sabato 16 giugno 2018

Fabrizio Coscia Dipingere l'invisibile

Riconquistare un'immagine perduta nella domanda eterna su come si possa rendere visibile l'invisibile.
"In questo misterioso transito dal buio alla luce, enigmatici varchi bianchi, per alludere ad un superamento stesso dell'idea della morte." Study of a Bull (1991) Astratto e concreto, idea e materia raggiungono l'apice della rappresentazione, e sulla tela Francis Bacon ha aggiunto la polvere reale che si era accumulata nel suo studio, come in Sand Dune(1983) la polvere usata come fosse un pastello perché come lui stesso amava ripetere: La polvere è eterna. Dopotutto, noi tutti torniamo alla polvere"
Riassumo il sentimento che pervade la sfera della fruizione dell'opera d'arte da parte dello scrittore Fabrizio Coscia che legge, a suo modo, con una sensibilità allungata nel tempo e nello spazio, le opere di Francis Bacon.
Tutta l'arte di Bacon una rappresentazione dell'uomo nel suo attimo finale, rendere visibile ciò che lascia il suo passaggio, il suo breve esserci.
Leggere Fabrizio Coscia è come "riconquistare una immagine perduta". Ci troviamo a parlarne con le sue stesse parole, ad essere sedotti da quel modo signorile di spiegare l'arte come interpretazione.
Fabrizio Coscia, in Dipingere l'invisibile, ama,osserva, ricorda se stesso bambino, adolescente, attraverso le opere del pittore ed insieme racconta e conosce, interpretando i quadri,  la vita di Francis Bacon.
Ritroviamo un episodio forse inventato, forse no, sul come si siano incontrati il pittore Francis Bacon e colui che sarà il suo amore, George Dyer.  Un amore finito, già finito forse da prima, e terminato col suicidio di Dyer. Un amore che continua nella disperazione dell'arte, nel doppio dell'immagine deformata, nella distruzione che l'amore attua e nella sua trasfigurazione attraverso l'arte.
La domanda che sottende al gesto artistico è come rendere visibile l'invisibile, come dipingere e raccontare il dolore, lo spasimo, la solitudine, il rammarico, il rimorso, la riluttanza, il disprezzo, la distrazione. Morire e rinascere nell'opera artistica. L'arte è meglio di uno sputo, scrissi una volta, dando all'arte il compito di rendere giustizia. Qui all'arte si dona il compito, se mai si possa dare un compito all'arte, di continuare ad agire come "forza operosa" testimoniando la dissipazione del tempo.
Nel capitolo dedicato alla fotografia come premonizione leggiamo l'inane volontà di fermare una immagine già perduta nello stesso momento in cui si ferma. Ciò che c'è di spaventoso in ogni fotografia è una catastrofe già accaduta. Sorridendo mi chiedo se lo sappiano i milioni di individui che si fanno selfie in continuazione, che diffondono in continuazione catastrofi continue e già accadute, sarebbe interessante far loro avere consapevolezza che l'immagine non riporta nulla anzi è "la morte al futuro". Capirebbero la vanità del tutto? 
Fotografie, specchi. Anche lo specchio, come le fotografie, ci mostra un'immagine che non restituisce quella del soggetto riflesso.
Camilleri sostiene in una intervista recente che il fatto di essere cieco gli consente di non guardarsi più e quindi non " Vedere questa faccia da imbecille ogni mattina allo specchio". 
La decomposizione di Narciso: Come si può cogliere l'emanazione di un soggetto, l'energia interna? Nell'arte, a differenza di uno specchio, di una fotografia, vi è il gesto dell'artista che, fra carezza e aggressione, parla sempre del suo rapporto con la violenza e con l'amore. Un sistema nervoso all'opera. 
Avrò fatto anche io una improbabile ecfrasi del libro di Fabrizio, per me opera d'arte fra le opere d'arte, avrò tentato di "descrivere con eleganza"  e ho abdicato, in effetti impresa impossibile mi sembra. Voglio però comunicare il trascinamento e la sensazione di essere accolti in un luogo delizioso che è quello di una scrittura non imprigionata in schemi ma libera di riconquistare l'immagine perduta  con colori e figure che raccontano l'invisibile.
Ippolita Luzzo    

domenica 10 giugno 2018

Un mandarino

Ad aspettare cento notti sotto la finestra del mondo intero e infine prendere lo sgabello e andare via.

giovedì 7 giugno 2018

Pezzo di Andrea Zandomeneghi: Ospite eccezionale del blog

Credo sia unico caso nella storia del blog, sebbene felice di avere ospite quassù Andrea Zandomeneghi con un suo articolo. Un abbraccio e un augurio alle sue produzioni da tutta la Litweb. Andrea è un bravo autore e lo leggeremo molto e in molti.


Notazioni di lettura incrociate
 su  Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico

Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua  fu  folgorante, tale da irradiare e innervare  la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]:  «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare;  fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».

Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».

Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».

In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi



martedì 5 giugno 2018

Il nostro tempo è terminato da Salvatore Parise a Michele Vaccari Il tuo nemico

Leggo entrambi i libri in tempi differenti e ne sento la familiarità, la vicinanza per il tema trattato, Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza con tutti gli strumenti connessi su tutto un mondo digitale, su relazioni ed immagini che sono i nuovi mezzi per restare in comunicazione. 
Nel libro di Michele Vaccari  "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni. 
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.  
Solitudine umana  sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto. 
Ippolita Luzzo 

Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”
    

venerdì 1 giugno 2018

Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini a Lamezia

Ieri sera al Chiostro Di San Domenico lo spettacolo di Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini “Ho attraversato ridendo la terra capovolta... ma anche no” ispirato al blog di Tiziana “Lamedagliadelrovescio” si chiude fra abbracci, applausi e profezie. Ritornerete, esclamo, ritorneranno, diciamo insieme a Michela Cimmino, alle colleghe e agli alunni del liceo Scientifico e del Liceo Campanella. Ritorneranno, tutti lo vogliamo, sentiamo in coro dal pubblico. 
Dopo lo spettacolo Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini vanno a conferire al Quirino con zaino e trolley, vero Michela?
Michela Cimmino presenta lo spettacolo ricordando Paola Scialis, donna stupenda, attrice e promotrice di attività teatrali, scomparsa domenica, per un attimo brutale di fatalità. A lei dedichiamo lo spettacolo che inizia con l'augurio di rinascere.
L’incontro con il teatro per davvero, ridendo e pensando sulle note dell’essere donna.
Cosa vuol dire essere donna. Un inno alla femminilità.Se rinasco voglio essere donna. E se rinasco uomo? Improvviserò
Inizia così un lungo viaggio sui diritti e sui sentimenti, sul dialogo mamma vecchietta e figlia e sul dialogo fra la figlia diventata mamma e la sua di figlia. Un abbraccio a tutte le coppie, alla famiglia, in qualsiasi forma essa si presenti perché la famiglia è dove ci si vuole bene. Un omaggio agli amori, a qualsiasi forma di amore, anche a quelli distruttivi, a Frida, alle donne sfortunate, disgraziate, per una sorte terribile, eppure capaci di respirare. Il respiro come forza, e la forza sia con noi. Con tutte le donne
In scena la scrittrice è “Tizianeda”, come la chiamava la nonna Bianca. La scelta di questo nome è un omaggio alla nonna.  Eleonora e Tiziana ci coinvolgono, interpretano e recitano con professionalità e presenza ciò che donano, un gioioso mondo di nascite, nascite per davvero. Si sente palpabile l'amore e la competenza, si sente lo studio e l'entusiasmo, e si sente la voglia, l'incoscienza e la follia... di voler esserci a modo loro, a modo nostro. Senza stereotipi. Cosa sarà mai una donna del sud? Davvero davvero quel legame fra figli e mamme e scatoloni di cibi spediti in ogni angolo d'Italia? Sorridiamo e ci abbracciamo e fra gli abbracci finali arriva qualcuno alla fine col rimpianto di non esserci stata, mentre tutti dicono "Oh cosa ti sei persa!" e questo è il bello del teatro, lasciare quel sottile languore di voler esserci ancora. Ritorneranno. 
Ippolita Luzzo 

mercoledì 30 maggio 2018

Ordo Mortis di Salvatore Conaci

“Quella briosa ventata di incognite” Riprendo in mano il manoscritto  Ordo Mortis,letto in anteprima. Il libro sta avendo riscontri positivi nei preordini. L'autore, Salvatore Conaci è di Girifalco. Sarà il mio legame forte con il paese di Girifalco descritto da Domenico Dara, sono stata a Girifalco più volte, al seguito di Domenico, e reputo effettivamente quel luogo un luogo al centro del mondo.
 Affascinata da Girifalco leggo  e vedo la cura con cui Salvatore Conaci descrive i luoghi. Salvatore scrive recensioni e articoli su alcune riviste ed io sono molto contenta per la sua attività e per il suo entusiasmo. Benché io in effetti non leggo questa tipologia di racconti sul fantasy, non leggo moltissimi generi essendo lontanissimi dal mio interesse, sono incuriosita dal racconto Ordo Mortis." 
I suoi personaggi prendono vita. Alessio rimarrà nell'immaginario dei lettori che seguiranno le sue vicende amplificate dalla bravura dello scrittore. 
Siamo in ansia, leggendo, per il suo arrivo nella località dove lui dovrà prendere servizio, chiamato per insegnare in una scuola. "Buongiorno, lei deve essere il nuovo professore. Ipotizzò, rendendogli la destra una giovane donna che, vedendolo, si era alzata da una sedia confinata in un angolo dell’ampio atrio... Bionda, candida, le labbra d’un rosso folgorante." Anche la scuola e il suo personale diventano presenze sceniche e lo stesso incontro col preside mette ansia. Il preside ferocemente professionale, la scuola con uno stranissimo magazzino... mi mette paura. Proprio ciò che vuole l'autore, far nascere questo sentimento di oppressione e di grande curiosità anche nel semplice gesto del professore che prende il tè e fuma la pipa. 
Salvatore mi conferma ciò che ho intravisto e cioè la sua maestria:"Ho scritto un articolo per "Luoghi misteriosi", un sito che si occupa appunto di misteri da tutta Italia. Vi ho scritto della leggenda diabolica che aleggia attorno alla fontana di piazza San Rocco a Girifalco"  e riconosco alcuni suoi maestri: la forza evocativa di Ennio e Petronio;  S. Agostino e Dante; la perfezione aurea di d’Annunzio,  Edgar Allan Poe, ispiratore in ”Perle nere” suo precedente romanzo.
Un gesto naturale diventa ansia. Sarà il lessico che usa, appropriato alla bisogna, sarà il periodare, ed io intravedo la maestria nel genere ed auguro a Salvatori molti lettori. La casa editrice ha già dato fiducia a questo autore ed io da semplice ed inadatta lettrice confermo. Morta di Paura!
Ippolita Luzzo 


Salvatore Conaci nasce a Catanzaro, nel '90. Conseguita la maturità scientifica, coltiva gelosamente, e con passione, una cultura quasi prevalentemente umanistica ed esoterica. Laureato in Lettere Moderne, attualmente studia Filologia Moderna. "Perle nere" (Montedit, 2015) è il suo lavoro d’esordio. Dopo una breve collaborazione con la rivista Luoghi Misteriosi, ha scritto  per 900 letterario.

martedì 29 maggio 2018

Usano il silenzio! Pièce teatrale della classe terza A

La terza A dell'Istituto Comprensivo di Sant'Eufemia Lamezia nella Chiesa di San Giovanni Battista, guidata dalle loro insegnanti e diretta da Teodolinda Coltellaro ideatrice e coordinatrice insieme agli alunni, presenta il lavoro teatrale oggi sulla scena in due divertenti momenti . La punteggiatura e la  pubblicità. Divertentissima opportunità per vedere quanto possa fare la scuola con la fantasia, come possa essere visualizzata e vivacizzata la grammatica, quanto il teatro dia in presenza, gestualità e mimica al crescere dei bimbi. Una opportunità, ripeto, validissima, in termini di disciplina, organizzazione e senso dello spazio, nel superare le difficoltà e le timidezze, nel capire cosa vuol dire lavorare in gruppo.
D'altronde il teatro nei paesi anglosassoni è materia scolastica. Qui siamo in un teatro di una chiesa, senza microfoni, però con una buona acustica, senza musica eppure c'era una musicalità di fondo. Velocissimi i cambi, velocissime le scene, apparivano i segni di punteggiatura nelle vesti degli alunni, simpaticissimi momenti di silenzio, pause, e rimanevano nel nostro immaginario. ed eravamo già nel Carosello, nella pubblicità, quando la pubblicità era fantasia e non invadeva, quando la pubblicità raccontava storie bellissime. Gli alunni recitano brevissimi stacchi pubblicitari ed uno lo dedicano proprio al teatro, un teatro amico, un grande amico. Nella presentazione iniziale la loro docente ci ha ricordato Picasso, come Picasso abbia affermato di aver messo una vita a dipingere come un bambino, per dire di conservare sempre la freschezza e l'entusiasmo, la commozione delle lacrime del bimbo che alla fine si stringe forte alla sua insegnante grato di quel grande momento di felicità. 
W Il teatro e W La scuola

Ippolita Luzzo