mercoledì 19 novembre 2025

Calùra di Saverio Gangemi


Calùra "Il tacere del mondo fu infranto dalle cicale"
, il tacere.

 Narrare non è narrare, narrare è usare un linguaggio immaginifico tale da far sorgere nella mente del lettore assonanze somiglianze scene da film. Un linguaggio ricco di una opulenza quasi sfacciata, un linguaggio che cattura natura e uomini in una malia.

 Certo la tematica è quella di una delle sette piaghe d’Egitto, la tematica è una punizione biblica, la siccità, e la grande debolezza degli animali e delle piante dinnanzi alla penuria d’acqua, dinnanzi al caldo cocente, degli uomini rimasti a bere dal succo delle agavi e dalle pale di fichidindia.  

Leggendo l’estate di questo anno mi ritornava con la sua crudeltà, con le mie tapparelle abbassate, con la luce fastidiosa e il caldo senza tregua. Si riusciva a passeggiare solo dopo il tramonto, stremati ci trascinavamo sul corso cittadino per una granita di fragole, per una chiacchierata. 

All’ombra di un albero casualmente chiamato della merda si consuma lo stillicidio degli abitanti di questo luogo immaginario, di un non luogo, direbbe Marc Augè, anche se per lui i non luoghi erano il simbolo del capitalismo. 

Qui è un non luogo di cielo che incombe pesante, di uccelli che scappano, di piante che seccano. Un non luogo privato da uno degli elementi vitali, un non luogo che ci ricorda le pene dell’inferno.

 Eppure nonostante ciò la narrazione trasforma e noi leggiamo come fosse una favola, come fosse un film, a me mi raggiungevano flash di Siccità di Virzì, mi ricordano il libro di Rocco Carbone L’assedio, con quella caligine che incombe. 

Ma di più c’è qualcosa di biblico, come dicevo prima, che innalza l’opera dagli altri racconti apocalittici e distopici. 

C’è poi soprattutto una struttura potente e un linguaggio nuovo, “le donne armate di bocca”, e la magia, le arti misteriose dei racconti delle nonne.

 Mia nonna e le sue favole nere, nerissime, i trabocchetti e gli urli nella notte dei fantasmi, delle persone uccise da poco, senza sapere chi sia il nemico.

 Un romanzo da leggere per assaporare la grande caducità del nostro passaggio sul mondo essendo noi stessi preda dei fenomeni atmosferici, essendo noi stessi imbelli e come racconta Eschilo nel Prometeo incatenato nudi e impauriti nel mondo. 

Ecco leggendo questo libro proprio i primi versi del Prometeo incatenato mi sono ritornati prepotenti. Un libro finalista al Premio Italo Calvino con merito e che riscalderà con Calùra moltissime letture. Edito Rubbettino per la collana Velvet , sono orgogliosa di averlo qui nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 

domenica 9 novembre 2025

Libriamoci novembre 2019 al Liceo Classico con me

Dal passato:
Sto con la testa ai quattordici anni che incontrerò martedì e sto con la testa nei miei quattordici anni.

 Dirò loro che saranno questi gli anni che ricorderanno di più e in modo limpido, gli anni ai quali torneranno dopo i sessanta, scordando tutto quello che avranno fatto più o meno dai venti anni in poi. 

Ricordo perfettamente i libri che leggevo, come passavo le giornate, come mi vestivo, anche dove stavo immobile per ore.

 Una vita contemplativa che stranamente ora mi fa una grande compagnia. 

Questo dirò loro affinché sappiano di star vivendo gli anni d’oro della conoscenza. “Incontrerò per Libriamoci a scuola ragazzi di 14 anni e da quando ho ricevuto l’invito sono con la testa con loro, pensando a ciò che si aspettano di sentire mentre sono io curiosissima di sapere da loro come si stanno inventando il loro giorno. 

Sono nati nel 2005 ed è quasi una mia nascita, lo dico sempre che avrei potuto non esserci più, molti non ci sono più, e a me sono stati regalati questi 14 anni nuovi di zecca. 14 anni di scrittura. 

Ho iniziato a conservare Pezzi proprio in sala operatoria, in ospedale, e poi dopo durante le sedute col folsfox. 

Da allora ad oggi unica compagnia la scrittura, unica compagnia la lettura. 

Domanderò ai miei coetanei però più giovani, non gravati dalla stasi di anni inutili, cosa leggono per lenire le paure, cosa leggono per distrarsi e divertirsi, cosa leggono per imparare, cosa leggono invece per avere più paura. 

Chiederò i titoli dei loro libri affinché anche loro poi possano farli a Pezzi, fare piccoli componimenti affettuosi per sentire più loro il libro.

 Siamo nati per narrarci storie, dirò loro, raccontando come ogni sera io quattordicenne raccontavo storie a mia sorella di nove anni per farla addormentare.

 Lei mi dava un dito della mano e mi faceva sì o no col dito, se la storia era o no di suo gradimento. Mi è rimasto di quegli anni quel sì o no alle mie storie. Chissà cosa le raccontavo!

 Ai ragazzi chiederò se anche loro si raccontano storie e a chi le raccontano, e poi presenterò loro Vinpeel degli orizzonti di Peppe Millanta, Dopo il diluvio di Leonardo Malaguti, Il gattopardo spiegato a mia figlia di Maria Antonietta Ferraloro. Vedremo se l’istinto di narrare è ancora vivo fra i ragazzi nel 2019.” Libriamoci a scuola 

Con Ippolita Luzzo

lunedì 27 ottobre 2025

27 ottobre 2015 Aspettare ad un binario morto


 Aspettare ad un binario morto. 

Era questa la frase adolescenziale 

caricata di nero 

campeggiare sulle prime pagine di un diario scolastico. 

Stava lì ad indicare quell'inerzia 

e quel momento in cui ogni persona si sarà trovata negli anni della scuola. 

Poi aspettando aspettando

 il tempo finisce

 e anche se il treno non passerà

 chi aspetta avrà per forza trovato il modo

 per trascorrere l'attesa con un libro in mano

Ippolita Luzzo 

domenica 19 ottobre 2025

Alfonso Lentini su Il primo pezzo non si scorda mai

 


Che Ippolita Luzzo senta il bisogno di trasferire su carta, già in due libri, quello che lei stessa scrive a proposito di letteratura (e non solo) nel suo blog "Il regno della Litweb", suscita alcune domande alle quali però non saprei dare risposta; ma essendo domande altamente "contemporanee" forse vale la pena porle lo stesso. 

Che il futuro del libro cartaceo sia ormai segnato è una constatazione quasi banale. Se un tempo si misurava il livello culturale di una persona guardando quanti libri aveva in casa, oggi non è più così. Il libro non è più il principale veicolo attraverso cui veicolare contenuti culturali, ha perso la sua secolare sacralità. 
Il libro è inoltre un giro di compasso, ha cioè una struttura circolare chiusa. Da quando esiste il web, la struttura dei testi tende a diventare liquida, aperta, un flusso senza precisi contorni. Di conseguenza, in parallelo (o in concorrenza) al libro tradizionale si va sviluppando una diversa modalità di fruizione dei contenuti.
Una domanda, collegata a quanto detto, potrebbe essere questa: è ancora valido ciò che affermava Umberto Eco, secondo cui il libro cartaceo, in quanto "oggetto tecnologico perfetto", sarebbe sopravvissuto alla crescente “smaterializzazione” del web? Quale diverso spazio si potrebbe immaginare per il libro e per la sua specificità?
Ippolita Luzzo con la sua intelligente operazione di trasferimento “in retromarcia" dal web alla carta, ci aiuta, se non altro, a focalizzare domande come queste. Ma suscita altre domande: il suo è un tentativo di porre argini al fiume, di imbrigliare in una struttura chiusa il flusso senza confini del web? oppure al contrario è un'operazione ironica? oppure ancora nostalgica?
Immagino che l'autrice nel dare alle stampe questo suo "Il primo pezzo non si scorda mai, 10 anni di regno della Litweb" (Città del Sole Edizioni 2022) non si sia neppure posta problemi del genere. Eppure, di questi tempi, consimili domande sono - come si dice - nell'aria.
Tanto più che in dieci anni tutto muta precipitevolissimevolmente e il Web non è più quello di una volta. Lo riconosce la stessa Luzzo in un'intervista uscita da poco su "Nazione indiana": "Lo spazio sembrava immenso, ma ogni fenomeno umano più si allarga più diventa asfittico. Dall’iniziale sensazione di libertà ora ci troviamo di nuovo in un non luogo abitatissimo da troppe proposte, troppe riviste, troppi blog, e di libri ormai ne parlano tutti con un chiacchiericcio incessante. Per non parlare dei video su tik tok che veicolano il libro come un semplice oggetto di bellezza."
Insomma: siamo in anni di grandi mutamenti post-gutemberghiani, guai a starne fuori. Ma nello stesso tempo, sembra volerci suggerire la nostra autrice, bisogna starci ad occhi aperti, senza mai lasciarsene fagocitare.

 Alfonso Lentini 

http://mirkal.blogspot.com/2023/04/il-primo-pezzo-non-si-scorda-mai-che.html?m=

mercoledì 8 ottobre 2025

"Se ritieni che sia giusto" Pasquale Allegro


“Il problema della vita non sta nel vivere, ma nel capire cosa fare con essa.”

Nikolai Vasilyevich Gogol, “Le anime morte” (1842)

Mi piace cominciare con questa citazione la lettura del libro di Pasquale Allegro pubblicato da Arkadia nella collana Eclypse il 25 luglio.

Leggo oggi il suo libro, forse riconosco il luogo di mare, forse, ma poi credo sia Bova marina e non Gizzeria, ma poco importa perché i paesi di mare si somigliano tutti, e nella somiglianza poi ci sta anche la trama, il fatto, la vicenda universale del fare i conti con gli affetti, con i genitori, questi sconosciuti. Nel fatto narrato il genitore viene rivissuto dal figlio dopo il suicidio, forse, non sappiamo, non sappiamo tante cose della vita, però qui si tenterà con la scrittura e nel  tentare qualcosa resterà. Con un lirismo crepuscolare Pasquale quasi dipinge con colori tenui una famiglia come tante altre. Come si racconta una vicenda con i temi del crepuscolarismo? Il crepuscolarismo era caratterizzato dalla poetica delle piccole cose, dall'abbandono del linguaggio aulico in favore della prosa poetica, dal tema della malinconia e della noia, e dall'ironia. I poeti descrivono ambienti umili e oggetti quotidiani, spesso con un tono melanconico e sentimentale. La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare, se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese,” di non aver nulla da dire e da fare". Tale metafora sta ad indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegne in un «mite e lunghissimo crepuscolo» e Pasquale Allegro da poeta, lui proprio narra ma in effetti crea versi e  dice "Da un po’ di tempo il frammento è quello che mi è più caro, preferire quello che resta da dire, scrivere nuvola e significare cielo, sarà per un po’ ancora così, la giustizia poetica a equilibrare il mondo."

Leggendolo ci rimane quell'impalpabile sensazione di non poter che affrontare l'indicibile non dicendolo ma ricostruendo una vita, come fa il protagonista, che è il figlio, con le parole degli altri. Con i fatti che ricordano gli altri, in questo caso, gli amici, la moglie. Ricostruire con gli oggetti, con le stanze, con il niente in mano. 

Se ritieni che sia giusto è una riflessione su questa impossibilità di conoscenza filtrata però con la poesia e con la pietas umana.

Guarderemo il mare diversamente e anche noi vedremo riflesso nel cielo una nuvola, sarà la nuvola dei rapporti umani, dei legami familiari, sempre più inconsistenti. 

Nel leggere Pasquale Allegro stamani nel Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 

giovedì 18 settembre 2025

Scrivono di me ai dieci anni del blog

Dal 2022 Enrico scrive: 
Una sera parlo al 
telefono con Ippolita e mi viene questa immagine di lei: c'è chi fuma le sigarette senza filtro per sentire meglio il gusto del tabacco e poi c'è chi scrive senza filtri. Della biro, della penna d'accordo, ma fuori di metafora vale anche per il PC e ogni altra scrittura.

 Scrivere senza filtri, proprio come per li fumare, per andare oltre, per non dire cose ovvie per cercare la parte più autentica, quella che dà piacere, appassiona( analogamente. In una parola, il nocciolo delle cose(ok, sono 4). 

È questo che secondo me fa Ippolita da10 a n n i a questa parte attraverso il suo blog: dare voce a ciò che quel libro sul comodino le sta dicendo o le ha detto una volta terminato. Senza filtri, appunto, ma seguendo il filo personalissimo e originale al punto da ricostruire (riscrivere) una propria narrazione del testo. 


Spontanea diretta e immaginifica a me pare la scrittura di Ippolita nel suo regno, la Litweb. Non ci sono vere regole, si segue, Ippolita segue il flusso di pensieri e sensazioni, quello che il testo le suggerisce. Ne scaturisce uno stile del tutto personale, difficilmente imitabile e fresco proprio perché corroborato, dal rincorrere idee non secondo un ordine -logico- prestabilito, non quello dell'autore, m a fondato proprio su quanto impressiona e tocca. Su quanto resta in senso soggettivo dall'atto del leggere.

Una recensione di Ippolita può partire dalla fine dall'inizio o dal centro semplicemente perché in quel punto ha scovato un'immagine, l'immagine per lei saliente, attorno a cui ruota il romanzo. Il metodo, se esiste, è proprio restituire a chi la legge quell'emozione.

È questo che racchiude il senso della Litweb e quindi l'amore per la lettura. È questo che in questi anni deve per forza essere arrivato ai suoi di lettori (stavo per scrivere utenti, come quando vai in biblioteca a consultare un volume o una rivista, poi mi sono trattenuto perché non lo so mica se lei, Ippolita, sarebbe d'accordo, anche se la funzione del servizio pubblico per la comunità forse la gradirebbe...devo chiederglielo)

A Ippolita piace rischiare, a Ippolita piace andare alla sostanza, al cuore, come dicevo, a ciò che fa senso di quel libro; non interessano i fronzoli o le belle maniere.

Da insegnante, sa che è facilissimo incantare, infiocchettare, far bella figura accontentare, ma... tutto questo a cosa serve, cioè dove ci porta? No, Ippolita è dritta e da lei trapela passione. Cosa che spiega anche l'importanza dei libri di cui sceglie di parlare, di scrivere...

Le sue recensioni hanno qualcosa di ingenuo e naif, ma sono un'ingenuità, una naività consapevoli. Meglio, volute.

Quello di Ippolita infatti, è un posizionamento, una scelta di campo. Sotto sotto e- tra le righe- non esiste nemmeno possibilità di scelta tra emozionarsi, raccontarsi, raccontare quello che ha trovato nei "suoi" libri da un lato, e fare il compitino, parlare oziosamente del più e del meno dall'altro





Da persona entusiasta della vita sa perfettamente che cosa ci facciamo qui: solo che invece di inviare messaggi agli 
alieni circa la nostra presenza sulla Terra, Ippolita lo fa leggendo e scrivendo di quello che realmente le lascia qualcosa.

Un approccio diretto, pieno di stima ed empatia verso gli autori. Ti parla a ruota libera, liberissima di quello che ha provato leggendo ed è per questo che funziona: i suoi lettori sanno di potersi fidare perché c'è dietro una trasparenza, una onestà delle emozioni, prima ancora che intellettuale che tracima dalla pagina virtuale al reale.

Qui, nelle sue parole, non c'è traccia di accondiscendenza ma entusiasmo freschezza. È questo che si sente. È quello delle emozioni, prima ancora che intellettuale che tracima dalla pagina virtuale al reale. È questo che si sente. È quello che arriva dalla Litweb.


Anche se non c'ero al primo anno -ho 
conosciuto virtualmente Ippolita nel 2014-, in questo tempo il suo regno è sicuramente cresciuto nei numeri e per importanza, ma il suo approccio, per come la conosco io, non mi sembra cambiato: poteva ben prestarsi a scambi e favori perché ormai essere ospitati su Litweb significa visibilità, pubblicità, riconoscimento ma no non si è prestata, non interessa. 

Da che la conosco continua a scrivere, a leggere mossa semplicemente dall'amore per i libri. Non dal potere. Perché si parla di ciò che vale, non di quello che conviene.

So long, Ippolita. Ci vediamo nel 2032 giusto?

Enrico Vittoriani 



martedì 16 settembre 2025

Quando mia madre… Francesco Pileggi


 L’aquila ricamata sulla maglietta in modo diverso da ogni mamma. Otto ragazzini con la maglietta bianca e un’aquila disegnata sul lato del cuore. Le mamme descritte da come hanno ricamato un’aquila. Leggo sopportando i miei fastidi di salute, le visite mediche da fare, leggo e ritorno a "doveva essere un’aquila". Sul dettaglio che si allarga e  dal dettaglio dell’aquila poi la narrazione come un drone ormai si allarga sulla storia individuale e collettiva. Dalla cima più alta dell’albero dei limoni i ragazzi vedono il mare e il mare per noi è lo spazio aperto. Ora mi leggo la salita. Francesco Pileggi Quando mia madre indossò la maglietta di Franz Beckenbauer  Rubbettino editore collana Velvet 

Intanto da Giuseppe Tripodi: “Il motore narrativo sia avvia fondamentalmente con la partita di calcio giocata il 17 giugno 1970 dalle nazionali italiana e tedescoccidentale  allo stadio Azteca di Città del Messico nella quale, al 65° minuto, Franz Beckenbauer si infortunò alla spalla; non potendo l’allenatore fare altre sostituzioni, il mediano continuò a giocare fino alla fine con una fasciatura che gli legava il braccio al petto: «regale e stoico nel suo non mollare»" 


Da quel momento Franz diventerà il nome di Francesco in omaggio e stima ad un calciatore mitico. Tutto mitico diventerà in quella partita terminata con il gol di Rivera e la vittoria della nazionale Italiana 

Il calcio e la storia, le dittature militari sostenute e incoraggiate dagli USA in Cile e in Argentina, lavoro minorile, disfunzioni scolastiche. emigrazione  e la storia del paese calabro dove si svolge la vicenda dei ragazzi.

Dal 1970 al 1978 ai mondiali di calcio in Argentina nessuno contro i generali golpisti, nessuno contro la dittatura e  le grida dei giovani desaparecidos lanciati nell’oceano da aerei militari.

"Nessuno  si oppose a quel disegno di Jorge Videla & company tranne "Paul Breitner, giocatore della Germania dell’Ovest che rimase a stare dalla parte delle madri di Plaza de Mayo. Non voleva far finta di niente, anzi sperava che altri compagni di squadra non partecipassero, sperava che la sua nazione per prima rinunciasse, convincesse le altre. Fu solo una speranza. ….Diede l’esempio che non fu preso da esempio, ma lui lo divenne un Esempio, per pochi ma lo divenne» (pp. 28-29)"

La grande e terribile storia degli anni settanta ritorna e leggiamo qui una intervista a Francesco Pileggi di Maria Teresa D’Agostino: Il libro nasce a Stoccarda durante una fuga dalla Calabria, che allora immaginai per sempre. Nasce dalla testardaggine mista a quella rabbia che porta con sé chiunque sia stato costretto ad andarsene, chiunque abbia sperato di cambiare qualcosa in Calabria, lottando per non essere cambiato a sua volta, per non entrare a far parte di quella categoria che nel libro definisco “Proci”, sì, la casta che occupò Itaca e la casa di Ulisse e che l’eroe omerico non sconfisse del tutto. A Stoccarda non conoscevo nessuno, lavoravo in un Kindergarten con bambini, realizzavo video con delle scuole, ma mi mancava il teatro. Una sera mi arriva una telefonata da Edith Koerber, direttrice del Theater Tri-bühne, per invitarmi a scrivere uno spettacolo.  Un’occasione per dimostrare se avessi ancora qualcosa da dire o se in realtà avessi davvero mai avuto qualcosa da dire. Nacque così Als meine Mutter Becknbauer Trikot trug, lo spettacolo che debuttò nel 12° Festival internazionale Sett, che si tiene nella città. In quel 2014, ironia della sorte, mi ritrovai nel cartellone insieme a Dario Fo (a cui il Festival era dedicato, insieme a Franca Rame già scomparsa) e la Compagnia di Emma Dante a rappresentare l’Italia, io che dall’Italia me ne ero scappato. Andò molto bene, mi proposero altri lavori. Poi, per scelte di famiglia, decidemmo di rientrare. Feci leggere quel copione che nel frattempo lo tradussi in romanzo, a degli amici. Piacque molto e mi spinsero a inviarlo a Rubbettino. La risposta del direttore responsabile Luigi Franco la conservo con cura. Lo stesso entusiasmo, che spinse allora Edith Koerber, lo ritrovai in quella risposta. Lo presi come un segno. Il romanzo contiene lati vissuti e molti rubati alla vita reale, alla storia di un periodo passato di cui ancora paghiamo prezzi, il tutto frullato con dosi necessarie  d’immaginazione." 

Mi ritorna a volteggiare l'aquila in alto lassù a farci vedere i fatti più piccoli, le scoperte e l'amicizia, le offese e le difese, il pudore dei sentimenti. Le mamme svolgono nel libro il ruolo principale nella partita “generale”. Il compito di svoltare come nella tragedia greca era affidato agli dei qui le mamme mettono tutte la maglietta numero 4 per permettere ai loro figli di giocare. Volteggia l'aquila dalle magliette usate tutte col numero quattro e poi ancora l'aquila ci porta lontano, in treno, sul treno di chi dovrà partire, sfiorando le vite di tanti, di separazioni e ritorni, in barca. Treni e Barche, scuola e maestro Pietro, fotografie e tanto mare, molto mare. 

Incalzante il racconto tiene il ritmo come se fossimo in campo e i tantissimi dialoghi ci fanno partecipi delle avventure. 

Francesco Pileggi qui era al suo primo romanzo e ora impazienti aspetteremo che l'aquila volteggiando ci porti il suo nuovo romanzo. 

Nel regno della Litweb 

Ippolita Luzzo