venerdì 24 marzo 2017

Romeo Vernazza Quelli Erano Giorni

Romeo, mio figlio piccolo, mi ha regalato una montagna di libri di un certo Louis L'Amour; tutte le sere me ne leggo un pezzo prima di addormentarmi. 
Romeo Vernazza autore del libro Quelli erano giorni appare qui in questo regalo come il cameo di alcuni celebri registi nelle loro opere, nel dialogo narrativo del suo papà, protagonista del libro.
Salvatore Vernazza nato nel 1910 a Lerca, un paese dell'entroterra ligure. Nella prima infanzia dovrà abbandonare quelle case con le aie e gli archi, il pozzo, la chiesa, e via verso l'ignoto con la sua unica preziosa dote tenuta con cura in tasca "un pugno di biglie, quasi tutte vedrolle, in verità, ma c'erano anche due rare marmoline, leggermente ovali. Per me erano come i diamanti della corona."
In cinque sul carro, il suo papà andava via da Lerca per incomprensioni familiari sconosciuti al bambino. Sarebbero diventati una famiglia numerosa, di dieci figli in tutto, cinque fratelli e cinque sorelle. 
A Valleggia a Valleggia.
Il babbo divenne fattore per conto di una nobile famiglia di Genova e si abitava in una casetta posta sul retro del bellissimo palazzo dell'ambasciatore. E in quel bel giardino davanti al doppio scalone che portava al piano nobile c'erano grandi alberi e palme e un boschetto di bambù.
Abbiamo tutti un giardino nella nostra infanzia!
Ciao Sarva, lo salutavano. Era sereno.
Nel 1922 aveva dieci anni e l'Italia divenne fascista. 
Vita raccontata, Una storia vera, Quelli erano i giorni,  il saluto di un figlio a suo padre, il saluto di un padre ai suoi figli, il saluto dell'autore ad un secolo, alla guerra insensata, ai sopravvissuti e sommersi, ai sommersi e salvati, ad una storia che viene in continuazione rivista, manipolata falsificata, corrotta, in spregio a tutti coloro che furono mandati a morire. In offesa a chi lottò contro invasione, contro soprusi e nefandezze
"Chi vive esperienze di violenza e privazione della libertà diventa un sopravvissuto anche di sé, del suo essere di allora che non c'è più. Si è altro, dopo, spesso senza volerlo o capirlo"
Così anche l'autore confessa che non riuscirebbe più a scrivere dopo questo libro, non riuscirebbe perché troppo grande il tormento della guerra, della illogicità di alcuni periodi storici, da superare la comprensione e solo l'affetto enorme verso il suo papà lo ha spinto a compiere questa immersione che lo ha lasciato in lacrime. 
Mi confessa di aver pianto mentre correggeva le bozze ed io stessa ho letto in questa stessa situazione emotiva che vorrei raccomandare a tutti di provare per avere ancora rispetto della storia delle individualità coinvolte in orrori senza senso.   
Quelli erano i giorni letto col terrore di star a vivere ancora nell'insensatezza e nella violenza, nella miseria e nei campi, nella guerra e nella solitudine. 
"L'inferno è non sapere se siamo vivi o morti" da Paradiso e Inferno, sarà una montagna di libri, tutte le sere leggeremo un pezzo, come Salvatore, prima di addormentarci. 
A Torino, al Salone del Libro, dal 18 al 22 maggio,  lo troverete allo stand di Tempesta Editore
Ippolita Luzzo 

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