venerdì 21 settembre 2012

La favola della gabbietta - Completa?



prima puntata

C’era una volta in un mondo lontano una città molto strana, senza più gente che camminava per strada.
Avevano avuto i cittadini in regalo una gabbietta con dentro un oggetto animato.
Era arrivata  come pacco postale da una agenzia molto nuova che offriva tanti servizi.
E fra questi uno in particolare.
La consegna a domicilio della gabbietta con dentro un nick.
Era questo un esserino molto carino, innocuo e gentile.
Non faceva la cacca, e nemmeno pipì, non mangiava e beveva, non aveva freddo e nemmeno caldo, non doveva essere lavato, non puzzava perché non sudava.
Tutti felici  i cittadini portarono in casa quell'esserino.
Lo sistemarono nel salotto buono, in cucina, in bagno, vicino al letto.
Il nick era bello, era senza corpo, ognuno poteva immaginare, era un drago, un cigno, una torta, o anche e soltanto una scatola di latta.
Il nick aveva nella sua casetta tante maschere di carnevale, ne poteva indossare una o più di tre insieme o da sole come  lui più  gradiva.
Tante figure e fra queste anche visi, visi di uomini e donne più giovani, somiglianti almeno un po’ al cittadino a cui era assegnato.
Visi di sbieco, o visi frontali, formato tessera e sorridenti, visi oramai  stereotipati e fermi in un solo click.
Questo per rendere più familiare l’approccio al cittadino più conservatore, più all'antica, di quel gioco nuovo e tanto carino.
-Non ti preoccupare,- sembra che dica l’esserino-  lo vedi? sono come te, ti assomiglio, certo sono più giovane, sono più carino, ma sono il tuo viso di un tempo che fu-
- Ora stai tranquillo ed inizia a giocare, anzi a giocare gioco solo io, tu stai solo a guardare, guardi soltanto e ti distrai dal tuo mondo cattivo, solitario o troppo pieno, fatto di incontri, di lavori stressanti,  di vigliaccherie da mandare giù-
-Stai tranquillo, mio caro, -sembra dica ancora lui  al suo proprietario, ma questa è solo una illusione, perché il nick voce non ha.
Gioca soltanto mattina e sera ad indossare quelle figurine, quei piccolissimi vestitini fatti di fogli, di colori, di nomi fatati.
Luce del mattino, onda del mare, niente e nulla, senza e tanto, marte e giove. Quante maschere per un solo nick!
Urano e saturno e poi le stelle, galassie intere dopo la flora, la fauna, il mondo minerale e  vegetale.
Una gabbietta dottissima, ricchissima di travestimenti, come se un fregoli dovesse esibirsi
Ma dove?
La gabbietta era proprio piccina ma dentro era una meraviglia, si poteva guardare perfettamente il nick all’opera  a far passare il  tempo.
Si accorsero così, tutti, che il nick solo non era, aveva in mano una connessione, un tablet, uno schermo e poteva pigiare dei tasti neri.
Davanti aveva uno schermo bianco che cambiava al pigiare dei tasti, che si animava e riportava fatti misfatti del mondo di là.
Il cittadino si accorse che su quello schermo passava il suo mondo, ma era un mondo più variegato, un mondo vasto vastissimo pieno di opportunità.
Giornali in rete, e poteva sbirciare, incontri on line e spogliarelli, donne donnine di tutte le taglie, uomini forti e muscolosi, lisci, liscissimi e depilati, giochi di ruolo, di sadomaso, di offerte varie, finanche un biscotto.
Guardava il suo nick pigiare e pigiare dopo aver indossato ogni mattina il vestitino più carino, il travestimento per l’occasione e si accorse che quell'esserino pigiava e tante paroline poi si scrivevano a lato in un riquadro accanto in basso a destra
Era la chat, così c’era scritto.
Ma con chi chattava? Ma con  chi scriveva se lui era in una gabbietta e in quella stanzetta c’erano solo il cittadino che guardava ed il nick che pigiava ?

seconda puntata
Il cittadino, che era all'inizio consapevole di essere solo nella sua stanza e di guardare quell'esserino, cominciò ad essere molto curioso.
Molto curioso di quel mondo fatato con cui il suo piccolino si divertiva.
Sembrava veramente un altro mondo, un altrove dove donne  giovani, profumate e nude, si offrivano solo per puro piacere senza nemmeno chiedere il nome.
Dove uomini giovani, dolci e romantici offrivano carezze, baci e quant’altro a donne sole o malmaritate, o maritate ma non eccitate.
Un mondo fatato dove ognuno poteva essere quello che aveva sempre sognato, uno scrittore, un seduttore, una odalisca, una troia perfetta.
Un mondo incantato, senza problemi e senza nemmeno aprire portafogli, bastava soltanto stare a guardare il nickname pigiare e sognare con lui.
Il mondo di fuori pian piano sparì, sembrava noioso, sembrava scialbo, senza nemmeno un’offerta,  se non di un caffè.
Il mondo di fuori era sempre lo stesso, il traffico intenso, la banca, la posta, il cane da portare a passeggio, la gatta incinta, il pappagallino, la suocera da invitare quel dì.
Le ricevute e la spazzatura, le figlie in crisi adolescenziale, il figlio ancora disoccupato, la moglie o il marito  sullo stesso divano.
Nemmeno un fremito, nemmeno un attesa, nessuna emozione, nessun batticuore.
Era proprio una noia, una noia perfetta, anche se urlavi con il vicino, anche se poi suonavi agli incroci, anche se litigavi con la fidanzata, con l’amante, con il tuo postino.
Cominciò cosi il cittadino, tutti i cittadini, a correre in tondo, dapprima impercettibilmente poi sempre più visibilmente, cominciarono a voler tornare a casa, sempre più in fretta, sempre di corsa per guardare con grande affetto quel piccolino che pigiava e pigiava.

terza puntata 

Il cittadino, ma tutti con lui, ormai cominciarono a non vivere più, ma no, ma che dico? A vivere una vita straordinaria.
Nell’altrove!
Ridevano sempre, parlavano da soli, guardavano il sedile della loro automobile e prendevano per mano l’immaginario incontrato laggiù, nella stanza fatata dove il loro nick pigiava e pigiava.
Chissà chi aveva incontrato stamane! Chissà che cosa era successo su quello schermo tanto intrigante, tanto volubile, tanto cangiante.
Parlavano intanto i cittadini nella loro mente, per giorni e giorni, con l’altro da loro, uguale preciso, identico e solo, una vera affinità, due anime gemelle.
Magari non erano sempre le stesse, tutto mutava al sorger del sole, tutto veloce tornava a rinascere al tramontar del sole.
Ma, mentre in quella stanza il piccolo si dava tanto da fare, la realtà  si polverizzava, uomini adulti lasciavano le mogli e donne incazzate cercavano altrove, nel gioco degli incontri e degli scontri, del togli uno e metti un po’ quello, restando alla fine scornate e deluse dell’ennesimo giro in una giostra infernale.
Tutti oramai non vivevano più o vivevano troppo, prendendo per vero quello che faceva quell’esserino che  stava con loro.
Urgeva trovare di corsa un rimedio.
Chi aveva per primo inventato il gioco non aveva pensato alle conseguenze, voleva distrarre, voleva ingannare, ma leggermente per un solo momento, voleva soltanto vendere un sogno, un tanto al tempo, con la durata, convinto che poi chiunque avrebbe potuto svegliarsi di colpo e senza pretese.
Ma i sogni sono pericolosi, sono più disturbanti di una realtà, i sogni ti portano sempre per mano e non ti lasciano andare di là
I sogni ci nutrono e ci danno lo slancio per dismettere un vivere  che non piace più
Così in quella città una grande malia invase le case, un girovagare per un aldilà che  portava tutti di qua e di là
Il rimedio, il rimedio, ma quale?
Dove trovare una risposta ad una domanda così impellente, così urgente?
Decisero dunque di rivolgersi tutti a quell'esserino che intanto pigiava

quarta puntata

Interrogato, il nickname non rispose.
Era intento sui tasti, era troppo impegnato.
Nessuna risposta alleviò l’ansia, il tormento di cuori affranti, di amori spezzati.
Nessuna risposta ci fu in quel vuoto di attese, speranze, frustranti bip.
Qualcuno si ricordò di favole antiche, di mostri cattivi coperti di lana, di lupi vestiti di agnelli, di streghe che offrivano mele odorose, del gatto e la volpe che rubavano monete, di invidiosi calunniatori, di perfide sorellastre e di matrigne odiose … qualcuno si accorse che bastava toccare con un bastoncino il piccolino nella gabbietta  ed avrebbe avuto i contorcimenti e gli stessi spasmi della vita di fuori.
Dalle favole alla realtà.
Tutto ruotava eppur stava fermo, non c’erano storie, non c’erano mai state, non c’era neppure il castello incantato, non c’era nessuno, nemmeno un  soldato.
Eppure  tutto quel fermento, quel correre intorno, quel grande da fare aveva distrutto famiglie e legami, aveva portato un freddo nel cuore, più freddo di quello che c’era stato fino ad allora.
Qualcuno provò a dirlo in giro, qualcuno provò a chiudere in cantina, in soffitta ,quella gabbietta tanto carina.
Qualcuno provò poi ad usare un tablet, un pc in modo normale, dicendo nome cognome ed età allo sconosciuto che trovava di là.
 Parlando parlando con amici e parenti, con figli lontani, con soci e clienti.
Avevano perso la fiaba e la fantasia  però …
Riuscirono a vincere quella malia.
Molti non tutti e le strade di quella città, di tante città, di troppe città continuarono ancora per giorni ad essere sempre troppo deserte.


quinta puntata

Ma che favola è?-direte voi- senza i buoni e senza cattivi, senza un nemico da andare a stanare, senza un drago da addormentare?-
Sono tutti buoni, sono tutti cattivi, sono soltanto dei cittadini, manca Pinocchio ma non le bugie, manca Peter Pan ma c’è capitan Uncino.
Manca la bella fanciulla rapita e tenuta prigioniera nella torre lassù. Rapunzel   con le sue trecce aspetta invano il cavaliere che salirà abbracciando i capelli prima di darle la libertà.
Qui non c’è nessun cavaliere.
Qui non c’è nessuna torre.
Qui c’è soltanto una gabbietta, una minuzia, una cosa innocua  che invece imprigiona e porta via, peggio di una strega cattiva, peggio di un sortilegio , un incubo strano che ingabbia e ti porta lontano.
Sembra di essere dietro il pifferaio che tutti i topi fece annegare … mi sembra che fossero però solo i bambini ad annegare.
E dopo i bambini seguirono gli adulti .
E senza i bambini, una città diventa una scatola, una gabbietta.
Moltissimi adulti continuarono ad andare al lavoro, ma anche lì, scoprirono presto che potevano restare connessi e non interrompere il mondo fatato fatto di incontri, di concerti, di musiche, di maccheroni.
Un mondo di video gustosi, di immagini erostiche, cotte a puntino, salate e pepate…
Che cosa importava sbrigare una pratica, guardare un referto, controllare un registro?
Che cosa importava se un ospedale andava in frantumi, se si era rotto l'ecografo, se il personale era ridotto?
Che cosa importava se la città tornava ad essere sporca  e puzzava di buste, di rifiuti, di fumi neri, di gomme bruciate?
Quel che importava invece urgentemente era  andare a vedere che cosa faceva
  quell’esserino che intanto da solo pigiava e pigiava sui tasti neri.

sesta puntata

Gli anni passarono, molti anni  passarono.
Il tempo inesorabile cambiava i connotati, usurava le cose, rovinava le strade.
Divenne pericoloso mettersi in viaggio su sentieri oramai impraticabili
Tanto a cosa serviva viaggiare e spostarsi se bastava soltanto raggiungere casa e andare a guardare felici e irretiti il nostro piccolo che intanto pigiava?
E mentre gli adulti facevano così, i ragazzi e i bambini sul computer vero, sul loro cell, scambiavano mess sgrammaticati a mille amici che non conoscevano, messaggi in bottiglia come una volta, messaggi di un tempo ormai dilatato senza più attesa, senza sorpresa.
Insoddisfatti ed un po’ ingrugniti, alcuni bimbi facevano oh, facevano pio pio come You tube aveva insegnato  loro proprio quel dì.
E fu bellissimo per grandi e piccini restare a girare su quella giostra, la giostra nuova dei nuovi rapporti, invisibili, insensibili, immaginari, con i quali andare a spasso, al cinema, in parrocchia  e ai quali poter chiedere aiuto certi, certissimi di avere risposta.
Scoprirono infatti i cittadini che se il piccolino cercava aiuto perché era solo, perché era triste, perché aveva un malessere strano, tutto lo schermo altruista, sollecito rispondeva in coro:- Ma noi siamo qui. Siamo vicini a te. Siamo dentro di te. Siamo solo per te. Preghiamo per te. Non ti scordiamo.
Meglio di una Crocerossa, meglio di una mamma, del pronto soccorso, della mia amica più cara.
Ma nessuno arrivava dallo schermo bianco, certo i ragazzi sostenevano che era tutto più facile, era tutto lì, sicuramente lo era, però poi bisognava spostarsi ed andare a vedere se c’era davvero quello che veniva offerto di là.
Perché è vero al nick bastava pigiare e pigiare per essere a posto, era il suo gioco, ma agli esseri umani dopo un bel po’ che stanno a guardare poi viene sempre la curiosità di andare a vedere se ci sia mai  quel mondo dell’offerte e dell’amore senza problemi.
Si misero così tutti in viaggio, portando con loro la gabbietta, portandola sotto un mantello, come i pellegrini di un tempo che fu.  
Portandola cara e guardando ogni tanto le coordinate del loro incanto per giungere infine in quel paradiso  che loro avevano visto lassù su uno schermo bianco dove il loro esserino pigiava e pigiava sui tasti neri.

settima puntata 

Durante il viaggio, per mari,  per valli,  per terre lontane, attraversarono i cittadini, a loro volta,  altre città, anch'esse deserte, anch'esse in silenzio, senza bambini correr per strada, senza un adulto con un giornale.
Durante il viaggio però i cittadini sui mezzi, sui treni, sui mille tranvai, incontrarono tanti altri con un mantello, con in mano un involto strano, con un far circospetto, come se  nascondessero un segreto vitale, un tesoro, una gabbietta.
Durante il viaggio i cittadini cominciarono ad accorgersi che, chi stava con loro in quell’andare, erano uomini, donne, vecchi e bambini, tutti con quell’involto strano, tutti con uno sguardo perso come  lo sguardo delle  persone che passeggiano  nei  vari  centri commerciali.
Furono costretti, loro malgrado, a coabitare su aerei, su bus, su frecce del sud, che veramente di freccia aveva soltanto il nome.
Furono costretti a consultare carte, a guardare dove mai fosse localizzato quel mondo  incantato con cui si connetteva il loro esserino da sera a mattina e da mattina a sera.
Furono costretti a parlarsi, a dirsi qualcosa, malgrado il sudore, la puzza, i capelli in disordine.
Furono costretti a guardarsi col doppio mento, con la pancetta, con una macchia sul pantalone.
Furono costretti a sorbirsi le lagne di bimbi irrequieti, col naso impastato, con le lagne, le bizze di affamati di un sandiwch, di un solo biscotto.
Basta così – avete capito- si accorsero che tutti cercavano lo stesso luogo, che tutti avevano in mano un oggetto, un solo oggetto inanimato, unico e solo, uguale per tutti, e che non c’era nessuna magia.
E che non c’era nessun incanto se non quello creato da loro stessi con il loro potere immaginativo.
E che l’esserino sapeva fare solo una cosa, una soltanto, pigiare e pigiare sui tasti neri nella gabbietta dell'immaginario.

ottava e ultima puntata 

La droga ammaliatrice che per giorni e giorni li aveva oscurati, la droga che alcuni, che tanti avevano bevuto, la droga lasciava una dipendenza strana e tutti iniziarono di nuovo ad accendere, vogliosi e ansiosi di sapere ancora che cosa facesse, con chi parlasse, perché era così felice quell’esserino che intanto pigiava.
Doveva esserci da qualche parte quel mondo senza psicofarmaci, senza paure, solo di offerte, doveva esserci da qualche parte solo per noi, solo per loro, solo per tutti, un mondo nuovo, un mondo fatato. Ma come raggiungerlo?
Di là  dallo schermo potevano tutti vederlo trasmesso in una gabbietta a portata di mano di un essere strano ma nessuna coordinata, nessuna mappa su Google maps esisteva ancora.
Guardandosi in faccia e vedendosi alfine prevalse il momento del mettersi insieme, a cercare, dopo essersi dapprima nascosti l’un l’altro con la vergogna di farsi vedere, con il sospetto di essere fregati, con la diffidenza e con la malevolenza di voler essere ognuno per primo il solo ad essere arrivato lassù o … laggiù.
Così nel cercare insieme, nel parlare, nel mostrarsi ognuno quella gabbietta, scoprirono con vero orrore che quell’esserino era uguale per tutti, che scimmiottava un mondo vero, che ripeteva  all’infinito quello che vedeva fare di qua.
Scoprirono anche che non esisteva proprio nessuno al di là, che certo era solo e soltanto un gioco e che c’era sotto la gabbietta un foglio con le istruzioni, un foglio che loro non avevano visto e che avvertiva in neretto l’uso di non protrarsi oltre due settimane e mezza altrimenti la gabbietta avrebbe potuto nuocere gravemente alla salute … psichica, ahahahah, dell’utente!
Erano stanchi, stanchi e avviliti, tutti i viandanti dell’anno duemila, erano tutti con il foglietto in mano e leggevano, delusi, quel foglietto strano che continuava a dire che, all’improvviso la batteria, all’improvviso la connessione, si sarebbe esaurita di colpo quando loro stessi avrebbero smesso di guardare fissi, di desiderare .
Erano loro stessi a dare  la carica alla gabbietta, null’altro c’era.
Non c’è mai nulla oltre noi stessi, oltre il nostro coraggio ,la nostra viltà, oltre il nostro anelare ad un essere amato che ci guardi un po’.
Strapparono rabbiosi quello strano foglietto, lo appallottolarono e lo lanciarono via dai treni, dai bus, da navi e traghetti e poi di nuovo, ma ora con grande umiltà, si guardarono fra loro e tutti insieme in un moto corale sollevarono la gabbietta, la agitarono in aria e cominciarono a farla danzare in alto lanciandosi uno la gabbietta dell’altro.
Un nuovo gioco corale, dicevo, perché l’individuo, perché gli individui possano di nuovo salvarsi e guarirsi con l’unica pillola che ci salva davvero
Uscire dal guscio, uscire per strada, parlare e parlare con i nostri simili, tirargli persino i capelli e far loro gli sgambetti ma poi di nuovo riderne insieme.
E mentre la gabbietta volteggiava in aria all’esserino si staccò la connessione e si ripiegò, si afflosciò, si sgonfiò, si asciugò, scomparve quasi, restando soltanto nella gabbietta un po’di colla appiccicosa… umida e leggermente grigiastra come una caccola che togliamo ai bambini dal loro nasino  nei giorni invernali.
Così  le gabbiette finirono buttate, lanciate e schiacciate nei cassonetti della raccolta differenziata
Ma dove?
Nella plastica, nel vetro, nella carta?
Nella raccolta dei sogni inevasi, dei grandi imbrogli, delle illusioni che solo nelle favole verranno scoperte senza dolore e  senza soffrire come avviene sempre nella vita vera.
Nella nostra vita, la vita vera, noi tutti,  però,  continuiamo a pigiare a pigiare a pigiare sui tasti neri convinti di avere nelle nostre mani il nostro domani, il nostro sogno
Convinti per sempre di essere sempre homo faber fortunae suae, sia col computer e con le connessioni, con il teletrasporto e con un solo chip.
Avranno tutti i cittadini nelle loro mani il loro destino e finalmente avranno  capito che questa volta saranno loro, loro e soltanto a risiedersi davanti un pc a pigiare e pigiare dei tasti neri senza lo schermo dell’illusorio.
E vissero tutti felici e contenti
E vissero tutti infelici e scontenti
E vissero tutti in un modo o nell'altro ...

Ippolita Luzzo



La favola della gabbietta- Ultima puntata


La favola della gabbietta- ultima puntata
La droga ammaliatrice che per giorni e giorni li aveva oscurati, la droga che alcuni, che tanti avevano bevuto, la droga lasciava una dipendenza strana e tutti iniziarono di nuovo ad accendere, vogliosi e ansiosi di sapere ancora che cosa facesse, con chi parlasse, perché era così felice quell’esserino che intanto pigiava.
Doveva esserci da qualche parte quel mondo senza psicofarmaci, senza paure, solo di offerte, doveva esserci da qualche parte solo per noi, solo per loro, solo per tutti, un mondo nuovo, un mondo fatato. Ma come raggiungerlo?
Di là  dallo schermo potevano tutti vederlo trasmesso in una gabbietta a portata di mano di un essere strano ma nessuna coordinata, nessuna mappa su Google maps esisteva ancora.
Guardandosi in faccia e vedendosi alfine prevalse il momento del mettersi insieme a cercare, dopo essersi dapprima nascosti l’un l’altro con la vergogna di farsi vedere, con il sospetto di essere fregati, con la diffidenza e con la malevolenza di voler essere ognuno per primo il solo ad essere arrivato lassù o … laggiù
Così nel cercare insieme, nel parlare, NEL MOSTRARSI OGNUNO QUELLA GABBIETTA, SCOPRIRONO CON VERO ORRORE CHE QUELL’ESSERINO ERA UGUALE PER TUTTI, CHE SCIMIOTTAVA UN MONDO VERO, CHE RIPETEVA ALL’INFINITO QUELLO CHE VEDEVA FARE DI QUA.
Scoprirono anche che non esisteva proprio nessuno al di là, che certo era solo e soltanto un gioco e che c’era sotto la gabbietta un foglio con le istruzioni, un foglio che loro non avevano visto e che avvertiva in neretto l’uso di non protrarsi oltre due settimane e mezza altrimenti avrebbe potuto nuocere gravemente alla salute... psichica
Erano stanchi, stanchi e avviliti, tutti i viandanti dell’anno duemila, erano tutti con il foglietto in mano e leggevano delusi quel foglietto strano che continuava a dire che, all’improvviso la batteria, all’improvviso la connessione , si sarebbe esaurita di colpo quando loro stessi avrebbero smesso di guardare fissi, di desiderare .
Erano loro stessi la carica alla gabbietta, null’altro c’era
Non c’era  mai stato  nulla oltre noi stessi, oltre il nostro coraggio ,la nostra viltà,oltre il nostro anelare ad un essere amato che ci guardi un po’.
Strapparono rabbiosi quello strano foglietto, lo appallottolarono e lo lanciarono via dai treni, dai bus, da navi e traghetti e poi di nuovo,  ma ora con grande umiltà,  si guardarono fra loro e tutti insieme in un moto corale sollevarono la gabbietta, la agitarono in aria e cominciarono a farla danzare per aria lanciandosi uno la gabbietta dell’altro.
Un nuovo gioco corale, dicevo, perché l’individuo, perché gli individui possano di nuovo salvarsi e guarirsi con l’unica pillola che ci salva davvero
Uscire dal guscio, uscire per strada, parlare e parlare con i nostri simili, tirargli persino i capelli e farglii sgambetti ma poi di nuovo riderne insieme.
E mentre la gabbietta volteggiava in aria all’esserino si staccò la connessione e si ripiegò,  si afflosciò,  si sgonfiò, si asciugò,  scomparve quasi,  restando soltanto nella gabbietta un po’di colla appiccicosa… umida e leggermente grigiastra come una caccola che togliamo ai bambini dal loro nasino  nei giorni invernali.
Così  le gabbiette finirono buttate, lanciate e schiacciate nei cassonetti della raccolta differenziata.
Ma dove?
Nella plastica, nel vetro, nella carta?
Nella raccolta dei sogni inevasi, dei grandi imbrogli, delle illusioni che solo nelle favole verranno scoperte senza dolore,  senza soffrire,  come avviene sempre nella vita vera.
Nella nostra vita, la vita vera,  noi tutti però continuiamo a pigiare a pigiare a pigiare sui tasti neri convinti di avere nelle nostre mani il nostro domani il nostro sogno
Convinti per sempre di essere sempre homo faber fortunae sue,sia col computer e con le connessioni ,con il teletrasporto e con un chip.
Avranno tutti i cittadini nelle loro mani il loro destino e finalmente capito che questa volta saranno loro, loro e soltanto a risedersi davanti un pc a pigiare e pigiare dei tasti neri senza lo schermo dell’illusorio.






venerdì 14 settembre 2012

Gli ombricoli del duemila



All’alba di una nuova civiltà si affacciano gli ombricoli in un mondo di ombre  ombreggianti.
Timidi e nascosti, velati e nudi, della nudità della mente, nudi alla meta,
si aggirano senza bussola e senza destinazione, incontrando senza incontrare altre ombre.
Voce di colui che grida nel deserto … anche loro, gli ombricoli, urlano la loro solitudine, la loro incapacità di essere felici, la loro terribile paura di dover sparire senza lasciare traccia, anche e soltanto un’ orma del loro apparire nel mondo delle ombre.
Si agitano scomposti oppure rassegnati, cercano a tastoni nella nebbia delle ombre un viso, un  suono, una corporeità che li rassicuri.
Si danno appuntamenti col nulla, con lo sconosciuto che non vedranno mai, si chiamano a gran voce ma il suono non raggiunge, il suono non si espande, rimane fermo lì, dove si è originato.
Scrivono a fiumi, concetti sopraffini che conservano ancora del mondo delle idee, della grotta antica dove un tempo abitarono gli antichi del cavernicolo degli anni novecento.
Quelli erano altri tempi, le guerre erano sangue, erano  reportage su uno schermo bianco di comizi acclamanti, di folle oceaniche, di plauso ossequiante.
Ricordano le ombre, ricordano quel tempo gli ombricoli di ora, ed allora nel tempo senza età, nel tempo del digiuno ,provano a ripetere di nuovo quel tempo che loro videro passare sulle pareti lisce di un televisore.
Sono sempre presenti, ora e sempre, sulla scena antica della rappresentazione a chiedere un perché, a chiedere ragione di tanta stupidità, di tanta infamità.
Non c’è però lo spazio, proprio perché è troppo,  non c’è però l’ascolto, manca proprio il rimbalzo, l’eco, e nell’immensità noi siamo tutti uguali
Gli ombricoli di qua e gli ombricoli di là non fanno società, però scrivono, scrivono, scrivono … e poi nel buio più profondo vorrebbero sentire una voce soltanto.
La voce del silenzio, un mare di silenzio, un grande immenso mare che tutti poi nuotiamo, il mare della morte del secolo che fu.
Nel nuovo che c’è già voliamo e ritorniamo, senza quartieri, senza legami, e l’unico legame è una connessione che ci trasporterà nel mondo di domani
A rivedere le stelle
Perché anche gli ombricoli, nel loro vaneggiare,  nel loro macchinare, nell’illusorio conservano stampato un cielo sopra loro, il cielo stellato sopra noi di Kant, la legge morale dentro e l’infelicità che è la misura del vivere fra esseri che rincorrono con caparbietà un mondo felice fatto di sorrisi, luce, suoni e fantasia.
Il mondo di domani paura non avrà, perché anche gli ombricoli  una luce seguiranno, la luce della sopravvivenza della specie … patrimonio dell’umanità!





giovedì 13 settembre 2012

Un regalo per me

A me che vivo nel mio presente
con la mia mente
A me che esisto per il momento
e con la mia lente
io ho solo e soltanto un ingrandimento
di un microscopico rimpicciolimento
A me che vivo assurdamente
e surrealmente
acchiappo sogni  e fantasie
cinema, musica, frasi e  poesie,
teatro, canzoni, cronache e storie
per far con tutto un solo regalo
per fare di un libro una parrasia, 
uno scherzo buffo,
per fare di tutto una magia
e regalarla poi solo a chi
vorrà rileggerla insieme a me
Per me un regalo è leggere insieme


Per me che compio gli anni oggi, di pomeriggio alle 16,30