La tecnica letteraria del cut up, tagliare i frammenti composti da frasi e ricomporli in un nuovo testo che mantenga un senso logico, era la tecnica del dadaismo, un movimento artistico che nasce in Svizzera, a Zurigo, nel 1916. Tagliare e ricomporre a mio piacimento, eppure mantenendo l'amore e il rispetto verso il testo letto, è il gioco con cui mi avvicino ai testi, da semplice fruitrice di opere letterarie o artistiche. Così farò con Conterraneo:Laboratorio di Arte pubblica del Borgo di Bova a cura di Antonio Pujia Veneziano. Memoria identitaria e poetica dei luoghi.
Temendo la delusione dei miei amici, confessando la mia impreparazione, sfoglio e risfoglio, annusando l'aroma che il libro emana. Un'aroma vivente di terra bagnata dopo essere stata cotta dal sole. Ricordo ancora il piacere provato quando ho avuto il testo in mano, l'esultanza di scriverci su, e la troppa amicizia a frenare, invece che essere sprone.
Conterraneo: dal latino conterraneus. Compaesano, della stessa terra. Etimologia e significato del titolo stanno nello scritto di Silvia Pujia, nel duplice testo in lingua italiana ed inglese.
Dal testo alcune frasi vengono ripetute e messe accanto alle fotografie dei luoghi, del fare esperienza, del momento che nasce.
Frammenti scomposti e ricomposti. Uguale è la ricerca che fa Antonio nel suo andare a Bova per trovare il suo essere conterraneo, nel cercare le crete, le zolle diverse di ogni terra, raccogliere, portarle in piazza, fare piccole formelle di terracotta, ognuna delle quali con un simbolo, un segno, un dettaglio rivisitato. La materia prima, una sorta di campionatura di terra in terra, e l'installazione delle argille nella piazza principale di Bova, Piazza Roma. Un percorso che ha seguito le diverse località di Bova, Lisarusa, Stavria, Casteddiu, Cavalli, con l'ausilio degli abitanti, parte attiva, partecipanti con ricordi, testimonianze e fotografie, affinché fosse la comunità a fermarsi e a raccontarsi andando verso una ricomposizione di opera nuova.
Fra questi Mimmo Cuppari, conoscitore dei luoghi.
Oltre cento piccole formelle sono state create dai laboratori didattici, un pannello collettivo che ha dato forma la potenzialità del racconto. Una ricomposizione per acquisire.
Mi trovo a piè pagina, accanto alle fotografie di tanti allievi, alle prese con formelle e colori, matite e pennelli, la frase mia" La conoscenza a volte intimidisce" come a voler significare che la ritrosia a non voler conoscere i nostri luoghi possa essere una forma di timidezza. Forse l'ho scritta per non avere amarezza di luoghi senza ricordi, di paesi e case, famiglie senza storia. Se sguardo non c'è vedere non si può, scrissi in altro momento. E qui, in conterraneo, esiste lo sguardo affettuoso di Antonio, un artista che pone lo scambio come costante in un abitare poetico. Artista di una arte che crea nel dialogo sia l' artista che la collettività. Con Heidegger riprendiamo il concetto di abitare poeticamente, dal testo di Silvia, e avviciniamoci umilmente all'essenza delle cose, per una trasmissione di conoscenze e memorie.
La pupazza Palma in foglie di ulivo intrecciate, sostenute da canne, ci ricorda che stiamo nel mito agreste di un tempo quando popolazioni preistoriche usavano evocare la “Madre Terra” (“Mana Ji” nel greco di Bova) con riti propiziatori delle messi e della fertilità. Il rito si ripete annualmente a Bova e ci ricorda il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee che presiedevano all'agricoltura. L'ostrakon, il video, raccoglie le fasi dell'individuazione dei siti, estrazione dell'argilla, filtraggio, decantazione, selezione, fino alle possibilità di lavorazione. Video e laboratori come Il pensiero Meridiano di F.Cassano:"La chiave sta nel ri-guardare i luoghi,/ Nel duplice senso di aver riguardo per loro/ e di tornare a riguardarli."
Dalla distanza da noi stessi di Massimo Celani mi piace qui riportare Carlo Sini "Il silenzio e la parola" una frase che mi sembra racchiuda un po' il senso anche del mio taglia e ricomponi fatto ora " Per essere mossi, emozionati, da un sorriso, o da un'idea, noi dobbiamo da un lato provenirne, essere nel pathos di quel sorriso, di quell'idea;e dall'altro dobbiamo porci in cammino verso di essi, porli come oggetti della nostra emozione. stiamo a distanza fra provenienza e destinazione"
Il libro fa parte della collana del Parco dei Greci in Calabria voluto dal GAL un nuovo solco per irrigare un terreno arido, dice il presidente Filippo Paino, nella prima pagina.
giovedì 28 luglio 2016
I lampioni di Caltagirone
Il libro di Francesco Failla, uscito in questo luglio 2016 in libreria per la casa editrice EDB, mi ricorda il convegno tenuto a febbraio da Gaspare Sturzo, magistrato e pronipote di don Luigi Sturzo, presidente del Centro internazionale studi Don Sturzo, incontro su potere e corruzione, organizzato dal Circolo di riunione di Lamezia terme. Ascoltai con partecipazione la storia svolgersi attraverso tutto il secolo, su come Don Luigi Sturzo già agli inizi del ‘900, “identificasse nello statalismo, nella partitocrazia e nello sperpero di denaro pubblico la radice della corruzione, denaro che lo Stato distribuisce attraverso meccanismi di tipo politico clientelare”.
Ho ritrovato in questo libro il senso e la fattualità dei gesti politici che Don Luigi Sturzo promosse nell'essere sindaco di Caltagirone, nel far parte del consiglio comunale, come consigliere, dal 1899, a 28 anni. Era allora in vigore il non exepedit, pronunciato dalla Santa Sede, da Pio IX nel 1874, che aveva dichiarato inaccettabile per i cattolici italiani partecipare alle elezioni politiche del Regno d'Italia e, per estensione, all'intera vita politica italiana dopo l'annessione di Roma al Regno Sabaudo. L'elettorato cattolico quindi si asteneva dal votare e dal presentare propri candidati. Man mano però ci fu un progressivo allentamento dell'interdizione fino alla abrogazione per opera di Benedetto XV nel 1919.
Don Luigi Sturzo scelse proprio la politica, la partecipazione, ancora prima dell'interdizione della disposizione papale, folgorato come San Paolo a Damasco. Così scrive Don Sturzo " Ma quel che mi fece più impressione fu la vista di miserie inaudite in un quartiere popolare nel centro di Roma" Così decide di dedicarsi ad opere che portino sollievo. Già l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII andava verso una Chiesa capace di interpretare i bisogni reali della società.
I beni comuni. La luce, l'acqua, il vento, l'aria. Da sindaco, momento della sua vita che lui predilesse, avrebbe potuto illuminare il suo paese.
Questa la storia del libro:Una storia di inizio novecento: portare la luce elettrica a Caltagirone:Illuminare la notte strade e case.Tutti i due punti di un discorso diretto.
Mi ricorda molto una storia recente, quelle sulle pale eoliche, recentemente gestita male dai sindaci del comprensorio calabro, Pale eoliche al vento, in mano a società private che hanno accontentato con pochi spiccioli gli amministratori locali e i proprietari dei terreni. Avrebbero dovuto prendere lezione dalla visione di Don Luigi Sturzo questi sindaci ed applicare quella sua idea di"optare per la concessione in appalto a privati secondo un project-financing:i dati consentivano di deliberare l'appalto con un capitolato preciso, stabilendo la percentuale della partecipazione del municipio agli utili di esercizio." una piena compartecipazione del pubblico e del privato. L' officina elettrica, un esempio da citare ai ciechi amministratori delle nostre città.
il libro, scritto con linguaggio chiaro, segue le fasi che resero possibile la realizzazione dell'Officina elettrica calatina attraverso i verbali della giunta municipale e del consiglio comunale, attraverso la lettura del La Croce di Costantino e di altri periodici. Un libro utile.
Nella quarta di copertina le parole di Don Luigi Sturzo:"La fonte principale di vita degli uomini sono le idee. Se le idee mancano i fatti vengono meno"
Gaspare Sturzo quella sera terminò il suo dire con un pensiero di Don Luigi sulla moralità, un processo di formazione delle coscienze. La moralità va riempita di contenuti per un profondo rinnovamento civico”contro la “rapacità” della corruzione. Il Comune è un bene comune. I diritti del Comune sono inalienabili. Sembra oggi. Con le parole di Don Luigi Sturzo ad illuminare le menti e non solo I Lampioni di Caltagirone
Ho ritrovato in questo libro il senso e la fattualità dei gesti politici che Don Luigi Sturzo promosse nell'essere sindaco di Caltagirone, nel far parte del consiglio comunale, come consigliere, dal 1899, a 28 anni. Era allora in vigore il non exepedit, pronunciato dalla Santa Sede, da Pio IX nel 1874, che aveva dichiarato inaccettabile per i cattolici italiani partecipare alle elezioni politiche del Regno d'Italia e, per estensione, all'intera vita politica italiana dopo l'annessione di Roma al Regno Sabaudo. L'elettorato cattolico quindi si asteneva dal votare e dal presentare propri candidati. Man mano però ci fu un progressivo allentamento dell'interdizione fino alla abrogazione per opera di Benedetto XV nel 1919.
Don Luigi Sturzo scelse proprio la politica, la partecipazione, ancora prima dell'interdizione della disposizione papale, folgorato come San Paolo a Damasco. Così scrive Don Sturzo " Ma quel che mi fece più impressione fu la vista di miserie inaudite in un quartiere popolare nel centro di Roma" Così decide di dedicarsi ad opere che portino sollievo. Già l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII andava verso una Chiesa capace di interpretare i bisogni reali della società.
I beni comuni. La luce, l'acqua, il vento, l'aria. Da sindaco, momento della sua vita che lui predilesse, avrebbe potuto illuminare il suo paese.
Questa la storia del libro:Una storia di inizio novecento: portare la luce elettrica a Caltagirone:Illuminare la notte strade e case.Tutti i due punti di un discorso diretto.
Mi ricorda molto una storia recente, quelle sulle pale eoliche, recentemente gestita male dai sindaci del comprensorio calabro, Pale eoliche al vento, in mano a società private che hanno accontentato con pochi spiccioli gli amministratori locali e i proprietari dei terreni. Avrebbero dovuto prendere lezione dalla visione di Don Luigi Sturzo questi sindaci ed applicare quella sua idea di"optare per la concessione in appalto a privati secondo un project-financing:i dati consentivano di deliberare l'appalto con un capitolato preciso, stabilendo la percentuale della partecipazione del municipio agli utili di esercizio." una piena compartecipazione del pubblico e del privato. L' officina elettrica, un esempio da citare ai ciechi amministratori delle nostre città.
il libro, scritto con linguaggio chiaro, segue le fasi che resero possibile la realizzazione dell'Officina elettrica calatina attraverso i verbali della giunta municipale e del consiglio comunale, attraverso la lettura del La Croce di Costantino e di altri periodici. Un libro utile.
Nella quarta di copertina le parole di Don Luigi Sturzo:"La fonte principale di vita degli uomini sono le idee. Se le idee mancano i fatti vengono meno"
Gaspare Sturzo quella sera terminò il suo dire con un pensiero di Don Luigi sulla moralità, un processo di formazione delle coscienze. La moralità va riempita di contenuti per un profondo rinnovamento civico”contro la “rapacità” della corruzione. Il Comune è un bene comune. I diritti del Comune sono inalienabili. Sembra oggi. Con le parole di Don Luigi Sturzo ad illuminare le menti e non solo I Lampioni di Caltagirone
martedì 26 luglio 2016
Si trova quello che si cerca. Arpacal e mare nostrum a Lamezia
Assemblea sul mare mostrum o nostrum stasera a Lamezia terme nella saletta adiacente alla corte del Palazzo Nicotera.
Nel presentare l'argomento Costantino Fittante parla di un programma biennale o triennale per risolvere in maniera razionale, fare un ragionamento per capire dove mettere mani.
Mario Pileggi enumera i 660 Km di costa, più del 20 % del patrimonio italiano, sono le spiagge calabre, con luoghi di ammassi granitici come in Sardegna. Polemizza con Rimini ed Emilia Romagna, loro con 100 km di costa hanno monopolizzato un turismo che ora li sta abbandonando, ecco perché Lega ambiente cerca di screditare il mare calabro. basterebbe indicare i luoghi di divieto di balneazione e...
Interviene Silvestro Greco: Una boutade parlare di depurazione a Luglio. L'Arpacal dovrebbe fare campionature e rilevare mare inquinato da fosfori, carboni e additivi. Inquinato da autospurgo e dai molini dell'olio, da nitrati, i concimi usati in agricoltura, e l'Arpacal dovrebbe dire la verità. Il problema sono i depuratori non funzionanti, sarebbe quasi meglio che non ce ne fossero, perché non funzionando agitano la composta a riva. Quindi lui chiederebbe la fattura del conferimento dei fanghi, del composto dei rifiuti ai sindaci. Il mare si rigenera da sé se si interrompe questo continuo fluire di ogni scoria dalla montagna al mare. Se si scegli la strada attuata da Soverato, controllare i rifiuti e le fogne.
Intervenuti il sindaco di San Pietro a Maida ed Antonio Chieffallo, giornalista. Suo il grido di sdegno contro Arpacal, che alcune volte falsifica le analisi, che dichiara eccellente acqua verde e chiaramente inquinata alla vista dei bagnanti.
Si trova quello che si cerca, le parole di Silvestro Greco, assessore regionale per poco tempo all'ambiente, mi risuonano e diventano il titolo di testa.
Nel presentare l'argomento Costantino Fittante parla di un programma biennale o triennale per risolvere in maniera razionale, fare un ragionamento per capire dove mettere mani.
Mario Pileggi enumera i 660 Km di costa, più del 20 % del patrimonio italiano, sono le spiagge calabre, con luoghi di ammassi granitici come in Sardegna. Polemizza con Rimini ed Emilia Romagna, loro con 100 km di costa hanno monopolizzato un turismo che ora li sta abbandonando, ecco perché Lega ambiente cerca di screditare il mare calabro. basterebbe indicare i luoghi di divieto di balneazione e...
Interviene Silvestro Greco: Una boutade parlare di depurazione a Luglio. L'Arpacal dovrebbe fare campionature e rilevare mare inquinato da fosfori, carboni e additivi. Inquinato da autospurgo e dai molini dell'olio, da nitrati, i concimi usati in agricoltura, e l'Arpacal dovrebbe dire la verità. Il problema sono i depuratori non funzionanti, sarebbe quasi meglio che non ce ne fossero, perché non funzionando agitano la composta a riva. Quindi lui chiederebbe la fattura del conferimento dei fanghi, del composto dei rifiuti ai sindaci. Il mare si rigenera da sé se si interrompe questo continuo fluire di ogni scoria dalla montagna al mare. Se si scegli la strada attuata da Soverato, controllare i rifiuti e le fogne.
Intervenuti il sindaco di San Pietro a Maida ed Antonio Chieffallo, giornalista. Suo il grido di sdegno contro Arpacal, che alcune volte falsifica le analisi, che dichiara eccellente acqua verde e chiaramente inquinata alla vista dei bagnanti.
Si trova quello che si cerca, le parole di Silvestro Greco, assessore regionale per poco tempo all'ambiente, mi risuonano e diventano il titolo di testa.
domenica 24 luglio 2016
Rivìentu: Acqua da tutte le parti
Rivìentu, Coordinamento Territoriale del Reventino, organizza incontro sul libro di Antonello Caporale "Acqua da tutte le parti" con Francesco Lesce e Angelo Maggio all'abbazia di Corazzo, Carlopoli.
Riesco ad andare ed è per me un miracolo possibile grazie al passaggio di due miei cari amici, Miriam e Stefano.
Acqua da tutte le parti: Viaggio in 102 paesi e città dell'Italia che fiorisce e sparisce.
Sulle copertina due mani lavorano a maglia un diritto e un rovescio, un punto riso, per noi.
Nell'abbazia, fra il pubblico, il sindaco di Carlopoli, Mario Talarico, l'assessore Maria Antonietta Sacco, e un dirigente regionale, Pasquale Mancuso, che interverrà, quasi con rabbia, alle circostanziate vicende raccontate da Antonello Caporale.
Quasi come se fosse un fatto personale e non un fatto quotidiano.
Antonello Caporale inizia da subito con le domande.
Cosa siamo e come potremmo essere. Cosa avremmo potuto fare se l'ignavia non ci avesse colpito come una malattia. Paurosi, dobbiamo imparare a vivere in una percezione di pericolo immanente, continua Antonello Caporale, riferendosi agli ultimi avvenimenti di attentati.
Come collegare il libro al momento storico vivente? Come un turismo al contrario, come volontà e comportamento. Un libro che non denunci solo lo sfascio e lo sciupio, ma dia suggerimenti con esempi di buon governo. Il buon governo delle tavole del Lorenzetti, mi viene in mente.
Acqua da tutte le parti è la storia di paesi e persone, la storia di Saverio Gigliotti e del suo libro mastro, dove lui annotava dal 1958 cosa comprassero i clienti nel suo negozio di generi vari.
Attraverso la vendita di catene per capre o di cemento e maioliche leggiamo, in quel suo annotare, lo sparire di una civiltà pastorale e contadina in favore di una edilizia sempre più invasiva.
Un territorio, il nostro, sempre più in balia dell'incuria e della depredazione.
E Antonello soffre, lo vedo, mentre ci racconta la sciagura delle Pale eoliche. Pale eoliche dappertutto. Proprietà di privati senza che ce ne stia una pubblica. Contentati i proprietari dei terreni con cinquemila euro annui, contentati i sindaci dei comuni con 250.000 euro. Una fesseria per affari di milioni di euro.
Una scelta illogica che va contro l'articolo 9 della costituzione sul paesaggio da salvaguardare, come bene pubblico, che va contro un utilizzo del vento, dell'acqua, della terra, come beni comuni. Racconta l'esempio di alcuni paesi del Molise, e di un notaio di Favara, come per dire che basta sconfiggere la mediocrità e l'immobilismo e sia possibile per pubblico e privato lavorare bene, proporre soluzioni. L'immobilismo è il male. Forse il peggiore. Non avere idee, non farle vivere.
La mediocrità. Il mediocre è colui che sta immobile, che non fa fare niente perché non si può e tu gli domandi perché non si può e lui non lo sa, sa solo che non si può fare. Mediocri sono la maggior parte dei funzionari della pubblica e privata amministrazione, sia essa a partecipazione statale o meno. Mediocrità è l'immobilismo.
Una Italia studiata e visitata lungo i suo fianchi litoranei, vuota al centro e che va franando con escrescenze di cemento dovunque.
Il libro come informazione, come esame di coscienza, che fa del dispiacere e della disperazione una lucidità d'azione.
E qui Antonello, rivolgendosi all'ottimismo di Francesco Lesce e di Angelo Maggio, ha un sorriso, sorridono loro e sorrido anche io, nel riso che è consapevolezza.
Francesco e Angelo hanno percorso con Caporale le strade che portano a Badolato sulla statale Ionica, e poi risalendo verso l'interno, osservando le costruzioni non finite, i palazzi, le officine, cinema, alberghi, non finiti.
Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all'università della Calabria, riprende il tema della Calabria che soffre di un male eccessivo di rappresentanza. il male della retorica.
Nel libro di Caporale, dice Lesce, si narra la Calabria, una narrazione possibile attraverso le immagini di Angelo Maggio, che danno corpo alla teoria dell'incompiuto, alla teoria che ci sia indifferenza visiva alle costruzioni non finite. Una rimozione. Nessuno più vede lo scempio. Sembra una cosa naturale.
Uno stile di vita e non una eccezione. Nel tentativo di studiare il non finito come archeologia del fenomeno si è detto che è un monumento alle aspettative deluse dei calabresi.
Sono le fotografie di Angelo Maggio, presenti accanto al libro, a dar testimonianza delle parole, questa sera.
Francesco Lesce ammira di stima vera Angelo Maggio che, nel suo chiedersi continuo, ha quella curiosità onnivora verso ogni legge, ogni decisione politica, e ne svela le nudità come il celebre bambino del re è nudo della fiaba.
Entrambi contro ogni usi e abusi si accorgono che ora cultura e turismo rigenerano la retorica politica.
Angelo Maggio, inizia il suo intervento con la rappresentazione del dramma. Questo è un dramma, dice. Nel 2004 ha iniziato a far vedere le sue foto dove Cristi e Madonne venivano portati in processione fra case non finite, percependo che nessuno si scandalizzava per il brutto, per la sciatteria di luoghi deturpati.
Addirittura su quelle costruzioni venivano attaccati manifesti elettorali, bandiere della provincia, della regione. Come se fosse normale.
Un problema etico più che estetico ormai, perché abituandosi al brutto ci si abitua al non finito immateriale, un pensiero non finito, approssimativo, che ci priva della vitalità e della luce, presente invece negli occhi, questa sera, dei partecipanti alla serata. La luce della curiosità e della volontà.
Ippolita Luzzo
Rivìentu è l’anima della nostra montagna e delle sue valli che proprio da “Rivìentu” trae il nome “Reventino” (“Riventìnu” in dialetto è il nome della montagna che svetta sulla vallata). Per l’evento il gruppo di Rivìentu è composto dalle associazioni: Progetto Gedeone, La Fenice Bianca, Pedivigliano 200, Conflenti Trekking, Felici & Conflenti, Gas del Reventino, La Carovana, Forum del Reventino, Gruppo Spontaneo Colosimi e Centro Culturale Castagna.
Riesco ad andare ed è per me un miracolo possibile grazie al passaggio di due miei cari amici, Miriam e Stefano.
Acqua da tutte le parti: Viaggio in 102 paesi e città dell'Italia che fiorisce e sparisce.
Sulle copertina due mani lavorano a maglia un diritto e un rovescio, un punto riso, per noi.
Nell'abbazia, fra il pubblico, il sindaco di Carlopoli, Mario Talarico, l'assessore Maria Antonietta Sacco, e un dirigente regionale, Pasquale Mancuso, che interverrà, quasi con rabbia, alle circostanziate vicende raccontate da Antonello Caporale.
Quasi come se fosse un fatto personale e non un fatto quotidiano.
Antonello Caporale inizia da subito con le domande.
Cosa siamo e come potremmo essere. Cosa avremmo potuto fare se l'ignavia non ci avesse colpito come una malattia. Paurosi, dobbiamo imparare a vivere in una percezione di pericolo immanente, continua Antonello Caporale, riferendosi agli ultimi avvenimenti di attentati.
Come collegare il libro al momento storico vivente? Come un turismo al contrario, come volontà e comportamento. Un libro che non denunci solo lo sfascio e lo sciupio, ma dia suggerimenti con esempi di buon governo. Il buon governo delle tavole del Lorenzetti, mi viene in mente.
Acqua da tutte le parti è la storia di paesi e persone, la storia di Saverio Gigliotti e del suo libro mastro, dove lui annotava dal 1958 cosa comprassero i clienti nel suo negozio di generi vari.
Attraverso la vendita di catene per capre o di cemento e maioliche leggiamo, in quel suo annotare, lo sparire di una civiltà pastorale e contadina in favore di una edilizia sempre più invasiva.
Un territorio, il nostro, sempre più in balia dell'incuria e della depredazione.
E Antonello soffre, lo vedo, mentre ci racconta la sciagura delle Pale eoliche. Pale eoliche dappertutto. Proprietà di privati senza che ce ne stia una pubblica. Contentati i proprietari dei terreni con cinquemila euro annui, contentati i sindaci dei comuni con 250.000 euro. Una fesseria per affari di milioni di euro.
Una scelta illogica che va contro l'articolo 9 della costituzione sul paesaggio da salvaguardare, come bene pubblico, che va contro un utilizzo del vento, dell'acqua, della terra, come beni comuni. Racconta l'esempio di alcuni paesi del Molise, e di un notaio di Favara, come per dire che basta sconfiggere la mediocrità e l'immobilismo e sia possibile per pubblico e privato lavorare bene, proporre soluzioni. L'immobilismo è il male. Forse il peggiore. Non avere idee, non farle vivere.
La mediocrità. Il mediocre è colui che sta immobile, che non fa fare niente perché non si può e tu gli domandi perché non si può e lui non lo sa, sa solo che non si può fare. Mediocri sono la maggior parte dei funzionari della pubblica e privata amministrazione, sia essa a partecipazione statale o meno. Mediocrità è l'immobilismo.
Una Italia studiata e visitata lungo i suo fianchi litoranei, vuota al centro e che va franando con escrescenze di cemento dovunque.
Il libro come informazione, come esame di coscienza, che fa del dispiacere e della disperazione una lucidità d'azione.
E qui Antonello, rivolgendosi all'ottimismo di Francesco Lesce e di Angelo Maggio, ha un sorriso, sorridono loro e sorrido anche io, nel riso che è consapevolezza.
Francesco e Angelo hanno percorso con Caporale le strade che portano a Badolato sulla statale Ionica, e poi risalendo verso l'interno, osservando le costruzioni non finite, i palazzi, le officine, cinema, alberghi, non finiti.
Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all'università della Calabria, riprende il tema della Calabria che soffre di un male eccessivo di rappresentanza. il male della retorica.
Nel libro di Caporale, dice Lesce, si narra la Calabria, una narrazione possibile attraverso le immagini di Angelo Maggio, che danno corpo alla teoria dell'incompiuto, alla teoria che ci sia indifferenza visiva alle costruzioni non finite. Una rimozione. Nessuno più vede lo scempio. Sembra una cosa naturale.
Uno stile di vita e non una eccezione. Nel tentativo di studiare il non finito come archeologia del fenomeno si è detto che è un monumento alle aspettative deluse dei calabresi.
Sono le fotografie di Angelo Maggio, presenti accanto al libro, a dar testimonianza delle parole, questa sera.
Francesco Lesce ammira di stima vera Angelo Maggio che, nel suo chiedersi continuo, ha quella curiosità onnivora verso ogni legge, ogni decisione politica, e ne svela le nudità come il celebre bambino del re è nudo della fiaba.
Entrambi contro ogni usi e abusi si accorgono che ora cultura e turismo rigenerano la retorica politica.
Angelo Maggio, inizia il suo intervento con la rappresentazione del dramma. Questo è un dramma, dice. Nel 2004 ha iniziato a far vedere le sue foto dove Cristi e Madonne venivano portati in processione fra case non finite, percependo che nessuno si scandalizzava per il brutto, per la sciatteria di luoghi deturpati.
Addirittura su quelle costruzioni venivano attaccati manifesti elettorali, bandiere della provincia, della regione. Come se fosse normale.
Un problema etico più che estetico ormai, perché abituandosi al brutto ci si abitua al non finito immateriale, un pensiero non finito, approssimativo, che ci priva della vitalità e della luce, presente invece negli occhi, questa sera, dei partecipanti alla serata. La luce della curiosità e della volontà.
Ippolita Luzzo
Rivìentu è l’anima della nostra montagna e delle sue valli che proprio da “Rivìentu” trae il nome “Reventino” (“Riventìnu” in dialetto è il nome della montagna che svetta sulla vallata). Per l’evento il gruppo di Rivìentu è composto dalle associazioni: Progetto Gedeone, La Fenice Bianca, Pedivigliano 200, Conflenti Trekking, Felici & Conflenti, Gas del Reventino, La Carovana, Forum del Reventino, Gruppo Spontaneo Colosimi e Centro Culturale Castagna.
domenica 17 luglio 2016
Il viaggio possibile: Conversazione fra Ippolita e Ippolita
Ippolita Sicoli con me alla Giungla, Mercoledì 20 Luglio alle ore 19.
Dove si trovi La Giungla è bene dirlo; sul litorale di Falerna, in alto, poco distante dal mare.
Parleremo del Viaggio.
Lei affronterà il viaggio nel tempo del mito ed io il viaggio nel tempo interiore, nel nostro vissuto, come flash raccolti a fare un fascio di immagini.
Proprio oggi sulla Domenica del Sole 24ore l'articolo di Giulio Busi intitolato "Il mito ebraico è in moto" ripercorre il mito.
" L'idea che il mito sia bello e bugiardo ha una storia lunga, antica di millenni e veneranda di conflitti. Una religione accusa l'altra di bugie,...Poi però ricomincia a raccontare. Parola dopo parola, un apologo che segue il precedente, il mormorio delle generazioni riprende il filo interrotto. Mito deriva dal greco mutheomai, che significa dire, nominare. dare ordine. Chi potrebbe mai smettere di dire e di raccontare? E quale cultura saprebbe privarsi delle parole, che ammoniscono e consolano, che si sollevano dalla terra in cielo e poi discendono di nuovo, piano piano come se fossero neve leggera."
Mi sembrava nel leggere di sentire le parole dell'altra sera, le parole di Ippolita Sicoli, raffinata giornalista, responsabile delle pagine culturali del Centro Tirreno.it, autrice di diversi romanzi sul tema del mito e sono sicura che mercoledì la ascolterò con interesse maggiore.
Sarà il nome che ci ha riunito, su un mito, su un personaggio leggendario, su una regina guerriera, un mito di guerra e di violenza, così come sono intrisi i miti e i nostri giorni, sarà questo nome il legame fra il mio viaggio individuale fra il passato e il presente, in un tentativo di relazione con l'altro che si infrange nell'alto muro delle convenzioni, e poi trovi uno spazio dove spazio non è, il web quasi un altro mito ed il mito antico dove Cadmo sposa Armonia.
Per raccontare e raccontarci la storia infinita di esserci ancora.
Dove si trovi La Giungla è bene dirlo; sul litorale di Falerna, in alto, poco distante dal mare.
Parleremo del Viaggio.
Lei affronterà il viaggio nel tempo del mito ed io il viaggio nel tempo interiore, nel nostro vissuto, come flash raccolti a fare un fascio di immagini.
Proprio oggi sulla Domenica del Sole 24ore l'articolo di Giulio Busi intitolato "Il mito ebraico è in moto" ripercorre il mito.
" L'idea che il mito sia bello e bugiardo ha una storia lunga, antica di millenni e veneranda di conflitti. Una religione accusa l'altra di bugie,...Poi però ricomincia a raccontare. Parola dopo parola, un apologo che segue il precedente, il mormorio delle generazioni riprende il filo interrotto. Mito deriva dal greco mutheomai, che significa dire, nominare. dare ordine. Chi potrebbe mai smettere di dire e di raccontare? E quale cultura saprebbe privarsi delle parole, che ammoniscono e consolano, che si sollevano dalla terra in cielo e poi discendono di nuovo, piano piano come se fossero neve leggera."
Mi sembrava nel leggere di sentire le parole dell'altra sera, le parole di Ippolita Sicoli, raffinata giornalista, responsabile delle pagine culturali del Centro Tirreno.it, autrice di diversi romanzi sul tema del mito e sono sicura che mercoledì la ascolterò con interesse maggiore.
Sarà il nome che ci ha riunito, su un mito, su un personaggio leggendario, su una regina guerriera, un mito di guerra e di violenza, così come sono intrisi i miti e i nostri giorni, sarà questo nome il legame fra il mio viaggio individuale fra il passato e il presente, in un tentativo di relazione con l'altro che si infrange nell'alto muro delle convenzioni, e poi trovi uno spazio dove spazio non è, il web quasi un altro mito ed il mito antico dove Cadmo sposa Armonia.
Per raccontare e raccontarci la storia infinita di esserci ancora.
mercoledì 13 luglio 2016
Delia è di nessuno Ilaria Milandri
I papaveri rossi della guerra di Piero per ricordare i caduti in guerra.
I papaveri rossi nel campo di grano di Van Gogh ed insieme i petali a terra, sgualciti, nella grigio di un muro sbrecciato, sul grigio del nostro quotidiano. Un papavero sta integro, in primo piano.
La copertina del libro è anche essa di Ilaria Milandri, autrice di Delia è di nessuno, romanzo letto in questi tre caldissimi giorni di luglio, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine, dopo una prima e volante lettura sopraelevata.
Aprendo e chiudendo, scrivendo due righe sul senso del momento.
Nel mio non far recensione io dialogo con i personaggi e le situazioni del libro cercando le frasi e il piacere che riesco a trasmettere su questa architettura. Una storia infatti progettata come un disegno a tavolino per riuscire a veder Delia quasi come una dea, la dea della vendetta.
Aleggia nel libro questa aria da tragedia greca, di famiglie atroci, con legami malsani, ci sarà quindi un deus ex machina? E leggendo si scopre che il personaggio è proprio un architetto, almeno per studi, ed io subito soprannomino Delia l'architetto del destino. Sulla storia incombe la morte e la cenere, cenere siamo e cenere diventeremo, in una urna "Stiamo parlando di polvere"
Mentre intorno la città, le strade, e le persone fanno l'alba e aspettano la sera, telefonano e chiedono rapporti oppure corpi, sappiamo quali sono gli scopi.
"I nostri scopi qualunque essi siano riguardano qualcun altro. da soli non siamo nessuno, non abbiamo motivo di esistere, non esistiamo"
Dettagli da ogni foglio sul quale ho fermato un senso, il filo con cui ho letto un testo che guarda con la stessa distanza del distacco caratteriale di Delia lo spazio in cui muoversi. " Fa parte dell'uomo prendere le distanze da chi l'ha preceduto" questo ci dice Ilaria Milandri e questo sappiamo dagli studi e dall'arte che era stata così amata dal padre di Delia da voler lui essere polvere in un quadro manierista oppure nell'inchiostro del suo poeta vivente preferito.
Delle due lettere che Delia riceve una parla di felicità e l'altra di esser pavidi, fino alla fine. Una è la lettera del padre e l'altra quella di un saggio, un Nestore quasi, che sulla panchina ogni mattina, all'alba, siede per pochissimo prima dell'apertura di un cimitero.
Delia non è di nessuno mi ha ricordato i Gormiti. Avevo una loro frase al posto del trillo sul cellulare, un vecchio cellulare, che non ho più da moltissimo tempo, faceva pressapoco così: Quando l'imperatore della terra ti chiama rispondi" Vorrei tanto risentirla, come monito di un tempo malvagio, quasi come Delia vorrebbe incontrare di nuovo Adamo fra gli attimi di felicità perse.
Nella fotografia del racconto le immagini sono sempre nel centro della scena, anche il respiro, anche quell'annusare la pelle con i suoi vari afrori. Cosi fra respiro e lettura, fra il mio respiro di lettrice e il respiro di chi lo ha scritto sta con noi Delia.
"Delia era l'aria dentro alla quale stanno le poesie"
I papaveri rossi nel campo di grano di Van Gogh ed insieme i petali a terra, sgualciti, nella grigio di un muro sbrecciato, sul grigio del nostro quotidiano. Un papavero sta integro, in primo piano.
La copertina del libro è anche essa di Ilaria Milandri, autrice di Delia è di nessuno, romanzo letto in questi tre caldissimi giorni di luglio, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine, dopo una prima e volante lettura sopraelevata.
Aprendo e chiudendo, scrivendo due righe sul senso del momento.
Nel mio non far recensione io dialogo con i personaggi e le situazioni del libro cercando le frasi e il piacere che riesco a trasmettere su questa architettura. Una storia infatti progettata come un disegno a tavolino per riuscire a veder Delia quasi come una dea, la dea della vendetta.
Aleggia nel libro questa aria da tragedia greca, di famiglie atroci, con legami malsani, ci sarà quindi un deus ex machina? E leggendo si scopre che il personaggio è proprio un architetto, almeno per studi, ed io subito soprannomino Delia l'architetto del destino. Sulla storia incombe la morte e la cenere, cenere siamo e cenere diventeremo, in una urna "Stiamo parlando di polvere"
Mentre intorno la città, le strade, e le persone fanno l'alba e aspettano la sera, telefonano e chiedono rapporti oppure corpi, sappiamo quali sono gli scopi.
"I nostri scopi qualunque essi siano riguardano qualcun altro. da soli non siamo nessuno, non abbiamo motivo di esistere, non esistiamo"
Dettagli da ogni foglio sul quale ho fermato un senso, il filo con cui ho letto un testo che guarda con la stessa distanza del distacco caratteriale di Delia lo spazio in cui muoversi. " Fa parte dell'uomo prendere le distanze da chi l'ha preceduto" questo ci dice Ilaria Milandri e questo sappiamo dagli studi e dall'arte che era stata così amata dal padre di Delia da voler lui essere polvere in un quadro manierista oppure nell'inchiostro del suo poeta vivente preferito.
Delle due lettere che Delia riceve una parla di felicità e l'altra di esser pavidi, fino alla fine. Una è la lettera del padre e l'altra quella di un saggio, un Nestore quasi, che sulla panchina ogni mattina, all'alba, siede per pochissimo prima dell'apertura di un cimitero.
Delia non è di nessuno mi ha ricordato i Gormiti. Avevo una loro frase al posto del trillo sul cellulare, un vecchio cellulare, che non ho più da moltissimo tempo, faceva pressapoco così: Quando l'imperatore della terra ti chiama rispondi" Vorrei tanto risentirla, come monito di un tempo malvagio, quasi come Delia vorrebbe incontrare di nuovo Adamo fra gli attimi di felicità perse.
Nella fotografia del racconto le immagini sono sempre nel centro della scena, anche il respiro, anche quell'annusare la pelle con i suoi vari afrori. Cosi fra respiro e lettura, fra il mio respiro di lettrice e il respiro di chi lo ha scritto sta con noi Delia.
"Delia era l'aria dentro alla quale stanno le poesie"
Sulle tavole del buon governo di Lorenzetti
Nell'allegoria del buon governo ci siamo incontrati.
Erano in corso a Lamezia le elezioni a sindaco e nei candidati fervevano le liste, i fili e le cordate con chi portarsi appresso. Ignara di ogni politica diatriba, politica come aggettivo e non sostantivo, indugiavo io sulle tavole del buon e cattivo governo, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservati nel Palazzo Pubblico di Siena. Indugiavo e mi auguravo che i candidati riprendessero a leggersi quegli affreschi, così come mi erano stati spiegati a Rimini ad un convegno.
Il classico, citando Hegel e qui riprendo dalla "La Distanza da noi stessi" nell' Album di famiglia con sottotitolo "dagli archivi fotografici della provincia di Cosenza ai social network", richiama da sempre un'epoca istantanea sottratta all'avvicendamento dei tempi, dei linguaggi, delle forme"
La distanza
Che cos'è la distanza da un avvenimento, da un corpo? è lo spazio che ci permette di vedere sia il fatto che il corpo, con la distanza vediamo, riflettiamo, capiamo ciò che è stata l'azione, riportiamo con noi le sensazioni di un incontro.
"Stiamo a distanza tra provenienza e destinazione"citazione da Carlo Sini " Il silenzio e la parola"
Tutto questo per dire che sono lontana dal momento storico del mio paese quanto sia vicina al tempo del Lorenzetti.
Tutto questo per dire che "il passato è generato dal presente tanto quanto il nostro futuro, è la nostra rideterminazione oggettiva che ne fa un futuro anteriore" leggo sempre da " La distanza di noi stessi"
Tutto questo per dire che nasce una rivista, una rivista che prende dall'album le fotografie, un album che misuri la distanza di noi stessi, una sede che la distanza ci darà, "come condizione di ogni presente."
Vi presento il redattore responsabile col fucile,
armato dalla distanza, come può essere un'arma la distanza, migliore dello scontro ravvicinato nel tempo che scansione è.
Erano in corso a Lamezia le elezioni a sindaco e nei candidati fervevano le liste, i fili e le cordate con chi portarsi appresso. Ignara di ogni politica diatriba, politica come aggettivo e non sostantivo, indugiavo io sulle tavole del buon e cattivo governo, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservati nel Palazzo Pubblico di Siena. Indugiavo e mi auguravo che i candidati riprendessero a leggersi quegli affreschi, così come mi erano stati spiegati a Rimini ad un convegno.
Il classico, citando Hegel e qui riprendo dalla "La Distanza da noi stessi" nell' Album di famiglia con sottotitolo "dagli archivi fotografici della provincia di Cosenza ai social network", richiama da sempre un'epoca istantanea sottratta all'avvicendamento dei tempi, dei linguaggi, delle forme"
La distanza
Che cos'è la distanza da un avvenimento, da un corpo? è lo spazio che ci permette di vedere sia il fatto che il corpo, con la distanza vediamo, riflettiamo, capiamo ciò che è stata l'azione, riportiamo con noi le sensazioni di un incontro.
"Stiamo a distanza tra provenienza e destinazione"citazione da Carlo Sini " Il silenzio e la parola"
Tutto questo per dire che sono lontana dal momento storico del mio paese quanto sia vicina al tempo del Lorenzetti.
Tutto questo per dire che "il passato è generato dal presente tanto quanto il nostro futuro, è la nostra rideterminazione oggettiva che ne fa un futuro anteriore" leggo sempre da " La distanza di noi stessi"
Tutto questo per dire che nasce una rivista, una rivista che prende dall'album le fotografie, un album che misuri la distanza di noi stessi, una sede che la distanza ci darà, "come condizione di ogni presente."
Vi presento il redattore responsabile col fucile,
armato dalla distanza, come può essere un'arma la distanza, migliore dello scontro ravvicinato nel tempo che scansione è.
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