Un viaggio
Già il viaggio per Vibo diventa un viaggio a Tusa, quel luogo dove Antonio Presti, imprenditore e mecenate italiano ha dato vita alla Fondazione Fiumara d’Arte. Su suggestione di quel che io mi porto dietro, salendo sull'auto. Il libro "La Tusa dei desideri" di Gianfranco Labrosciano
Un viaggio.
Ed è "Un viaggio" l'opera di Giuseppe Stissi, al Limen, un libro aperto per non vedenti quello che leggo e vedo. Un viaggio dall'Africa verso l'occidente, andata e ritorno, raccontato da un bambino a Giuseppe. Un viaggio da toccare.
In macchina parliamo con Antonio, Silvia e Saverio, mentre andiamo al Limen, di Antonio Presti, imprenditore che costruisce un albergo sul mare, decide di realizzare un museo all'aria aperta, dà vita al parco di sculture monumentali Fiumara d'arte, nella valle dei monti Nebrodi in Sicilia, un museo all'aperto, un parco di sculture il più grande d’Europa. Nel suo albergo Atelier sul mare (1991-2013) a Castel di Tusa, in provincia di Messina, decine di artisti sono stati coinvolti per la decorazione di camere d’arte.
L’ultima delle sculture della Fiumara d'arte, la Piramide – 38º parallelo di Mauro Staccioli sull’altura di Motta d'Affermo, noi avremmo dovuto vederla questo anno. Eravamo nei paraggi ma l'autista ci sconsigliò.
Antonio Pujia Veneziano racconta e racconta di come Antonio Presti subì alcune condanne prima di essere riconosciuto e mentre racconta siamo già arrivati a Vibo al Limen Premio Internazionale
alla VII edizione promosso dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia.
Un castello reale sembra la sede del Limen questo anno. Felici e felici ascoltammo i relatori, noi seduti ai primi posti riservati a non ben definiti notabili. Ed essendo della stessa stirpe nobiliare dell'arte ci venne concesso l'onore.
Così nel mentre parlava Domenico Piraina, Responsabile del Polo museale e dei Musei scientifici di Milano, io presi appunti mentali. Ricordo che lui, citando Federico Zeri, suo amico, ci raccontò che il genio non vive e produce da solo, ma ha bisogno di avere intorno quel crogiolo di bravi artigiani che lo sostengano e raccontava di quanti bravi scalpellini abbiano partecipato alla creazione di opere sotto la direzione di Michelangelo.
Dunque se intorno non vi è abilità non sorge nulla. Intorno a me avevo due artisti, Silvia Pujia,
già vincitrice del Limen 2013 con una installazione "Soglie" e Saverio Tavano, regista di Patres,
per non parlare di Antonio Puija Veneziano, di cui taccio, per non esser accusata di parzialità. Insomma il genio della lampada non poteva che aver più terreno fertile di quello. Ed infatti nella Litweb eravamo orgogliosi. Nel salutare Massimo Iritano e sua moglie Lara Caccia, già incontrati a Lamezia con Gioacchino da Fiore, abbiamo percorso le opere con la grande meraviglia di stare nel paese dell'immaginazione e quando siamo giunti ai due palazzi in aria con il verde in cielo abbiamo trovato la sede del regno della Litweb.
Alessandro Vinci mi fece foto per la stampa, per la posta e le telecomunicazioni ed io andrò ad abitare in uno dei palazzi lasciando l'altro a voi artisti.
venerdì 25 dicembre 2015
Una zebra a pois al Liceo Campanella
Assemblea d'Istituto in due giorni al Liceo Campanella. L'adolescenza è vivere e non esistere e al canto straorzante di Mina con una canzone di Lelio Luttazzi cominciamo a parlare con gli alunni.
Una zebra a pois
è una grande novità
assomiglia ad un sofà
non a strisce ma a pois
Una zebra a pois
Beh, che c'è!?
A pois, a pois, a pois!
1960, L.Luttazzi - M.Ciorciolini - D.Verde
La zebra del divertimento.
Il tema delle due giornate è l'adolescenza e siamo invitate io e Daniela, autrice di Matilde, adolescente in itinere. Io mi porto Cenerentola ascolta i Joy Division di Vernazza, altro racconto sull'adolescente Elly e tutte insieme sotto Litweb- Marchio Depositato con Domenico Dara e le sue coincidenze andiamo al tavolo della concertazione con Michela Cimmino, docente di filosofia e i rappresentanti degli studenti.
Reuel, Maria Sole, Angela e Francesco sono accanto a noi. Evviva
Iniziamo.
Iniziamo col dirci che non esiste l'adolescenza, invenzione dei nostri anni, invenzione per catalogare ogni anno, ogni periodo e generazione in una casella. Siamo tutti adolescenti e giovani, nel momento in cui siamo entusiasti e crediamo in ciò che facciamo, siamo tutti adulti e maturi quando siamo consapevoli dei rischi e delle necessità.
Senza barriere seguiamo Matilde visitare paesi della Calabria seguendo il piacere di essere come si sente, libera e non costretta in una festa di compleanno stereotipata e conforme al diktat dei tempi.
Sempre noi incontreremo ma saremo un impasto di altri. Nelle coincidenze di Dara e nel mio Litweb Marchio Depositato, che portai il giorno dopo, si sono depositati gli occhi di tanti ragazzi attenti e innamorati, fiduciosi che stavano ascoltando non adulti andati da loro per far lezione ma persone che si stavano divertendo di poter partecipare ancora una volta ad una assemblea studentesca che, come ben ha detto il Dirigente scolastico,
Evviva Evviva. Nello scherzo genuino poi ci siamo premiate e felicemente usando due palle e un fiore, poggiati sul tavolo, alla maniera degli antichi greci, Paride diede Mela rossa e Pomo d'oro, con fiore simbolo della primavera a me, Michela e Daniela, fra i sorrisi degli alunni che hanno capito come solo decontestualizzando ogni momento possiamo divertirci con ciò che impariamo. Liberi.
Studio, serietà, responsabilità e luce sorrisi e gioia nelle due giornate al Liceo Campanella. Con un grazie ancora
giovedì 24 dicembre 2015
Gli occhi piccoli di mia madre
Un ergastolo a vita.
Forse il carcere, per quanto sia terribile, non riesce a riassumere con una immagine la sua vita.
Carcerata da carcerieri inconsapevoli e brutali, esigenti di affettuosità scontate e riconosciute, è stata ammanettata e messa ai ceppi.
Al timone di una nave senza nocchiero, ha navigato con tutte le sue forze per salvare i suoi cari dalle tempeste.
Le metafore del carcere e dei ceppi sono poca cosa.
Lei saltellava con le sue trecce ed era piena di vita e sorridente alle adunate dei figli della lupa. A quel tempo erano tutti lupacchiotti.
Andava a scuola e le piaceva.
Avrebbe voluto insegnare e ridere, scherzare, cantare con i suoi alunni.
Oplà la vita è tutta qua
Saltando dall'infanzia con lei che accende il fuoco con la carbonella a lei che impara i segni per parlar con suo papà muto e paralizzato, Saltando anni e giorni lei diventa mamma di due gemelli, uno muore a dieci mesi, per una gastroenterite mal curata, e l'altro a quattro anni si ammala di meningite. Mal riconosciuta dai medici di famiglia.
Lui, il gemello sopravvissuto, diventerà uno dei suoi carcerieri inconsapevole.
Saltando fra braciere da preparare, quanti bracieri avrà preparato nei lunghi inverni!, saltando sul pane caldo e sui taralli, le parmigiane e le camicie da stirare, saltando sul niente di un accudimento senza sole, senza svaghi e senza felicità, un sorriso lei lo ha sempre avuto. Anche per chi non le permise nulla, nemmeno mettersi un vestito a giro maniche oppure andare a messa.
La messa fu una conquista degli anni della senescenza.
Oplà- saltiamo le offese, i tradimenti, le ingiurie, le umiliazioni.
Saltiamo anni, sempre uguali, senza vacanze, senza un giorno di cinema e teatro, senza una passeggiata.
Saltiamo il terribile "scura oggi che viene domani" sempre uguale di un carceriere anche esso inconsapevole del suo vivere inutile, egoistico e una partita la domenica al campo, unico suo svago.
I giornali sempre presenti, ed ora la settimana enigmistica, per lenire il vuoto immenso delle relazioni.
Saltiamo via agli occhi di mia madre che, ieri mattina, si fecero piccoli piccoli e lei tentò di aprirli allo specchio ingrato della vita.
Asciugandosi la prima lacrima che io le vedo in volto.
In novantadue anni mia mamma ha sempre sorriso, nel suo carcere, con pazienza e saggezza.
Saltiamo, oplà, oltre il giardino, con me che vorrei dare un sorriso e non riesco, essendo anche io una sua carceriera.
Saltiamo sulla scuola che mai la vide in cattedra, se non nei suoi sogni nella notte, saltiamo su un inferno che sta in terra, e saltiamo ancora nella cella della vita, con lei che mai un lamento e solo pace chiede.
Forse il carcere, per quanto sia terribile, non riesce a riassumere con una immagine la sua vita.
Carcerata da carcerieri inconsapevoli e brutali, esigenti di affettuosità scontate e riconosciute, è stata ammanettata e messa ai ceppi.
Al timone di una nave senza nocchiero, ha navigato con tutte le sue forze per salvare i suoi cari dalle tempeste.
Le metafore del carcere e dei ceppi sono poca cosa.
Lei saltellava con le sue trecce ed era piena di vita e sorridente alle adunate dei figli della lupa. A quel tempo erano tutti lupacchiotti.
Andava a scuola e le piaceva.
Avrebbe voluto insegnare e ridere, scherzare, cantare con i suoi alunni.
Oplà la vita è tutta qua
Saltando dall'infanzia con lei che accende il fuoco con la carbonella a lei che impara i segni per parlar con suo papà muto e paralizzato, Saltando anni e giorni lei diventa mamma di due gemelli, uno muore a dieci mesi, per una gastroenterite mal curata, e l'altro a quattro anni si ammala di meningite. Mal riconosciuta dai medici di famiglia.
Lui, il gemello sopravvissuto, diventerà uno dei suoi carcerieri inconsapevole.
Saltando fra braciere da preparare, quanti bracieri avrà preparato nei lunghi inverni!, saltando sul pane caldo e sui taralli, le parmigiane e le camicie da stirare, saltando sul niente di un accudimento senza sole, senza svaghi e senza felicità, un sorriso lei lo ha sempre avuto. Anche per chi non le permise nulla, nemmeno mettersi un vestito a giro maniche oppure andare a messa.
La messa fu una conquista degli anni della senescenza.
Oplà- saltiamo le offese, i tradimenti, le ingiurie, le umiliazioni.
Saltiamo anni, sempre uguali, senza vacanze, senza un giorno di cinema e teatro, senza una passeggiata.
Saltiamo il terribile "scura oggi che viene domani" sempre uguale di un carceriere anche esso inconsapevole del suo vivere inutile, egoistico e una partita la domenica al campo, unico suo svago.
I giornali sempre presenti, ed ora la settimana enigmistica, per lenire il vuoto immenso delle relazioni.
Saltiamo via agli occhi di mia madre che, ieri mattina, si fecero piccoli piccoli e lei tentò di aprirli allo specchio ingrato della vita.
Asciugandosi la prima lacrima che io le vedo in volto.
In novantadue anni mia mamma ha sempre sorriso, nel suo carcere, con pazienza e saggezza.
Saltiamo, oplà, oltre il giardino, con me che vorrei dare un sorriso e non riesco, essendo anche io una sua carceriera.
Saltiamo sulla scuola che mai la vide in cattedra, se non nei suoi sogni nella notte, saltiamo su un inferno che sta in terra, e saltiamo ancora nella cella della vita, con lei che mai un lamento e solo pace chiede.
martedì 22 dicembre 2015
Discorso di fine anno 2015- A Ciascuno il suo
A Ciascuno il suo
Un anno che completa una cinquina.
Adesso faremo tombola.
Dopo aver trascorso un quinquennio a scribacchiare, aver strappato tutto il pensiero precedente io avessi scritto su fogli, quaderni e diari, aver donato libri, enciclopedie, al sistema bibliotecario lametino, senza aver nemmeno una targhetta, tipo minuscola e con su impresso nome della donante, dopo insomma essermi liberata di cose inestimabili, per me, eccomi qui, all'alba di un nuovo quinquennio.
Faremo tombola e vinceremo i tanti soldini sul tavolo, faremo tombola e a ciascuno il suo sarà dato.
Dal luogo dove mi trovo voi non potete vedermi, non potete neppure eguagliarmi, voi che siete fatti di carne, di sangue e materia, voi che siete fatti di vere relazioni, case editrici e fiere, stand e convegni, associazioni e cooperative, scuole e giornali.
Voi siete la realtà.
Dal luogo dove mi trovo io posso però vedervi, ammirarvi e leggervi, desiderare di essere come voi, sapendo però che è inutile.
Nessuna realtà ci sarà per me.
Dal luogo dove mi trovo posso ricevere i vostri libri, i vostri file, le vostre mail, esultare del genio, e sostenere con tutto il mio entusiasmo chi io creda che valga.
Mi sembra un compito che possa alleviare lo sconforto di non possedere quella bellissima bacchetta magica per poter sistemare ogni cosa, raddrizzare i torti e punire i cattivi, eliminare le idiozie, e ghigliottinare il superfluo, la piaggeria.
A Ciascuno il suo, nel regno della Litweb, gli applausi ai bravi, agli artisti, tanti di voi, che hanno preso premi che valgono, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nel giornalismo.
A ciascuno il suo
Ad altri, che non stanno nella Litweb, uno sberleffo per aver accettato premi ridicoli, premi di scambio, io premio te, tu poi premi me, oppure premi di accatto, ti compro con un premio e poi, servo eri, servo resterai.
Nella disistima più totale verso i molteplici premi cosiffatti, la stima verso i premi vinti da chi è bravo davvero.
Nella Litweb abbiamo già fatto classifica dei libri, una classifica che appartiene al mio modo di stare al mondo.
Più bella cosa non c’è
A ciascuno il suo
Un anno che completa una cinquina.
Adesso faremo tombola.
Dopo aver trascorso un quinquennio a scribacchiare, aver strappato tutto il pensiero precedente io avessi scritto su fogli, quaderni e diari, aver donato libri, enciclopedie, al sistema bibliotecario lametino, senza aver nemmeno una targhetta, tipo minuscola e con su impresso nome della donante, dopo insomma essermi liberata di cose inestimabili, per me, eccomi qui, all'alba di un nuovo quinquennio.
Faremo tombola e vinceremo i tanti soldini sul tavolo, faremo tombola e a ciascuno il suo sarà dato.
Dal luogo dove mi trovo voi non potete vedermi, non potete neppure eguagliarmi, voi che siete fatti di carne, di sangue e materia, voi che siete fatti di vere relazioni, case editrici e fiere, stand e convegni, associazioni e cooperative, scuole e giornali.
Voi siete la realtà.
Dal luogo dove mi trovo io posso però vedervi, ammirarvi e leggervi, desiderare di essere come voi, sapendo però che è inutile.
Nessuna realtà ci sarà per me.
Dal luogo dove mi trovo posso ricevere i vostri libri, i vostri file, le vostre mail, esultare del genio, e sostenere con tutto il mio entusiasmo chi io creda che valga.
Mi sembra un compito che possa alleviare lo sconforto di non possedere quella bellissima bacchetta magica per poter sistemare ogni cosa, raddrizzare i torti e punire i cattivi, eliminare le idiozie, e ghigliottinare il superfluo, la piaggeria.
A Ciascuno il suo, nel regno della Litweb, gli applausi ai bravi, agli artisti, tanti di voi, che hanno preso premi che valgono, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nel giornalismo.
A ciascuno il suo
Ad altri, che non stanno nella Litweb, uno sberleffo per aver accettato premi ridicoli, premi di scambio, io premio te, tu poi premi me, oppure premi di accatto, ti compro con un premio e poi, servo eri, servo resterai.
Nella disistima più totale verso i molteplici premi cosiffatti, la stima verso i premi vinti da chi è bravo davvero.
Nella Litweb abbiamo già fatto classifica dei libri, una classifica che appartiene al mio modo di stare al mondo.
Più bella cosa non c’è
A ciascuno il suo
giovedì 17 dicembre 2015
Se tornasse Natale di Giacomo Cacciatore
L’assenza non è tempo né strada.
L’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello
più affilato di una strada.
Nazim Hikmet, Poesie d’amore, Mosca 1961
Se tornasse Natale, Natale non tornerà.
"Scomparire" è il libro di Claudio Marinaccio,
"Se tornasse Natale" il libro di Giacomo Cacciatore sembra faccia dialogo con l'altro.
Scomparire
Il protagonista, Natale Lo Bianco, Bianco Natale ( lo hai fatto apposta?), scompare, o per meglio dire, viene dissolto.
Sappiamo del suo destino attraverso l'attesa che suo figlio, di otto anni, consuma nell'auto paterna all'altezza del "corrimano di ferro dello scalone che lega via Roma, la strada grande, più in alto – dove si circola con le macchine – a quella del mercato della Vucciria,
più in basso – dove si vende, si compra e si cammina solo a piedi "
Bruno è lì, in macchina ad aspettare il suo papà, con in mano la torta al profumo dei pinoli abbrustoliti comprata per il suo compleanno. La storia poi prende due cavetti e si accende con Bruno. "Così, alla fine, il figlio di Natale Lo Bianco detto «u mago» stacca e collega i cavi come si deve. La scintilla scocca, il motore canta senza chiave. L’automobile rutta fumo nero verso la scalinata. Via Roma sembra infinita a uno piccolo come Bruno, dentro una macchina così grande, che colleziona sguardi curiosi, ma lesti a dimenticarsi di affari che non li riguardano"
Con lo stile del racconto orale onirico, Giacomo Cacciatore ci presenta i due personaggi dal dualismo perfetto di un divenire vitale per la città.
Bruno, il bimbo supereroe mancato, il mago che con la bacchetta magica di Silvan tenterà di modellare o meglio fare sparire quello che della realtà non piace, e Vicio Miraggio, cantante melodico guastato da un vivere falso ed ora in preda a quella falena che lo perderà per sempre, la donna che ama.
Un miraggio proprio.
Ho letto con molto interesse il libro di Giacomo, quasi contendendomelo al suo primo apparire.
Quella sua copertina favolosa, quelli della Baldini & Castoldi hanno copertina ipnotizzanti, ricordo sempre" La forma minima della felicità" di Francesca Marzia Esposito, anch'essa stupefacente, però dopo la copertina ci stanno libri dal contenuto ugualmente ipnotici.
In una Palermo che mi sembra di conoscere dal film " Belluscone" di Franco Maresco, dove i cantanti neo melodici sembrano Vicio Miraggio, si aggira Tatti Sanguineti, critico cinematografico, alla ricerca del regista, sparito.
Un documentario etno-musicologico, il film, che alterna il ritratto in bianco e nero del più famoso impresario palermitano di cantanti neomelodici, Ciccio Mira, sostenitore dei vecchi valori mafiosi, alle riprese di concerti di piazza degli idoli locali, Maresco vi fa capolino con la sua voce stentorea, e ogni tanto entra in scena ed è nostalgia vederlo in azione, adesso che è sparito.
A me sembra di vedere Giacomo Cacciatore, al posto di Maresco, girare in bianco e nero un film romanzo che io ho visto scorrere davanti ai miei occhi già in pellicola, pronto ad aver distribuzione in tutte le sale del regno.
Palermo amata e sciupata, la Palermo che io ho visto una sola volta e con una guida in lacrime che mi mostrava la conca d'oro che non c'era più, sparita, sotto l'assalto dei costruttori, il sacco di Palermo, e la guida piangeva... dissolto l'oro della civiltà restava il marcio di una vita mala.
Giacomo Cacciatore racconta e racconta, facendoci amare il piacere di leggere, facendoci amare la pagina scritta, come se, come Bruno, potesse anche lui "Scuotendo la bacchetta davanti a sé, con furia fosse convinto di poter tagliare a morte la tristezza.
Vi insegneranno solo a fare Ola
Fra le tante iniziative che nella mia città si vanno svolgendo in occasione delle festività natalizie, cominciate, alcune, con largo anticipo, già a novembre, ci sta il Villaggio di Babbo Natale.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie.
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero.
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento.
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie.
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero.
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento.
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.
martedì 15 dicembre 2015
Natale in casa Cupiello. Luca De Filippo per noi
Per noi Luca De Filippo resta il giovane trentenne che alla domanda del papà, Luca Cupiello, interpretato da Eduardo De Filippo, suo padre anche nella vita, te piace 'o presepe?, risponde sempre no, per tutto il tempo.
A niente valgono i tentativi di circuirlo con regali di due cravatte, oppure facendo vedere le tecniche su come avrebbe fatto scendere l'acqua, niente, lui esaspera il padre finché nella rabbia lo caccia di casa. A parole.
Per noi il presepe è sempre la colla da scaldare, i pastori da comprare, sughero, muschio, corbezzoli e la carta argentata, per completare con fiumi e laghi, cielo e stelle il paesaggio su cui pregare.
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Natale in casa Cupiello, in omaggio a Luca De Filippo che ci ha lasciato il 27 novembre 2015 all'età di 67 anni, nella sua casa romana.
« Senza mio figlio forse io... scusate... me ne sarei andato all'altro mondo tanti anni fa. E io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato! Si è presentato da sé. È venuto dalla gavetta, dal niente, sotto... il gelo delle mie abitudini teatrali. »
(Eduardo De Filippo, al XXX Convegno dell'Istituto del Dramma italiano a Taormina, 15 settembre 1984)
Natale in casa Cupiello
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Siamo alla vigilia di Natale e una volta il presepe si faceva rispettando i tempi, quindi nell'approssimarsi della festa.
Nella caparbietà dell'uomo che fa un presepe solo per sé, per divertirsi, così dice, all'inizio del secondo atto infatti Luca Cupiello confessa il suo pensiero a Raffaele, il portiere che si domanda fra sé e sè:"Vedete se è possibile che un uomo alla sua età si mette a fare il presepio. So' juta pe' le dicere:-Ma che 'o ffaie a fa'?-Sapete che mi ha risposto:-O faccio pe' me, ci voglio scherzare io!-"
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
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