di rosso con la porpora, Mozia-filanda, l’isola era una filanda, qui i commerci erano lucrosi, arrivavano, compravano, ripartivano i mercanti, prima che le guerre e le rivalità portassero morte e distruzione. Agli inizi del novecento l’intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo, erede di una famiglia inglese arricchitasi con la produzione e la vendita del Marsala e dal 1971 l’isola è stata donata dalla figlia Delia alla fondazione che porta il nome del papà. Nella loro casa vi è ora il museo dell’isola ed in una stanza abita lui, da solo. L’efebo, la statua ritrovata nel 1970 coperta da detriti nella zona kappa, giaceva in quel luogo probabilmente dal momento in cui l’intolleranza religiosa decapitò teste vere e simboli di altre religioni. Non so chi sia, se il dio punico Melquart oppure Nikomachos, uno splendido atleta, un auriga alla guida del suo cocchio direttamente Apollo, o soltanto un bellissimo ragazzo molto amato dallo scultore, chissà. L’emozione di aver ritrovato l’efebo, nel suo peplo plissettato, nel suo nuovo e integro corpo, ricomposto, malgrado la decapitazione, malgrado il seppellimento, malgrado l’incuria degli uomini, era fortissima. L’efebo ora era davanti a me, aveva attraversato i secoli, sempre bellissimo, elegante, divino, è diventato il simbolo dei giochi olimpici della città di Atene ,dei giochi invernali di Torino. Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio, forse dedicato a lui, ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, che la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. La sua postura leggermente sensuale stordiva un po', il movimento del suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla, come se reggesse un’elsa, increspava le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, spostava leggermente il suo baricentro. Sinuoso, ma fermo, ci aspettava, si offriva al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue. La storia fenicia, la porpora, gli elimi, popoli appena precedenti la classicità greca, regalavano serenità e consolazione a viaggiatori presenti nel maggio 2011.
Ippolita Luzzo
martedì 26 giugno 2018
Facebook blues di Laura Bettanin
Conoscere Laura su Facebook e leggere i suoi post, vedere i suoi video. Far entrare Laura a casa come se fosse una amica, anzi di più, perché le amiche non le vedo più mentre vedo Laura ogni giorno insieme a me, a noi.
Facebook Blues mi arriva come una conferma. Il libro di Laura è una summa facebook, del vario mondo degli incontri e degli scontri, del vivere normale e uguale nel mondo reale, solo che su facebook si vede tutto. Ed io che, per trovare come e quando, per trovare dove e perché, sto su facebook, leggo e leggo divertita come Laura abbia composto il tutto variegato mondo degli utenti facebook facendone una storia da mille storie. Storia dalle mille e una storie questo è Facebook blues. Mitologia del contemporaneo. La storia e le storie sono inframezzate da lettere a Ginger, una fantomatica Donna Letizia dei nostri tempi sgraziati, una donna ironica e spiccia che cerca di non farsi catturare dal dramma dei suoi interlocutori e offre una soluzione più che un consiglio, una soluzione di buon senso, a modo suo. Filo conduttore, legame che porta da una parte all'altra dell'oceano mare, è la storia di una lei, del figlio Eligio, del marito Franco, della sua amica Renata, e di Jeremy il suo amore, la storia del primo amore che non si scorda mai, la storia del primo amore ritrovato. Una storia romantica ai tempi di facebook, sempre romantica è. Cambiano le dinamiche ma il risultato, come negli addendi scambiati dell'addizione, è sempre lo stesso. Cambiano le modalità. Si sta su questa piattaforma e si mandano messaggi, si aspettano risposte e si guarda intanto cosa fanno tanti altri, sconosciuti.
"Sento che questo pollaio in cui mi sono infilata per gioco a volte diventa una trappola per topi. Topi in un pollaio. Una tagliola che ti tiene per la coda. Tu cerchi di sganciarti ma ti tiene attaccata perché se tiri, se ti muovi, ti fa male. Non un gran male, diciamo un disagio. Fastidioso, ossessivo. La sensazione che se non stai attivo poi vieni dimenticato."
Come stiamo cambiando restando sempre uguali, questa riflessione mi sovviene leggendo, ridacchiando a volte nel momento in cui riconosco tantissimi, in cui vedo i vizi e i vezzi nei quali cadiamo un po' tutti, ridacchio a volte allegra a volte triste ma rido ricordando tanto: le mille mail scritte a chi non si conosce, i messaggi a chi non vedrai mai, ed insieme ai mille libri che arrivano puntuali alla mia posta portandomi il messaggio vero del mondo che mi risponde così, con loro.
Si diventa altro restando su un social? Non lo so, di certo si legge tanto, si viene a conoscenza della vita, supposta o inventata, di tantissimi, si scambiano opinioni e ci si affeziona, essendo l'affetto un bisogno imprescindibile dell'essere umano.
Facebook blues, quel suono del blues, del ricordare, della nostalgia, canaglia o meno, quel suono sotterraneo che attraversa le nostre vite, ricordando tempi belli e meno belli, scordando tempi brutti, scordando e selezionando gli stessi ricordi, per abbellire, per conservare noi stessi, noi, il tempo presente fatto di ciò che ci portiamo in tasca.
Facebook blues suona e come il blues possiede la struttura ripetitiva di dodici battute e nella melodia, dell'uso delle cosiddette blue, così nel libro suonano le note nel blu del cielo sempre più blu, di Rino Gaetano. Ed il cielo è sempre più blu, scappando via da paesi, città e situazioni che non ci vogliono più. Da Facebook a chi di noi canta ancora un blues fatto di sentimento e ricordo, di gioia e dolore, di voglia di esserci ancora.
Chi vive in baracca, chi suda il salario
Chi ama l'amore e i sogni di gloria
Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
Chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
Chi legge la mano, chi regna sovrano
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
Chi gli manca la casa, chi vive da solo
Chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
Chi vive in Calabria, chi vive d'amore
Chi ha fatto la guerra, chi prende il sessanta
Chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Con Laura e i suoi video, con Laura e il suo esserci vero, con Laura e il suo amore a cui dedica il libro, con Laura e noi, nel tenderci la mano, oltre Facebook e con Facebook, noi stiamo in blues.
Ippolita Luzzo
Facebook Blues mi arriva come una conferma. Il libro di Laura è una summa facebook, del vario mondo degli incontri e degli scontri, del vivere normale e uguale nel mondo reale, solo che su facebook si vede tutto. Ed io che, per trovare come e quando, per trovare dove e perché, sto su facebook, leggo e leggo divertita come Laura abbia composto il tutto variegato mondo degli utenti facebook facendone una storia da mille storie. Storia dalle mille e una storie questo è Facebook blues. Mitologia del contemporaneo. La storia e le storie sono inframezzate da lettere a Ginger, una fantomatica Donna Letizia dei nostri tempi sgraziati, una donna ironica e spiccia che cerca di non farsi catturare dal dramma dei suoi interlocutori e offre una soluzione più che un consiglio, una soluzione di buon senso, a modo suo. Filo conduttore, legame che porta da una parte all'altra dell'oceano mare, è la storia di una lei, del figlio Eligio, del marito Franco, della sua amica Renata, e di Jeremy il suo amore, la storia del primo amore che non si scorda mai, la storia del primo amore ritrovato. Una storia romantica ai tempi di facebook, sempre romantica è. Cambiano le dinamiche ma il risultato, come negli addendi scambiati dell'addizione, è sempre lo stesso. Cambiano le modalità. Si sta su questa piattaforma e si mandano messaggi, si aspettano risposte e si guarda intanto cosa fanno tanti altri, sconosciuti.
"Sento che questo pollaio in cui mi sono infilata per gioco a volte diventa una trappola per topi. Topi in un pollaio. Una tagliola che ti tiene per la coda. Tu cerchi di sganciarti ma ti tiene attaccata perché se tiri, se ti muovi, ti fa male. Non un gran male, diciamo un disagio. Fastidioso, ossessivo. La sensazione che se non stai attivo poi vieni dimenticato."
Come stiamo cambiando restando sempre uguali, questa riflessione mi sovviene leggendo, ridacchiando a volte nel momento in cui riconosco tantissimi, in cui vedo i vizi e i vezzi nei quali cadiamo un po' tutti, ridacchio a volte allegra a volte triste ma rido ricordando tanto: le mille mail scritte a chi non si conosce, i messaggi a chi non vedrai mai, ed insieme ai mille libri che arrivano puntuali alla mia posta portandomi il messaggio vero del mondo che mi risponde così, con loro.
Si diventa altro restando su un social? Non lo so, di certo si legge tanto, si viene a conoscenza della vita, supposta o inventata, di tantissimi, si scambiano opinioni e ci si affeziona, essendo l'affetto un bisogno imprescindibile dell'essere umano.
Facebook blues, quel suono del blues, del ricordare, della nostalgia, canaglia o meno, quel suono sotterraneo che attraversa le nostre vite, ricordando tempi belli e meno belli, scordando tempi brutti, scordando e selezionando gli stessi ricordi, per abbellire, per conservare noi stessi, noi, il tempo presente fatto di ciò che ci portiamo in tasca.
Facebook blues suona e come il blues possiede la struttura ripetitiva di dodici battute e nella melodia, dell'uso delle cosiddette blue, così nel libro suonano le note nel blu del cielo sempre più blu, di Rino Gaetano. Ed il cielo è sempre più blu, scappando via da paesi, città e situazioni che non ci vogliono più. Da Facebook a chi di noi canta ancora un blues fatto di sentimento e ricordo, di gioia e dolore, di voglia di esserci ancora.
Chi vive in baracca, chi suda il salario
Chi ama l'amore e i sogni di gloria
Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
Chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
Chi legge la mano, chi regna sovrano
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
Chi gli manca la casa, chi vive da solo
Chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
Chi vive in Calabria, chi vive d'amore
Chi ha fatto la guerra, chi prende il sessanta
Chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Con Laura e i suoi video, con Laura e il suo esserci vero, con Laura e il suo amore a cui dedica il libro, con Laura e noi, nel tenderci la mano, oltre Facebook e con Facebook, noi stiamo in blues.
Ippolita Luzzo
venerdì 22 giugno 2018
La verità del Freddo Raffaella Fanelli Intervista Maurizio Abbatino
"Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." Raffaella Fanelli a Trame con Antonio Chieffallo su La Verità del Freddo inizia in questo modo la serata nel chiostro del Palazzo Nicotera. Un libro frutto di due anni di richieste, due anni di messaggi, una intervista raggiunta per sfinimento, per aver conquistatola fiducia.
Raffaela Fanelli racconterà a noi per quanto tempo ha cercato le tracce e il collegamento con Maurizio Abbatino, il boss della Banda della Magliana, per quanto tempo abbia chiesto l'intervista e come questa sia iniziata con un incontro su una piazzola di un parcheggio, lei che arriva in ritardo per problemi non di sua volontà, lui che aspetta da due ore e poi lei sale sulla sua auto e lui sgomma veloce verso il luogo dell'intervista. Quella fu la volta in cui Raffaella viaggiò in apnea fino al ristorante. Lei registra tutto. Registra sempre ad ogni incontro, nelle interviste fatte nel corso della sua professione di giornalista professionista, di giornalista che cerca la verità di fatti ancora oscuri attraverso le interviste agli assassini. "Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." La Verità Del Freddo è il racconto e la storia della banda della Magliana, fatta con perizia giornalistica, cercando intrecci e collegamenti, relazioni, con molte interviste mettendo in relazione le risposte alle domande e le dichiarazioni sulle incongruenze riportate in atti e verbali. trovando riscontri e tracce in dichiarazioni di altri, verificando le fonti, intersecando, direbbe Simona Zecchi, nostra amica comune e grande giornalista d'inchiesta.
Raffaella Fanelli continua a raccogliere una storia oscura di pezzi di Stato collusi, di alcuni prelati dello Stato Vaticano a conoscenza dei segreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, di Pasolini, di Aldo Moro.
Per le dichiarazione fatte da Abbatino, a suo tempo, ci fu l'Operazione Colosseo, furono condannati solo alcuni mentre Massimo Carminati,forse in possesso di chissà quali documenti, è libero.
Maurizio Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione, non può più godere dell'identità nascosta che gli permetteva di accedere alle cure sanitarie ed è un uomo lasciato solo dallo Stato. Lui sa che quando si spegneranno le luci della scorta mediatica che lo protegge sarà ucciso. Sarà ucciso però con la connivenza di quelli che non vogliono più sentire le sue accuse, scomode per i poteri forti.
La verità del Freddo arriva chiedendo quindi attenzione su fatti manipolati e confusi, su collaboratori di giustizia a volte usati a volte bloccati quando il livello delle rivelazioni giunge dove non deve arrivare.
Un grande ringraziamento della Litweb a Raffaella Fanelli per il suo coraggio, per il suo caparbio desiderio di cercare nei fatti e negli assassini la verità dove sta, presso chi sa chi siano i mandanti.
Ippolita Luzzo
Raffaela Fanelli racconterà a noi per quanto tempo ha cercato le tracce e il collegamento con Maurizio Abbatino, il boss della Banda della Magliana, per quanto tempo abbia chiesto l'intervista e come questa sia iniziata con un incontro su una piazzola di un parcheggio, lei che arriva in ritardo per problemi non di sua volontà, lui che aspetta da due ore e poi lei sale sulla sua auto e lui sgomma veloce verso il luogo dell'intervista. Quella fu la volta in cui Raffaella viaggiò in apnea fino al ristorante. Lei registra tutto. Registra sempre ad ogni incontro, nelle interviste fatte nel corso della sua professione di giornalista professionista, di giornalista che cerca la verità di fatti ancora oscuri attraverso le interviste agli assassini. "Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." La Verità Del Freddo è il racconto e la storia della banda della Magliana, fatta con perizia giornalistica, cercando intrecci e collegamenti, relazioni, con molte interviste mettendo in relazione le risposte alle domande e le dichiarazioni sulle incongruenze riportate in atti e verbali. trovando riscontri e tracce in dichiarazioni di altri, verificando le fonti, intersecando, direbbe Simona Zecchi, nostra amica comune e grande giornalista d'inchiesta.
Raffaella Fanelli continua a raccogliere una storia oscura di pezzi di Stato collusi, di alcuni prelati dello Stato Vaticano a conoscenza dei segreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, di Pasolini, di Aldo Moro.
Per le dichiarazione fatte da Abbatino, a suo tempo, ci fu l'Operazione Colosseo, furono condannati solo alcuni mentre Massimo Carminati,forse in possesso di chissà quali documenti, è libero.
Maurizio Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione, non può più godere dell'identità nascosta che gli permetteva di accedere alle cure sanitarie ed è un uomo lasciato solo dallo Stato. Lui sa che quando si spegneranno le luci della scorta mediatica che lo protegge sarà ucciso. Sarà ucciso però con la connivenza di quelli che non vogliono più sentire le sue accuse, scomode per i poteri forti.
La verità del Freddo arriva chiedendo quindi attenzione su fatti manipolati e confusi, su collaboratori di giustizia a volte usati a volte bloccati quando il livello delle rivelazioni giunge dove non deve arrivare.
Un grande ringraziamento della Litweb a Raffaella Fanelli per il suo coraggio, per il suo caparbio desiderio di cercare nei fatti e negli assassini la verità dove sta, presso chi sa chi siano i mandanti.
Ippolita Luzzo
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