sabato 18 aprile 2015

Bartali e Beha al Sabato del Villaggio

Arrivo in teatro ancora vuoto, sono in anticipo di un'ora, prima che inizi a parlare Oliviero Beha di Gino Bartali.
Due uomini con carattere, diversi fra diversi, per caratteraccio. 
Bartali, un carattere generoso, Beha,  estremamente viscerale e polemico verso tutte le sciocchezze che impediscono lo svelamento di ipocrisie. Sarà di sicuro una serata che non scorderò- mi appunto.
Oliviero Beha e i diversi. Il cattivo carattere che è personalità. Via dalla Repubblica, rompeva un po', ora sul Fatto Quotidiano e poi anche su Tiscali. 
Ci fu un giorno in cui io ed Oliviero Beha siamo apparsi sulla stessa pagina Tiscali, Socialnews, entrambi come blogger. Una staorzante sensazione.
Una sola volta è per sempre.
Fra diversi, nel mondo dei giornalisti veri, io, da semplice lettrice di pagine che so a memoria.
Con la stessa impazienza, con cui ho sempre aspettato ogni articolo dei miei giornalisti di riferimento, attendo stasera e, per puro caso, lo incontro sulle scale.
 Raffaele Gaetano me lo presenta e mi informo del suo ginocchio, dell'intervento subito da poco tempo, come due amici che si ritrovano.
Inizia
Siamo invasi da ciò che non va, sappiamo tutto il male che succede, ma non sappiamo nulla sul bene. Cosa sia il bene, esiste il bene, ci saranno pur tante persone che vivono nel bene, che vogliono il bene. Nessuno ne parla.- inizia così.
Ho quindi voluto raccontare di Bartali, che fa azione disinteressata, di aiuto verso gli ebrei, durante la seconda guerra mondiale, una pericolosa corsa in bicicletta, contenendo documenti, da Firenze a Cesena, andata e ritorno in un solo giorno, azione fatta come un dono. Ha donato la sua abilità per una causa di umanità.
Stendhal diceva che dei romanzi non ricordiamo la trama ma il carattere dei personaggi e così io ho voluto ricostruire il personaggio di Bartali, che in realtà non raccontò quello che aveva fatto, perché tutti possano immedesimarsi in un personaggio positivo e desiderare di esser come lui. Un esempio.- dice Beha.
Trascrivo veloce solo alcuni passaggi. Io solo appunti prendo, ed ora vedo, visualizzo quel segno della croce che Bartali si fa sul podio, dopo aver vinto il Tour de France in epoca fascista.
Un Bartali religioso, non baciapile, lontano da qualsiasi potere, un uomo libero, che a riguardo di Coppi ebbe a dire:- La differenza fra me e lui è che lui è democristiano ed io sono cristiano!-

Visualizzo ogni parola di Beha e sono con lui nei luoghi in cui ha vissuto Bartali perchè i luoghi parlano, gli oggetti parlano, i cimiteri parlano, in un animismo che non abbiamo mai perso se sappiamo vederlo e sentirlo.
 Soffia l'interesse nel meme della comunicazione fra cose, natura e uomini e rintracciamo le tracce di chi passò, di chi c'è stato. Orme sul terreno.
Se non sappiamo chi siamo non possiamo decidere dove andare, e ripenso a Totò, per andare dove dobbiamo andare...
per progettare dobbiamo conoscere chi siamo.
E mentre Oliviero Beha qualifica come  spazzatura una televisione che io non vedo da decenni, tanto da non conoscere la giornalista che verrà la prossima volta, mi dicono di Porta a Porta, altra aberrazione da cancellare... lui se ne esce con questa splendida frase sull'allegria. 
Abbiamo bisogno di allegria.
 Come in Cile, ricordi Beha? si vinse con L'allegria.
L'allegria che viene

ed ora facciamo suonare a  De Vito una musica che ci porti via dal piattume e dallo sfascio.
 Oltre suona questo ragazzo, che ci dona la sua abilità.

In armonia,  per ritrovare quell'equilibrio che impedisca al piano inclinato di farci scivolare sempre più giù, in una disfatta storica che dalla  seconda guerra mondiale portiamo come una croce, scende il rispetto che dobbiamo a noi stessi. Da  Beha a noi, da Simenon a Mankell. 


Corso di Dizione. Dal calabro all'italiano


Da una idea di PierLuigi Fragale nella fattualità di  Mario Maruca
Corso di dizione dal portone in stile  georgiano di Piazza Felice Sacchi, Lamezia Terme

Impariamo a pronunciare le parole
Lascio o raddoppio?
Il suono del sud piange sempre, lo sai?
La cadenza al raddoppio, alle tragedie sempre imminenti, alle vocali troppo aperte e le cadute di tono…
Saranno questi gli argomenti del corso, in seguito. 
Ora Mario, attore di teatro e maestro di dizione, sta domandando a tutti noi quale sia la motivazione che ci ha spinto ad iscriverci al corso.
Elena, Lucia, Miriam, Alessandro, Luca, Andrea e noi tutti…
Le risposte:- Lo faccio per un motivo professionale e personale. Lavoro per una grande azienda- dice la ragazza, ed io sono calamitata dalla sua capiente borsa

Lo faccio perché non tollero la cadenza del calabrese in televisione- dice una simpatica signora con ricci lunghi e biondi
Lo faccio perché mi piacerebbe saper comunicare emozioni ai miei allievi- Miriam
Lo faccio perché chi è sicuro del dire è già padrone di sé stesso e del  suo interlocutore,- da Luca, riassumendo, e che poi completa- con umiltà. Bisogna essere sempre preparati e conoscere bene l'argomento di cui si parla.-
Mario, intanto parla a tempo. Dà il ritmo alla parola.
Usa lo strumento musicale in suo possesso, in nostro possesso, e lo suona a tempo.
 Sono qui perché non c’è mai fine al tempo… dice entusiasta il signore al mio fianco, comunicando a tutti energia e volontà.
 Imparare a parlare a tempo.
Non importa cosa dici ma come lo dici, riporta, una signora, frase che, suo marito, un saggio, le ricorda spesso.
E siamo qui  per imparare il come, per fare esercizi, compiti, e studiare il come fare pause, rispettare la punteggiatura, dare potenza al suono della parola, perché giunga chiara alle sinapsi colleganti dell’altro il nostro dire.
Due sono i concetti: Sottotesto e motivazione
Il pensiero interiore che si trasferisce nel corpo, sul viso, ed esce dalle labbra, con muscoli facciali e corde vocali.
Il nostro ultimo pensiero non è la testa ma il viso, sta dicendo Mario, al termine di un incontro in cui, noi tutti, personaggi diventammo, per lui o per l’altro, nello strano viaggio chiamato comunicazione.
Con la canzone di Adriano Celentano in testa
Se rido se piango ci sarà un motivo
se penso se canto mi sento più vivo…
Se guardo se sento è perché ci credo
se parlo e ascolto è perché ci vedo…
Se grido più forte è per farmi sentire…
Se penso se dico c'è sempre un motivo
se a volte mi estraneo è perché non approvo
e cerco parole che diano più senso
Se penso e mi sento un po’ più nervoso
è solo un momento che sa di noioso
poi passa poi torna non so come dire
c'è sempre un motivo...per tornare a capire


Fare un corso


venerdì 17 aprile 2015

La cooperativa Apollo e le rane nello stagno- da Esopo

Il racconto di Esopo  e il commento di Fedro per gli abitanti tutti, di cooperative, strade, vicoli e palazzi, per i nostri cittadini, per gli abitanti tutti, di quartieri, paesi, città, regioni e nazioni. Del mondo intero. 
Dalla cooperativa Apollo al monte Olimpia.
Esopo
“Le rane, che vagavano libere nelle paludi,
chiesero con grande clamore un re a Giove,
che frenasse con la forza i costumi dissoluti.
Il padre degli dei rise e diede loro
un piccolo bastone, che, lanciato, per l’improvviso
movimento e suono del guado spaventò la pavida specie.
Poiché queste giacevano da tempo immerse nel fango,
casualmente una silenziosamente fa capolino dallo stagno,
e, ispezionato il re, chiama tutte quante.
Quelle, lasciata ogni paura, nuotano a gara verso il re,
e una massa sfacciata salta sopra il bastoncino.
Avendolo disonorato con ogni insulto,
inviarono a Giove delle rane per chiedergli di un altro re,
in quanto quello che era stato dato loro era inutile.
Allora inviò loro un serpente d’acqua che con dente spietato
iniziò ad afferrarle ad una ad una. Incapaci di difendersi, tentano invano di
sfuggire alla morte, la paura toglie la parola.
Allora di nascosto affidano a Mercurio un’ambasceria presso Giove,
perché soccorra le afflitte. Allora il dio in risposta:
“Poiché non avete voluto conservare la vostra fortuna,” disse
“sopportate fino alla fine la disgrazia!”
Anche voi, o concittadini”, disse,
“sopportate questo male, affinché non giunga una disgrazia maggiore”.

e

FEDRO I, 2 -

Quando Atene fioriva con leggi di uguaglianza,
la sfrenata libertà sconvolse la città
e il capriccio infranse l’antica moderazione.
A questo punto, cospirati i partiti delle fazioni politiche,
Pisistrato occupa come tiranno l’Acropoli.
Visto che gli Ateniesi piangevano la triste schiavitù
 e dato che avevano iniziato a lamentarsi,
allora Esopo raccontò la seguente favoletta.

ed io a loro la ri-racconto

giovedì 16 aprile 2015

In questo blog non vendo pentole e non faccio coperchi



39000 click oggi
Un Blog dove non smalto gatti e non posto unghie, non stiro cappelli, pardon ricomincio,  un blog dove non smalto unghie, non stiro capelli, non posto gatti, cani e cimici, non mi litigo e non dico parolacce, non mi spoglio leccando un nudo e gocciolante naso, non vendo libri e nemmeno compro, non mi esibisco come alla fiera dell’est nelle bancarelle di cianfrusaglie varie.
 Un Blog Non.
 Accetto soltanto un Bancarella, un Campiello, e uno Strega, ad uno ad uno, per carità,  e mentre rido di me e di  tutti, in questo luogo che  non  è un luogo, sono felice di stare con me  e di ringraziare gli sconosciuti che da due anni mi leggono qui, in questo regno che proprio non c’è.
Certo ogni tanto ci provo anche io a tastare un poco la realtà, a dire qualcosa, a frequentare,  ma poi mi accorgo che è molto meglio scrivere sul blog se vedo un film, se leggo un libro, se un quadro è bello, se la chitarra suona accompagnando il mio pensiero.
Musica, Musica questa è la musica del nostro stare qui.
Qui non si vende e non si compra, qui c’è lo scambio e il rispetto, questo è quel regno della fantasia dove ogni cosa al suo posto sta
In questo blog non vendo pentole e non faccio coperchi, mi esercito a vivere a modo mio, per esorcizzare questa realtà.
Se voi leggete, e siete in tanti, almeno per me, io  sono felice.
Grazie di esistere, come cantava Ramazzotti prima che Michelle Hunziker lo abbandonasse.
Mi auguro che voi resterete almeno finché ci starò anche io.

39000 click allo spuntar del sole. 

La Forma minima della felicità


La  Forma minima di felicità o una forma minima? 
Mi sono innamorata, da subito, della copertina di questo libro, o per meglio dire, di lei che mi fissa, di quel viso di bimba severo e scrutante, attento. 
Ho capito solo ora perché. Lei mi fissa e mi copia. Copia lo sguardo dei miei quattro anni.
Mi sono innamorata del libro già alle prime immagini.
 Io leggo visualizzando finestre, strade, palazzi e vi abito per tutto il tempo, non avendo altro luogo da abitare.
Ho così traslocato dalla mia casa a schiera, in cooperativa, in un palazzo condominiale, quello abitato da Luce, la voce narrante del libro.
 Tutto un euro, il negozietto della cinese è diventato il mio negozio e  ho aperto Canale 32, un canale senza tempo, che vende il 15, un anello con la doppia fascia in argento.
Seguo ipnotizzata i numeri  del condominio umano di Luce Martini, la voce narrante.
Il 51 l’appartamento sfitto
“Chi ci abita al 32? Mistero. Otto, una volta abitavo su, una volta abitavamo al 51. Vivo qui da sempre e non ho ancora memorizzato il nome della signora del 30. Chi sono i vicini? Le facce dei vicini a chi corrispondono, chi c’è dietro una faccia?”
Contiamo e corriamo e seguo la corsa della ragazza che Luce vede dalla finestra. 
Tenta anche lei ed esce di casa ma 
“Ventisette, ventotto, ventinove, trenta, trentuno, trentacinque, trentasei, trentasette, cinquantatré, disequilibrio.” Attacco di panico

LE VIE DEL SIGNORE DEL SIGNORE SONO  IN COSTRUZIONE. D’IO


I post-it appiccicati nella bacheca giù, il cartello di affittasi, i messaggi incollati sul calendario, la colla Attack e lei, Bambina, la bimba, figlia di Yuri, fratello di Luce, fissa.

 Bisogna attaccarle subito le cose, altrimenti scivolano.

Il piano inclinato dove scivolano i giorni

OGNUNO  HA IL SUO DESTINO. CHIUNQUE SE NE FOSSE RITROVATI DUE, E’PREGATO DI LASCIARNE UNO  IN PORTINERIA , GRAZIE D’IO

E poi ” Vorrei sapere tutto di te. V.
Pure io, a chi possiamo chiedere? A.”

Potrei continuare a scrivere delle telefonate che Luce fa con la mamma, dialoghi interrotti, scivolano anch'essi sul piano sincopatico della ripetizione, del non detto, dell’abitudine.
Potrei “ leggere attentamente le distruzioni. D’Io”
“Si prega di non parlare a sproposito Si prega di non parlare a proposito Si prega Si prega anche se non si crede Si prega per disperazione Si prega con dubbio Si prega in mancanza di Dio Si prega di far comparire un sostituto Si prega che sia convincente.”
Ho adorato ogni cosa di questo libro, scritto come io vorrei saper fare e non so, e, ferma alla preghiera di non parlare a sproposito, ringrazio l’autrice della fiducia nella mia unica abilità posseduta, il dono della sintesi, augurando al suo libro lettori innamorati come lo sono io.

e questa sono io

fisso uguale?

martedì 14 aprile 2015

Se sguardo non c'è, vedere non si può

Ascoltare Francesco sul senso dei luoghi, rimembrando Vito Teti, e scrivo sorridendo su altre  rimembranze poetiche, è unire letture su letture, alcune condivise, altre no, per disegnare una mappa del territorio comune. Un Bene Comune.
Il luogo in cui, Salita Maruca, abitò mia mamma da ragazza, con le trecce e la sua  energia, è diventato sede di ritrovo per un paesaggio interiore che si  risvegli. Deep South. Profondo Sud.

Francesco cita Marcel Mauss nel " Saggio sul dono" Lo scambio dei beni è uno dei modi più comuni e universali per creare relazioni umane o per creare ponti con il divino
Il dono diventa, secondo Mauss, un fatto sociale totale, vale a dire un aspetto specifico di una cultura che è in relazione con tutti gli altri .
L'autore suppone che il meccanismo del dono si articoli in tre momenti fondamentali basati sul principio della reciprocità:
dare;
ricevere - l'oggetto deve essere accettato;
ricambiare.
Il dono implica una forte dose di libertà."
Forte di questo assioma io spero che venga accettato il mio dono, i miei appunti, scritti per il  puro piacere del dono, per relazione. 

Dalle tante coincidenze con cui inizia la sua chiacchierata fra il familiare, in fondo si trova fra amici, e la divulgazione appassionata, lui cita  Jung ed io in testa ho Il Breve Trattato sulle coincidenze di Domenico Dara, anche lui molto attento al paesaggio e alla Calabria. Luogo di Amnesie. Come mai? Come mai qui ci siamo scordati i luoghi, chi siamo, e scimmiottiamo, per un senso d'inferiorità mai guarito, altri modi di essere? Questa la domanda su cui verte tutto il suo dire.
Come mai gli abitanti di Ievoli non conoscevano le cascate della Fiumarella e passarono dall'orrore allo stupore quando vi furono condotti da Don Giacomo e da Francesco?
Come mai le nove persone di Panetti, frazione di Platania pensavano lontanissima, lassù in montagna, la cascata, lo schioppo, la tiglia, che pur era a dieci minuti? 
Amnesia dei luoghi. Come se una zanzara anofele li avesse punti e fossero precipitati in un coma neurovegetativo topografico. 
Franco Arminio, paesologo e poeta, ritorna sul recupero del senso del sacro e
 «Quasi tutti i giorni vado in giro per i paesi, vado

 a vedere che aria tira, a che punto è la loro salute e la loro

malattia. Vado per vedere un paese, ma alla fine è il paese

che mi vede, mi dice qualcosa di me, che nessuno sa dirmi»

e mentre Francesco legge Octavian Paler noi andiamo via, risvegliati
“A cosa serve il poeta in tempo di povertà?”.. parte da questa domanda Paler, per dire..
“Il vero coraggio della poesia forse non è cantare le piogge quando tutto il mondo le vede,
il vero suo coraggio è di vedere il cielo incendiato e sperare”
Di fronte all'inevitabilità della carestia….
“annuncia alla fortezza, alla terra, che la pioggia esiste,
annuncia agli uomini che hanno il dovere di sperare.”
Che la pioggia esiste. C’è tutto in questa frase.
La pioggia esiste.
Dire, proprio nelle epoche di siccità che “la pioggia esiste”.
Non crederlo come forma di auto consolazione.
Non “benefica illusione”.
No.. ma CREDERE che la pioggia esiste, e farla intravedere, trasmetterla da mente a mente, come un contagio, farla “vedere”
dando ad essa parola, pronunciandola, richiamandola alla via, preannunciandola.
E poi..
“A cosa serve il poeta, in tempo di siccità?
Per cantare le piogge proprio allora,”
Proprio allora. Non a raccontare di future morti. Non accordarsi al coro di chi prepara le bare.
Non essere delle razza dei corvi neri.
E’ adesso che devi credere nella pioggia, proprio perché c’è la siccità.
Ed è adesso che devi parlare di lei, proprio perché si è persa ogni speranza.
Ed è adesso che devi mettere la mano sul fuoco, perché il coraggio è una sfida al buio.
Ma dire “il poeta” è restrittivo.
Non me ne frega nulla se sei “poeta”.
Ma ti chiedo di non essere tra le vecchie stitiche,
di non giocare al pallottoliere coi cadaveri,
di non farmi “l’elogio dell’impotenza”.
Di ricordare che “la pioggia esiste”.

Vi lascio a “Lettera al Signor Holderlin” di Octavian Paler

lunedì 13 aprile 2015

Il Mea culpa e le briciole

Il Mea Culpa e le briciole

Una settimana, questa,  con gli studenti delle scuole primarie e secondarie del circondario sotto il patrocinio del Comune presso sala polivalente del Sistema bibliotecario lametino, che termina con pranzo di beneficenza, domenica 19 aprile.
Gentilissima, Luigia Iuliano, volontaria,  responsabile del AVSI di Lamezia, e ricercatrice presso Regione Calabria come suo lavoro, mi fa vedere i video in cui La Povertà è isolamento e solitudine.

Malnutrizione è Non sapersi nutrire.
Dalle favelas brasiliane ai campi dell’Ecuador, del Kenya
Stanno dicendo che povertà è mancanza di relazione, che nutrizione è mancanza di educazione. Una mancanza terribile. Dicono i volontari di sentirsi ricattati dalla situazione che  trovano davanti.
 Lavorano per creare fiducia, abbracci e bellezza, e portano  testimonianza di come sguardo comprensivo abbia aiutato più di tanta offerta di cibo.
Nella mia giudicante irritazione verso una storia che ha sfruttato e impoverito popoli dignitosi fino a farli diventare elemosinanti esseri  di briciole, il compito di  fondazioni, che lavorano per casi umani di abiezione e di emarginazione totale,  mi sembra veramente inane.
Non sarà così e mi auguro che la storia, con  un  capitombolo, possa un giorno mettere  fine alla  parola povertà.
 Mancanza, vuol dire.



Dal sito della fondazione:
“La Fondazione AVSI è una organizzazione non governativa, ONLUS, nata nel 1972 e impegnata con oltre 136 progetti di cooperazione allo sviluppo in 30 paesi del mondo di Africa, America Latina e Caraibi, Est Europa, Medio Oriente, Asia.
AVSI opera nei settori socio-educativo, sviluppo urbano, sanità, lavoro, agricoltura, sicurezza alimentare e acqua, energia e ambiente, emergenza umanitaria e migrazioni, raggiungendo più di 4.000.000 beneficiari diretti. 
La sua missione è promuovere la dignità della persona attraverso attività di cooperazione allo sviluppo con particolare attenzione all’educazione, nel solco dell’insegnamento della Dottrina Sociale Cattolica.
Lo staff AVSI è composto da circa 1.400 persone che lavorano in queste attività. Una rete di circa 1.000 volontari in Italia, coinvolta in attività di sensibilizzazione e fundraising a favore di AVSI, incontra in un anno circa 400.000 persone.

Nel 2013, AVSI ha ricevuto contributi per un importo complessivo di circa 27 milioni di euro metà da donatori istituzionali e metà da privati. La raccolta complessiva da parte del sistema AVSI nel mondo ammonta a più 45 milioni di euro. Tra i suoi principali donatori istituzionali figurano il Ministero degli Esteri Italiano, l’Unione Europea, USAID, la FAO, l’UNICEF, la Banca Mondiale. AVSI è riconosciuta dal 1973 dal Ministero degli Esteri Italiano come organizzazione non governativa di cooperazione internazionale (ONG). Gode inoltre dello Status Consultivo Generale presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). E’ accreditata anche presso Unicef, l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (Usaid) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo dell’Industria di Vienna (Unido). E’ inserita nella special list dell’Organizzazione Internazionale dell’Onu per il Lavoro (ILO). Aderisce allo UN Global Compact.
E’ associata alla CDO Opere Sociali che, con le sue oltre 1.400 realtà non profit in tutta Italia, offre ad AVSI la possibilità di attingere know how per i progetti e partner nei paesi in cui opera.
AVSI è anche un Ente autorizzato dal Governo italiano per le adozioni internazionali.”