Le colline sono in
fiore - Sanremo 1965 Mogol- Donida
Sul morire di dolore in un luogo che morta gora è, Raffaele
Gaetano fa antologia di scritti, raccogliendo chi visitò il Lametino rimanendone
illeso.
Sceglie la forma, Raffaele, un quadrato, sceglie la
consistenza, carta pregiata e sceglie fotografie d’epoca curate. Vorrebbe
scegliere tutto in una sua ricerca continua verso un estetismo raffinato e
pregevole. Pregnante, direbbe lui.
Eppure il contenuto sfugge alla sua pur sostanziale
introduzione e scappa via, nella realtà
effettuale di un luogo che lui stesso con sublime dire dipinge “morta gora”.
Rimane lo sdegno e sullo sdegno di moltissimi scrittori per
come e per cosa in questo luogo cattivi amministratori, truffatori e disonesti
si siano allenati governando a loro volta popolazioni brutte sporche e cattive,
senza spirito di corpo, di comunità, su questo sdegno si regge il sublime ed il
pittoresco di prati in fiori e di mari azzurri orrendamente avvelenati
La fascinazione di Raffaele Gaetano e le rovine del sublime
Da Goethe a noi
Le querce sono in
fiore. Memorie di viaggiatori nel Lametino (Koinè Editrice)
Ultimo libro di Raffaele Gaetano dopo
“La Calabria nel Viaggio Pittoresco del Saint-Non” (Koinè Editrice) che
era, in una edizione in 999 esemplari numerati e firmati, la traduzione del
“Viaggio Pittoresco” dell’abate di Saint-Non in Calabria con 35 vedute
acquerellate a mano.
Dal Lametino “L’opera conclude un lungo itinerario di
ricerca che libro dopo libro ha visto impegnato l’autore in un appassionante
vis-à-vis con il tema del viaggio in Calabria tra sublime e pittoresco.
Composto per accumulazioni, per successive stratificazioni durante quasi dieci
anni, lo scritto affronta per la prima volta in maniera sistematica l’ingente
mole di diari, resoconti, memorie e lettere
fra il ’700 e ’900” che nobili, borghesi, scienziati, ecclesiastici,
artisti, militari lasciarono del loro passaggio.”
Alla fine degli anni ottanta I Parchi
Letterari in Italia e in Calabria si
ispirarono ai racconti dei numerosi viaggiatori stranieri ed italiani che, dal
Settecento, si spinsero in Calabria.
A rappresentare Il Grand Tour, così chiamato, fu scelto
Norman Douglas, autore di Old Calabria,
e via via i più antichi visitatori presenti in questa libro.
“J. W. Goethe aveva
scritto: «Molti viaggiatori venivano in Italia solo per vedere delle
rovine; Roma, la capitale del mondo
devastata dai barbari, era piena di rovine.”
Da Terremoto in terremoto quel che affascina è il sublime, il sublime delle rovine.
Al di là e sotto la soglia… come sia possibile la
sussistenza in un luogo rovinoso e rovinante!
Una terra sorprendente, diversa. Overture.
Leggo e non sento
solo il profumo del fiore, malgrado la veste elegante e la cura con cui hai
trasposto brani e illustrazioni, io ne sento l’indignazione. La percepisco, in
una rarefazione che invece di astrarmi mi addolora.
Le Querce sono in fiore. Una Calabria terribile, oscena,
quasi, nel suo essere troppo di tutto. Impossibile da educare, da sanare. Come
se un male incurabile la attanagliasse, malgrado la bellezza. Il misticismo, il
sacro, il diluvio di sensazioni. Questo io leggo da te, ora dialogo con te, Raffaele.
Loro, i viaggiatori, lo chiamano pittoresco, io lo chiamo sconcerto.
Loro, i viaggiatori, lo chiamano pittoresco, io lo chiamo sconcerto.
Una Calabria che stupisce, che attrae per il selvaggio e
misterioso presente nella sua scorza.
Il gioco delle estetiche che già assaporavo nella romantica lady inglese, tratteggiata da
Enrico Montesano, scrive per noi il
pittoresco che siamo. “situazioni tra spaesamento e vertigine” Molto
pittoresco!
“ In quest’impalpabile, tenue déborde, in questo rifiuto di
una natura addomestica” e debordiamo pure…
Come se tu avessi in mano una lente d’ingrandimento e con
questa allargassi gli scritti restringendoli sul territorio
natio, ed ecco il borgo appare.
Terribilis locus est iste? Anche ora, anche ora. Sorridendo
scrivo di vascelli e postali “un’esperienza di confine tra etica e naufragio
della ragione.” Un luogo periferia della
periferia, che, già dopo Napoli, Africa è, Un luogo isolato nello spazio angusto
di una geografia mentale fanatica e supponente, ora come allora, governata da
pochissimi feudatari, ora come allora.
Dalla fine del settecento all'ottocento romantico ed
ossianico i viaggiatori descriveranno prati verdi e colline in fiore, una natura a volte
madre a volte matrigna, mare azzurro e tempeste, malattie e tuguri, nello
sciupio di esistenze lasciate nell'incuria di chi avrebbe dovuto averne cura.
Senza cura. Incurato e incurabile… trascinerà la malaria fino ai nostri giorni.
Un sud mancante, senza strade se non l’antica Via Popilia dei Romani, tratturi e viottoli
poco sicuri. Giustificato dunque fare testamento prima di partire per il sud, o
per Napoli
De Saint-Non a tutti gli altri… scorrono.
Il reverendo Brian
Hill nel 1792 “Desidererei che la gente
fosse meno curiosa, giacché indugiano a guardarci dietro una finestra che
comunica con la casa. Abbiamo scoperto un posto vicino alla cappella dove c’è
della calce e lì abbiamo acceso il fuoco per preparare il cibo. Ghiaccio all'alba. Freddo. Temperatura 5 gradi. Le querce sono in fiore.”
Giuseppe Maria Galanti descrive il modo in cui “La moneta è
scarsa. L’interesse del mutuo è dell’8%, e la circostanza della miseria è tale
che quest’interessi per mancanza di mezzi da soddisfarli si accumulano sugli
anni successivi, per cui producono lo sterminio di molte famiglie.”
Armido Cario nel suo
libro “La Calabria del Settecento” scritto con Armando Orlando, riporta la
analisi lucida del Galanti, che se da un lato incrociava la “coltura di
spirito” di alcune famiglie a Catanzaro, Monteleone, Tropea, Reggio e Maida, dall'altro evidenziava lo stato di noncuranza di quelle stesse famiglie e degli
amministratori verso il territorio abitato e i suoi abitanti («I Calabresi sono
vivi ed elastici, e sono divenuti facinorosi per essere mal governati»).
Ripeto con Armido il
concetto di abitare un territorio e di mettere un abito ad un territorio,
perché credo che sia lo snodo per comprendere come sia “l’abito” importante per
una dignità umana. Un abito lasciato sguarnito in questo sud, sia dalle
famiglie colte che dalle famiglie ricche, che poi i due aggettivi viaggiavano
insieme, un abito dimesso ed elemosinante il tozzo di pane, le briciole,
affinché il popolo fosse sempre facilmente ricattabile. Elemosinante.
Il Galanti porterà rendiconto alla corte del re di Napoli e
nessuno leggerà…
Un feudalesimo mai finito. Con balzelli e demani, con
proprietà della Curia Vescovile, con servitù mai eliminate.
Fra pregiudizio e analisi seria i racconti sono lo specchio
di un non finito che da sempre è la dannazione di vivere qui, un incedere nelle
paludi di un feticismo arcaico e di una
viltà nata dalla costrizione e dalla necessità.
Lo scorrere di racconti su racconti acuisce lo sbalanco, la
vertigine, il senso doloroso di vivere nel vuoto precipitare e nella perfida
voglia di imbrogliare qualsiasi forestiero, oppure di blandirlo perché
potrebbe esser utile.
Nella noia e nel disprezzo verso ciò che appartiene a tutti,
le menti più eccelse declinano il latinorum, era questa l’impressione di
Giorgio Bocca, nel suo Inferno.
"Alla Grande" era la scritta sui muri di Capizzaglie, come ora, nel nostro inferno, solo nel ricordo bellissimo, malgrado la palude da bonificare, un mare avvelenato e una terra sporcata dai rifiuti di mezza Europa.
"Alla Grande" era la scritta sui muri di Capizzaglie, come ora, nel nostro inferno, solo nel ricordo bellissimo, malgrado la palude da bonificare, un mare avvelenato e una terra sporcata dai rifiuti di mezza Europa.
Unica locanda sembra essere Il Fondaco del Fico ed unico
luogo più o meno colto era Maida… più o meno, così da Didier, Dumas e gli altri
L’ideale stessa della sporcizia.
Lenormant intanto
fa un riepilogo che non è più un diario ma una risalita
storica fino agli Enotri.
Una risalita lunga.
Lenormant se ne accorge e scrive
“Temo di aver abusato della pazienza del lettore e di averlo stancato.
Tuttavia, la ricerca alla quale ci siamo dedicati, ci ha dato l’occasione di
passare in rassegna qualche fatto storico non privo d’interesse.”
E ritorniamo al 1940, dopo la bonifica dalla malaria
La bonifica e nuovi
paesi. San Pietro a Maida Scalo. Imposti
dall’alto e vuoti per molto tempo. Disabitati. Non riconosciuti.
Che il silenzio sia sublime solo nella disperazione di un
dolore muto…
E Giuliano Santoro aggiunge “Lamezia è un posto stranissimo,
nato dall'unificazione dei paesi di Nicastro, Sambiase e Sant'Eufemia. È uno
dei luoghi topici dell’immaginario del disastro calabrese.” Su due piedi.
Camminando per un mese attraverso la Calabria
Termini così questa
raccolta di scritti, una sistemazione di autori che altrimenti sarebbero
dispersi, nella perdita continua di conoscenze.
Se ti eri riproposto altro non so, io vi ho letto questo
silenzio e lo stesso difficile incedere nei sentieri ancora ostici e poco
praticabili di una Calabria straniera ai suoi stessi abitanti, quella amnesia
dei luoghi che tanto ci priva di occhi per vedere.
Leggo con mestizia, con grande compassione anche verso me
stessa, una appartenenza ad un luogo
così difficile, nella consapevolezza che
anche queste mie stringate parole possano essere derise da lettori acculturati
e felicemente non dissimili dai loro progenitori qui ben rappresentati e
descritti.
Ci salva solo la
stima che si ha per pochissimi, e
solo per quelle eccezioni che si
intravedono in ogni epoca storica ed in ogni luogo e che danno il respiro per
poter continuare ad aver voglia di scrivere nelle macerie e sulle macerie che
si perpetuano.
Nel viaggio da Goethe a noi sulle rovine.
Le querce sono in fiore, un profumo che veleno è.
Ippolita Luzzo