Alla vita
La vita non è uno scherzo
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet
Convegno sugli alberi con Pezzi.
Intanto la copertina ha due alberi, uno nel pieno del verde e l’altro nello spazio del bianco.
Entrambi vivono su un terreno che può essere vita e può essere nulla. Nelle stagioni dell’anno i riti del passaggio e della trasformazione.
Gli alberi testimoni del tempo del riposo e dei frutti. Il tempo che cambia e ci cambia. Si può parlare di alberi come respiro, senza di loro addio ossigeno, si può parlare di loro come ombra, senza di loro addio frescura, si può parlare di loro come nutrimento, senza di loro addio frutti, si può parlare di loro come tempo.
Senza di loro non ci accorgeremmo del cambiamento del tempo. Delle foglie a terra in autunno, del ritorno delle gemme a primavera. Gli alberi come pezzi di noi, ci stanno perché essenziali e non potrebbero non starci più pena la nostra scomparsa, senza respiro, nutrimento e tempo.
Eppure benché così importanti sono deturpati e bruciati, sono decapitati e tolti dal paesaggio urbano come se fossero nemici, oppure inseriti senza il rispetto della crescita.
Vedo le radici di molti alberi nei marciapiedi esplodere, sollevare l’asfalto e cercare quello spazio di cui non furono dotati. Come si può piantare un albero senza sapere che la sua radice si espanderà, che esso crescerà? Questa la domanda che vorrei fare agli esperti del comune quando decidono di mettere alberi senza aiuole intorno.
Racconto spesso di come gli alberi vengano esiliati e maltrattati, vengano usati solo come addobbi natalizi da buttare poi nel cassonetto della spazzatura subito dopo. L'albero non è un addobbo, per questo partecipo stasera al convegno organizzato da Angelica Artemisia Pedatella sul ripiantumare una foresta ad Amantea, foresta distrutta due anni fa dal fuoco.
Mettiamo a dimora alberi, ogni albero siamo noi e con il poeta diremo: La vita non è uno scherzo, prendiamola sul serio ripiantando gli alberi e donando a noi una possibilità di respiro.
sabato 29 dicembre 2018
venerdì 28 dicembre 2018
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Nella sua seconda vita.
Stampato nel 1997 da E/O e riproposto nel 2015 e poi con ristampa a Marzo 2018 da Il Palindromo.
“Albus Silente come Domenico Conoscenti” mi viene da mettere in relazione Albus Silente il preside della scuola di Hogwarts, molto abile nella Legilimanzia, quel particolare tipo di magia mentale che permette di conoscere il corso dei pensieri di un'altra persona capendo le sue intenzioni senza essere scoperti, con l’abilità dell’autore di creare una Palermo magica, gotica, hanno detto altri lettori, con l’abilità di leggere, più che i pensieri, le concatenazioni degli avvenimenti.
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti come Hogwarts, come ogni luogo magico, misterioso, come ogni luogo con il suo Voldemort, con la morte nella stanza, ci invita con immagini forti in stanze polverose, buie, in un palazzo di Palermo raggiunto da Saverio con un viaggio lentissimo. Il protagonista, Saverio, si avvia da Partanna a Palermo per lavorare in un albergo importante della città e trova pensione da una donna anziana e solitaria.
Sul treno verso Palermo, su un treno verso l’ignoto “Non mi importava voltarmi indietro. Contava solo quello che sarebbe accaduto. Ero pronto allo scatto” A Palermo a Palermo. “Scesi a Piazza Politeama. L’ultimo tragitto fu interminabile” Tutta la fatica e il sudore per giungere Via Houel, al primo piano di un palazzo dal portone pesantissimo. Lentissimo il viaggio, pesantissimo il portone. I superlativi assoluti mi piacciono molto.
E siamo già nell'oscurità. Nelle chiavi che girano e rigirano, nelle fiabe terribili. Erano terribili le fiabe della nostra infanzia, erano terribili gli incontri degli eroi con le streghe, con le megere, erano uguali a questo incontro, ma Domenico attualizza la fiaba e gli eroi ora sono uomini con debolezze e mancanze. Come Saverio, in questa fiaba gotica, si trovano in un albergo di prima categoria a Piazza Croci i vari comprimari della storia, sia i clienti venuti dal Nord per un affare che la donna “fatale” da Saverio trasfigurata in un suo amore.
Leggerete questo racconto e vi sentirete la sensazione che qualcun altro abbia aperto la porta, che qualcun altro vi stia a guardare, che qualcun altro, come Albus Silente, vi stia leggendo i pensieri e vi stia portando con lui nella seduzione della letteratura.
Un racconto seducente, condotto con virtuosismo e conoscenza dei luoghi e delle situazioni, strutturato con quella verità di fondo che fa scolorare le fiabe più terribili, la fiaba della realtà.
Credo che stia nel racconto finale, nella trasfigurazione del racconto in un luogo magico benché riconoscibilissimo, quello nel quale l’autore ci racconta quale sia stato il pretesto per raccontare la storia, la vera terribilità, e di come ci stia poi l’abilità grande dello scrittore nell'averla, con azione magica, alla Albus Silente, regalata a noi, in ricordo. Nella postfazione sta il senso grande della tragedia di ciò che è la realtà. L'impostura, la prevaricazione sui vecchi, deboli e soli.Ed è questa la molla per cui si scrive, quasi un voler dare giustizia.
Ippolita Luzzo
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Edizione Il Palindromo
Nella sua seconda vita.
Stampato nel 1997 da E/O e riproposto nel 2015 e poi con ristampa a Marzo 2018 da Il Palindromo.
“Albus Silente come Domenico Conoscenti” mi viene da mettere in relazione Albus Silente il preside della scuola di Hogwarts, molto abile nella Legilimanzia, quel particolare tipo di magia mentale che permette di conoscere il corso dei pensieri di un'altra persona capendo le sue intenzioni senza essere scoperti, con l’abilità dell’autore di creare una Palermo magica, gotica, hanno detto altri lettori, con l’abilità di leggere, più che i pensieri, le concatenazioni degli avvenimenti.
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti come Hogwarts, come ogni luogo magico, misterioso, come ogni luogo con il suo Voldemort, con la morte nella stanza, ci invita con immagini forti in stanze polverose, buie, in un palazzo di Palermo raggiunto da Saverio con un viaggio lentissimo. Il protagonista, Saverio, si avvia da Partanna a Palermo per lavorare in un albergo importante della città e trova pensione da una donna anziana e solitaria.
Sul treno verso Palermo, su un treno verso l’ignoto “Non mi importava voltarmi indietro. Contava solo quello che sarebbe accaduto. Ero pronto allo scatto” A Palermo a Palermo. “Scesi a Piazza Politeama. L’ultimo tragitto fu interminabile” Tutta la fatica e il sudore per giungere Via Houel, al primo piano di un palazzo dal portone pesantissimo. Lentissimo il viaggio, pesantissimo il portone. I superlativi assoluti mi piacciono molto.
E siamo già nell'oscurità. Nelle chiavi che girano e rigirano, nelle fiabe terribili. Erano terribili le fiabe della nostra infanzia, erano terribili gli incontri degli eroi con le streghe, con le megere, erano uguali a questo incontro, ma Domenico attualizza la fiaba e gli eroi ora sono uomini con debolezze e mancanze. Come Saverio, in questa fiaba gotica, si trovano in un albergo di prima categoria a Piazza Croci i vari comprimari della storia, sia i clienti venuti dal Nord per un affare che la donna “fatale” da Saverio trasfigurata in un suo amore.
Leggerete questo racconto e vi sentirete la sensazione che qualcun altro abbia aperto la porta, che qualcun altro vi stia a guardare, che qualcun altro, come Albus Silente, vi stia leggendo i pensieri e vi stia portando con lui nella seduzione della letteratura.
Un racconto seducente, condotto con virtuosismo e conoscenza dei luoghi e delle situazioni, strutturato con quella verità di fondo che fa scolorare le fiabe più terribili, la fiaba della realtà.
Credo che stia nel racconto finale, nella trasfigurazione del racconto in un luogo magico benché riconoscibilissimo, quello nel quale l’autore ci racconta quale sia stato il pretesto per raccontare la storia, la vera terribilità, e di come ci stia poi l’abilità grande dello scrittore nell'averla, con azione magica, alla Albus Silente, regalata a noi, in ricordo. Nella postfazione sta il senso grande della tragedia di ciò che è la realtà. L'impostura, la prevaricazione sui vecchi, deboli e soli.Ed è questa la molla per cui si scrive, quasi un voler dare giustizia.
Ippolita Luzzo
La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti
Edizione Il Palindromo
La nostra ultima prima cena
Il teatro a Lamezia ha una tradizione antica. Il teatro a Lamezia vive e viene presentato anche in un luogo dove ormai sembra tutto chiuso e di chiuso può esserci solo un lucchetto e non certo la vitalità e la bravura dei nostri artisti.
Stasera con La nostra prima ultima cena Achille Iera porta sulla scena l’emarginazione psicologica della crescita in un luogo di bassezze e arretratezza spirituale. Un luogo di una povertà fatta di tanti bicchieri di vino, di partite e carte, di tradimenti e di tanti ceffoni.
Una povertà di sentimenti, più che materiale.
Una non vita familiare con un padre sempre ubriaco, con una madre a subire e infine morta quando il protagonista ha appena nove anni.
Il ragazzo cresce con un gruppo di compagni, anch'essi sprovveduti, cresce e di una cosa è ben certo ed è che mai lui farà come il padre. Infatti lui sarà un bravo ragazzo, senza vizi, non fuma e non beve. Ciò che era suo padre viene allontanato dal suo agire.
Una storia di autentica bellezza, riuscire ad affrancarsi dal padre che non si stima.
Altrettanto delicata viene a delinearsi la storia d’amore monca di sviluppo, bloccata e scoperta dal padre di lei dopo due anni di sguardi, di saluti, di un bacio. Sguarniti entrambi dalle conoscenze sulle dinamiche di relazione, la coppia vive di silenzi e di divieti. Imperioso il divieto del padre di lei di vedersi, imperioso e violento, senza volerlo, lo schiaffo del ragazzo alla donna amata. E poi quella disperazione autentica di lui per esser diventato come il suo di padre.
La tristezza di non poter aiutare e soccorrere con un raziocinante sempre più lontano dalla emotività ci attanaglia e nel precipitare degli eventi restano le canzoni a lenire quella dissipazione di vita, di affetti, di buoni propositi che si chiama "vivere al Sud".
“Questo disco è il mio pensiero d’amore” e “Guardatelo quanto è bello Sant’Antonio” la canzone della tredicina.
Achille corre e corre, occupa lo spazio vuoto di un Sud emarginante e dolente, uno straccio nero con cui coprire le confessioni, forse anch'esse buie.
Per ora mi appunto questo poi passerò a trovare gli artisti per complimentarmi e parlarne ancora.
Dal Regno della Litweb pochissimi appunti e applausi
Gli scatti rubati prima dell’inizio e alla fine del monologo di uno strepitoso Achille Iera, sempre più bravo. Presentato da Armando Canzoniere con grande semplicità e simpatia lo spettacolo ha tenuto desta l’attenzione del numerosissimo pubblico, due repliche nella stessa serata, suppongo con il tutto esaurito nella prima e anche nella seconda. Applausi alla compagnia La nostra ultima prima cena | Matrioska Caffè letterario e applausi a tutto lo staff, da Valeria Bonacci alla mia pupilla, Chiara Sacco. Applausi ancora e W il teatro
Ippolita Luzzo
La nostra ultima prima cena
scritto e diretto da Gianluca Vetromilo
con Achille Iera
audio e tecnica Erica Cuda
disegno luci Gianluca Vetromilo
foto di scena Angelo Maggio
organizzazione Radice di Due
logistica Chiara Sacco
ufficio stampa Valeria Bonacci
video a cura di Immagine PCA Srl
produzione MammutTeatro
assistenza alla drammaturgia Achille Iera
Gianluca Vetromilo è un attore ed un artista poliedrico, appassionato alle tecniche di spettacolo di strada. È fondatore e direttore artistico della compagnia "Nuncepace. Artisti di Strada". Per il Teatro Ragazzi ha scritto, diretto e interpretato, insieme a Marco Rialti, lo spettacolo di clownerie “Migni mogni”. Collabora con diverse realtà teatrali – tra le altre cose è aiuto regia dell’ultimo lavoro di Scena Verticale “Il Diario di Adamo ed Eva” firmato da Dario De Luca - e ha dato vita, insieme all’attore, regista e formatore teatrale Achille Iera, a MammuT Teatro.
Achille Iera collabora con le associazioni “Nastro di Mobius”, “Capusutta” e “Nuncepace”. Attore de “La marcia lunga”, spettacolo di Saverio Tavano, con cui si aggiudica una menzione speciale al Premio Scintille 2015, e con il regista Mario Vitale come attore nei cortometraggi “Il tuffo” e “Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare”. Vetromilo e Iera si occupano di formazione teatrale presso la Nadd Academy di Lamezia Terme e collaborano con il Teatro delle Albe di Ravenna come guide del laboratorio teatrale “Capusutta”.
Stasera con La nostra prima ultima cena Achille Iera porta sulla scena l’emarginazione psicologica della crescita in un luogo di bassezze e arretratezza spirituale. Un luogo di una povertà fatta di tanti bicchieri di vino, di partite e carte, di tradimenti e di tanti ceffoni.
Una povertà di sentimenti, più che materiale.
Una non vita familiare con un padre sempre ubriaco, con una madre a subire e infine morta quando il protagonista ha appena nove anni.
Il ragazzo cresce con un gruppo di compagni, anch'essi sprovveduti, cresce e di una cosa è ben certo ed è che mai lui farà come il padre. Infatti lui sarà un bravo ragazzo, senza vizi, non fuma e non beve. Ciò che era suo padre viene allontanato dal suo agire.
Una storia di autentica bellezza, riuscire ad affrancarsi dal padre che non si stima.
Altrettanto delicata viene a delinearsi la storia d’amore monca di sviluppo, bloccata e scoperta dal padre di lei dopo due anni di sguardi, di saluti, di un bacio. Sguarniti entrambi dalle conoscenze sulle dinamiche di relazione, la coppia vive di silenzi e di divieti. Imperioso il divieto del padre di lei di vedersi, imperioso e violento, senza volerlo, lo schiaffo del ragazzo alla donna amata. E poi quella disperazione autentica di lui per esser diventato come il suo di padre.
La tristezza di non poter aiutare e soccorrere con un raziocinante sempre più lontano dalla emotività ci attanaglia e nel precipitare degli eventi restano le canzoni a lenire quella dissipazione di vita, di affetti, di buoni propositi che si chiama "vivere al Sud".
“Questo disco è il mio pensiero d’amore” e “Guardatelo quanto è bello Sant’Antonio” la canzone della tredicina.
Achille corre e corre, occupa lo spazio vuoto di un Sud emarginante e dolente, uno straccio nero con cui coprire le confessioni, forse anch'esse buie.
Per ora mi appunto questo poi passerò a trovare gli artisti per complimentarmi e parlarne ancora.
Dal Regno della Litweb pochissimi appunti e applausi
Gli scatti rubati prima dell’inizio e alla fine del monologo di uno strepitoso Achille Iera, sempre più bravo. Presentato da Armando Canzoniere con grande semplicità e simpatia lo spettacolo ha tenuto desta l’attenzione del numerosissimo pubblico, due repliche nella stessa serata, suppongo con il tutto esaurito nella prima e anche nella seconda. Applausi alla compagnia La nostra ultima prima cena | Matrioska Caffè letterario e applausi a tutto lo staff, da Valeria Bonacci alla mia pupilla, Chiara Sacco. Applausi ancora e W il teatro
Ippolita Luzzo
La nostra ultima prima cena
scritto e diretto da Gianluca Vetromilo
con Achille Iera
audio e tecnica Erica Cuda
disegno luci Gianluca Vetromilo
foto di scena Angelo Maggio
organizzazione Radice di Due
logistica Chiara Sacco
ufficio stampa Valeria Bonacci
video a cura di Immagine PCA Srl
produzione MammutTeatro
assistenza alla drammaturgia Achille Iera
Gianluca Vetromilo è un attore ed un artista poliedrico, appassionato alle tecniche di spettacolo di strada. È fondatore e direttore artistico della compagnia "Nuncepace. Artisti di Strada". Per il Teatro Ragazzi ha scritto, diretto e interpretato, insieme a Marco Rialti, lo spettacolo di clownerie “Migni mogni”. Collabora con diverse realtà teatrali – tra le altre cose è aiuto regia dell’ultimo lavoro di Scena Verticale “Il Diario di Adamo ed Eva” firmato da Dario De Luca - e ha dato vita, insieme all’attore, regista e formatore teatrale Achille Iera, a MammuT Teatro.
Achille Iera collabora con le associazioni “Nastro di Mobius”, “Capusutta” e “Nuncepace”. Attore de “La marcia lunga”, spettacolo di Saverio Tavano, con cui si aggiudica una menzione speciale al Premio Scintille 2015, e con il regista Mario Vitale come attore nei cortometraggi “Il tuffo” e “Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare”. Vetromilo e Iera si occupano di formazione teatrale presso la Nadd Academy di Lamezia Terme e collaborano con il Teatro delle Albe di Ravenna come guide del laboratorio teatrale “Capusutta”.
martedì 25 dicembre 2018
Discorso di fine anno 2018 L'esigenza di essere un essere pensante
Il discorso di fine anno mi sorprende alla finestra, una finestra ideale dalla quale vi dirò alcuni pensieri presi a prestito da chi leggo con attenzione: Da una frase di Tristram Shandy: Le cose che fate entrare sono le stesse che fate uscire.
Ciò che fai entrare dalla finestra sarà quello che farai uscire, mi ripeto e vi ripeto per l'anno 2019, quindi facciamo attenzione, questa è un'altra parola che vi regalo per l'anno a venire. Il fatto di preparare il discorso di fine anno mi mette in difficoltà. L’anno della verità? L’anno cretino? Non so. Non sono più andata alle conferenze stampa da stampa alternativa e se sono andata non ho scritto nulla. Nella cappa del Lametame si perde il respiro dell’allegrezza.
Intanto però ritorno da Roma come BloggerInStand, come scherzosa zoppicante maghella, speranzosa che tutti i libri da me letti e amati vengano premiati, vengano riconosciuti come libri veri. Dopo il diluvio, Comportati da uomo, Ogni Mare è Ramingo, La Stanza dei Lumini rossi... Pantarei, Tu che eri ogni ragazza, L'invenzione dell'amore... a Roma a Più Libri più liberi.
Mi ritrovo a regalarvi da questa finestra ideale i fogli, i miei pezzi, affidando al vento una frase, una esigenza. Vi regalo Esigenza come parola da custodire e usare: esigenza di capire ciò che si legge, esigenza di avere un gesto, un gesto naturale, esigenza di essere unici e diversi, esigenza di essere simili benché diversi.
Esigenza al rispetto in quanto esseri.
Mi trovo a guardare con dolore le tante manifestazioni inutili e stereotipate con le quali si spendono e spandono i soldi pubblici, mi trovo a guardare sconfortata i tanti privati, travestiti da associazioni, accedere ai fondi senza fine, senza un fine. Mi trovo e in effetti non mi trovo più se non nelle pagine dei libri veri che giungono nel regno della Litweb ormai per strade anche a me misteriose. Chi me li manderà?
Intanto la strada è questa, presa dalla libreria indipendente di Pistoia, Les Bouquinistes, dove spero proprio di portare i pezzi
La strada
E’ una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.
Octavio Paz, Poesie di viaggio a cura di R. Mussapi (EDT, 2009)
Nell'immagine: Elk, Lennart Helje's nordic postcard
Un buon anno a tutti voi nell'esigenza di essere tutti, a proprio modo, un essere pensante
Ippolita Luzzo dal Regno della Litweb
Ciò che fai entrare dalla finestra sarà quello che farai uscire, mi ripeto e vi ripeto per l'anno 2019, quindi facciamo attenzione, questa è un'altra parola che vi regalo per l'anno a venire. Il fatto di preparare il discorso di fine anno mi mette in difficoltà. L’anno della verità? L’anno cretino? Non so. Non sono più andata alle conferenze stampa da stampa alternativa e se sono andata non ho scritto nulla. Nella cappa del Lametame si perde il respiro dell’allegrezza.
Intanto però ritorno da Roma come BloggerInStand, come scherzosa zoppicante maghella, speranzosa che tutti i libri da me letti e amati vengano premiati, vengano riconosciuti come libri veri. Dopo il diluvio, Comportati da uomo, Ogni Mare è Ramingo, La Stanza dei Lumini rossi... Pantarei, Tu che eri ogni ragazza, L'invenzione dell'amore... a Roma a Più Libri più liberi.
Esigenza al rispetto in quanto esseri.
Mi trovo a guardare con dolore le tante manifestazioni inutili e stereotipate con le quali si spendono e spandono i soldi pubblici, mi trovo a guardare sconfortata i tanti privati, travestiti da associazioni, accedere ai fondi senza fine, senza un fine. Mi trovo e in effetti non mi trovo più se non nelle pagine dei libri veri che giungono nel regno della Litweb ormai per strade anche a me misteriose. Chi me li manderà?
Intanto la strada è questa, presa dalla libreria indipendente di Pistoia, Les Bouquinistes, dove spero proprio di portare i pezzi
La strada
E’ una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.
Octavio Paz, Poesie di viaggio a cura di R. Mussapi (EDT, 2009)
Nell'immagine: Elk, Lennart Helje's nordic postcard
Un buon anno a tutti voi nell'esigenza di essere tutti, a proprio modo, un essere pensante
Ippolita Luzzo dal Regno della Litweb
sabato 22 dicembre 2018
Guido Pistorio Ogni mare è ramingo Il Palindromo
Conosciamo il palindromo, il verso, la frase, la parola o la cifra che letta in senso inverso mantiene immutato il significato.
Conosciamo Il Palindromo Casa editrice di Palermo, nata nel 2013, che così si dichiara in una intervista a Il Gruppo Polifemo questo settembre 2018: La nostra è un’editoria se vogliamo acronica ed ecologica: acronica perché può muoversi liberamente e senza condizionamenti; ecologica perché per noi l’unico criterio di valutazione è la qualità, quindi ci rifiutiamo di immettere continuamente novità sugli scaffali delle librerie, preferiamo a volte riscoprire perle sprofondate nell'oblio e ridargli nuova vita. Per questo una sezione della nostra collana di narrativa, “Kalispéra”, è riservata a classici sommersi come I fatti di Petra di Nino Saverese, I vivi e i morti di Giuseppe Antonio Borgese e La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti. Una rinascita ecologica della buona letteratura." Una rinascita ecologica della buona letteratura, mi ripeto io, come un mantra.
Nell'incontro con il Regno della Litweb a Più Libri più liberi è amore immediato. Seguivo Mimmo Conoscenti e avevo già scritto un pezzo sui suoi racconti, la curiosità di leggere "La stanza dei lumini rossi" era altissima. Avevo anche letto di Guido Pistorio che, in onore quasi al nome della casa editrice, crea una delizia, 484 palindromi ad uso quotidiano, con le illustrazioni di Monica Rubino.
Abbiamo trascorso molto del nostro tempo con La settimana enigmistica, giocando a risolvere rebus, sciarade e indovinelli, qui però il gioco raffinatissimo dei palindromi diventa arte, diventa La pietrificazione meridionale: A sud è mamma Medusa, e restiamo pietrificati dalla verità del Palindromo come se esso stesso fosse non più un gioco ma un depositario di logica, di forma e contenuto, di senso. Binari morti: I treni inerti. L'ho presente: E so cos'è. Come spartirsi i lasciti: Eredi, c'è da decidere...
Massima poetica: Ogni mare è ramingo, e qui mi incanto sul mare azzurro di Monica Rubino che diventa un uomo, un mantello azzurro e comincia a camminare ramingo sulla terra rossa, anzi no, sulla terra dal colore di terra.
Rimane l'incanto di possedere queste illustrazioni e ripetersi i palindromi a memoria: Ogni tazza tingo da Ceramisti e decoratori, rimane l'incanto di farsi un regalo gioioso: A Natale vive la tana.
E applaudiamo felici con l'augurio che venga accolto nei territori del regno della Litweb con l'eco dell'eco: Oooo, c'è l'eco, c'è l'ecoooo...
Ippolita Luzzo
Conosciamo Il Palindromo Casa editrice di Palermo, nata nel 2013, che così si dichiara in una intervista a Il Gruppo Polifemo questo settembre 2018: La nostra è un’editoria se vogliamo acronica ed ecologica: acronica perché può muoversi liberamente e senza condizionamenti; ecologica perché per noi l’unico criterio di valutazione è la qualità, quindi ci rifiutiamo di immettere continuamente novità sugli scaffali delle librerie, preferiamo a volte riscoprire perle sprofondate nell'oblio e ridargli nuova vita. Per questo una sezione della nostra collana di narrativa, “Kalispéra”, è riservata a classici sommersi come I fatti di Petra di Nino Saverese, I vivi e i morti di Giuseppe Antonio Borgese e La stanza dei lumini rossi di Domenico Conoscenti. Una rinascita ecologica della buona letteratura." Una rinascita ecologica della buona letteratura, mi ripeto io, come un mantra.
Nell'incontro con il Regno della Litweb a Più Libri più liberi è amore immediato. Seguivo Mimmo Conoscenti e avevo già scritto un pezzo sui suoi racconti, la curiosità di leggere "La stanza dei lumini rossi" era altissima. Avevo anche letto di Guido Pistorio che, in onore quasi al nome della casa editrice, crea una delizia, 484 palindromi ad uso quotidiano, con le illustrazioni di Monica Rubino.
Abbiamo trascorso molto del nostro tempo con La settimana enigmistica, giocando a risolvere rebus, sciarade e indovinelli, qui però il gioco raffinatissimo dei palindromi diventa arte, diventa La pietrificazione meridionale: A sud è mamma Medusa, e restiamo pietrificati dalla verità del Palindromo come se esso stesso fosse non più un gioco ma un depositario di logica, di forma e contenuto, di senso. Binari morti: I treni inerti. L'ho presente: E so cos'è. Come spartirsi i lasciti: Eredi, c'è da decidere...
Massima poetica: Ogni mare è ramingo, e qui mi incanto sul mare azzurro di Monica Rubino che diventa un uomo, un mantello azzurro e comincia a camminare ramingo sulla terra rossa, anzi no, sulla terra dal colore di terra.
Rimane l'incanto di possedere queste illustrazioni e ripetersi i palindromi a memoria: Ogni tazza tingo da Ceramisti e decoratori, rimane l'incanto di farsi un regalo gioioso: A Natale vive la tana.
E applaudiamo felici con l'augurio che venga accolto nei territori del regno della Litweb con l'eco dell'eco: Oooo, c'è l'eco, c'è l'ecoooo...
Ippolita Luzzo
Comportati da uomo Giovanni Battista Menzani LiberAria
Sono tredici i racconti presenti, una raccolta di racconti scritti da Giovanni Battista Menzani per la Casa Editrice LiberAria.
La medusa a fine pagina nuota nel mare della buona letteratura e dona il titolo alla collana curata da Alessandra Minervini.
Il barattolo Bormioli racchiude un uomo sottovuoto, nudo e ben pettinato, appena uscito dal barbiere, con una leggera cifosi o lordosi della colonna vertebrale.
Tutto si lega infatti al prima racconto sul barbiere e poi agli altri racconti in cui quel "Comportati da uomo" più che un imperativo diventa una possibilità fra le altre. Se puoi, se vuoi, se lo sai, e leggendo i tredici racconti scritti con abilita finissima, scritti con il piacere di sorprendere, ci interroghiamo sul nostro imperfetto stare nelle cose, nelle situazioni.
Forse sono fatta strana, forse è un modo per far uscire via la disperazione ma io rido in situazioni in cui la maggior parte delle persone non ride e non rido invece di quelle dove tutti gli altri ridono. Ho letto dunque questo delizioso libro di Giovanni Battista Menzani ridendo. Ridendo con la consapevolezza che non si potrebbe ridere ma ridendo col gesto liberatorio della lettura intelligente. Racconti di un verismo crudo benché al limite del visionario, racconti diversi ma con personaggi possibili, con uomini e donne conosciute. Già, perché dopo che avrete letto Comportati da uomo voi abiterete quelle strade e quel villaggio vacanze, dove io manderei felicissima molti miei conoscenti durante le vacanze di Natale. Il libro è bellissimo, bellissimo e bellissimo.
"Tu rovini sempre tutto" mi ricorda una vacanza che fece un mio conoscente, ricco e annoiato, con la sua famiglia, presso un villaggio di mare spartano, perché "così mi disse" aveva sentito la semplicità. Mi sono molto divertita e nello stesso tempo intristita di questa coppia, in un villaggio vacanze che imita un campo di concentramento per far provare ad annoiati esseri cosa possa voler dire stare in un campo.
Ma ciò per loro è solo un gioco come un gioco era la semplicità per quel mio conoscente. Per alcuni la vita è veramente un gioco, per altri una tragedia, per altri ancora abiezione e dolore.
"Il dolore degli altri" altro racconto di Giovanni Battista Menzani, ci spiega chiaro che il dolore degli altri non ci interessa "Costruiamo, insieme al prossimo, un grande Progetto di Liberazione dai Sensi di Colpa. è qualcosa di cui andare fieri." Noi in effetti non possiamo che annuire. Quante volte abbiamo detto di non essere colpevoli, di non poter risolvere tutto il male del mondo? D'altronde non si balla e non si mangia, anche in prossimità di uno Tsunami, su una nave crociera?
"La strada che attraversa la pianura" ci attraversa da capo a piedi, tagliandoci in due, ci attraversa e ci fa a pezzi, così come fa a pezzi la solidarietà, la verità, il giornalismo e i fatti acconciati e sistemati per essere pubblicati, sempre al servizio di un qualche sporco gioco.
"Vedove" Sono in tanti come la protagonista di questo racconto, sono in tanti ad aver taciuto, ed ora che si può appendere al muro un video di un marito morto, la vedova trova il coraggio di non voler più quella presenza.
Leggendo faremo il tifo quasi come allo stadio, i racconti sono trascinanti e veri, meritano moltissimi lettori e moltissimi applausi dal regno della Litweb
Ippolita Luzzo
La medusa a fine pagina nuota nel mare della buona letteratura e dona il titolo alla collana curata da Alessandra Minervini.
Il barattolo Bormioli racchiude un uomo sottovuoto, nudo e ben pettinato, appena uscito dal barbiere, con una leggera cifosi o lordosi della colonna vertebrale.
Tutto si lega infatti al prima racconto sul barbiere e poi agli altri racconti in cui quel "Comportati da uomo" più che un imperativo diventa una possibilità fra le altre. Se puoi, se vuoi, se lo sai, e leggendo i tredici racconti scritti con abilita finissima, scritti con il piacere di sorprendere, ci interroghiamo sul nostro imperfetto stare nelle cose, nelle situazioni.
Forse sono fatta strana, forse è un modo per far uscire via la disperazione ma io rido in situazioni in cui la maggior parte delle persone non ride e non rido invece di quelle dove tutti gli altri ridono. Ho letto dunque questo delizioso libro di Giovanni Battista Menzani ridendo. Ridendo con la consapevolezza che non si potrebbe ridere ma ridendo col gesto liberatorio della lettura intelligente. Racconti di un verismo crudo benché al limite del visionario, racconti diversi ma con personaggi possibili, con uomini e donne conosciute. Già, perché dopo che avrete letto Comportati da uomo voi abiterete quelle strade e quel villaggio vacanze, dove io manderei felicissima molti miei conoscenti durante le vacanze di Natale. Il libro è bellissimo, bellissimo e bellissimo.
"Tu rovini sempre tutto" mi ricorda una vacanza che fece un mio conoscente, ricco e annoiato, con la sua famiglia, presso un villaggio di mare spartano, perché "così mi disse" aveva sentito la semplicità. Mi sono molto divertita e nello stesso tempo intristita di questa coppia, in un villaggio vacanze che imita un campo di concentramento per far provare ad annoiati esseri cosa possa voler dire stare in un campo.
Ma ciò per loro è solo un gioco come un gioco era la semplicità per quel mio conoscente. Per alcuni la vita è veramente un gioco, per altri una tragedia, per altri ancora abiezione e dolore.
"Il dolore degli altri" altro racconto di Giovanni Battista Menzani, ci spiega chiaro che il dolore degli altri non ci interessa "Costruiamo, insieme al prossimo, un grande Progetto di Liberazione dai Sensi di Colpa. è qualcosa di cui andare fieri." Noi in effetti non possiamo che annuire. Quante volte abbiamo detto di non essere colpevoli, di non poter risolvere tutto il male del mondo? D'altronde non si balla e non si mangia, anche in prossimità di uno Tsunami, su una nave crociera?
"La strada che attraversa la pianura" ci attraversa da capo a piedi, tagliandoci in due, ci attraversa e ci fa a pezzi, così come fa a pezzi la solidarietà, la verità, il giornalismo e i fatti acconciati e sistemati per essere pubblicati, sempre al servizio di un qualche sporco gioco.
"Vedove" Sono in tanti come la protagonista di questo racconto, sono in tanti ad aver taciuto, ed ora che si può appendere al muro un video di un marito morto, la vedova trova il coraggio di non voler più quella presenza.
Leggendo faremo il tifo quasi come allo stadio, i racconti sono trascinanti e veri, meritano moltissimi lettori e moltissimi applausi dal regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Corinna Pieri Il viaggio con mio padre
"Penso che ciascuno di noi abbia una propria energia vitale, che non sempre trova la dimensione e il tempo per esprimersi.A volte accade che si esprima in luoghi e tempi inimmaginabili o la si può perdere in altri, che invece ci erano apparsi propizi. Lo sai quando ti ci trovi, inopinatamente, lo capisci quando ti senti espandere e il respiro vola, quando un orizzonte aprendosi ti commuove, quando puoi essere te stesso, il clima si fa dolce e ti senti accettato come dentro un abbraccio. In quel tempo e in quello spazio, l'energia vitale sembrava annientata, però ne percepivo un leggero gorgoglio, come l'acqua che inizia a bollire"
Dopo una prova difficile, dopo una emarginazione e una calunnia, si trova dentro di noi la forza per scrollare le ali, con metafora appropriata, e trovare la forza di volontà per spostarsi e andarsene.. Così fa Corinna ai suoi sedici anni, vittima di una presa in giro cattiva e anonima.
Eppure quel gesto che sulle prime condanna Corinna al suo allontanarsi volontario dai compagni in futuro sarà trasformato e complice un padre attento,trasformato in gioia e conquista di libertà. Siamo nel 1965, l'estate dei sedici anni al Lido Camaiore.
Il Viaggio con mio padre è in effetti il viaggio verso l'età adulta, presa per mano da suo padre, presa per mano da alcuni valori ormai smarriti ma da recuperare: Prima pensare e poi parlare, non farsi mai prendere dalla fretta, la virtù della calma. Sono queste frasi il lascito di un padre sempre vicino, di un padre che regala alla figlia l'autonomia.Valori da recuperare come quel fiordaliso tra le spighe:estinto, cancellato.
Il viaggio della vita accompagna Corinna con immagini poetiche, con presenze amatissime, con paesaggio e colori della natura ancora non sciupata.
Il viaggio è dedicato alla presenza imprescindibile del suo papà, il viaggio ci viene donato per farci conoscere quanto sia importante avere accanto quella mano a cui tendere la nostra.
Con pudore e con affetto Corinna dipinge quasi un acquerello di anni troppo diversi dagli attuali e ce li regala per una sorta di consolazione su ciò che tutti abbiamo perduto.
Un regalo da conservare.
Ippolita Luzzo
Dopo una prova difficile, dopo una emarginazione e una calunnia, si trova dentro di noi la forza per scrollare le ali, con metafora appropriata, e trovare la forza di volontà per spostarsi e andarsene.. Così fa Corinna ai suoi sedici anni, vittima di una presa in giro cattiva e anonima.
Eppure quel gesto che sulle prime condanna Corinna al suo allontanarsi volontario dai compagni in futuro sarà trasformato e complice un padre attento,trasformato in gioia e conquista di libertà. Siamo nel 1965, l'estate dei sedici anni al Lido Camaiore.
Il Viaggio con mio padre è in effetti il viaggio verso l'età adulta, presa per mano da suo padre, presa per mano da alcuni valori ormai smarriti ma da recuperare: Prima pensare e poi parlare, non farsi mai prendere dalla fretta, la virtù della calma. Sono queste frasi il lascito di un padre sempre vicino, di un padre che regala alla figlia l'autonomia.Valori da recuperare come quel fiordaliso tra le spighe:estinto, cancellato.
Il viaggio della vita accompagna Corinna con immagini poetiche, con presenze amatissime, con paesaggio e colori della natura ancora non sciupata.
Il viaggio è dedicato alla presenza imprescindibile del suo papà, il viaggio ci viene donato per farci conoscere quanto sia importante avere accanto quella mano a cui tendere la nostra.
Con pudore e con affetto Corinna dipinge quasi un acquerello di anni troppo diversi dagli attuali e ce li regala per una sorta di consolazione su ciò che tutti abbiamo perduto.
Un regalo da conservare.
Ippolita Luzzo
lunedì 17 dicembre 2018
Ultimo tag per te, Riccardo
Questo è l'ultimo tag per te, cantandola come una canzone nota.
Dedico questo pezzo scherzoso ma non troppo, scritto mentre i broccoli cuociono, a Riccardo Sapia di Palermo che ha da poco fatto un post dove afferma: "Staggarsi" è un po' come scappare dalla casa, in questo caso di un amico, dove siete stati accolti. Non vorrei essere esagerato ma è un po' come disprezzarne l'invito. Perché ad alcuni di voi non piace essere "taggato"? Odio questo termine ma, forse o almeno io non lo conosco, non esiste un corrispettivo in italiano."
Sul tag io ho avuto esperienze diverse.
Mi taggano molti per darmi notizie dei loro eventi, dei loro articoli di giornali, mi taggano per il solo motivo di avere un like, oppure, come mi spiegò un amico, perché il tag trascina anche gli amici degli amici in una catena e diffonde, nel caso di un tag mirato su un personaggio conosciuto, il post.
Quindi se le cose stanno in questo modo c'è un nesso opportunistico e di utilità nel tag che prescinde la conoscenza del soggetto taggato. Infatti di me i miei taggatori seriali non si occupavano affatto.
Io non riconosco dunque a tanti tag nessuna importanza se non fastidio e sono restia a taggare, lo faccio molto raramente, mai taggando coloro che mi taggano in continuazione con un tag molesto.
Invece ci sono tag voluti, cercati, desiderati, tag su recensioni di blog, letti sempre, tag su libri di case editrici amate, tag insomma accettati.
E poi ci sono i tag che non arrivano, vedi che il tale critico letterario tagga tanti e non tagga te e dal gioco dei tag capisci che ancora non fai parte della "famiglia letteratura italiana web" perché se lui non ti tagga vuol dire che non esisti.
Sorrido però pensando ai dannati del tag, cioè a coloro che taggati dal famoso, devono mettere il like, pena l'estratag.
L'estratag deve essere una pena terribile, mio caro Riccardo.
Quindi noi ci continueremo a leggerci senza tag, anche se tu parlavi di tag affettuosi e familiari ed io ti posso raccontare dell'incubo di una mia amica, costretta da una sua conoscente, a dover mettere like al tag sulle moltissime fotografie che la signora metteva, pena un broncio perenne.
Si può vivere senza tag e volersi bene non è un tag, anzi tutt'altro.
Un saluto a Palermo dal regno della Litweb non taggante e non taggata.
Ippolita Luzzo
Dedico questo pezzo scherzoso ma non troppo, scritto mentre i broccoli cuociono, a Riccardo Sapia di Palermo che ha da poco fatto un post dove afferma: "Staggarsi" è un po' come scappare dalla casa, in questo caso di un amico, dove siete stati accolti. Non vorrei essere esagerato ma è un po' come disprezzarne l'invito. Perché ad alcuni di voi non piace essere "taggato"? Odio questo termine ma, forse o almeno io non lo conosco, non esiste un corrispettivo in italiano."
Sul tag io ho avuto esperienze diverse.
Mi taggano molti per darmi notizie dei loro eventi, dei loro articoli di giornali, mi taggano per il solo motivo di avere un like, oppure, come mi spiegò un amico, perché il tag trascina anche gli amici degli amici in una catena e diffonde, nel caso di un tag mirato su un personaggio conosciuto, il post.
Quindi se le cose stanno in questo modo c'è un nesso opportunistico e di utilità nel tag che prescinde la conoscenza del soggetto taggato. Infatti di me i miei taggatori seriali non si occupavano affatto.
Io non riconosco dunque a tanti tag nessuna importanza se non fastidio e sono restia a taggare, lo faccio molto raramente, mai taggando coloro che mi taggano in continuazione con un tag molesto.
Invece ci sono tag voluti, cercati, desiderati, tag su recensioni di blog, letti sempre, tag su libri di case editrici amate, tag insomma accettati.
E poi ci sono i tag che non arrivano, vedi che il tale critico letterario tagga tanti e non tagga te e dal gioco dei tag capisci che ancora non fai parte della "famiglia letteratura italiana web" perché se lui non ti tagga vuol dire che non esisti.
Sorrido però pensando ai dannati del tag, cioè a coloro che taggati dal famoso, devono mettere il like, pena l'estratag.
L'estratag deve essere una pena terribile, mio caro Riccardo.
Quindi noi ci continueremo a leggerci senza tag, anche se tu parlavi di tag affettuosi e familiari ed io ti posso raccontare dell'incubo di una mia amica, costretta da una sua conoscente, a dover mettere like al tag sulle moltissime fotografie che la signora metteva, pena un broncio perenne.
Si può vivere senza tag e volersi bene non è un tag, anzi tutt'altro.
Un saluto a Palermo dal regno della Litweb non taggante e non taggata.
Ippolita Luzzo
domenica 2 dicembre 2018
Antonio Saladino Lo scultore del tempo
Trasformo stamattina le strofe della canzone A muso duro di Pierangelo Bertoli,
" canterò le mie canzoni
per la strada
ed affronterò la vita
a muso duro
un guerriero senza patria
e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto
nel futuro" con lo sguardo fisso nel passato, lo canticchio per un po' e poi mi accorgo che la strofa originale rende di più il significato della mostra di Antonio Saladino.
Reperti Contemporanei, curata da Teodolinda Coltellaro, al Museo Marca di Catanzaro dal 24 Novembre 2018 al 19 gennaio 2019, sembra proprio creata da un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Uno sguardo di pace.
Antonio,"Lo scultore del tempo", come La scultura del tempo. Mi regala questa definizione Orazio Garofalo, un grande video-artista.
Nel cinema di Tarkovskij la logica dell'azione intende essere una scultura del tempo, "una serie di eventi, i quali, a loro volta, ineriscono a delle circostanze obiettive, che appartengono allo spazio - o, come affermerebbe Wittgenstein, ad una serie di stati di cose, i quali formano i contesti o le situazioni entro cui il tempo stesso si svolge, con il suo ritmo mutevole." Il tempo, questo sconosciuto e questo luogo abitato da noi, sembra bianchissimo e in pace nelle sculture di Antonio, sembra armonia, equilibrio e luce, sembra bellezza e ordine, un ordine che stia a governare ogni espressione.
Da una conversazione di Paolo Lago con Paolo Landi, come sopra, prendo questo stralcio "Ed è forse la "zona" una sapiente scultura del tempo, una sua iconizzazione e una sua stasi. La "zona" è il tempo che non scorre più e si ferma, tremando della propria angoscia e della propria solitudine." Nelle opere di Antonio in mostra, nell'intera mostra, vi è pace e serenità, si entra in un non luogo, diventato in quel momento il giardino delle muse.
Una stasi del tempo bello, fermo nel suo momento di perfezione. Nel ritornare alle immagini della mitologia, Il classicismo in fondo era questo tentativo dell'uomo di fermare il tempo, con la creta, con i colori, di fermare la perfezione e guardarla come se fosse ciò che siamo.
"Dove si guarda è ciò che noi siamo" ha scritto una mia amica, facendo in letteratura quello che ha creato Antonio Saladino:
Contenitori di terracotta dai contenuti sorprendenti, dai nomi conosciuti.
Le ciotole di Venere, Apollo, Zeus, Narciso, Reliquie, Rotoli di Scrittura critica.
Sembrano in fila a chiedere udienza ad un re immaginario gli abitanti di questa mostra: Il portatore di nuvole, la portatrice di gioielli, il portatore di scarti, la portatrice di urna, il portatore di angeli, tutti in fila davanti alla Vanitas.
Ricordando Qoelèt, c'è un tempo per tutte le cose, un tempo per demolire e un tempo per costruire."Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?"
Sarà la Vanitas da omaggiare? mi chiedo io sorpresa dal mio stesso vaneggiare.
Ho abitato la mostra tutto il tempo dell'installazione, dell'inaugurazione, del gioco, con i coloratissimi pezzi del Custode di tavolette, ed ogni tavoletta era un bozzetto, una storia, un racconto, un pezzo di noi, del nostro immaginario.
Ciò che noi conserviamo è ciò che noi vorremmo che si conservasse in eterno: l'efebo di Mozia, le tombe etrusche, le sette meraviglie del passato, le ninfe, il mito.
Stiamo sul mito del nostro interrogarci, stiamo nel rispetto e nella cura della terra, della creta, stiamo e staremo se ci prenderemo cura.
Le opere di Antonio Saladino ci rimandano al monito tranquillo del saggio che guarda nel passato per regalarci come ultima spes la luce, La portatrice di luce, alla quale è dedicata la mostra di Reperti contemporanei.
Ippolita Luzzo
" canterò le mie canzoni
per la strada
ed affronterò la vita
a muso duro
un guerriero senza patria
e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto
nel futuro" con lo sguardo fisso nel passato, lo canticchio per un po' e poi mi accorgo che la strofa originale rende di più il significato della mostra di Antonio Saladino.
Reperti Contemporanei, curata da Teodolinda Coltellaro, al Museo Marca di Catanzaro dal 24 Novembre 2018 al 19 gennaio 2019, sembra proprio creata da un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Uno sguardo di pace.
Antonio,"Lo scultore del tempo", come La scultura del tempo. Mi regala questa definizione Orazio Garofalo, un grande video-artista.
Nel cinema di Tarkovskij la logica dell'azione intende essere una scultura del tempo, "una serie di eventi, i quali, a loro volta, ineriscono a delle circostanze obiettive, che appartengono allo spazio - o, come affermerebbe Wittgenstein, ad una serie di stati di cose, i quali formano i contesti o le situazioni entro cui il tempo stesso si svolge, con il suo ritmo mutevole." Il tempo, questo sconosciuto e questo luogo abitato da noi, sembra bianchissimo e in pace nelle sculture di Antonio, sembra armonia, equilibrio e luce, sembra bellezza e ordine, un ordine che stia a governare ogni espressione.
Da una conversazione di Paolo Lago con Paolo Landi, come sopra, prendo questo stralcio "Ed è forse la "zona" una sapiente scultura del tempo, una sua iconizzazione e una sua stasi. La "zona" è il tempo che non scorre più e si ferma, tremando della propria angoscia e della propria solitudine." Nelle opere di Antonio in mostra, nell'intera mostra, vi è pace e serenità, si entra in un non luogo, diventato in quel momento il giardino delle muse.
Una stasi del tempo bello, fermo nel suo momento di perfezione. Nel ritornare alle immagini della mitologia, Il classicismo in fondo era questo tentativo dell'uomo di fermare il tempo, con la creta, con i colori, di fermare la perfezione e guardarla come se fosse ciò che siamo.
"Dove si guarda è ciò che noi siamo" ha scritto una mia amica, facendo in letteratura quello che ha creato Antonio Saladino:
Contenitori di terracotta dai contenuti sorprendenti, dai nomi conosciuti.
Le ciotole di Venere, Apollo, Zeus, Narciso, Reliquie, Rotoli di Scrittura critica.
Sembrano in fila a chiedere udienza ad un re immaginario gli abitanti di questa mostra: Il portatore di nuvole, la portatrice di gioielli, il portatore di scarti, la portatrice di urna, il portatore di angeli, tutti in fila davanti alla Vanitas.
Ricordando Qoelèt, c'è un tempo per tutte le cose, un tempo per demolire e un tempo per costruire."Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?"
Sarà la Vanitas da omaggiare? mi chiedo io sorpresa dal mio stesso vaneggiare.
Ho abitato la mostra tutto il tempo dell'installazione, dell'inaugurazione, del gioco, con i coloratissimi pezzi del Custode di tavolette, ed ogni tavoletta era un bozzetto, una storia, un racconto, un pezzo di noi, del nostro immaginario.
Ciò che noi conserviamo è ciò che noi vorremmo che si conservasse in eterno: l'efebo di Mozia, le tombe etrusche, le sette meraviglie del passato, le ninfe, il mito.
Stiamo sul mito del nostro interrogarci, stiamo nel rispetto e nella cura della terra, della creta, stiamo e staremo se ci prenderemo cura.
Le opere di Antonio Saladino ci rimandano al monito tranquillo del saggio che guarda nel passato per regalarci come ultima spes la luce, La portatrice di luce, alla quale è dedicata la mostra di Reperti contemporanei.
Ippolita Luzzo
sabato 1 dicembre 2018
Tutti i discorsi degli anni precedenti
Tristram Shandy: le cose che fate entrare sono le stesse che fate uscire.
La regina Elisabetta è apparsa in tutte le case britanniche il 25 dicembre per il tradizionale discorso di fine anno.
Una tradizione avviata nel 1932 da Re Giorgio V. E come alla corte della dinastia dei Windsor anche qui, nel regno della Litweb prepariamo il discorso. Mi aprono il blog nel 2012 e mi accorgo solo ora che in quell'anno non ho fatto un discorso di fine anno, sempre che non vogliamo prendere per vero un invito agli alunni vicini e lontani http://trollipp.blogspot.com/2013/01/miei-cari-alunni-vicini-e-lontani.html
poi l'anno passò e all'alba del 2014 scrivo questo https://trollipp.blogspot.com/2013/12/discorso-di-fine-anno.html
Finisce il 2014 con un canto
http://trollipp.blogspot.com/2014/12/istitutional-cantando-tutte-le-papere.html
e andiamo verso il 2015 e a dicembre 2015 scrivo http://trollipp.blogspot.com/2015/12/discorso-di-fine-anno-2015-ciascuno-il.html
andando verso il 2016 con il famosissimo discorso del 2016
http://trollipp.blogspot.com/2016/12/discorso-di-fine-anno-domine-2016.html
che ci catapulterà nel mondo delle uova. Sarà un uovo il domani? Una meraviglia, ho risposto all'alba del 2018 http://trollipp.blogspot.com/2017/12/discorso-di-fine-anno-2017-il-paese.html
chiederò alla Stampa di suggerirmi i discorsi mancanti
La regina Elisabetta è apparsa in tutte le case britanniche il 25 dicembre per il tradizionale discorso di fine anno.
Una tradizione avviata nel 1932 da Re Giorgio V. E come alla corte della dinastia dei Windsor anche qui, nel regno della Litweb prepariamo il discorso. Mi aprono il blog nel 2012 e mi accorgo solo ora che in quell'anno non ho fatto un discorso di fine anno, sempre che non vogliamo prendere per vero un invito agli alunni vicini e lontani http://trollipp.blogspot.com/2013/01/miei-cari-alunni-vicini-e-lontani.html
poi l'anno passò e all'alba del 2014 scrivo questo https://trollipp.blogspot.com/2013/12/discorso-di-fine-anno.html
Finisce il 2014 con un canto
http://trollipp.blogspot.com/2014/12/istitutional-cantando-tutte-le-papere.html
e andiamo verso il 2015 e a dicembre 2015 scrivo http://trollipp.blogspot.com/2015/12/discorso-di-fine-anno-2015-ciascuno-il.html
andando verso il 2016 con il famosissimo discorso del 2016
http://trollipp.blogspot.com/2016/12/discorso-di-fine-anno-domine-2016.html
che ci catapulterà nel mondo delle uova. Sarà un uovo il domani? Una meraviglia, ho risposto all'alba del 2018 http://trollipp.blogspot.com/2017/12/discorso-di-fine-anno-2017-il-paese.html
chiederò alla Stampa di suggerirmi i discorsi mancanti
mercoledì 28 novembre 2018
L'Amica Geniale Elena Ferrante
Elena Ferrante mi ha confessato di non aver visto la serie televisiva e di essere alle prese con una nuova quadrilogia dal titolo: La nemica geniale.
In attesa di fatti e misfatti delle amiche e nemiche, geniali sempre, che porteranno tanti premi e continue repliche, noi guardiamo stupefatti a tanto successo applaudendo il genio di chi lo racconta con tanta genialità.
Con vera stima.
Conoscerò Elena Ferrante e la inviterò nel Regno della Litweb.
Sono sicura che accetterà.
In un regno inesistente un'autrice che non si sa chi sia può ben venire senza tema di apparire.
Aspettandola
Ippolita Luzzo
In attesa di fatti e misfatti delle amiche e nemiche, geniali sempre, che porteranno tanti premi e continue repliche, noi guardiamo stupefatti a tanto successo applaudendo il genio di chi lo racconta con tanta genialità.
Con vera stima.
Conoscerò Elena Ferrante e la inviterò nel Regno della Litweb.
Sono sicura che accetterà.
In un regno inesistente un'autrice che non si sa chi sia può ben venire senza tema di apparire.
Aspettandola
Ippolita Luzzo
lunedì 26 novembre 2018
A Chiara Tempesta un pezzo antico: Una Bambola sul letto
L'altro giorno Chiara domanda ai social schizzinosi sull'arredamento delle case dei Casamonica come fossero le loro case e se ricordano le bambole sul letto.
Chiara mi ha fatto ricordare un mio pezzo del 2011 dal titolo Una bambola sul letto e la ringrazio per avermelo inconsapevolmente ridonato:
Una bambola sul letto 29 ottobre 2011-
Una volta nel sud le donne, dopo aver rassettato il letto matrimoniale, sistemavano al centro, subito dopo i due cuscini, una grande bambola, una bambola come una bambina, vestita con abiti pretenziosi, di lusso, merletti, pizzi, con le scarpine, scarpine vezzose, una bambola con i capelli boccoli boccoli, il viso dipinto di roseo splendore, gli occhi immobili, fissi su tanto stupore.
Io ne ero spaventata, proprio non riuscivo a capire quella messinscena, macabra ed offensiva, quel simulacro di donna perfetta, immobile fissa buttata su un letto, seduta, con le gambe aperte, divaricate per dare al fantoccio maggiore seduta.
Sfuggivo la vista, giravo gli occhi, ma sempre vedevo le donne che, fiere, se la mostravano, ne erano fiere, e non vedevo com'era preziosa!
Ero bambina ed avrei dovuto come le altre bambine avere una bambola che non volli mai, per tanto tempo mi rifiutai, poi verso i dieci anni mia mamma, vedendola una stranezza, me la comprò .
Era una bambola piccola, con i capelli docili al pettine. Io cominciai a pettinare e ripettinare ed in capo a due giorni la ridussi calva, senza più bellezza, senza un orpello.
Non credo che ho avuto più una bambola in mano, un bambolotto, un orsacchiotto.
Non ho mai più voluto bambole, ricordo però, con grande languore, un Pinocchio di legno che mi avranno rubato, sottratto, come tutte le cose negli anni a venire, un Pinocchio snodabile con tanto di naso, un cappello rosso e le gambe lunghe.
L’avevo comprato, c’ero riuscita dopo tante insistenze, me l’ero sudato col nonno, sfibrandolo con cantilene sempre più insistenti, che io volevo, volevo soltanto un Pinocchio di legno!
Ed adesso che vorrei giocare di nuovo i giochi che non ho fatto mai, adesso mi trovo a parlare davvero con un Pinocchio di carta, di mail, convinta di avere un discorso in mano, un senso, una storia, un motivo in più.
Mi ostino e non voglio vedere che ormai noi tutti non siamo gli stessi e che anche i Pinocchi sono contenti se possono ancora giocare con bambole, vestite eleganti, attizzate, vogliose, troie infoiate da manovrare, usare soltanto per mettere in moto un congegno per farle partire e poi, credo, ridere dentro di tanto sudare mentre loro, di legno, son sempre freddi, puliti, immacolati, sorpresi che lei si sia bagnata.
Ma ormai è tardi per disarticolare un buffo soggetto con un abbecedario, è tardi, tardissimo, proprio così, sarà come allora, anche allora qualcuno poi lo rubò il mio pinocchio di legno e non lo rividi mai più
Qualcuno che non lo amava affatto, qualcuno che poi lo buttò giù, ma d'altronde è così, è sempre così, nel mondo perbene che perbene non è.
Al mondo perbene, che perbene non è, basta mettere soltanto una bambola sul letto, con gli occhi fissi su tanto splendore
Ippolita Luzzo
Chiara mi ha fatto ricordare un mio pezzo del 2011 dal titolo Una bambola sul letto e la ringrazio per avermelo inconsapevolmente ridonato:
Una bambola sul letto 29 ottobre 2011-
Una volta nel sud le donne, dopo aver rassettato il letto matrimoniale, sistemavano al centro, subito dopo i due cuscini, una grande bambola, una bambola come una bambina, vestita con abiti pretenziosi, di lusso, merletti, pizzi, con le scarpine, scarpine vezzose, una bambola con i capelli boccoli boccoli, il viso dipinto di roseo splendore, gli occhi immobili, fissi su tanto stupore.
Io ne ero spaventata, proprio non riuscivo a capire quella messinscena, macabra ed offensiva, quel simulacro di donna perfetta, immobile fissa buttata su un letto, seduta, con le gambe aperte, divaricate per dare al fantoccio maggiore seduta.
Sfuggivo la vista, giravo gli occhi, ma sempre vedevo le donne che, fiere, se la mostravano, ne erano fiere, e non vedevo com'era preziosa!
Ero bambina ed avrei dovuto come le altre bambine avere una bambola che non volli mai, per tanto tempo mi rifiutai, poi verso i dieci anni mia mamma, vedendola una stranezza, me la comprò .
Era una bambola piccola, con i capelli docili al pettine. Io cominciai a pettinare e ripettinare ed in capo a due giorni la ridussi calva, senza più bellezza, senza un orpello.
Non credo che ho avuto più una bambola in mano, un bambolotto, un orsacchiotto.
Non ho mai più voluto bambole, ricordo però, con grande languore, un Pinocchio di legno che mi avranno rubato, sottratto, come tutte le cose negli anni a venire, un Pinocchio snodabile con tanto di naso, un cappello rosso e le gambe lunghe.
L’avevo comprato, c’ero riuscita dopo tante insistenze, me l’ero sudato col nonno, sfibrandolo con cantilene sempre più insistenti, che io volevo, volevo soltanto un Pinocchio di legno!
Ed adesso che vorrei giocare di nuovo i giochi che non ho fatto mai, adesso mi trovo a parlare davvero con un Pinocchio di carta, di mail, convinta di avere un discorso in mano, un senso, una storia, un motivo in più.
Mi ostino e non voglio vedere che ormai noi tutti non siamo gli stessi e che anche i Pinocchi sono contenti se possono ancora giocare con bambole, vestite eleganti, attizzate, vogliose, troie infoiate da manovrare, usare soltanto per mettere in moto un congegno per farle partire e poi, credo, ridere dentro di tanto sudare mentre loro, di legno, son sempre freddi, puliti, immacolati, sorpresi che lei si sia bagnata.
Ma ormai è tardi per disarticolare un buffo soggetto con un abbecedario, è tardi, tardissimo, proprio così, sarà come allora, anche allora qualcuno poi lo rubò il mio pinocchio di legno e non lo rividi mai più
Qualcuno che non lo amava affatto, qualcuno che poi lo buttò giù, ma d'altronde è così, è sempre così, nel mondo perbene che perbene non è.
Al mondo perbene, che perbene non è, basta mettere soltanto una bambola sul letto, con gli occhi fissi su tanto splendore
Ippolita Luzzo
sabato 24 novembre 2018
Il dialogo è una cosa opinabile su Whatsapp
Dialogo:
Colloquio tra due o più persone, nel linguaggio politico, confronto d'idee, opinioni o programmi allo scopo di raggiungere un'intesa: un dialogo costruttivo e distruttivo.
Comunicazione verbale, fatta di messaggi su whatsapp sempre dialogo è? Scritta e registrata su whatsapp. Cosa opinabile e divertente fra due soggetti, normalmente abili alla risposta.
Dopo aver riso questa mattina a sentire messaggi registrati su whatsapp e aver commentato con chi me li faceva ascoltare:"Cosa vuol dire questa frase in italiano?" mi sono sovvenuta di altra piacevolezza.
Allora eravamo in estate e una mia amica aveva da risolvere su quale fila dovesse stare il suo ombrellone in quello stabilimento balneare. Chiama dunque su whatsapp il proprietario dello stabilimento ed iniziano a messaggiare per chiarirsi su questo difficilissimo busillis. La vedevo impegnata a rispondere.
Lei alla fine, stremata e ironica, mi disse ad un certo punto: "Ora ti faccio vedere come procede la conversazione." Ed io mi trovai a leggere quei messaggi che non avrebbero sfigurato in una commedia di Ionesco, tanto erano strabilianti, fra lei che chiedeva e lui che rispondeva picche, non voleva, era evidente, spostare l'ombrellone, eppure la conversazione deviava, prendeva inaspettate rive, benché i due dialoganti si conoscessero da anni.
Stamattina uguale, con in più il dire parlato registrato.
Questo andazzo di registrare ciò che si dice sembra comodo ma si può ritorcere verso chi registra, perché mentre nel parlato orale si può sempre smentire, nel registrato e nello scritto le parole stanno lì a mostrare quanto la conversazione, il dialogo, sia una cosa opinabile, irreale, inesistente.
Il dialogo diventa subito insulto, offesa, disprezzo, mascherato da una leggerissima copertina webbica che non copre più nemmeno i piedi.
Infatti è un conversare con i piedi e Whatsapp condanna alla storicità del detto.
Un detto opinabile
Ippolita Luzzo
Colloquio tra due o più persone, nel linguaggio politico, confronto d'idee, opinioni o programmi allo scopo di raggiungere un'intesa: un dialogo costruttivo e distruttivo.
Comunicazione verbale, fatta di messaggi su whatsapp sempre dialogo è? Scritta e registrata su whatsapp. Cosa opinabile e divertente fra due soggetti, normalmente abili alla risposta.
Dopo aver riso questa mattina a sentire messaggi registrati su whatsapp e aver commentato con chi me li faceva ascoltare:"Cosa vuol dire questa frase in italiano?" mi sono sovvenuta di altra piacevolezza.
Allora eravamo in estate e una mia amica aveva da risolvere su quale fila dovesse stare il suo ombrellone in quello stabilimento balneare. Chiama dunque su whatsapp il proprietario dello stabilimento ed iniziano a messaggiare per chiarirsi su questo difficilissimo busillis. La vedevo impegnata a rispondere.
Lei alla fine, stremata e ironica, mi disse ad un certo punto: "Ora ti faccio vedere come procede la conversazione." Ed io mi trovai a leggere quei messaggi che non avrebbero sfigurato in una commedia di Ionesco, tanto erano strabilianti, fra lei che chiedeva e lui che rispondeva picche, non voleva, era evidente, spostare l'ombrellone, eppure la conversazione deviava, prendeva inaspettate rive, benché i due dialoganti si conoscessero da anni.
Stamattina uguale, con in più il dire parlato registrato.
Questo andazzo di registrare ciò che si dice sembra comodo ma si può ritorcere verso chi registra, perché mentre nel parlato orale si può sempre smentire, nel registrato e nello scritto le parole stanno lì a mostrare quanto la conversazione, il dialogo, sia una cosa opinabile, irreale, inesistente.
Il dialogo diventa subito insulto, offesa, disprezzo, mascherato da una leggerissima copertina webbica che non copre più nemmeno i piedi.
Infatti è un conversare con i piedi e Whatsapp condanna alla storicità del detto.
Un detto opinabile
Ippolita Luzzo
venerdì 23 novembre 2018
Giuliana Majocchi Maria Caterina Prezioso PINA & MAX
Ed eccoci a leggere Pina & Max:" Una strada di corse, di sguardi e di orme lasciate sulla battigia che il mare sapiente si porta via. E il tempo, finalmente dal fiato lungo dei buoni camminatori, un
tempo sovrano che ci accarezza le corde dell’anima e ci ricorda
di quella natura che non ci ha mai abbandonato. Un gioco,
il dono di un gioco."
nella prefazione leggiamo.
Pina:"Nel paese tutti la conoscono ed è accolta sempre affettuosamente.La sua andatura dinoccolata la rende molto particolare,per non parlare poi di quel color champagne…"
Si sta raccontando la vicenda di una bellissima cagnetta color champagne, e di Max il cane di Massimo "Max. Il suo bellissimo cane lo aveva conquistato da dietro una vetrina di negozio.Era talmente bello quel cucciolo di Husky da sembrare finto."
Qui partecipiamo ad una storia di incontri come se venisse raccontata dai protagonisti, quindi con i personaggi umani più sfocati rispetto alla storia vera e propria che è l'incontro fra i due cani, Pina e Max. "Qualcuno stava bussando alla porta, solo questo la mente di Massimo riuscì a registrare... Afferrò la maniglia e la fece roteare. Davanti a lui c’era Pina, seduta, la testa leggermente inclinata,che lo guardava. Quell’uomo alto, magro, in slip e i capelli scompigliati, era ridicolo. Si alzò, e scostando leggermente Massimo, s’intrufolò in camera. Sapeva dov’era, spinse la tenda, una annusata, un’occhiata, girò le spalle e Max fu subito dietro di lei. I due, velocemente, sfiorarono i piedi di Massimo, che incredulo era rimasto fermo, “imbambolato” con la mano incollata
alla maniglia."
In questa storia vista dagli occhi dei cani gli uomini rimpiccioliscono, rimane Il Grottino, l'albergo che accetta cani, a giganteggiare con la sua ospitalità. Gli uomini come tutti come Massimo accusano il vuoto.
"Solo il cane era diventato molto importante, era il suo occhio
gelido sul mondo e nessuno lo sapeva. Afferrò con forza
il guinzaglio e richiamò Max con un fischio. Max si bloccò,
poi si voltò per guardarlo, all’uomo sembrò di vedere ancora
quel sorriso, al successivo fischio riprese a correre verso di
lui. Max, riconosceva l’ordine del capobranco, o era semplice
affetto, o forse intuiva che l’uomo dal volto sorridente e triste
di un clown, aveva in lui, il suo vero e unico compagno di
giochi"
Una scrittura a due mani come due sono i protagonisti, come duale è il mondo animale e umano che si incontrano e si scontrano, si legano e poi si abbandonano. Dedico questo pezzo alla mia Gala, il setter dolcissimo, dal nome della musa amata da Salvador Dalì, il setter da me salvato e accudito e poi lasciato per non poter più occuparmi di lei.
Ippolita Luzzo
tempo sovrano che ci accarezza le corde dell’anima e ci ricorda
di quella natura che non ci ha mai abbandonato. Un gioco,
il dono di un gioco."
nella prefazione leggiamo.
Pina:"Nel paese tutti la conoscono ed è accolta sempre affettuosamente.La sua andatura dinoccolata la rende molto particolare,per non parlare poi di quel color champagne…"
Si sta raccontando la vicenda di una bellissima cagnetta color champagne, e di Max il cane di Massimo "Max. Il suo bellissimo cane lo aveva conquistato da dietro una vetrina di negozio.Era talmente bello quel cucciolo di Husky da sembrare finto."
Qui partecipiamo ad una storia di incontri come se venisse raccontata dai protagonisti, quindi con i personaggi umani più sfocati rispetto alla storia vera e propria che è l'incontro fra i due cani, Pina e Max. "Qualcuno stava bussando alla porta, solo questo la mente di Massimo riuscì a registrare... Afferrò la maniglia e la fece roteare. Davanti a lui c’era Pina, seduta, la testa leggermente inclinata,che lo guardava. Quell’uomo alto, magro, in slip e i capelli scompigliati, era ridicolo. Si alzò, e scostando leggermente Massimo, s’intrufolò in camera. Sapeva dov’era, spinse la tenda, una annusata, un’occhiata, girò le spalle e Max fu subito dietro di lei. I due, velocemente, sfiorarono i piedi di Massimo, che incredulo era rimasto fermo, “imbambolato” con la mano incollata
alla maniglia."
In questa storia vista dagli occhi dei cani gli uomini rimpiccioliscono, rimane Il Grottino, l'albergo che accetta cani, a giganteggiare con la sua ospitalità. Gli uomini come tutti come Massimo accusano il vuoto.
"Solo il cane era diventato molto importante, era il suo occhio
gelido sul mondo e nessuno lo sapeva. Afferrò con forza
il guinzaglio e richiamò Max con un fischio. Max si bloccò,
poi si voltò per guardarlo, all’uomo sembrò di vedere ancora
quel sorriso, al successivo fischio riprese a correre verso di
lui. Max, riconosceva l’ordine del capobranco, o era semplice
affetto, o forse intuiva che l’uomo dal volto sorridente e triste
di un clown, aveva in lui, il suo vero e unico compagno di
giochi"
Una scrittura a due mani come due sono i protagonisti, come duale è il mondo animale e umano che si incontrano e si scontrano, si legano e poi si abbandonano. Dedico questo pezzo alla mia Gala, il setter dolcissimo, dal nome della musa amata da Salvador Dalì, il setter da me salvato e accudito e poi lasciato per non poter più occuparmi di lei.
Ippolita Luzzo
lunedì 19 novembre 2018
Giovanna Villella mi presenta così
IPPOLITA LUZZO: RITRATTO DI DONNA NON CONVENZIONALE
Fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta, se dovessi paragonarla ad un artista di teatro, sarebbe una Paolo Poli in gonnella senza le metafore erotico-verbali che Poli - tuttavia -sapeva porgere con tanto candore.
Se fosse un quadro sarebbe La donna che legge di Van Gogh.
Se fosse un libro sarebbe il suo, ovvero un non libro. I libri, i suoi libri, sono oggetti animati, abitano la sua casa, non sono mere suppellettili. Camminano, si nascondono, parlano con lei, pranzano e cenano alla sua tavola. Quando non riesce a trovarne uno, lo chiama come se fosse il gatto di casa.
Se fosse una fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie ex-aequo con la moderna Cenerentola che ascolta i Joy Division di Romeo Vernazza.
Se dovesse scegliere un mestiere farebbe la “donna di lettere” nel senso della postina però, con gli stessi poteri del postino di Domenico Dara.
Non ama defininirsi blogger, anche se ha un blog seguitissimo. Non è una donna del Sud. Recentemente ha scoperto il termine fanzine. Ma in realtà è una linker ovvero una persona che riesce a creare collegamenti in una prospettiva multidisciplinare e di scambio continuo.
Ippolita, regina senza corona di un regno che non c’è, come l’isola di Peter Pan e di Peter Pan ha mantenuto quella euforia, quello stupore, quello spirito fanciullino che le fa battere le mani esclamando “Evviva” quando una cosa le piace, la fa felice. E a proposito di felicità, le basta davvero poco. Piccole felicità… per dirla con libro che entrambe abbiamo amato e raccontato.
Un regno doppiamente virtuale il suo, perché non è di questa terra ma neanche di lassù. Appartiene a quella vita parallela, quella second life, magistralmente raccontata nella favola della gabbietta. Un giardino recintato dove tutti siamo più o meno rinchiusi e dove lei, dopo essere stata bannata, segnalata ed espulsa, perché considerata un troll che, nel gergo di internet, è “soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”, si è ritagliata il suo spazio social a cui affida le proprie riflessioni personali e metaletterarie. Così, in poco tempo, viene seguita, corteggiata, ricercata, invitata come un vero e proprio guru della letteratura soprattutto per la sua capacità di scouting nello scovare giovani talenti. Da bannata a blandita… ma non a tutti è concesso di entrare a far parte del suo regno.
Il regno della Litweb, finestra sul mondo. Elemento architettonico familiare dalle molteplici declinazioni estetiche o funzionali, la finestra gioca un ruolo essenziale nella vita quotidiana, tanto individuale quanto sociale: essa è fonte di luminosità, di visibilità, di comunicazione e, nel contempo frontiera tra due spazi, quello esterno e quello interno, spesso antitetici. Nel primo caso, quello esterno, delimita un frammento di reale che si offre alla rappresentazione. Nel secondo caso, quello interno, perimetra uno spazio altro, più intimo, votato alla contemplazione e all’immaginazione.
Tuttavia, la finestra chiusa segna una separazione radicale tra questi due spazi antitetici organizzati intorno ai poli opposti silenzio/rumore, solitudine/folla, calma/frenesia, calore/freddo.
Se invece la finestra è aperta o socchiusa, lo spazio privato può far trapelare delle informazioni personali, intime che investono lo spazio pubblico e viceversa ciò che appartiene allo spazio pubblico può interferire con il proprio privato influenzandolo e modificandolo.
Se invece la finestra è aperta o socchiusa, lo spazio privato può far trapelare delle informazioni personali, intime che investono lo spazio pubblico e viceversa ciò che appartiene allo spazio pubblico può interferire con il proprio privato influenzandolo e modificandolo.
Testimone di questa reversibilità degli spazi, la finestra partecipa così al doppio gioco della esibizione e della dissimulazione diventando dunque metafora dell’occhio e quindi della stessa attività di creazione estetica, poetica o simbolica.
È così che Ippolita elabora una propria visione del mondoriuscendo in quel delicato e difficile lavoro di sintesi del “doppio sguardo” che procede dall’esterno all’interno e viceversa.
I suoi scritti sono a prima vista deliranti, non certo nell’accezione psicopatologica di disturbo caratterizzato da un’alterata interpretazione della realtà, ma in senso etimologico. Dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione - del conformismo dire io.
In questi anni di stupido cicaleccio sentimentale e di scribacchini innalzati al ruolo di scrittori, Ippolita è una eretica della scrittura che non ama compiacere. I suoi testi, spesso, non hanno un filo conduttore visibile, ma hanno un andamento irregolare, random quasi. Zeppi di richiami e di rimandi incrociati… Si passa dalle canzoni alla filosofia, dalla nutella a Dio, dalle filastrocche alla fisica quantistica… e con leggerezza (che leggerezza non è superficialità, come diceva Italo calvino), ci invitano a leggere la contemporaneità in una prospettiva nuova, insolita a volte, ma mai banale.
giovedì 15 novembre 2018
Nadia Terranova Addio Fantasmi
Leggo e ritrovo nel libro di Nadia Terranova spezzoni di vita conosciuta, di quando una mia mia amica mi disse come Sara a Ida, mi ritrovo nei dialoghi fra Ida e la sua mamma, con storie e reconditi fatti passati molti diversi.
Il dialogo plausibile e universale, uguale al nostro dialogare, racconta, senza raccontarlo, il compito del lettore nel suo dialogo con un testo.
Se il testo fosse Ida e io fossi Sara, Se il testo fosse la mamma e io fossi Ida e viceversa, facendo questo gioco ho preso a leggere e rileggere Addio Fantasmi relegando alla trama un lato, una vista laterale. Affascinata da ciò che tutti noi, scriventi, abbiamo colpevolmente cercato: l'attenzione sui nostri scritti.
Una vera ossessione.
Il Libro di Nadia Terranova è fatto di rimandi e di ritorni, di rimpianti e di rancore, di risposte e di rincorse, di rassicurazione e di rumori.
La lettera erre del nostro alfabeto ci rovista e ci ritrova.
Addio fantasmi, amandovi e facenti parte del nostro vissuto, addio e arrivederci, telefonando e telefonando a chi ci risponderà, per non lasciarci soli con voi.
La voce del marito di Ida risponde dal luogo della necessità, necessità di un equilibrio, affinché la protagonista non sia presa per mano dal fantasma che sta in lei.
Ida fa il suo viaggio di andata e ritorno e resiste.
Nadia Terranova a pagina 147 fa dire ad Ida: "Chiusi la conversazione, strinsi il telefono fra le mani e ringraziai il miracolo tecnologico che permetteva di lasciarsi invadere da un'altra persona a centinaia di chilometri di distanza, farsi modificare l'umore da lei e chiederle aiuto per resistere"
Nel farsi crescere dal racconto altrui, nel farsi idea di ciò che lei sia, nel farsi storia di un racconto unico, mi sembra un farsi fascinante questo romanzo che consiglio, che amo, che mi abbraccio.
" Veniamo tutti da un funerale, tutti abbiamo perso qualcuno e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi, il tempo senza quella persona. Il tempo che cominceremo a contare anno dopo anno, a partire dalla perdita. Delle vite degli altri non so molto, ma se aprissi uno spiraglio la mia solitudine diventerebbe affollata" pagina 195
Ed ora mi appunto questa lettura che Nadia Terranova fa in una intervista: "C’è un racconto di Leonardo Sciascia che ha un incipit bellissimo e dice che esiste soltanto un paese nella vita cui poi torniamo e che ricreiamo nella letteratura, si intitola "Paese con figure" contenuto nella raccolta "Il fuoco nel mare" pubblicata da Adelphi. "Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano - di queste povere case ammucchiate, di queste persone che ogni giorno incontriamo, il nostro ricordo riuscirà forse a comporre una di quelle infantili e amorevoli costruzioni in cui cubetti di legno e figurine di coccio fanno affettuosa armonia; una povera e incantata armonia’’. Trovo in queste righe la sintesi di quello che accade quando ricostruiamo con la letteratura il nostro luogo dell’infanzia, senza mitizzarlo però, cioè rendendoci conto che da un punto di vista umano, personale e psicologico è stato comunque una burrasca. Non abbiamo scelto, certo, il posto in cui vivere, non abbiamo scelto la famiglia dalla quale siamo stati condizionati e spesso ne siamo scappati, come anche nel mio caso. E poi, a un certo punto, siamo tornati in quella provincia alla quale attribuivamo tutti i mali del mondo pensando magari da ragazzini : "se non avessi vissuto qua, chissà cosa sarei, cosa farei, mi tocca questo luogo’’. Invece abbiamo letto, pensato, amato, c’è tutto quello che poi siamo diventati."
Grazie mille a Nadia Terranova
Addio Fantasmi amatissimi nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
lunedì 12 novembre 2018
Le storie di Domenico Conoscenti: Quando mi apparve amore
Storie più che racconti compongono il libro di Domenico Conoscenti. Leggo questi nove racconti, più la lettera al lettore, a modo mio, mi ritrovo a ridere con l'autore quando, iniziando io spesso dalla fine, vedo subito scoperto il mio gioco dal suo consiglio, dal suo immaginarmi leggere un solo racconto al giorno, qualunque sia la forma o la durata. Saltello leggendo squarci, faccio orecchiette, orecchiette al libro, non al sugo, e mi ritrovo in quella alunna al primo banco, intenta a scrivere e scrivere sul mio diario, sul banco.
C'era proprio tutto questo sul mio diario: strofe di canzone, versi e cancellature, scarabocchi e Jacovitti, disegni e titoli, malessere di un tempo diventato scrittura e poi un bel giorno strappato e buttato, dopo essere stato conservato per anni.
"Il dettaglio anomalo" è la scrittura di oggi, quel varcare la soglia dell'altro, quel leggere l'altro, come un fratello, un fratello di scrittura.
"Col tempo si dilatano gli intervalli" e col tempo sai, col tempo tutto se ne va. Resta prepotente la voglia di scrivere per pochi, pochissimi, per chi crediamo siano una parte di noi.
Mi accorgo di essere io Mimmo Conoscenti, in una immedesimazione di concetti, in una contestualità fatta di frasi, nostri pensieri.
Mi siedo sempre meno a scrivere, sempre con meno voglia, se non fosse che un racconto, una lettura fatta, non cominci a tempestarmi, a obbligarmi quasi, di scrivere. Un tempestio affettuoso, una vicinanza fatta di passeggiate con il libro in mano, di continui ritorni al bosco narrativo, alla selva oscura della frase.
"Vampe d'agosto" sarà dunque quella selva, se immaginiamo questo cammino nei racconti come un peregrinare nei peccati, nella sete di vendetta, nei delitti, nelle assenze.
Leggo a mia mamma la poesia di Leonardo Sinisgalli, messa all'inizio di "Visione, una distanza ci divide."
Si fatica per anni/ a sciogliere nodi,/ a dare un'immagine/ favolosa a una ciocca/ illeggibile di segni perduti.
Stiamo a guardarci con mamma, io di 64, lei di 94, con gli anni vuoti, con me "la certezza di esistere come evento irripetibile, una storia che hai già ascoltato tempo fa e che ritrovi scritta nel libro della tua memoria, ma ti piacerà sentirla una volta ancora, uguale e differente e con la mia voce di adesso."
Nei racconti di Mimmo Conoscenti vi è una dolente separazione fra pulsione e realizzazione, fra impossibile incontro di affetti, fra mondi di maschere e di infingimenti, per sopire quel che si crede sia un sentire, nel terrore di sentirsi fuori dal gregge.
Lui ci parla di sessualità, ed è sempre un terreno oscuro, come oscuro è l'oggetto del desiderio, sia esso da uomo ad uomo, da uomo a donna, e viceversa da donna ad uomo, da donna a donna, oppure molto più semplicemente fra noi e noi, in un io solipsistico che abbraccia se stesso, sfuggendosi. "A fare la differenza è la vita che si è fatta" e rimango sempre con la candela in mano ad illuminare un Eros scomparso alla vista di Psiche.
"Alla marina" e nel mare delle sensazioni annegheremo, leggendo e rileggendo ciò che "una sola volta non basta" dico io.
Non sono sicura di aver ancora posseduto il testo, nel difficile rapporto amoroso che si instaura fra lettrice e lettura, e ho la stessa trepidazione dell'autore nell'affidare al blog i miei pensieri di oggi, convinta che domani sarebbero migliori, sarebbero ancora più vicini o più lontani "Attraverso gli schermi" di un grande scrittore.
Nell'affabulazione che è favola e tragedia abitano le storie di Mimmo Conoscenti nel regno della Litweb
Ippolita Luzzo
C'era proprio tutto questo sul mio diario: strofe di canzone, versi e cancellature, scarabocchi e Jacovitti, disegni e titoli, malessere di un tempo diventato scrittura e poi un bel giorno strappato e buttato, dopo essere stato conservato per anni.
"Il dettaglio anomalo" è la scrittura di oggi, quel varcare la soglia dell'altro, quel leggere l'altro, come un fratello, un fratello di scrittura.
"Col tempo si dilatano gli intervalli" e col tempo sai, col tempo tutto se ne va. Resta prepotente la voglia di scrivere per pochi, pochissimi, per chi crediamo siano una parte di noi.
Mi accorgo di essere io Mimmo Conoscenti, in una immedesimazione di concetti, in una contestualità fatta di frasi, nostri pensieri.
Mi siedo sempre meno a scrivere, sempre con meno voglia, se non fosse che un racconto, una lettura fatta, non cominci a tempestarmi, a obbligarmi quasi, di scrivere. Un tempestio affettuoso, una vicinanza fatta di passeggiate con il libro in mano, di continui ritorni al bosco narrativo, alla selva oscura della frase.
"Vampe d'agosto" sarà dunque quella selva, se immaginiamo questo cammino nei racconti come un peregrinare nei peccati, nella sete di vendetta, nei delitti, nelle assenze.
Leggo a mia mamma la poesia di Leonardo Sinisgalli, messa all'inizio di "Visione, una distanza ci divide."
Si fatica per anni/ a sciogliere nodi,/ a dare un'immagine/ favolosa a una ciocca/ illeggibile di segni perduti.
Stiamo a guardarci con mamma, io di 64, lei di 94, con gli anni vuoti, con me "la certezza di esistere come evento irripetibile, una storia che hai già ascoltato tempo fa e che ritrovi scritta nel libro della tua memoria, ma ti piacerà sentirla una volta ancora, uguale e differente e con la mia voce di adesso."
Nei racconti di Mimmo Conoscenti vi è una dolente separazione fra pulsione e realizzazione, fra impossibile incontro di affetti, fra mondi di maschere e di infingimenti, per sopire quel che si crede sia un sentire, nel terrore di sentirsi fuori dal gregge.
Lui ci parla di sessualità, ed è sempre un terreno oscuro, come oscuro è l'oggetto del desiderio, sia esso da uomo ad uomo, da uomo a donna, e viceversa da donna ad uomo, da donna a donna, oppure molto più semplicemente fra noi e noi, in un io solipsistico che abbraccia se stesso, sfuggendosi. "A fare la differenza è la vita che si è fatta" e rimango sempre con la candela in mano ad illuminare un Eros scomparso alla vista di Psiche.
"Alla marina" e nel mare delle sensazioni annegheremo, leggendo e rileggendo ciò che "una sola volta non basta" dico io.
Non sono sicura di aver ancora posseduto il testo, nel difficile rapporto amoroso che si instaura fra lettrice e lettura, e ho la stessa trepidazione dell'autore nell'affidare al blog i miei pensieri di oggi, convinta che domani sarebbero migliori, sarebbero ancora più vicini o più lontani "Attraverso gli schermi" di un grande scrittore.
Nell'affabulazione che è favola e tragedia abitano le storie di Mimmo Conoscenti nel regno della Litweb
Ippolita Luzzo
sabato 10 novembre 2018
11 novembre 2018 Tagliare il mantello
Il sole splende e l'estate di San Martino si riconferma ogni anno con il mantello tagliato a metà e donato a chi mantello non ha.
Seduta qui disinnesco l'inquietudine di non credere vero e possibile ancora l'esistere di un Martino che tagli il mantello.
Mi sembra improbabile un gesto di così grande solidarietà e pur anche ci fosse chi farebbe il gesto di Martino ora sarebbe guardato con sospetto, e pur anche ci fosse gli sarebbe impedito di esistere.
Tagliare il mantello in due pezzi, in tre pezzi, in moltissimi pezzi, tanti sono coloro che hanno bisogno di un pezzo di stoffa, di un tetto, di una cittadinanza, di diritti.
Sono contro l'elemosina del singolo, la trovo offensiva, l'elemosina non dà dignità, costringe il ricevente a dire grazie, a sentirsi inferiore.
Nella storia di San Martino però ogni gesto viene edulcorato dall'aureola di santità ed allora evviva Martino,
evviva Mimmo Lucano,
Evviva evviva i tanti Martino che sanno tagliare un mantello, fin quando sarà possibile.
Pezzi per tutti nell'estate di San Martino calda e chiara di un 2018 invece crudele
Seduta qui disinnesco l'inquietudine di non credere vero e possibile ancora l'esistere di un Martino che tagli il mantello.
Mi sembra improbabile un gesto di così grande solidarietà e pur anche ci fosse chi farebbe il gesto di Martino ora sarebbe guardato con sospetto, e pur anche ci fosse gli sarebbe impedito di esistere.
Tagliare il mantello in due pezzi, in tre pezzi, in moltissimi pezzi, tanti sono coloro che hanno bisogno di un pezzo di stoffa, di un tetto, di una cittadinanza, di diritti.
Sono contro l'elemosina del singolo, la trovo offensiva, l'elemosina non dà dignità, costringe il ricevente a dire grazie, a sentirsi inferiore.
Nella storia di San Martino però ogni gesto viene edulcorato dall'aureola di santità ed allora evviva Martino,
evviva Mimmo Lucano,
Evviva evviva i tanti Martino che sanno tagliare un mantello, fin quando sarà possibile.
Pezzi per tutti nell'estate di San Martino calda e chiara di un 2018 invece crudele
giovedì 1 novembre 2018
Morto
Da un mio post del 2015:
Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: "Chiovi, e chiovi chiovi, quandu chiovi un sicca nente." vuol dire "quando piove non secca nulla."
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare le sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino, morto da troppi anni mio nonno, unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole, ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra.
Novembre 2018
Da allora ad oggi salgo in centro ogni giorno, e il mortorio diventa un sussurrio di passi, di gesti, di sguardi.
La casa grande, la mia mamma pulisce. Ordinatissima, lei, la casa e il mondo intanto sparisce, si trasforma.
Subito fuori brutture su brutture, cacche di cani agli angoli, muro sbrecciato di fronte, brutte scritte lordano i muri della via, sconosciuti di ogni nazionalità trascinano pacchi e borsoni, si stabiliscono per poco poi scompaiono, intorno cancelli, grate, chiusi gli infissi delle case di fronte. Morto il vicinato. Morto.
Salgo ogni giorno al centro dove sta la casa dove sono nata, e mi accorgo quanto ormai sia un gesto di risposta alla mia mamma, che mi chiede, al cellullare, cosa faccia. Sto salendo, le rispondo.
Morto il mondo del vicino, dei vicini, non conosco quasi i miei vicini, morto il mondo intorno a noi, celebriamo ciò che il mondo è diventato: un cimitero di buone intenzioni.
Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: "Chiovi, e chiovi chiovi, quandu chiovi un sicca nente." vuol dire "quando piove non secca nulla."
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare le sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino, morto da troppi anni mio nonno, unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole, ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra.
Novembre 2018
Da allora ad oggi salgo in centro ogni giorno, e il mortorio diventa un sussurrio di passi, di gesti, di sguardi.
La casa grande, la mia mamma pulisce. Ordinatissima, lei, la casa e il mondo intanto sparisce, si trasforma.
Subito fuori brutture su brutture, cacche di cani agli angoli, muro sbrecciato di fronte, brutte scritte lordano i muri della via, sconosciuti di ogni nazionalità trascinano pacchi e borsoni, si stabiliscono per poco poi scompaiono, intorno cancelli, grate, chiusi gli infissi delle case di fronte. Morto il vicinato. Morto.
Salgo ogni giorno al centro dove sta la casa dove sono nata, e mi accorgo quanto ormai sia un gesto di risposta alla mia mamma, che mi chiede, al cellullare, cosa faccia. Sto salendo, le rispondo.
Morto il mondo del vicino, dei vicini, non conosco quasi i miei vicini, morto il mondo intorno a noi, celebriamo ciò che il mondo è diventato: un cimitero di buone intenzioni.
mercoledì 31 ottobre 2018
"La colpa" di Raffaele Mangano
Uno stato d'animo sovrappensiero aleggia sul libro diventandone il filo conduttore. La Colpa è uno stato d'animo prima che il racconto di un uomo, vissuto dall'infanzia senza aver visto più il padre scomparso, che viene informato dalla morte di lui avvenuta in un convento dei frati minori di Acireale. Lo conosciamo, subito dopo aver ricevuto la telefonata con la notizia datagli dal frate guardiano del convento, sovrappensiero, mentre cammina per la strada e sconosciuti lo urtano senza scusarsi e lui si sente avvampare e si infila in un vagone della metropolitana
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo