Abbiamo tutti una nostra Recherche
Ezio Sinigaglia inizia per me dalla lettera scritta sulla copertina del libro "Eclissi", dalla storia del suo primo romanzo "Il pantarèi", edito trenta anni fa e da Giuseppe in possesso di una copia.
"Smarrito nella distrazione editoriale Il pantarèi di Ezio Sinigaglia è recuperato, in quattro puntate, qui, nelle sue pagine che ruotano attorno alla Recherche." così Giuseppe Girimonti Greco scrive su FN qualche anno fa.
Conosco così Daniele Stern, "poligrafo senza occupazione", egli viene incaricato, da una casa editrice con la quale saltuariamente collabora, di scrivere – in quaranta pagine e in cinque giorni – una storia del romanzo del Novecento, che entrerà a far parte del settimo e ultimo volume di una Enciclopedia della Donna, di impianto – per il resto – molto tradizionale"
Leggo il libro di Sinigaglia con le mie scarse competenze letterarie, cerco di possedere il senso della cantata interiore, la musicalità sentita in questo pomeriggio di giugno con Eclissi.
"Poggio Martino 15 giugno
Caro G, qui fulmini e saette. Ogni giorno. Mai visto un giugno simile. Corrente che salta di continuo. Quindi lavoro sul Pc senza corrente, e consumo batteria. Risultato scrivo a mano, poi ricopierò, sempre che Zeus non mi impedisca prima. Dunque, sono quasi alla fine. Manca solo ... sarà il 20 marzo dell'anno prossimo."
La lettera di Ezio Sinigaglia sta qui con me fra le tante lettere al mondo che ognuno di noi ha scritto.
Nel destino che ciascuno ha anche i libri hanno una stella, la stella guida. Eclissi è un libro di stelle. Leggendolo ecco nella mia testa Cassiopea, la chioma di Berenice, il mito, e il film Serendipity, un film sul destino.
Nel cielo moltissime stelle.
Potrei viaggiare nel tempo per milioni di anni. Rapita dalla musica dell'universo cantato con le parole sonore di Ezio Sinigaglia ringrazio in cuor mio il destino o le stelle che permettono una notte straordinariamente luminosa nel mare magnum della letteratura.
Trovare la Stella Polare, decifrare quel momento di una domanda, di una quaestio, quel desiderio in mancanza di stella, dalla etimologia della parola, quell'attesa, quello svelamento.
Eclissi, viaggiare sul carro, dalla ruota posteriore destra, pochi centimetri più a est e proseguire per un tratto che è di circa cinque volte la loro distanza. Ed ecco la Stella Polare. La vedi, Eu?
Nella nostra Recherche quotidiana la stella si chiama scrittura.
Ezio Sinigaglia costruisce un racconto corale fra terra, cielo e uomini nella natura del tempo incrociato scrivendo una lettera al mondo
Ippolita Luzzo
mercoledì 28 giugno 2017
Il paradosso del sud ad una montagna di pace
I paradossi di Ippolita Luzzo, questo il titolo del mio intervento ad Una Montagna di pace, giorno 1 luglio, con i pezzi dalla Litweb.
Intanto i paradossi fondamentali:
Paradossi di Zenone (esiste il movimento? : Achille e la tartaruga - La freccia)
Paradosso del mentitore (che cosa è la "verità"?)
Paradosso di Moore (che cosa significa "sapere"?)
Paradossi dell'infinito
Paradosso dell'ipergioco
Paradosso dei gemelli (dalla teoria della relatività)
Paradosso di Russell (o del barbiere, nella teoria ingenua degli insiemi)
Antinomie kantiane
Paradosso di d'Alembert
Paradosso di Condorcet
Paradosso di Monty Hall
Paradosso di Arrow
Paradosso meccanico
ed infine Paradosso della Litweb
Diceva il mio papà: Centu nenti ammazzaru u cavullu di Bonsignore! Traduco: Cento niente ammazzarono il cavallo di Monsignore.
si caricava con dei pesi il cavallo del monsignore ed ad ogni peso aggiunto i due si chiedevano: E chistu? è nente, e chistu? è nente, finché il cavallo morì.
Aggiungendo ogni volta un peso da niente sul povero cavallo alla fine questo stramazzò schiacciato.
Altro esempio del mio papà: Un tale voleva abituare il suo asino a vivere solo bevendo acqua. Senza cibo. Acqua, dategli acqua, diceva ai servi. Ed era quasi riuscito nel suo intento quando l'asino morì.
Continuava nei suoi esempi ormai facenti parte del suo frasario conversativo da essere diventato anche lui un paradosso del sud.
Ed ora, per la legge del contrappasso, mi porto appresso i miei pezzi ed i suoi paradossi.
Ippolita
Intanto i paradossi fondamentali:
Paradossi di Zenone (esiste il movimento? : Achille e la tartaruga - La freccia)
Paradosso del mentitore (che cosa è la "verità"?)
Paradosso di Moore (che cosa significa "sapere"?)
Paradossi dell'infinito
Paradosso dell'ipergioco
Paradosso dei gemelli (dalla teoria della relatività)
Paradosso di Russell (o del barbiere, nella teoria ingenua degli insiemi)
Antinomie kantiane
Paradosso di d'Alembert
Paradosso di Condorcet
Paradosso di Monty Hall
Paradosso di Arrow
Paradosso meccanico
ed infine Paradosso della Litweb
Diceva il mio papà: Centu nenti ammazzaru u cavullu di Bonsignore! Traduco: Cento niente ammazzarono il cavallo di Monsignore.
si caricava con dei pesi il cavallo del monsignore ed ad ogni peso aggiunto i due si chiedevano: E chistu? è nente, e chistu? è nente, finché il cavallo morì.
Aggiungendo ogni volta un peso da niente sul povero cavallo alla fine questo stramazzò schiacciato.
Altro esempio del mio papà: Un tale voleva abituare il suo asino a vivere solo bevendo acqua. Senza cibo. Acqua, dategli acqua, diceva ai servi. Ed era quasi riuscito nel suo intento quando l'asino morì.
Continuava nei suoi esempi ormai facenti parte del suo frasario conversativo da essere diventato anche lui un paradosso del sud.
Ed ora, per la legge del contrappasso, mi porto appresso i miei pezzi ed i suoi paradossi.
Ippolita
martedì 27 giugno 2017
Pantaleone a Trame. Servi Disobbedienti
Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere
Mi sono commossa e ho capito le ragioni di Gino Pantaleone che omonimo ma non parente di Michele Pantaleone si fa testimone e tramite della vicenda letteraria e umana di Michele.
Il libro di Gino Pantaleone, presentato a Trame, aveva per titolo Servi disobbedienti, da un verso della canzone di De Andrè, Smisurata preghiera, anch'essa presente su un foglio stropicciato e però Gino aveva portato con sé l'altro libro dedicato a Michele, un tributo ad uno scrittore dimenticato. Michele nel 1969 vinse il premio Brancati con "Antimafia, occasione mancata".
Scrisse un altro libro dal titolo "Il sasso in bocca" dal quale fu tratto, con la regia di Giuseppe Ferrara, un film-documentario sulla Mafia, con lo stesso titolo, uscito nel 1970.
Michele Pantaleone (Villalba, 30 novembre 1911 – Palermo, 12 febbraio 2002) è stato un saggista, giornalista, politico e sociologo italiano, imparo da Gino Pantaleone quanto un libro possa far vivere un uomo, farlo ricordare e riportare in vita le sue idee. Dimenticato per molti anni, è stato Gino Pantaleone a far sì che si intestasse a suo nome una strada a Palermo. Nel ringraziare Gino Pantaleone per averci dato una delle più sincere testimonianze di amicizia a Trame siamo con lui in Smisurata preghiera.
Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere
Così dal giornale il 27 maggio 2017
"Sarà ricordato attraverso letture dei brani dei suoi libri, ma anche grazie alla testimonianza di chi lo conobbe Michele Pantaleone, lo scrittore di Villalba amato e odiato per la sua chiara presa di posizione contro la mafia. Una giornata a lui dedicata con la presenza del poeta e scrittore Gino Pantaleone che gli fu vicino sino alla fine e raccolse la sua testimonianza"
Mi piace molto questo affetto, questa amicizia verso uno scrittore che trascorse gli ultimi anni in totale abbandono. Ne sento la verità.
Ippolita Luzzo
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere
Mi sono commossa e ho capito le ragioni di Gino Pantaleone che omonimo ma non parente di Michele Pantaleone si fa testimone e tramite della vicenda letteraria e umana di Michele.
Il libro di Gino Pantaleone, presentato a Trame, aveva per titolo Servi disobbedienti, da un verso della canzone di De Andrè, Smisurata preghiera, anch'essa presente su un foglio stropicciato e però Gino aveva portato con sé l'altro libro dedicato a Michele, un tributo ad uno scrittore dimenticato. Michele nel 1969 vinse il premio Brancati con "Antimafia, occasione mancata".
Scrisse un altro libro dal titolo "Il sasso in bocca" dal quale fu tratto, con la regia di Giuseppe Ferrara, un film-documentario sulla Mafia, con lo stesso titolo, uscito nel 1970.
Michele Pantaleone (Villalba, 30 novembre 1911 – Palermo, 12 febbraio 2002) è stato un saggista, giornalista, politico e sociologo italiano, imparo da Gino Pantaleone quanto un libro possa far vivere un uomo, farlo ricordare e riportare in vita le sue idee. Dimenticato per molti anni, è stato Gino Pantaleone a far sì che si intestasse a suo nome una strada a Palermo. Nel ringraziare Gino Pantaleone per averci dato una delle più sincere testimonianze di amicizia a Trame siamo con lui in Smisurata preghiera.
Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere
Così dal giornale il 27 maggio 2017
"Sarà ricordato attraverso letture dei brani dei suoi libri, ma anche grazie alla testimonianza di chi lo conobbe Michele Pantaleone, lo scrittore di Villalba amato e odiato per la sua chiara presa di posizione contro la mafia. Una giornata a lui dedicata con la presenza del poeta e scrittore Gino Pantaleone che gli fu vicino sino alla fine e raccolse la sua testimonianza"
Mi piace molto questo affetto, questa amicizia verso uno scrittore che trascorse gli ultimi anni in totale abbandono. Ne sento la verità.
Ippolita Luzzo
lunedì 26 giugno 2017
Facciamo finta che tutto va be' tutto va be'
Magari non proprio tutto... da Fracchia a noi
Tutto va be' c'è la salute, siamo tutti amici, siamo felici, in effetti siamo tutti molto felici.
Facciamo finta che esista una città, una civiltà, una ecologia, una democrazia, una socialità e una bontà.
Facciamo finta che siamo come si appare nelle conferenze, nelle presentazioni, nelle rappresentazioni.
Facciamo finta che siano tutti come dicano di essere e non il loro contrario, facciamo finta che possiamo denunciare, facciamo finta che tutto va be', il carcere migliora, la scuola insegna, l'ospedale guarisce e la città ben governata è.
Facciamo finta che tutto va be' tutto va be'
Noi siamo felici
Dappertutto siamo felici mentre i nostri cari nomadi bruciano e bruciano ora anche eternit, dicono, infatti ancora più odorosa l'aria è.
Respiriamo a pieni polmoni più veloce malattia ci sarà... in felicità.
Tutto va be' tutto va be', noi stiamo proprio benone, Io non ho paura, per cinque giorni si è detto con felicità, siamo stati tutti ad applaudire ed ora facciamo finta che
E guardiamo le strade puzzolenti, ma no ma no sono pulitissime. L'odore dolciastro che viene a zaffate dai cassonetti dei rifiuti, dalle strade sporche e dai vari forni autorizzati sul corso cittadino, raggiunge il mio stomaco rivoltandolo. Non si può sfuggire alla passeggiata sulle puzze diverse che impestano il centro. In periferia abbiamo altri fumi e altri odori. Se un tempo dissi Beirut oggi direi stalla. Una stalla la mia città
Facciamo finta che i cani facciano pipì odorosa al muro di casa dei miei, che i loro deliziosi proprietari raccolgano la cacca e quella che vedo io non è cacca ma meraviglia in regalo.
Facciamo finta che tutto va be'
Onda Pazza https://www.youtube.com/watch?v=wQEHh0J1JGM
venerdì 23 giugno 2017
Il veleno chiamato Lamezia
Respiro veleno.
Ho dimenticato di chiudere gli infissi della camera da letto ieri sera e l'aria avvelenata dai fumi del Campo Rom riposa sul comodino, sul cuscino. Impossibile dormire qui, in camera.
Scendo giù e mi addormento sul divano del soggiorno, avevo per fortuna ben chiuso i balconi al primo piano prima di uscire e mi addormento fra giornali e fogli nella tristezza assoluta di vivere in un luogo avvelenato.
Avvelenato senza scampo di salvezza.
Avvelenato in ogni particella vivente, avvelenato nell'aria, nell'acqua, nella terra, nel fuoco. Fuoco avvelenato, terra avvelenata, acqua avvelenata, aria avvelenata.
Avvelenato in ogni più infinitesimale forma di pensiero corporeo e incorporeo, avvelenato nella carne e nello spirito, avvelenato nel respiro.
La puzza vivente del veleno si deposita sui polmoni, sulla pelle, nel sangue, nei pensieri.
Una puzza pesante, immobile, gigante.
Ha un corpo questo veleno, una testa e tante braccia.
Mi risveglio al mattino soleggiato e nel verde del nuovo giorno, per un attimo senza puzza, vado a seppellire mio padre, un uomo fortunato.
Ippolita Luzzo
Ho dimenticato di chiudere gli infissi della camera da letto ieri sera e l'aria avvelenata dai fumi del Campo Rom riposa sul comodino, sul cuscino. Impossibile dormire qui, in camera.
Scendo giù e mi addormento sul divano del soggiorno, avevo per fortuna ben chiuso i balconi al primo piano prima di uscire e mi addormento fra giornali e fogli nella tristezza assoluta di vivere in un luogo avvelenato.
Avvelenato senza scampo di salvezza.
Avvelenato in ogni particella vivente, avvelenato nell'aria, nell'acqua, nella terra, nel fuoco. Fuoco avvelenato, terra avvelenata, acqua avvelenata, aria avvelenata.
Avvelenato in ogni più infinitesimale forma di pensiero corporeo e incorporeo, avvelenato nella carne e nello spirito, avvelenato nel respiro.
La puzza vivente del veleno si deposita sui polmoni, sulla pelle, nel sangue, nei pensieri.
Una puzza pesante, immobile, gigante.
Ha un corpo questo veleno, una testa e tante braccia.
Mi risveglio al mattino soleggiato e nel verde del nuovo giorno, per un attimo senza puzza, vado a seppellire mio padre, un uomo fortunato.
Ippolita Luzzo
martedì 20 giugno 2017
Crepapelle, il racconto di Paola Rondini
Intrecci Edizioni nella collana Enne
e con la collaborazione di scritture Scriteriate Agenzia Letteraria pubblica nel 2017 questo romanzo di Paola Rondini: Crepapelle.
Il senso del racconto forse è racchiuso in una frase di Prigogine, Le leggi del caos:"Mi piace dire che la materia in prossimità dell'equilibrio è cieca perché ogni particella vede soltanto le molecole che la circondano, mentre lontano dall'equilibrio si producono le correlazioni di lunga portata, che permettono la costruzione degli stati coerenti"
Mi piace questo vedere oltre il vedere e la correlazione che può nascere fra individui e molecole distanti, in fondo è la storia di questo blog, la storia di una vita, la mia, con un foglio in mano, come Edo, il personaggio misterioso che impariamo a conoscere mentre bussa ad un finestrino di un'automobile e lancia un foglietto con su scritto qualcosa.
Nasce così la trama di questa storia veloce, almeno il ritmo è veloce, e veloce trasforma i protagonisti nella pelle e nell'anima.
"una fuga inizia sempre con un'accelerazione, una sbandata."
Si fugge da se stessi, si fugge dal lavoro, si fugge e si sceglie altro, fuori dalla pelle, in Crepapelle. Vibrazioni, spostamenti. La porta è sempre aperta.
La pelle racconta delle persone molto più di quello che si possa immaginare. Ambientato in una clinica di chirurgia plastica dove le pazienti rincorrono la giovinezza ed il turgore della pelle poi la storia assume via via situazioni sempre diverse di ripensamenti e di possibile rinascita.
Un rincorrere avvenimenti sempre nuovi: Legati, permeati, attraversati.
Due espressioni.
In questi miei giorni in cui attraverso i miei giorni in una casa di riposo dove sta attraversando i suoi giorni, affaticato, il mio papà, un racconto che mi sembra amico e discorsivo di un tempo che non c'è.
Nei fatti e nella pelle solo correre si può
Ippolita Luzzo
e con la collaborazione di scritture Scriteriate Agenzia Letteraria pubblica nel 2017 questo romanzo di Paola Rondini: Crepapelle.
Il senso del racconto forse è racchiuso in una frase di Prigogine, Le leggi del caos:"Mi piace dire che la materia in prossimità dell'equilibrio è cieca perché ogni particella vede soltanto le molecole che la circondano, mentre lontano dall'equilibrio si producono le correlazioni di lunga portata, che permettono la costruzione degli stati coerenti"
Mi piace questo vedere oltre il vedere e la correlazione che può nascere fra individui e molecole distanti, in fondo è la storia di questo blog, la storia di una vita, la mia, con un foglio in mano, come Edo, il personaggio misterioso che impariamo a conoscere mentre bussa ad un finestrino di un'automobile e lancia un foglietto con su scritto qualcosa.
Nasce così la trama di questa storia veloce, almeno il ritmo è veloce, e veloce trasforma i protagonisti nella pelle e nell'anima.
"una fuga inizia sempre con un'accelerazione, una sbandata."
Si fugge da se stessi, si fugge dal lavoro, si fugge e si sceglie altro, fuori dalla pelle, in Crepapelle. Vibrazioni, spostamenti. La porta è sempre aperta.
La pelle racconta delle persone molto più di quello che si possa immaginare. Ambientato in una clinica di chirurgia plastica dove le pazienti rincorrono la giovinezza ed il turgore della pelle poi la storia assume via via situazioni sempre diverse di ripensamenti e di possibile rinascita.
Un rincorrere avvenimenti sempre nuovi: Legati, permeati, attraversati.
Due espressioni.
In questi miei giorni in cui attraverso i miei giorni in una casa di riposo dove sta attraversando i suoi giorni, affaticato, il mio papà, un racconto che mi sembra amico e discorsivo di un tempo che non c'è.
Nei fatti e nella pelle solo correre si può
Ippolita Luzzo
domenica 18 giugno 2017
Antonio Belsito al contrario
Mi manda da leggere i suoi pensieri sull'amore, Antonio Belsito, perché le mie parole descrivono a mezzo anima, ed è una ragione bellissima, una ragione di più, cantava Ornella Vanoni.
Siamo su pensieri diversissimi su " Sei tutto ciò che di bello mi accade" sottotitolato "Scritti sull'Amore", proprio perciò mi interessa scriverne.
Sugli abbracci che dovrebbero essere espressione di grande amore ed invece potrebbero essere vuoto esercizio retorico di un modo per non esprimere alcunché. Non credo nella sincerità dei gesti, anzi ho esperienze di abbracci dati e poi di coltellate ed abbandoni. La cronaca ne è piena. Non credo alle emozioni di scambio, ognuno sente in modo diversissimo, e non credo nella linearità dei rapporti, anzi ritengo ogni genere di intrattenimento con un altro una forma di guerriglia, di strategia per occupare posizioni e mantenerle, pur con il massimo affetto e con la sincerità del cuore.
Antonio quindi quando scrive"Amo voler bene perché voglio bene all'amore" mi trova perfettamente d'accordo, meno d'accordo se poi quel suo voler bene sarebbe un bacio, una carezza, un abbraccio. Ci si può abbracciare centomila volte e si stringerà un vuoto simulacro come ben sanno coppie e coppie in cui uno ama e l'altro no, amici, in cui uno è amico e l'altro no, familiari in cui l'affetto è tramontato ma restano gli abbracci. Vuoti.
" Credo che già incontrarsi sia tenersi. Se non ci si tiene, significa che non ci si è mai incontrati" scrive Antonio ed io aggiungo la volontà. Per incontrarsi bisogna volerlo in due, anzi in tanti. Bisogna azzerare il bisogno e cercare una verità.
Si scrive galleggiando, caro Antonio, e galleggiando ti seguo fino al tuo amore per lo scrivere, l'unico abbraccio che posso capire, quello con la scrittura.
Ippolita Luzzo
Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono.
in fondo l'« amore » è un'unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l'una o l'altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l'una dall'altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell'amore.
Siamo su pensieri diversissimi su " Sei tutto ciò che di bello mi accade" sottotitolato "Scritti sull'Amore", proprio perciò mi interessa scriverne.
Sugli abbracci che dovrebbero essere espressione di grande amore ed invece potrebbero essere vuoto esercizio retorico di un modo per non esprimere alcunché. Non credo nella sincerità dei gesti, anzi ho esperienze di abbracci dati e poi di coltellate ed abbandoni. La cronaca ne è piena. Non credo alle emozioni di scambio, ognuno sente in modo diversissimo, e non credo nella linearità dei rapporti, anzi ritengo ogni genere di intrattenimento con un altro una forma di guerriglia, di strategia per occupare posizioni e mantenerle, pur con il massimo affetto e con la sincerità del cuore.
Antonio quindi quando scrive"Amo voler bene perché voglio bene all'amore" mi trova perfettamente d'accordo, meno d'accordo se poi quel suo voler bene sarebbe un bacio, una carezza, un abbraccio. Ci si può abbracciare centomila volte e si stringerà un vuoto simulacro come ben sanno coppie e coppie in cui uno ama e l'altro no, amici, in cui uno è amico e l'altro no, familiari in cui l'affetto è tramontato ma restano gli abbracci. Vuoti.
" Credo che già incontrarsi sia tenersi. Se non ci si tiene, significa che non ci si è mai incontrati" scrive Antonio ed io aggiungo la volontà. Per incontrarsi bisogna volerlo in due, anzi in tanti. Bisogna azzerare il bisogno e cercare una verità.
Si scrive galleggiando, caro Antonio, e galleggiando ti seguo fino al tuo amore per lo scrivere, l'unico abbraccio che posso capire, quello con la scrittura.
Ippolita Luzzo
Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono.
in fondo l'« amore » è un'unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l'una o l'altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l'una dall'altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell'amore.
venerdì 16 giugno 2017
Giuseppe Semeraro: Poesia è un servizio
A cosa serve la poesia
Due parole in croce
camminando nella poesia
Il passo più lungo è la felicità
Danilo Dolci e i suoi passi verso la dignità di essere uomini. Le sue lotte a Partinico.
Giuseppe Semeraro, conosciuto a teatro Umberto, sulla scena di Digiunando davanti al mare, la storia di Danilo Dolci, passo dopo passo.
Nel 2007 Giuseppe fonda Principio Attivo Teatro e passo dopo passo
Il passo che calpesta il fare solenne
il passo mortale dei compromessi
Il passo più lungo è non cedere il passo
non rinunciare all'irriverenza
non gettare l'infinito nel compianto
Il passo più lungo non sa consolarsi
Il passo più lungo è ricucire la bellezza alla vita
la melodia del ricucire
Il passo più lungo è il mio, il tuo, il nostro
tra tanti un passo unico, il passo più lungo.
A cosa serve la poesia: a dire sottovoce la propria verità
a dirla passo dopo passo.
Giuseppe Semeraro ha scritto poesie sin da bambino come una forma di manutenzione della solitudine. Poi un bel giorno un suo amico, Fabio, gli legge quei versi di un Giuseppe bambino, adolescente e gli chiede di continuare. Grazie, Fabio, annoto io in calce al foglio.Nasce "Convalescenza di un poeta" l'urgenza di scrivere dei versi per Fabio, il suo amico.
Così la poesia incontra il teatro, il gesto e, nella forza dell'oralità, Due parole in croce esistono nei passi verso la felicità.
La poesia serve a trattenersi con l'altro, scrive Giuseppe Semeraro e noi ci tratterremo con lui questa sera, trattenendo le sue parole in noi.
Le parole vogliono essere dette per esistere ed anche noi esistiamo con due parole in croce.
Ippolita Luzzo
Due parole in croce
camminando nella poesia
Il passo più lungo è la felicità
Danilo Dolci e i suoi passi verso la dignità di essere uomini. Le sue lotte a Partinico.
Giuseppe Semeraro, conosciuto a teatro Umberto, sulla scena di Digiunando davanti al mare, la storia di Danilo Dolci, passo dopo passo.
Nel 2007 Giuseppe fonda Principio Attivo Teatro e passo dopo passo
Il passo che calpesta il fare solenne
il passo mortale dei compromessi
Il passo più lungo è non cedere il passo
non rinunciare all'irriverenza
non gettare l'infinito nel compianto
Il passo più lungo non sa consolarsi
Il passo più lungo è ricucire la bellezza alla vita
la melodia del ricucire
Il passo più lungo è il mio, il tuo, il nostro
tra tanti un passo unico, il passo più lungo.
A cosa serve la poesia: a dire sottovoce la propria verità
a dirla passo dopo passo.
Giuseppe Semeraro ha scritto poesie sin da bambino come una forma di manutenzione della solitudine. Poi un bel giorno un suo amico, Fabio, gli legge quei versi di un Giuseppe bambino, adolescente e gli chiede di continuare. Grazie, Fabio, annoto io in calce al foglio.Nasce "Convalescenza di un poeta" l'urgenza di scrivere dei versi per Fabio, il suo amico.
Così la poesia incontra il teatro, il gesto e, nella forza dell'oralità, Due parole in croce esistono nei passi verso la felicità.
La poesia serve a trattenersi con l'altro, scrive Giuseppe Semeraro e noi ci tratterremo con lui questa sera, trattenendo le sue parole in noi.
Le parole vogliono essere dette per esistere ed anche noi esistiamo con due parole in croce.
Ippolita Luzzo
giovedì 15 giugno 2017
Monica Dini: Angoli Acuti
Tra Le Righe Libri è il nome della casa editrice che pubblica i bei racconti di Monica Dini. Tra le righe libri, tra le righe racconti.
Mi piacciono subito i racconti di Monica, ne imparo qui e là qualche frase: "Essere soli è come avere fame" su quel non detto che io non credevo più potesse esistere. Quel non detto avrebbe forse sfamato la solitudine? Non sapremo mai, così continuiamo a leggere "Fuori dal mondo Tutte le smagliature amate"
Quella richiesta di una famiglia, quelle treccine lasciate senza risposta, quei bimbi in una richiesta fatta da smagliature.
Dobbiamo per forza raccontare a qualcuno quel nostro esistere e credo sia il motivo per cui tengo in piedi questo mio blog, oltre all'amore per i libri, oltre al mio vivere tra le righe.
E così ho scritto moltissime mail per esistere, proprio come la protagonista del racconto, mail e mail per ricostruire, ordinare, raccontare e sentirmi di far parte, una parte del tutto.
Invio in corso... Monica.
Capisco Beppe e faccio lo zaino con lui verso la pensione senza stelle e vado a consolare quella donna in una mangiatoia scavata in un grande tronco.
Mi piacciono queste Gemme, balbettanti, esistenze tratteggiate con un verbo, con un piccolo cucciolo trovato per caso nei rifiuti.
Nelle mail mai fatte ci sta quella di una bimba ad un Babbo Natale, una lettera terribile mai affrancata.
Armando ha perso il lavoro, Armando ha perso il lavoro, lo seguo al centro commerciale nella sua protesta, nel chiedere elemosina, aveva fame, la solitudine è come avere fame.
Credo di aver sentito cigolare la rete del letto di Miriam e annusato l'odore delle ali di pollo insieme a lei che annusa tutto. Anche la merda.
Mi piacciono i racconti di Monica mentre ascolto il brusio delle sue storie disegnate con pochi tratti e animate con pochi gesti, un brusio regalato dalla precisione e dalla pietà.
Una scrittura sensibile al fruscio, al non detto, alla disperazione misurata dell'impossibilità.
Accanto a me già li accolgo e li rileggo per dirci insieme quale sia il problema fondamentale: se esiste una vita prima della morte.
Con questa domanda da una citazione di Giovanni Bedino, Un color bruno, apre la porta, Monica Dini, ad una passeggiata nella via della solitudine.
Come diceva quel poeta che troveremo:
Su quel tappeto di colori che si univano e sfumavano l'uno nell'altro intrecciandosi. Per sentirsi più soli guardandoli.
Essere soli è un po' come avere fame.
Per questo scriviamo.
Ippolita Luzzo
Mi piacciono subito i racconti di Monica, ne imparo qui e là qualche frase: "Essere soli è come avere fame" su quel non detto che io non credevo più potesse esistere. Quel non detto avrebbe forse sfamato la solitudine? Non sapremo mai, così continuiamo a leggere "Fuori dal mondo Tutte le smagliature amate"
Quella richiesta di una famiglia, quelle treccine lasciate senza risposta, quei bimbi in una richiesta fatta da smagliature.
Dobbiamo per forza raccontare a qualcuno quel nostro esistere e credo sia il motivo per cui tengo in piedi questo mio blog, oltre all'amore per i libri, oltre al mio vivere tra le righe.
E così ho scritto moltissime mail per esistere, proprio come la protagonista del racconto, mail e mail per ricostruire, ordinare, raccontare e sentirmi di far parte, una parte del tutto.
Invio in corso... Monica.
Capisco Beppe e faccio lo zaino con lui verso la pensione senza stelle e vado a consolare quella donna in una mangiatoia scavata in un grande tronco.
Mi piacciono queste Gemme, balbettanti, esistenze tratteggiate con un verbo, con un piccolo cucciolo trovato per caso nei rifiuti.
Nelle mail mai fatte ci sta quella di una bimba ad un Babbo Natale, una lettera terribile mai affrancata.
Armando ha perso il lavoro, Armando ha perso il lavoro, lo seguo al centro commerciale nella sua protesta, nel chiedere elemosina, aveva fame, la solitudine è come avere fame.
Credo di aver sentito cigolare la rete del letto di Miriam e annusato l'odore delle ali di pollo insieme a lei che annusa tutto. Anche la merda.
Mi piacciono i racconti di Monica mentre ascolto il brusio delle sue storie disegnate con pochi tratti e animate con pochi gesti, un brusio regalato dalla precisione e dalla pietà.
Una scrittura sensibile al fruscio, al non detto, alla disperazione misurata dell'impossibilità.
Accanto a me già li accolgo e li rileggo per dirci insieme quale sia il problema fondamentale: se esiste una vita prima della morte.
Con questa domanda da una citazione di Giovanni Bedino, Un color bruno, apre la porta, Monica Dini, ad una passeggiata nella via della solitudine.
Come diceva quel poeta che troveremo:
Su quel tappeto di colori che si univano e sfumavano l'uno nell'altro intrecciandosi. Per sentirsi più soli guardandoli.
Essere soli è un po' come avere fame.
Per questo scriviamo.
Ippolita Luzzo
martedì 13 giugno 2017
Tana Libera Tutti di Franco Piol
Nella collana Frecce della AUGH!Edizioni a novembre 2016 la prima uscita di una serie di racconti di Franco Piol dal titolo Tana Libera Tutti. A Roma a Roma, inizia e finisce a Piazza Navona quel gioco antico da ragazzi che vedevo fare dal balcone di casa mia. Vedevo questi ragazzi correre e gridare battendo sotto l'arco quel Tana ad alta voce e tutti accorrevano.
Qui nel libro di Franco Piol corrono nel tempo che passa insieme ai racconti e le corse ci rimandano ad episodi passati fin al presente in cui"Il gioco iniziato soltanto ieri sera, allora, non può finire così."
La Roma amata, vista con i ricordi di un bambino, di un collegio, con un viaggio a Conegliano e poi Roma...
Tutti gli stornelli di Roma, i personaggi di Roma, Anna Magnani e tutto il vicolo di Montevecchio, Ostia, il mare per i piccoli dell'orfanotrofio romano di via Nomentana.
Il teatro amato, il canto, gli stornelli, il cinema, tutta una meraviglia-
Mi fanno compagnia i racconti di un tempo quasi scomparso, sicuramente scomparso e lontano.
Quel tempo sembra più lontano di quanto noi potremmo misurarlo. Più vicino a quel fine ottocento o primo novecento.
Mi ricordano i racconti degli autori di quel periodo o al massimo del primo dopoguerra.
Racconti scritti con uno stile educato al bel dire, con garbo e gentilezza verso quel passato che non troveremo più, nemmeno in un libro.
Si susseguono situazioni di umanità consolata da piccolissimi avvenimenti eppure così importanti.
Delicato saluto ad un vivere che fu.
Ippolita Luzzo
Qui nel libro di Franco Piol corrono nel tempo che passa insieme ai racconti e le corse ci rimandano ad episodi passati fin al presente in cui"Il gioco iniziato soltanto ieri sera, allora, non può finire così."
La Roma amata, vista con i ricordi di un bambino, di un collegio, con un viaggio a Conegliano e poi Roma...
Tutti gli stornelli di Roma, i personaggi di Roma, Anna Magnani e tutto il vicolo di Montevecchio, Ostia, il mare per i piccoli dell'orfanotrofio romano di via Nomentana.
Il teatro amato, il canto, gli stornelli, il cinema, tutta una meraviglia-
Mi fanno compagnia i racconti di un tempo quasi scomparso, sicuramente scomparso e lontano.
Quel tempo sembra più lontano di quanto noi potremmo misurarlo. Più vicino a quel fine ottocento o primo novecento.
Mi ricordano i racconti degli autori di quel periodo o al massimo del primo dopoguerra.
Racconti scritti con uno stile educato al bel dire, con garbo e gentilezza verso quel passato che non troveremo più, nemmeno in un libro.
Si susseguono situazioni di umanità consolata da piccolissimi avvenimenti eppure così importanti.
Delicato saluto ad un vivere che fu.
Ippolita Luzzo
I tassisti di Napoli al "Sole Mio"
Il sole di Napoli batte forte, lo sai. Oh Sole mio sta in fronte a te
Il Tassista che mi porta da Capodimonte a Piazza Plebiscito è un simpatico ragazzo in jeans e maglietta. Incomincia a raccontarmi di come avrebbe preferito andare in giro in pantaloncini corti ma non si può, è vietato dal decoro della professione.
Mi sembra una ottima decisione, argomento io, magnificando la freschezza di pantaloni in lino, in cotonina leggera, in fibre naturali altrettanto leggeri ed estive.
Lui sembra convinto ma aggiunge: Lei non immagina cosa vuol dire mettersi alla guida di un taxi dopo aver sostato a volte per più di un'ora in postazioni senza riparo, al sole continuo ad effetto forno. L'auto diventa invivibile.
Mi metto su a pensarci ed ora mi sembra una tortura, una vera mancanza nell'organizzazione di un servizio privare i luoghi dove sostano i taxi di riparo, di una tettoia, di una possibilità vitale di ombra.
Possibile che nessun sindaco o più precisamente nessun movimento civico, nessun vigile urbano, nessun addetto al traffico si sia fatto interprete di questo disagio?
Prometto subito al tassista di scrivere due righe due sul caldo a Napoli, sul caldo del taxi, sulle tettoie urgenti da approntare per una estate tassista in ombra.
Ma n'atu sole
Cchiu' bello, oi ne'.
'O sole mio
Sta 'nfronte a te
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te
Sta 'nfronte a te
All'ombra, però
Ippolita Luzzo
Il Tassista che mi porta da Capodimonte a Piazza Plebiscito è un simpatico ragazzo in jeans e maglietta. Incomincia a raccontarmi di come avrebbe preferito andare in giro in pantaloncini corti ma non si può, è vietato dal decoro della professione.
Mi sembra una ottima decisione, argomento io, magnificando la freschezza di pantaloni in lino, in cotonina leggera, in fibre naturali altrettanto leggeri ed estive.
Lui sembra convinto ma aggiunge: Lei non immagina cosa vuol dire mettersi alla guida di un taxi dopo aver sostato a volte per più di un'ora in postazioni senza riparo, al sole continuo ad effetto forno. L'auto diventa invivibile.
Mi metto su a pensarci ed ora mi sembra una tortura, una vera mancanza nell'organizzazione di un servizio privare i luoghi dove sostano i taxi di riparo, di una tettoia, di una possibilità vitale di ombra.
Possibile che nessun sindaco o più precisamente nessun movimento civico, nessun vigile urbano, nessun addetto al traffico si sia fatto interprete di questo disagio?
Prometto subito al tassista di scrivere due righe due sul caldo a Napoli, sul caldo del taxi, sulle tettoie urgenti da approntare per una estate tassista in ombra.
Ma n'atu sole
Cchiu' bello, oi ne'.
'O sole mio
Sta 'nfronte a te
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te
Sta 'nfronte a te
All'ombra, però
Ippolita Luzzo
mercoledì 7 giugno 2017
Letizia Dimartino:Direzione Inversa
Sto qui sui racconti di Letizia Dimartino con in testa la lettura di Carlo Rovelli "L'ordine del tempo"
"Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente... Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo."
Il caso mi porta a leggere nello stesso giorno L'ordine del tempo di Carlo Rovelli e il libro di Letizia Dimartino, suo esordio letterario. In entrambi il tempo scompare si appiattisce sugli avvenimenti. Il tempo è il cambiamento eppure il tempo sembra immobile. Nel modo inusuale di raccontare Letizia sembra mettere in opera i concetti del fisico teorico Carlo Rovelli. Così è il leggere nelle parole di Letizia, così il ritmo nel suo appoggiare quasi fatti, eventi minimi, successioni di momenti su un letto ben acconciato e sfogliando le fotografie del tempo. Lo ha fatto dapprima inconsapevolmente, lo ha fatto come si faceva un tempo nelle domeniche lunghe e senza storia, riprendere una per una le fotografie e su ognuna raccontare il tempo. Il tempo che non c'è.
Carlo Rovelli da fisico dimostrerà l'inesistenza del tempo se non nel cambiamento. C'è tempo dove c'è mutamento. Senza mutamento tempo non c'è.
Sarà per questo che io mi sento senza tempo, fuori dal tempo e sarà per questo che leggo oltre il testo di Letizia questa cura e questa attenzione verso minuti, attimi, di sfuggita, osservati e poi oltre il tempo di già.
Direzione inversa Letizia Dimartino 2017 - Il seme bianco
"Caro diario, mio figlio vuole che io scriva un romanzo. Me lo dice ogni giorno al telefono mentre in metropolitana scorre la città e io sento la voce della signorina che scandisce le fermate e credo che sia vera e glielo chiedo e lui mi dice no ogni volta e io lo ripeto. Comunque io subito dopo penso che questo romanzo prima o poi dovrei scriverlo ma subito dopo me ne pento e gli telefono di nuovo e gli dico che non lo farò e lui insiste e insiste e dice che ho tutta la mia vita da scrivere e così poi ci facciamo i soldi perché la gente comprerà il libro. E io mi ostino e lui pure. E non finiamo più di dire no e sì. Fin quando ci stanchiamo e lui è arrivato alla fermata Loreto e io mi commuovo sempre e mi metto seduta sul letto e mi sento triste. Poi gli dico che il nonno suo voleva io dipingessi e ci sperdiamo nei ricordi e tutto diventa confuso e io il romanzo non lo faccio. Mai."
Inizia così Letizia Dimartino i suoi quadri
"Caro diario Quadri Ore Mio Padre Temi Direzione Inversa Un Foulard e un Cappotto Badanti Quei giorni Marta Grande In viaggio" lo dice anche "Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo." Sonia Guido Marta e poi Milano, l'odore di Milano al mattino, Modica e le cicale, quadri, e tutto questo raccontato ora su un social, il lettone matrimoniale dei nostri genitori, il luogo del narrare senza tempo, con un tempo che si ferma. Immobile. Alle 15,05 penso di stare dentro un colore... Così il narrare di Letizia viene raccolto, viene fatto diventare narrazione universale e diventa quel tempo che non era stato. "Le ombre della controra, quando si stava sdraiati e tutto era fermo." Nasce così la narrazione dall'osservare il muro bianco, le ombre della controra, dal silenzio e dal tempo fermo nelle stanze sole ma abitate da un fermento senza fine.
Ippolita Luzzo
"Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente... Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo."
Il caso mi porta a leggere nello stesso giorno L'ordine del tempo di Carlo Rovelli e il libro di Letizia Dimartino, suo esordio letterario. In entrambi il tempo scompare si appiattisce sugli avvenimenti. Il tempo è il cambiamento eppure il tempo sembra immobile. Nel modo inusuale di raccontare Letizia sembra mettere in opera i concetti del fisico teorico Carlo Rovelli. Così è il leggere nelle parole di Letizia, così il ritmo nel suo appoggiare quasi fatti, eventi minimi, successioni di momenti su un letto ben acconciato e sfogliando le fotografie del tempo. Lo ha fatto dapprima inconsapevolmente, lo ha fatto come si faceva un tempo nelle domeniche lunghe e senza storia, riprendere una per una le fotografie e su ognuna raccontare il tempo. Il tempo che non c'è.
Carlo Rovelli da fisico dimostrerà l'inesistenza del tempo se non nel cambiamento. C'è tempo dove c'è mutamento. Senza mutamento tempo non c'è.
Sarà per questo che io mi sento senza tempo, fuori dal tempo e sarà per questo che leggo oltre il testo di Letizia questa cura e questa attenzione verso minuti, attimi, di sfuggita, osservati e poi oltre il tempo di già.
Direzione inversa Letizia Dimartino 2017 - Il seme bianco
"Caro diario, mio figlio vuole che io scriva un romanzo. Me lo dice ogni giorno al telefono mentre in metropolitana scorre la città e io sento la voce della signorina che scandisce le fermate e credo che sia vera e glielo chiedo e lui mi dice no ogni volta e io lo ripeto. Comunque io subito dopo penso che questo romanzo prima o poi dovrei scriverlo ma subito dopo me ne pento e gli telefono di nuovo e gli dico che non lo farò e lui insiste e insiste e dice che ho tutta la mia vita da scrivere e così poi ci facciamo i soldi perché la gente comprerà il libro. E io mi ostino e lui pure. E non finiamo più di dire no e sì. Fin quando ci stanchiamo e lui è arrivato alla fermata Loreto e io mi commuovo sempre e mi metto seduta sul letto e mi sento triste. Poi gli dico che il nonno suo voleva io dipingessi e ci sperdiamo nei ricordi e tutto diventa confuso e io il romanzo non lo faccio. Mai."
Inizia così Letizia Dimartino i suoi quadri
"Caro diario Quadri Ore Mio Padre Temi Direzione Inversa Un Foulard e un Cappotto Badanti Quei giorni Marta Grande In viaggio" lo dice anche "Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo." Sonia Guido Marta e poi Milano, l'odore di Milano al mattino, Modica e le cicale, quadri, e tutto questo raccontato ora su un social, il lettone matrimoniale dei nostri genitori, il luogo del narrare senza tempo, con un tempo che si ferma. Immobile. Alle 15,05 penso di stare dentro un colore... Così il narrare di Letizia viene raccolto, viene fatto diventare narrazione universale e diventa quel tempo che non era stato. "Le ombre della controra, quando si stava sdraiati e tutto era fermo." Nasce così la narrazione dall'osservare il muro bianco, le ombre della controra, dal silenzio e dal tempo fermo nelle stanze sole ma abitate da un fermento senza fine.
Ippolita Luzzo
lunedì 5 giugno 2017
Il pensiero minimo nel mio paesino ino ino ino
Il pensiero minimo è quel pensiero ridotto ai minimi termini del sì e del no, del buono e cattivo, del sei con me o sei contro di me. Un pensiero binario. Nel pensiero minimo due termini esistono, il bianco e nero, il vero e il falso, ragione e torto, amore e odio, amicizia o inimicizia, ti parlo e non ti parlo, lei parla male di me, io parlo male di lei.
Nel mio paesino ino ino ino oltre queste logiche non si va, una logica piegata anch'essa al pensiero minimo binario che attraversa relazioni e rapporti e si innalza altissimo fra noi.
In un mondo che non ci vuole più, cantava Lucio Battisti, respiriamo liberi io e te e la verità, beh la verità forse è meglio non dirla, la verità non esiste, sta nel fondo di un pozzo, scrisse Sciascia, e così il pensiero minimo verità non vuole.
Moltissimi cervelli con pensiero minimo vorrebbero però che fosse un'altro a farsi carico di dire una verità, non si sa perché, visto che non saprebbero cosa farsene. Il pensiero minimo non accetta le tante sfumature esistenti nei rapporti, nei giudizi, nelle parole, e non potrebbe mai vedere se il re è nudo oppure no.
Nell'infelicità mia di vivere in un così fatto paesino ino ino ino informo i leggenti che non mi sottoporrò al gioco innescato del facciamolo dire ad Ippolita ciò che noi non abbiamo il coraggio di dire. Abbiate voi tutti la forza e il coraggio di liberare i vostri pensieri anche soltanto per dire a me di ciò che ho scritto schifo vi fa.
Non mi interessa il mio paesino ino ino ino, lo guardo con grande benevolenza, e questa è come una crema di relazione che spalmerei su tutti il pensato locale e non. Pensiero minimo non vi sarà qui nel mio stato della Litweb ed io dal luogo dove mi trovo auguro che non vi appartenga mai più.
Nel mio paesino ino ino ino oltre queste logiche non si va, una logica piegata anch'essa al pensiero minimo binario che attraversa relazioni e rapporti e si innalza altissimo fra noi.
In un mondo che non ci vuole più, cantava Lucio Battisti, respiriamo liberi io e te e la verità, beh la verità forse è meglio non dirla, la verità non esiste, sta nel fondo di un pozzo, scrisse Sciascia, e così il pensiero minimo verità non vuole.
Moltissimi cervelli con pensiero minimo vorrebbero però che fosse un'altro a farsi carico di dire una verità, non si sa perché, visto che non saprebbero cosa farsene. Il pensiero minimo non accetta le tante sfumature esistenti nei rapporti, nei giudizi, nelle parole, e non potrebbe mai vedere se il re è nudo oppure no.
Nell'infelicità mia di vivere in un così fatto paesino ino ino ino informo i leggenti che non mi sottoporrò al gioco innescato del facciamolo dire ad Ippolita ciò che noi non abbiamo il coraggio di dire. Abbiate voi tutti la forza e il coraggio di liberare i vostri pensieri anche soltanto per dire a me di ciò che ho scritto schifo vi fa.
Non mi interessa il mio paesino ino ino ino, lo guardo con grande benevolenza, e questa è come una crema di relazione che spalmerei su tutti il pensato locale e non. Pensiero minimo non vi sarà qui nel mio stato della Litweb ed io dal luogo dove mi trovo auguro che non vi appartenga mai più.
Ippolita Luzzo
domenica 4 giugno 2017
Matilde: Una Prefazione mai postata sul blog
Mi accorgo solo ora di non aver postato questa prefazione scritta nel 2015
Matilde letta da me
Matilde, il racconto di una parabola ascendente e discendente, come la vita di tutti noi.
Quarant'anni allo scoccar della mezzanotte di Agosto ed è tempo di bilanci.
Per tutti i compleanni sono giorni fastidiosi, ci costringono a guardare la sinossi di giorni e giorni, ci invitano a non perder tempo, visto che il tempo va via per i fatti suoi.
Solidarizzo subito con Matilde e la seguo nel suo decidere di trascorrere quel giorno in viaggio, accompagnata da una scrittura che segue i pensieri di una giovane donna su sé stessa ed intanto attraversa i paesi di una Calabria che ama.
Intimista e descrittiva la prosa dell’autrice, alterna i momenti, fra pensieri e viaggio, a Placanica giunge di primo mattino per una preghiera alla Madonna.
Intanto la conosco, fra le righe, conosco la stranezza dell’essere speciale, della sensibilità, del vivere fuori del consueto e "lei di messaggi sociali era convinta di darne tanti e a tutti. Quei tutti che si incontrano per caso nel proprio cammino. Il caso; ma non esiste il caso, Matilde lo sapeva bene dentro di sé, esiste una mano invisibile che lega i puntini, esiste la provvidenza o il destino ma non il caso cieco, ambedue ci vedono benissimo invece. Siamo noi esseri umani miopi, ipermetropi, orbi e con le pupille offuscate che non riusciamo a vedere, che guardiamo in trasparenza, che focalizziamo più ombre che luci, siamo noi che perdiamo di vista l’orizzonte."
Seguendo e "leggendo Democrito “il clinàmen”, il cambiamento immediato delle circostanze senza che l’uomo abbia partecipazione volitiva alcuna, una sorta di sliding doors; ella scopriva così semplicemente ogni giorno su di sé l’attuazione di una verità filosofica studiata nel passato."
Si ritrova a Maida, davanti la Chiesa di San Francesco, la fontana a forma di scoglio le ricorda una sua caratteristica "e fu l’acqua ad andarle incontro sugli occhi, sulle labbra, in gola. Proprio al centro della gola dove Matilde si era convinta da un po’ di tempo si fosse ubicata la sua anima."
Sant'Andrea, Nardodipace, scorrono i paesi della Calabria, come i pensieri di Matilde che, ribellandosi a vivere come le altre, decide di leggere, di scrivere, di scegliere la branda al posto di una confortevole stanza da letto, decide se vuole curare o no i capelli, cosa mangiare e quando mangiare in una rivendicazione di libertà che sfiora l’assoluto.
Precari. "Ilde aveva immortalato il suo tempo in un certo qual modo, lei si sentiva vivere nello scorrere degli avvenimenti ma al contempo li attraversava restando immobile. Le capitava di vivere quel concetto fisico dello stare su un treno come passeggero immobile rispetto al treno ma in quiete rispetto alla terra. Una quiete assolutamente errabonda."
Stalettì, Pietragrande, Montepaone… la bellezza di luoghi azzurri di mare e di cielo, Tiriolo, Torre Ruggero e la musica. Musica.
Fra noi ed universo un animismo, questo sente Matilde.
“Nardodipace era essenzialmente paesaggi e i megaliti, queste pietre che Ilde toccò, baciò, assaporò con le mani credendo di tenere in lei la sensazione rocciosa oltre il tatto. Le sensazioni la invasero, la pervasero. I colori, i profumi, un’aria innaturale, un senso di non appartenenza in quel momento a nessuna parte del mondo, un sentirsi ella stessa pietra con una massiccia consistenza."
"anche le pietre sono animate"
Nel ritornare si ferma spesso al Parco della biodiversità, si ferma e attratta dalle opere d’arte non si accorge di scendere con la sua auto i gradini. Love difference del Pistoletto, differente modo di guidare…
Un atto d’amore verso i luoghi e gli abitanti, un omaggio alla bellezza e alla commozione, a Cropani, ai gradini che portano al Duomo, alle mille foto fatte davanti quella splendida facciata luogo di moltissimi matrimoni.
Fra l’infanzia che ritorna e gli affetti che scompaiono per riapparire in altra sembianza, fra il giro degli anni che chiedono scelte lavorative sta la canzone di un amico. "L’astronomo" dell’amico Carmine, il cantautore, che dicevano "L’astronomo sempre con il pallino fisso delle stelle"
E come il postino di Domenico Dara trova a San Floro lo svelamento delle sue origini, del suo significante stare al mondo, così Matilde, da San Floro a Cortale, cercherà e troverà nella lettera, scoperta per caso, una guida. Le tante coincidenze che non avvengono per caso se vengono cuciti quei puntini che sembrano distanti.
Un racconto di formazione, scritto con stile leggero e veloce, quasi trascritto direttamente dal pensiero sui tasti neri di un computer per esser regalato come un fiore, come un papavero rosso nei campi ondeggianti le spighe del sapere.
Ippolita Luzzo
Matilde letta da me
Matilde, il racconto di una parabola ascendente e discendente, come la vita di tutti noi.
Quarant'anni allo scoccar della mezzanotte di Agosto ed è tempo di bilanci.
Per tutti i compleanni sono giorni fastidiosi, ci costringono a guardare la sinossi di giorni e giorni, ci invitano a non perder tempo, visto che il tempo va via per i fatti suoi.
Solidarizzo subito con Matilde e la seguo nel suo decidere di trascorrere quel giorno in viaggio, accompagnata da una scrittura che segue i pensieri di una giovane donna su sé stessa ed intanto attraversa i paesi di una Calabria che ama.
Intimista e descrittiva la prosa dell’autrice, alterna i momenti, fra pensieri e viaggio, a Placanica giunge di primo mattino per una preghiera alla Madonna.
Intanto la conosco, fra le righe, conosco la stranezza dell’essere speciale, della sensibilità, del vivere fuori del consueto e "lei di messaggi sociali era convinta di darne tanti e a tutti. Quei tutti che si incontrano per caso nel proprio cammino. Il caso; ma non esiste il caso, Matilde lo sapeva bene dentro di sé, esiste una mano invisibile che lega i puntini, esiste la provvidenza o il destino ma non il caso cieco, ambedue ci vedono benissimo invece. Siamo noi esseri umani miopi, ipermetropi, orbi e con le pupille offuscate che non riusciamo a vedere, che guardiamo in trasparenza, che focalizziamo più ombre che luci, siamo noi che perdiamo di vista l’orizzonte."
Seguendo e "leggendo Democrito “il clinàmen”, il cambiamento immediato delle circostanze senza che l’uomo abbia partecipazione volitiva alcuna, una sorta di sliding doors; ella scopriva così semplicemente ogni giorno su di sé l’attuazione di una verità filosofica studiata nel passato."
Si ritrova a Maida, davanti la Chiesa di San Francesco, la fontana a forma di scoglio le ricorda una sua caratteristica "e fu l’acqua ad andarle incontro sugli occhi, sulle labbra, in gola. Proprio al centro della gola dove Matilde si era convinta da un po’ di tempo si fosse ubicata la sua anima."
Sant'Andrea, Nardodipace, scorrono i paesi della Calabria, come i pensieri di Matilde che, ribellandosi a vivere come le altre, decide di leggere, di scrivere, di scegliere la branda al posto di una confortevole stanza da letto, decide se vuole curare o no i capelli, cosa mangiare e quando mangiare in una rivendicazione di libertà che sfiora l’assoluto.
Precari. "Ilde aveva immortalato il suo tempo in un certo qual modo, lei si sentiva vivere nello scorrere degli avvenimenti ma al contempo li attraversava restando immobile. Le capitava di vivere quel concetto fisico dello stare su un treno come passeggero immobile rispetto al treno ma in quiete rispetto alla terra. Una quiete assolutamente errabonda."
Stalettì, Pietragrande, Montepaone… la bellezza di luoghi azzurri di mare e di cielo, Tiriolo, Torre Ruggero e la musica. Musica.
Fra noi ed universo un animismo, questo sente Matilde.
“Nardodipace era essenzialmente paesaggi e i megaliti, queste pietre che Ilde toccò, baciò, assaporò con le mani credendo di tenere in lei la sensazione rocciosa oltre il tatto. Le sensazioni la invasero, la pervasero. I colori, i profumi, un’aria innaturale, un senso di non appartenenza in quel momento a nessuna parte del mondo, un sentirsi ella stessa pietra con una massiccia consistenza."
"anche le pietre sono animate"
Nel ritornare si ferma spesso al Parco della biodiversità, si ferma e attratta dalle opere d’arte non si accorge di scendere con la sua auto i gradini. Love difference del Pistoletto, differente modo di guidare…
Un atto d’amore verso i luoghi e gli abitanti, un omaggio alla bellezza e alla commozione, a Cropani, ai gradini che portano al Duomo, alle mille foto fatte davanti quella splendida facciata luogo di moltissimi matrimoni.
Fra l’infanzia che ritorna e gli affetti che scompaiono per riapparire in altra sembianza, fra il giro degli anni che chiedono scelte lavorative sta la canzone di un amico. "L’astronomo" dell’amico Carmine, il cantautore, che dicevano "L’astronomo sempre con il pallino fisso delle stelle"
E come il postino di Domenico Dara trova a San Floro lo svelamento delle sue origini, del suo significante stare al mondo, così Matilde, da San Floro a Cortale, cercherà e troverà nella lettera, scoperta per caso, una guida. Le tante coincidenze che non avvengono per caso se vengono cuciti quei puntini che sembrano distanti.
Un racconto di formazione, scritto con stile leggero e veloce, quasi trascritto direttamente dal pensiero sui tasti neri di un computer per esser regalato come un fiore, come un papavero rosso nei campi ondeggianti le spighe del sapere.
Ippolita Luzzo
venerdì 2 giugno 2017
Brian Turner La mia vita è un paese straniero.
Enfatizzando la parola pezzi mi metto a scrivere di Brian Turner e del suo libro. Un libro edito dalla NNE alla quale si dà il merito di proporre sempre il meglio della narrativa contemporanea e tradotto da Guido Calza con bravura e senso della musicalità nel verso e nella prosa.
Un libro senza pagine numerate, bensì fatto di pezzi, di passi.
136 pezzi da sistemare facendo attenzione, come dice l'autore, ogni pezzo all'appartenere a quel momento, a quel corpo, con l'analisi sul DNA. Incursioni in tante guerre, incursioni scritte dall'autore mentre stava in Albania, in Bosnia-Erzrgovina, in Macedonia, in Portogallo, in Thainlandia, in Turchia, nel Regno Unito e al reparto di oncologia ad Orlando. Un libro assemblato sorvolando come con un drone e "Guardando la linea dell'orizzonte si ha la netta sensazione che passato e futuro scompaiono. La circonferenza del mondo si ritira fino a fermarsi sotto il crepuscolo stellato nel mio campo visivo... Comincio ad immaginare un paesaggio di spettri... i fuochi bruciavano a Mostar... e Sarajevo. A ciascun pezzo veniva attribuito un numero. Dettagliare il lutto, rimpicciolirlo perché stia in una mano" C'è in questo libro il pezzo in cui Brian Turner cerca il motivo, il motivo per cui accetta di arruolarsi nell'esercito americano, nella Fanteria. C'è sempre un motivo. Più di uno. Passo dopo passo Brian Turner ci porta la guerra, le guerre, le armi, i cadaveri, in casa, passo dopo passo anche noi a Stoner l'inventore del fucile M16 del Vietnam, della Somalia, vorremmo chiedere con i soldati morti: "Caricamento, percussore, sparo, estrazione, espulsione. Sono questi i principi che ci hanno portato qui?"
Come droni sorvoliamo le macerie, le vittime, noi come occhi, impotenti, e capiamo quando leggiamo "Perseguitare. è questo il compito del pilota di droni." Ho copiato e ricopiato intere pagine del libro, un libro amato fin dalla sua impaginazione. Accarezzo la pagina grigia da un verso e dall'altro, la accarezzo questa pagina non scritta che sta fra un drone e la situazione. Il drone sorvola nei confini della mappa sottostante poi il grigio. Mi accorgo dopo aver quasi sfiorato con le labbra quel grigio, ogni passaggio del libro è una pagina grigia, bifronte solo il foglio iniziale ed alla fine tante pagine grigie per annotare. Capisco il motivo o forse lo immagino e guardo il giallo, il verde della copertina fiancheggiando con l'autore gli eucalipti della mia infanzia.
Anche io vorrei trovare un mondo in cui vivere e per ora vivo nel passo 122 dove "I paesi toccano altri paesi e io li attraverso uno dopo l'altro, e provo a scuotere il passato per trovare un modo in cui vivere"
Pezzi ho sempre chiamato quel che io ho scritto, pezzi li chiama Brian Turner, da poeta narratore, dal lontano e dal vicino rumore del silenzio "È tutto percepito, in qualche modo, come una vastità di spazi, dove l'architettura della civiltà non interviene, l'ambiente del consorzio umano è chissà come assente o sospeso. Uno spazio in cui le regole sono sottosopra. Teatro di guerra, lo chiamano alcuni. Lo spazio in cui la guerra si svincola dalle strutturate regole degli umani per dibattersi nel mondo naturale, nell'idea di bellezza, in tutto ciò che su questa terra vi è forse di più simile a una perfezione inviolabile. E questo fa parte dell'ebbrezza, di tutta quanta la patologia. Fa parte di ciò che ho cominciato a imparare fin da piccolo: che spingersi negli spazi desolati, dove gli interrogativi profondi trovano risposte violente e inesorabili, che attraversare il fuoco e tornare indietro sono esperienze determinanti nel fare un uomo. Per essere uomo avrei dovuto camminare nella tempesta e nel tuono di un mondo spogliato di ogni ragionevolezza, come prima di me avevano fatto altri nella mia famiglia. E se fossi stato abbastanza forte, è capace, e maledettamente fortunato, un giorno sarei potuto ritornare protetto da un silenzio incrollabile. Tornare al mondo, come dicono."Nel silenzio delle nostre letture il mondo ci viene incontro, ci porge la sorte straziata di corpi, di paesi distrutti, la guerra entra qui sul monitor e siamo con lo stupore della testa mozzata del samurai in Giappone, siamo al passo 77 con i soldati non smettono di marciare, generazione dopo generazione, nel fango e nella pioggia, nel sole soffocante, con la luce, con l'albeggiare, nel ritmo del verso, nel suono delle parole, nel canto della strofa.
Passo dopo passo.
A pezzi, per essere ricongiunto al corpo universale.
Ippolita Luzzo
Un libro senza pagine numerate, bensì fatto di pezzi, di passi.
136 pezzi da sistemare facendo attenzione, come dice l'autore, ogni pezzo all'appartenere a quel momento, a quel corpo, con l'analisi sul DNA. Incursioni in tante guerre, incursioni scritte dall'autore mentre stava in Albania, in Bosnia-Erzrgovina, in Macedonia, in Portogallo, in Thainlandia, in Turchia, nel Regno Unito e al reparto di oncologia ad Orlando. Un libro assemblato sorvolando come con un drone e "Guardando la linea dell'orizzonte si ha la netta sensazione che passato e futuro scompaiono. La circonferenza del mondo si ritira fino a fermarsi sotto il crepuscolo stellato nel mio campo visivo... Comincio ad immaginare un paesaggio di spettri... i fuochi bruciavano a Mostar... e Sarajevo. A ciascun pezzo veniva attribuito un numero. Dettagliare il lutto, rimpicciolirlo perché stia in una mano" C'è in questo libro il pezzo in cui Brian Turner cerca il motivo, il motivo per cui accetta di arruolarsi nell'esercito americano, nella Fanteria. C'è sempre un motivo. Più di uno. Passo dopo passo Brian Turner ci porta la guerra, le guerre, le armi, i cadaveri, in casa, passo dopo passo anche noi a Stoner l'inventore del fucile M16 del Vietnam, della Somalia, vorremmo chiedere con i soldati morti: "Caricamento, percussore, sparo, estrazione, espulsione. Sono questi i principi che ci hanno portato qui?"
Come droni sorvoliamo le macerie, le vittime, noi come occhi, impotenti, e capiamo quando leggiamo "Perseguitare. è questo il compito del pilota di droni." Ho copiato e ricopiato intere pagine del libro, un libro amato fin dalla sua impaginazione. Accarezzo la pagina grigia da un verso e dall'altro, la accarezzo questa pagina non scritta che sta fra un drone e la situazione. Il drone sorvola nei confini della mappa sottostante poi il grigio. Mi accorgo dopo aver quasi sfiorato con le labbra quel grigio, ogni passaggio del libro è una pagina grigia, bifronte solo il foglio iniziale ed alla fine tante pagine grigie per annotare. Capisco il motivo o forse lo immagino e guardo il giallo, il verde della copertina fiancheggiando con l'autore gli eucalipti della mia infanzia.
Anche io vorrei trovare un mondo in cui vivere e per ora vivo nel passo 122 dove "I paesi toccano altri paesi e io li attraverso uno dopo l'altro, e provo a scuotere il passato per trovare un modo in cui vivere"
Pezzi ho sempre chiamato quel che io ho scritto, pezzi li chiama Brian Turner, da poeta narratore, dal lontano e dal vicino rumore del silenzio "È tutto percepito, in qualche modo, come una vastità di spazi, dove l'architettura della civiltà non interviene, l'ambiente del consorzio umano è chissà come assente o sospeso. Uno spazio in cui le regole sono sottosopra. Teatro di guerra, lo chiamano alcuni. Lo spazio in cui la guerra si svincola dalle strutturate regole degli umani per dibattersi nel mondo naturale, nell'idea di bellezza, in tutto ciò che su questa terra vi è forse di più simile a una perfezione inviolabile. E questo fa parte dell'ebbrezza, di tutta quanta la patologia. Fa parte di ciò che ho cominciato a imparare fin da piccolo: che spingersi negli spazi desolati, dove gli interrogativi profondi trovano risposte violente e inesorabili, che attraversare il fuoco e tornare indietro sono esperienze determinanti nel fare un uomo. Per essere uomo avrei dovuto camminare nella tempesta e nel tuono di un mondo spogliato di ogni ragionevolezza, come prima di me avevano fatto altri nella mia famiglia. E se fossi stato abbastanza forte, è capace, e maledettamente fortunato, un giorno sarei potuto ritornare protetto da un silenzio incrollabile. Tornare al mondo, come dicono."Nel silenzio delle nostre letture il mondo ci viene incontro, ci porge la sorte straziata di corpi, di paesi distrutti, la guerra entra qui sul monitor e siamo con lo stupore della testa mozzata del samurai in Giappone, siamo al passo 77 con i soldati non smettono di marciare, generazione dopo generazione, nel fango e nella pioggia, nel sole soffocante, con la luce, con l'albeggiare, nel ritmo del verso, nel suono delle parole, nel canto della strofa.
Passo dopo passo.
A pezzi, per essere ricongiunto al corpo universale.
Ippolita Luzzo