Futura di Lucio Dalla raggiunge ogni testa con "Chissà chissà domani su che cosa metteremo le mani" e "Telefonami tra vent'anni non ti preoccupare di tempo per cambiare ce n'è". Inizia così la sera a Cropani e intanto giungono tutti, tanti, Masnadieri e non, a sedere sui gradini del duomo, a salutare gli amici, ad aspettare Goffredo Fofi.
Cropani Città del libro, grazie alla Masnada. "Aurora" ha vinto il premio di Piccoli masnadieri crescono e "Io mi chiamo io" è il ciondolo che resta nelle sue mani. Questa la trama del racconto scritto dalla ragazza vincitrice.
Raffaele Mercurio nel presentare ringrazia Pino Fabiano, scrittore e anarchico, per aver favorito la presenza di Goffredo Fofi a Cropani.
Arriva Goffredo sul palco e scorrono i video scelti dagli organizzatori.
Andiamo da "In nome del popolo italiano" del 1971 con la scena in cui Ugo Tognazzi butta, nel fuoco di una macchina capovolta e incendiata, un dossier, butta le sue indagini di magistrato, e tutta brucia nel tifo calcistico fino alla scena di " Zabriskie point" di Antonioni, dove esplode tutto il castello, e fuoco sarà, ma non rosso del comunismo bensì fumo a bruciare le torri gemelle nel 2001 ad opera del terrorismo. "Brucia ragazzo brucia" del 1969 ci starebbe bene in questo bruciare, istinto di vita, orgasmo di morte e distruzione per rinascere, in questo eterno desiderio di un falò.
Il fuoco dentro, la voglia di dire ognuno la propria opinione, un giudizio. Il conflitto come momento vitale.
Della lunga conversazione con Goffredo Fofi, nei miei appunti molti titoli di libri citati, io raccolgo il sapore che ci rende liberi. Goffredo Fofi ama la comunicazione nonostante con questa oggi si impongano modelli di comportamento. La convinzione e la propaganda demonizzano concetti vitali come conflitto e storpiano il senso e il significato delle parole. Comunicazione viene dalla stessa famiglia di Comune, Comunione, Comunità, Comunismo... diventate ora parole ambigue, tutte. Nella terribile manomissione delle parole.
Goffredo Fofi ritorna all'adolescenza, ai suoi miti di allora: Davis un cittadino del mondo, che girava il mondo con un passaporto di sua invenzione e Zamenhof l'inventore dell'esperanto. La lingua del futuro, dei cittadini del mondo.
Quando si è scoraggiati bisogna avere la forza di reagire, sta dicendo Mastroianni al telefono di "Una giornata particolare", e benché Fofi ci dica di essere stanco e incazzato, rivendica l'arte come creatività, il gesto individuale della fruizione personale nei musei, contro chi ci spiega un quadro, perché l'arte è comunicazione, quindi merce, ma l'arte è anche ricerca quindi dialogo fra artista e spettatore. L'arte che fa pensare contro l'arte che non fa pensare. Arte è visione, religione, immaginario. Criminali sono coloro che addormentano il pensiero dei lettori, criminali sono i giornalisti, che stretti anche loro e diventati merce nascondono l'arte per davvero. Nella tensione di Boezio fra vero e falso sta Fofi, indicando un film vero, "Bella e Perduta" di Pietro Marcello, regista casertano."l film è la storia dell’incontro tra Tommaso Cestrone (l’angelo di Carditello, il volontario che nella vita reale accudì la reggia borbonica in stato d’abbandono contribuendo a rilanciare il dibattito sul degrado del casertano) e un bufalotto di nome Sarchiapone altrimenti destinato a morte certa."
Film che non vedremo nelle multisale. Un film che dovremmo accudire come Cestrone accudiva un patrimonio in abbandono. Ci sarebbe da scrivere una lettera lunghissima sui luoghi abbandonati, sui libri abbandonati, su un sapere abbandonato e su una critica che non c'è più. Sul giudicare come atto di responsabilità. Dalla lettera al mondo di Emily alle lettere del postino di Dara, alla critica come lettera, una lettera del critico al pubblico e al regista, in un triangolo isoscele, dai lati uguali, suppongo. Da semplice fruitrice di avvenimenti mi rendo conto di aver raccolto poco degli spunti ma mi riprometto di ritornare su Fofi, sul cerchio magico, su Letteratura e irriverenza, partendo da Grazia Cerchi, questa volta. Parleremo ancora di "Il Negus. Splendori e miserie di un autocrate" scritto dallo scrittore e giornalista polacco Ryszard Kapuscinsk nel 1983, più volte ricordato questa sera, e conosciuto grazie a Elsa Morante, parleremo di Svetlana Aleksievič la prima giornalista a vincere un premio Nobel con libri da cronista, parleremo di una letteratura che fa servizio e mostri al mondo "Preghiera per Černobyl". Ritornando a casa, al futuro, si naviga a vista, nel futuro che stiamo vivendo. L'aurora si tinge di rosa, o di rosso...
sabato 30 luglio 2016
giovedì 28 luglio 2016
La Svezia Terme: Lamezia terme nel 2016
Carmen Pellegrino, scrittrice di Cade la terra, attenta ai luoghi abbandonati così scrive oggi
"Ieri sera seguivo un documentario sulla Svezia; su come ci si ritrovi soli in quel civilissimo e organizzato Paese; su come l'individuo venga prima di ogni gruppo; su quanto frequentemente accada che si muoia in una stanza e si venga ritrovati dopo due anni, perché l'automatismo dei pagamenti dei conti non permette al Sistema di rilevare il piccolo intoppo della morte del contribuente.
Nel documentario veniva intervistato Zygmunt Bauman, sulle nostre società che respingono l'interdipendenza fra gli individui, in nome di una indipendenza che è già solitudine.
Sono sempre stata convinta che uno dei mali peggiori del nostro tempo sia la determinazione a recidere ogni legame con gli altri (e con i luoghi), in nome di un utilitarismo farneticante, in base al quale frequento chi può servirmi per il tempo utile a quanto devo realizzare.
I social poi, di cui tutti facciamo uso, non ci permettono di cogliere la reale portata della solitudine in cui siamo immersi.
La nostra infelicità è figlia anche di questa solitudine: l'altro è solo a un passo, ma quel passo non lo compiamo mai.
Stamattina una mia amica ha affrontato il caldo e ventimila fermate di metropolitana per accompagnarmi a una visita medica, per una stupida congiuntivite che non si toglie. E' quasi certo che da sola non ci sarei andata. Così, mi sono ritrovata a ringraziare il cielo di avere un'amica e di avere un legame con lei.
C'è un neologismo francese, reliance, che rimanda proprio al concetto di legame. C'è poi questo verso di Bécquer: La solitudine è molto bella... quando si ha vicino qualcuno a cui dirlo.
In questo tempo in cui possiamo avere tutto, siamo infelici soprattutto perché siamo soli..."
Io rispondo subito così, seguendo l' osservazione esatta di Giuseppe Giglio "La solitudine la avverti proprio stando in mezzo agli altri, diceva Pirandello. Ed erano ancora di là da venire, i social..."
Cara Carmen, vengo da una infanzia con i vecchi seduti sulle porte e i bimbi per le strade. Ora anche il sud non è più. Chiuse le porte e bimbi in casa o in palestre. Con i miei vicini di cooperativa mi saluto con educazione ma quando il primo anno proposi e attuai abbellimento natalizio di strada comune mi guardarono con diffidenza come se avessi soldi da buttare. Quando feci una visita ad un vicino che conoscevo, mi dissero, entrambi i coniugi, che si guardavano bene dal far andare gente in casa
Così meglio qui. Ho rapporti affettuosi e vi sento partecipi. Certo se devo fare una puntura bisogna chiederlo alla vicina, lo so, ma qui esiste una vicinanza mentale.
Rispondo a Carmen e mentre a fare la spesa faccio queste considerazioni. Nessun vicino di casa esiste più, nessuno. Mia mamma di 92 anni ha tenuto in piedi una famiglia patriarcale, ha cucinato e fatto bottiglie di salsa, taralli e maiale, per una pletora di parenti fantasmi. Scomparsi. Ogni giorno io e mia sorella ci diamo il turno, ogni giorno sempre uguali passano le giornate, ogni giorno mio padre, affetto da disorientamento, esce con la signora che l'accompagna, ogni giorno mio fratello sta al fianco di mia madre ripetendole la sua litania, da sessantasei anni. Ci sarebbe da impazzire anche nella civile Svezia eppure Lamezia non è da meno. Dove sono queste tavole imbandite? Ci saranno, ma non per molti, per moltissimi. Dove sono queste visite e questo accorrere di tutta la gente? Una volta andavo in un centro anziani per fare un corso di alfabetizzazione volontario e loro mi raccontavano di figli fuori, al nord, di figli vicini che non li parlavano, di solitudini infinite. Svedesi a Lamezia. Lamezia come la Svezia.
Io ho risolto le mie domeniche, e i miei lunedì fino a sabato, con un foglio in mano da scrivere o da leggere, ho un luogo oltre il polo artico dei rapporti amicali che mi fa navigare e dalla Svezia terme sono lontana, per non sentire il ghiaccio dei comportamenti umani.
Provai un periodo ad invitare, feci pranzi e ricevimenti, venivano a mangiare anche persone non invitate e poi mi accorsi che il rapporto svedese restava, anzi misterioso, perché qui si aggiungeva l'omertà anche per semplici domande. Sto ora rimestando un periodo lontano, mi piacciono le persone e sono felice di stare a chiacchierare, di preparare, di accogliere, ed ho svoltato l'accoglienza verso chi ama leggere, verso chi scrive, amando l'arte che si fa vita e rapporto di relazione. Social o non social qualsiasi mezzo è utile per sentirsi vivi. Se poi abbiamo bisogno di una puntura troveremo chi la fa...
Ippolita Luzzo
"Ieri sera seguivo un documentario sulla Svezia; su come ci si ritrovi soli in quel civilissimo e organizzato Paese; su come l'individuo venga prima di ogni gruppo; su quanto frequentemente accada che si muoia in una stanza e si venga ritrovati dopo due anni, perché l'automatismo dei pagamenti dei conti non permette al Sistema di rilevare il piccolo intoppo della morte del contribuente.
Nel documentario veniva intervistato Zygmunt Bauman, sulle nostre società che respingono l'interdipendenza fra gli individui, in nome di una indipendenza che è già solitudine.
Sono sempre stata convinta che uno dei mali peggiori del nostro tempo sia la determinazione a recidere ogni legame con gli altri (e con i luoghi), in nome di un utilitarismo farneticante, in base al quale frequento chi può servirmi per il tempo utile a quanto devo realizzare.
I social poi, di cui tutti facciamo uso, non ci permettono di cogliere la reale portata della solitudine in cui siamo immersi.
La nostra infelicità è figlia anche di questa solitudine: l'altro è solo a un passo, ma quel passo non lo compiamo mai.
Stamattina una mia amica ha affrontato il caldo e ventimila fermate di metropolitana per accompagnarmi a una visita medica, per una stupida congiuntivite che non si toglie. E' quasi certo che da sola non ci sarei andata. Così, mi sono ritrovata a ringraziare il cielo di avere un'amica e di avere un legame con lei.
C'è un neologismo francese, reliance, che rimanda proprio al concetto di legame. C'è poi questo verso di Bécquer: La solitudine è molto bella... quando si ha vicino qualcuno a cui dirlo.
In questo tempo in cui possiamo avere tutto, siamo infelici soprattutto perché siamo soli..."
Io rispondo subito così, seguendo l' osservazione esatta di Giuseppe Giglio "La solitudine la avverti proprio stando in mezzo agli altri, diceva Pirandello. Ed erano ancora di là da venire, i social..."
Cara Carmen, vengo da una infanzia con i vecchi seduti sulle porte e i bimbi per le strade. Ora anche il sud non è più. Chiuse le porte e bimbi in casa o in palestre. Con i miei vicini di cooperativa mi saluto con educazione ma quando il primo anno proposi e attuai abbellimento natalizio di strada comune mi guardarono con diffidenza come se avessi soldi da buttare. Quando feci una visita ad un vicino che conoscevo, mi dissero, entrambi i coniugi, che si guardavano bene dal far andare gente in casa
Così meglio qui. Ho rapporti affettuosi e vi sento partecipi. Certo se devo fare una puntura bisogna chiederlo alla vicina, lo so, ma qui esiste una vicinanza mentale.
Rispondo a Carmen e mentre a fare la spesa faccio queste considerazioni. Nessun vicino di casa esiste più, nessuno. Mia mamma di 92 anni ha tenuto in piedi una famiglia patriarcale, ha cucinato e fatto bottiglie di salsa, taralli e maiale, per una pletora di parenti fantasmi. Scomparsi. Ogni giorno io e mia sorella ci diamo il turno, ogni giorno sempre uguali passano le giornate, ogni giorno mio padre, affetto da disorientamento, esce con la signora che l'accompagna, ogni giorno mio fratello sta al fianco di mia madre ripetendole la sua litania, da sessantasei anni. Ci sarebbe da impazzire anche nella civile Svezia eppure Lamezia non è da meno. Dove sono queste tavole imbandite? Ci saranno, ma non per molti, per moltissimi. Dove sono queste visite e questo accorrere di tutta la gente? Una volta andavo in un centro anziani per fare un corso di alfabetizzazione volontario e loro mi raccontavano di figli fuori, al nord, di figli vicini che non li parlavano, di solitudini infinite. Svedesi a Lamezia. Lamezia come la Svezia.
Io ho risolto le mie domeniche, e i miei lunedì fino a sabato, con un foglio in mano da scrivere o da leggere, ho un luogo oltre il polo artico dei rapporti amicali che mi fa navigare e dalla Svezia terme sono lontana, per non sentire il ghiaccio dei comportamenti umani.
Provai un periodo ad invitare, feci pranzi e ricevimenti, venivano a mangiare anche persone non invitate e poi mi accorsi che il rapporto svedese restava, anzi misterioso, perché qui si aggiungeva l'omertà anche per semplici domande. Sto ora rimestando un periodo lontano, mi piacciono le persone e sono felice di stare a chiacchierare, di preparare, di accogliere, ed ho svoltato l'accoglienza verso chi ama leggere, verso chi scrive, amando l'arte che si fa vita e rapporto di relazione. Social o non social qualsiasi mezzo è utile per sentirsi vivi. Se poi abbiamo bisogno di una puntura troveremo chi la fa...
Ippolita Luzzo
Cut up per Conterraneo a cura di Antonio Pujia Veneziano
La tecnica letteraria del cut up, tagliare i frammenti composti da frasi e ricomporli in un nuovo testo che mantenga un senso logico, era la tecnica del dadaismo, un movimento artistico che nasce in Svizzera, a Zurigo, nel 1916. Tagliare e ricomporre a mio piacimento, eppure mantenendo l'amore e il rispetto verso il testo letto, è il gioco con cui mi avvicino ai testi, da semplice fruitrice di opere letterarie o artistiche. Così farò con Conterraneo:Laboratorio di Arte pubblica del Borgo di Bova a cura di Antonio Pujia Veneziano. Memoria identitaria e poetica dei luoghi.
Temendo la delusione dei miei amici, confessando la mia impreparazione, sfoglio e risfoglio, annusando l'aroma che il libro emana. Un'aroma vivente di terra bagnata dopo essere stata cotta dal sole. Ricordo ancora il piacere provato quando ho avuto il testo in mano, l'esultanza di scriverci su, e la troppa amicizia a frenare, invece che essere sprone.
Conterraneo: dal latino conterraneus. Compaesano, della stessa terra. Etimologia e significato del titolo stanno nello scritto di Silvia Pujia, nel duplice testo in lingua italiana ed inglese.
Dal testo alcune frasi vengono ripetute e messe accanto alle fotografie dei luoghi, del fare esperienza, del momento che nasce.
Frammenti scomposti e ricomposti. Uguale è la ricerca che fa Antonio nel suo andare a Bova per trovare il suo essere conterraneo, nel cercare le crete, le zolle diverse di ogni terra, raccogliere, portarle in piazza, fare piccole formelle di terracotta, ognuna delle quali con un simbolo, un segno, un dettaglio rivisitato. La materia prima, una sorta di campionatura di terra in terra, e l'installazione delle argille nella piazza principale di Bova, Piazza Roma. Un percorso che ha seguito le diverse località di Bova, Lisarusa, Stavria, Casteddiu, Cavalli, con l'ausilio degli abitanti, parte attiva, partecipanti con ricordi, testimonianze e fotografie, affinché fosse la comunità a fermarsi e a raccontarsi andando verso una ricomposizione di opera nuova.
Fra questi Mimmo Cuppari, conoscitore dei luoghi.
Oltre cento piccole formelle sono state create dai laboratori didattici, un pannello collettivo che ha dato forma la potenzialità del racconto. Una ricomposizione per acquisire.
Mi trovo a piè pagina, accanto alle fotografie di tanti allievi, alle prese con formelle e colori, matite e pennelli, la frase mia" La conoscenza a volte intimidisce" come a voler significare che la ritrosia a non voler conoscere i nostri luoghi possa essere una forma di timidezza. Forse l'ho scritta per non avere amarezza di luoghi senza ricordi, di paesi e case, famiglie senza storia. Se sguardo non c'è vedere non si può, scrissi in altro momento. E qui, in conterraneo, esiste lo sguardo affettuoso di Antonio, un artista che pone lo scambio come costante in un abitare poetico. Artista di una arte che crea nel dialogo sia l' artista che la collettività. Con Heidegger riprendiamo il concetto di abitare poeticamente, dal testo di Silvia, e avviciniamoci umilmente all'essenza delle cose, per una trasmissione di conoscenze e memorie.
La pupazza Palma in foglie di ulivo intrecciate, sostenute da canne, ci ricorda che stiamo nel mito agreste di un tempo quando popolazioni preistoriche usavano evocare la “Madre Terra” (“Mana Ji” nel greco di Bova) con riti propiziatori delle messi e della fertilità. Il rito si ripete annualmente a Bova e ci ricorda il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee che presiedevano all'agricoltura. L'ostrakon, il video, raccoglie le fasi dell'individuazione dei siti, estrazione dell'argilla, filtraggio, decantazione, selezione, fino alle possibilità di lavorazione. Video e laboratori come Il pensiero Meridiano di F.Cassano:"La chiave sta nel ri-guardare i luoghi,/ Nel duplice senso di aver riguardo per loro/ e di tornare a riguardarli."
Dalla distanza da noi stessi di Massimo Celani mi piace qui riportare Carlo Sini "Il silenzio e la parola" una frase che mi sembra racchiuda un po' il senso anche del mio taglia e ricomponi fatto ora " Per essere mossi, emozionati, da un sorriso, o da un'idea, noi dobbiamo da un lato provenirne, essere nel pathos di quel sorriso, di quell'idea;e dall'altro dobbiamo porci in cammino verso di essi, porli come oggetti della nostra emozione. stiamo a distanza fra provenienza e destinazione"
Il libro fa parte della collana del Parco dei Greci in Calabria voluto dal GAL un nuovo solco per irrigare un terreno arido, dice il presidente Filippo Paino, nella prima pagina.
Temendo la delusione dei miei amici, confessando la mia impreparazione, sfoglio e risfoglio, annusando l'aroma che il libro emana. Un'aroma vivente di terra bagnata dopo essere stata cotta dal sole. Ricordo ancora il piacere provato quando ho avuto il testo in mano, l'esultanza di scriverci su, e la troppa amicizia a frenare, invece che essere sprone.
Conterraneo: dal latino conterraneus. Compaesano, della stessa terra. Etimologia e significato del titolo stanno nello scritto di Silvia Pujia, nel duplice testo in lingua italiana ed inglese.
Dal testo alcune frasi vengono ripetute e messe accanto alle fotografie dei luoghi, del fare esperienza, del momento che nasce.
Frammenti scomposti e ricomposti. Uguale è la ricerca che fa Antonio nel suo andare a Bova per trovare il suo essere conterraneo, nel cercare le crete, le zolle diverse di ogni terra, raccogliere, portarle in piazza, fare piccole formelle di terracotta, ognuna delle quali con un simbolo, un segno, un dettaglio rivisitato. La materia prima, una sorta di campionatura di terra in terra, e l'installazione delle argille nella piazza principale di Bova, Piazza Roma. Un percorso che ha seguito le diverse località di Bova, Lisarusa, Stavria, Casteddiu, Cavalli, con l'ausilio degli abitanti, parte attiva, partecipanti con ricordi, testimonianze e fotografie, affinché fosse la comunità a fermarsi e a raccontarsi andando verso una ricomposizione di opera nuova.
Fra questi Mimmo Cuppari, conoscitore dei luoghi.
Oltre cento piccole formelle sono state create dai laboratori didattici, un pannello collettivo che ha dato forma la potenzialità del racconto. Una ricomposizione per acquisire.
Mi trovo a piè pagina, accanto alle fotografie di tanti allievi, alle prese con formelle e colori, matite e pennelli, la frase mia" La conoscenza a volte intimidisce" come a voler significare che la ritrosia a non voler conoscere i nostri luoghi possa essere una forma di timidezza. Forse l'ho scritta per non avere amarezza di luoghi senza ricordi, di paesi e case, famiglie senza storia. Se sguardo non c'è vedere non si può, scrissi in altro momento. E qui, in conterraneo, esiste lo sguardo affettuoso di Antonio, un artista che pone lo scambio come costante in un abitare poetico. Artista di una arte che crea nel dialogo sia l' artista che la collettività. Con Heidegger riprendiamo il concetto di abitare poeticamente, dal testo di Silvia, e avviciniamoci umilmente all'essenza delle cose, per una trasmissione di conoscenze e memorie.
La pupazza Palma in foglie di ulivo intrecciate, sostenute da canne, ci ricorda che stiamo nel mito agreste di un tempo quando popolazioni preistoriche usavano evocare la “Madre Terra” (“Mana Ji” nel greco di Bova) con riti propiziatori delle messi e della fertilità. Il rito si ripete annualmente a Bova e ci ricorda il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee che presiedevano all'agricoltura. L'ostrakon, il video, raccoglie le fasi dell'individuazione dei siti, estrazione dell'argilla, filtraggio, decantazione, selezione, fino alle possibilità di lavorazione. Video e laboratori come Il pensiero Meridiano di F.Cassano:"La chiave sta nel ri-guardare i luoghi,/ Nel duplice senso di aver riguardo per loro/ e di tornare a riguardarli."
Dalla distanza da noi stessi di Massimo Celani mi piace qui riportare Carlo Sini "Il silenzio e la parola" una frase che mi sembra racchiuda un po' il senso anche del mio taglia e ricomponi fatto ora " Per essere mossi, emozionati, da un sorriso, o da un'idea, noi dobbiamo da un lato provenirne, essere nel pathos di quel sorriso, di quell'idea;e dall'altro dobbiamo porci in cammino verso di essi, porli come oggetti della nostra emozione. stiamo a distanza fra provenienza e destinazione"
Il libro fa parte della collana del Parco dei Greci in Calabria voluto dal GAL un nuovo solco per irrigare un terreno arido, dice il presidente Filippo Paino, nella prima pagina.
I lampioni di Caltagirone
Il libro di Francesco Failla, uscito in questo luglio 2016 in libreria per la casa editrice EDB, mi ricorda il convegno tenuto a febbraio da Gaspare Sturzo, magistrato e pronipote di don Luigi Sturzo, presidente del Centro internazionale studi Don Sturzo, incontro su potere e corruzione, organizzato dal Circolo di riunione di Lamezia terme. Ascoltai con partecipazione la storia svolgersi attraverso tutto il secolo, su come Don Luigi Sturzo già agli inizi del ‘900, “identificasse nello statalismo, nella partitocrazia e nello sperpero di denaro pubblico la radice della corruzione, denaro che lo Stato distribuisce attraverso meccanismi di tipo politico clientelare”.
Ho ritrovato in questo libro il senso e la fattualità dei gesti politici che Don Luigi Sturzo promosse nell'essere sindaco di Caltagirone, nel far parte del consiglio comunale, come consigliere, dal 1899, a 28 anni. Era allora in vigore il non exepedit, pronunciato dalla Santa Sede, da Pio IX nel 1874, che aveva dichiarato inaccettabile per i cattolici italiani partecipare alle elezioni politiche del Regno d'Italia e, per estensione, all'intera vita politica italiana dopo l'annessione di Roma al Regno Sabaudo. L'elettorato cattolico quindi si asteneva dal votare e dal presentare propri candidati. Man mano però ci fu un progressivo allentamento dell'interdizione fino alla abrogazione per opera di Benedetto XV nel 1919.
Don Luigi Sturzo scelse proprio la politica, la partecipazione, ancora prima dell'interdizione della disposizione papale, folgorato come San Paolo a Damasco. Così scrive Don Sturzo " Ma quel che mi fece più impressione fu la vista di miserie inaudite in un quartiere popolare nel centro di Roma" Così decide di dedicarsi ad opere che portino sollievo. Già l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII andava verso una Chiesa capace di interpretare i bisogni reali della società.
I beni comuni. La luce, l'acqua, il vento, l'aria. Da sindaco, momento della sua vita che lui predilesse, avrebbe potuto illuminare il suo paese.
Questa la storia del libro:Una storia di inizio novecento: portare la luce elettrica a Caltagirone:Illuminare la notte strade e case.Tutti i due punti di un discorso diretto.
Mi ricorda molto una storia recente, quelle sulle pale eoliche, recentemente gestita male dai sindaci del comprensorio calabro, Pale eoliche al vento, in mano a società private che hanno accontentato con pochi spiccioli gli amministratori locali e i proprietari dei terreni. Avrebbero dovuto prendere lezione dalla visione di Don Luigi Sturzo questi sindaci ed applicare quella sua idea di"optare per la concessione in appalto a privati secondo un project-financing:i dati consentivano di deliberare l'appalto con un capitolato preciso, stabilendo la percentuale della partecipazione del municipio agli utili di esercizio." una piena compartecipazione del pubblico e del privato. L' officina elettrica, un esempio da citare ai ciechi amministratori delle nostre città.
il libro, scritto con linguaggio chiaro, segue le fasi che resero possibile la realizzazione dell'Officina elettrica calatina attraverso i verbali della giunta municipale e del consiglio comunale, attraverso la lettura del La Croce di Costantino e di altri periodici. Un libro utile.
Nella quarta di copertina le parole di Don Luigi Sturzo:"La fonte principale di vita degli uomini sono le idee. Se le idee mancano i fatti vengono meno"
Gaspare Sturzo quella sera terminò il suo dire con un pensiero di Don Luigi sulla moralità, un processo di formazione delle coscienze. La moralità va riempita di contenuti per un profondo rinnovamento civico”contro la “rapacità” della corruzione. Il Comune è un bene comune. I diritti del Comune sono inalienabili. Sembra oggi. Con le parole di Don Luigi Sturzo ad illuminare le menti e non solo I Lampioni di Caltagirone
Ho ritrovato in questo libro il senso e la fattualità dei gesti politici che Don Luigi Sturzo promosse nell'essere sindaco di Caltagirone, nel far parte del consiglio comunale, come consigliere, dal 1899, a 28 anni. Era allora in vigore il non exepedit, pronunciato dalla Santa Sede, da Pio IX nel 1874, che aveva dichiarato inaccettabile per i cattolici italiani partecipare alle elezioni politiche del Regno d'Italia e, per estensione, all'intera vita politica italiana dopo l'annessione di Roma al Regno Sabaudo. L'elettorato cattolico quindi si asteneva dal votare e dal presentare propri candidati. Man mano però ci fu un progressivo allentamento dell'interdizione fino alla abrogazione per opera di Benedetto XV nel 1919.
Don Luigi Sturzo scelse proprio la politica, la partecipazione, ancora prima dell'interdizione della disposizione papale, folgorato come San Paolo a Damasco. Così scrive Don Sturzo " Ma quel che mi fece più impressione fu la vista di miserie inaudite in un quartiere popolare nel centro di Roma" Così decide di dedicarsi ad opere che portino sollievo. Già l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII andava verso una Chiesa capace di interpretare i bisogni reali della società.
I beni comuni. La luce, l'acqua, il vento, l'aria. Da sindaco, momento della sua vita che lui predilesse, avrebbe potuto illuminare il suo paese.
Questa la storia del libro:Una storia di inizio novecento: portare la luce elettrica a Caltagirone:Illuminare la notte strade e case.Tutti i due punti di un discorso diretto.
Mi ricorda molto una storia recente, quelle sulle pale eoliche, recentemente gestita male dai sindaci del comprensorio calabro, Pale eoliche al vento, in mano a società private che hanno accontentato con pochi spiccioli gli amministratori locali e i proprietari dei terreni. Avrebbero dovuto prendere lezione dalla visione di Don Luigi Sturzo questi sindaci ed applicare quella sua idea di"optare per la concessione in appalto a privati secondo un project-financing:i dati consentivano di deliberare l'appalto con un capitolato preciso, stabilendo la percentuale della partecipazione del municipio agli utili di esercizio." una piena compartecipazione del pubblico e del privato. L' officina elettrica, un esempio da citare ai ciechi amministratori delle nostre città.
il libro, scritto con linguaggio chiaro, segue le fasi che resero possibile la realizzazione dell'Officina elettrica calatina attraverso i verbali della giunta municipale e del consiglio comunale, attraverso la lettura del La Croce di Costantino e di altri periodici. Un libro utile.
Nella quarta di copertina le parole di Don Luigi Sturzo:"La fonte principale di vita degli uomini sono le idee. Se le idee mancano i fatti vengono meno"
Gaspare Sturzo quella sera terminò il suo dire con un pensiero di Don Luigi sulla moralità, un processo di formazione delle coscienze. La moralità va riempita di contenuti per un profondo rinnovamento civico”contro la “rapacità” della corruzione. Il Comune è un bene comune. I diritti del Comune sono inalienabili. Sembra oggi. Con le parole di Don Luigi Sturzo ad illuminare le menti e non solo I Lampioni di Caltagirone
martedì 26 luglio 2016
Si trova quello che si cerca. Arpacal e mare nostrum a Lamezia
Assemblea sul mare mostrum o nostrum stasera a Lamezia terme nella saletta adiacente alla corte del Palazzo Nicotera.
Nel presentare l'argomento Costantino Fittante parla di un programma biennale o triennale per risolvere in maniera razionale, fare un ragionamento per capire dove mettere mani.
Mario Pileggi enumera i 660 Km di costa, più del 20 % del patrimonio italiano, sono le spiagge calabre, con luoghi di ammassi granitici come in Sardegna. Polemizza con Rimini ed Emilia Romagna, loro con 100 km di costa hanno monopolizzato un turismo che ora li sta abbandonando, ecco perché Lega ambiente cerca di screditare il mare calabro. basterebbe indicare i luoghi di divieto di balneazione e...
Interviene Silvestro Greco: Una boutade parlare di depurazione a Luglio. L'Arpacal dovrebbe fare campionature e rilevare mare inquinato da fosfori, carboni e additivi. Inquinato da autospurgo e dai molini dell'olio, da nitrati, i concimi usati in agricoltura, e l'Arpacal dovrebbe dire la verità. Il problema sono i depuratori non funzionanti, sarebbe quasi meglio che non ce ne fossero, perché non funzionando agitano la composta a riva. Quindi lui chiederebbe la fattura del conferimento dei fanghi, del composto dei rifiuti ai sindaci. Il mare si rigenera da sé se si interrompe questo continuo fluire di ogni scoria dalla montagna al mare. Se si scegli la strada attuata da Soverato, controllare i rifiuti e le fogne.
Intervenuti il sindaco di San Pietro a Maida ed Antonio Chieffallo, giornalista. Suo il grido di sdegno contro Arpacal, che alcune volte falsifica le analisi, che dichiara eccellente acqua verde e chiaramente inquinata alla vista dei bagnanti.
Si trova quello che si cerca, le parole di Silvestro Greco, assessore regionale per poco tempo all'ambiente, mi risuonano e diventano il titolo di testa.
Nel presentare l'argomento Costantino Fittante parla di un programma biennale o triennale per risolvere in maniera razionale, fare un ragionamento per capire dove mettere mani.
Mario Pileggi enumera i 660 Km di costa, più del 20 % del patrimonio italiano, sono le spiagge calabre, con luoghi di ammassi granitici come in Sardegna. Polemizza con Rimini ed Emilia Romagna, loro con 100 km di costa hanno monopolizzato un turismo che ora li sta abbandonando, ecco perché Lega ambiente cerca di screditare il mare calabro. basterebbe indicare i luoghi di divieto di balneazione e...
Interviene Silvestro Greco: Una boutade parlare di depurazione a Luglio. L'Arpacal dovrebbe fare campionature e rilevare mare inquinato da fosfori, carboni e additivi. Inquinato da autospurgo e dai molini dell'olio, da nitrati, i concimi usati in agricoltura, e l'Arpacal dovrebbe dire la verità. Il problema sono i depuratori non funzionanti, sarebbe quasi meglio che non ce ne fossero, perché non funzionando agitano la composta a riva. Quindi lui chiederebbe la fattura del conferimento dei fanghi, del composto dei rifiuti ai sindaci. Il mare si rigenera da sé se si interrompe questo continuo fluire di ogni scoria dalla montagna al mare. Se si scegli la strada attuata da Soverato, controllare i rifiuti e le fogne.
Intervenuti il sindaco di San Pietro a Maida ed Antonio Chieffallo, giornalista. Suo il grido di sdegno contro Arpacal, che alcune volte falsifica le analisi, che dichiara eccellente acqua verde e chiaramente inquinata alla vista dei bagnanti.
Si trova quello che si cerca, le parole di Silvestro Greco, assessore regionale per poco tempo all'ambiente, mi risuonano e diventano il titolo di testa.
domenica 24 luglio 2016
Rivìentu: Acqua da tutte le parti
Rivìentu, Coordinamento Territoriale del Reventino, organizza incontro sul libro di Antonello Caporale "Acqua da tutte le parti" con Francesco Lesce e Angelo Maggio all'abbazia di Corazzo, Carlopoli.
Riesco ad andare ed è per me un miracolo possibile grazie al passaggio di due miei cari amici, Miriam e Stefano.
Acqua da tutte le parti: Viaggio in 102 paesi e città dell'Italia che fiorisce e sparisce.
Sulle copertina due mani lavorano a maglia un diritto e un rovescio, un punto riso, per noi.
Nell'abbazia, fra il pubblico, il sindaco di Carlopoli, Mario Talarico, l'assessore Maria Antonietta Sacco, e un dirigente regionale, Pasquale Mancuso, che interverrà, quasi con rabbia, alle circostanziate vicende raccontate da Antonello Caporale.
Quasi come se fosse un fatto personale e non un fatto quotidiano.
Antonello Caporale inizia da subito con le domande.
Cosa siamo e come potremmo essere. Cosa avremmo potuto fare se l'ignavia non ci avesse colpito come una malattia. Paurosi, dobbiamo imparare a vivere in una percezione di pericolo immanente, continua Antonello Caporale, riferendosi agli ultimi avvenimenti di attentati.
Come collegare il libro al momento storico vivente? Come un turismo al contrario, come volontà e comportamento. Un libro che non denunci solo lo sfascio e lo sciupio, ma dia suggerimenti con esempi di buon governo. Il buon governo delle tavole del Lorenzetti, mi viene in mente.
Acqua da tutte le parti è la storia di paesi e persone, la storia di Saverio Gigliotti e del suo libro mastro, dove lui annotava dal 1958 cosa comprassero i clienti nel suo negozio di generi vari.
Attraverso la vendita di catene per capre o di cemento e maioliche leggiamo, in quel suo annotare, lo sparire di una civiltà pastorale e contadina in favore di una edilizia sempre più invasiva.
Un territorio, il nostro, sempre più in balia dell'incuria e della depredazione.
E Antonello soffre, lo vedo, mentre ci racconta la sciagura delle Pale eoliche. Pale eoliche dappertutto. Proprietà di privati senza che ce ne stia una pubblica. Contentati i proprietari dei terreni con cinquemila euro annui, contentati i sindaci dei comuni con 250.000 euro. Una fesseria per affari di milioni di euro.
Una scelta illogica che va contro l'articolo 9 della costituzione sul paesaggio da salvaguardare, come bene pubblico, che va contro un utilizzo del vento, dell'acqua, della terra, come beni comuni. Racconta l'esempio di alcuni paesi del Molise, e di un notaio di Favara, come per dire che basta sconfiggere la mediocrità e l'immobilismo e sia possibile per pubblico e privato lavorare bene, proporre soluzioni. L'immobilismo è il male. Forse il peggiore. Non avere idee, non farle vivere.
La mediocrità. Il mediocre è colui che sta immobile, che non fa fare niente perché non si può e tu gli domandi perché non si può e lui non lo sa, sa solo che non si può fare. Mediocri sono la maggior parte dei funzionari della pubblica e privata amministrazione, sia essa a partecipazione statale o meno. Mediocrità è l'immobilismo.
Una Italia studiata e visitata lungo i suo fianchi litoranei, vuota al centro e che va franando con escrescenze di cemento dovunque.
Il libro come informazione, come esame di coscienza, che fa del dispiacere e della disperazione una lucidità d'azione.
E qui Antonello, rivolgendosi all'ottimismo di Francesco Lesce e di Angelo Maggio, ha un sorriso, sorridono loro e sorrido anche io, nel riso che è consapevolezza.
Francesco e Angelo hanno percorso con Caporale le strade che portano a Badolato sulla statale Ionica, e poi risalendo verso l'interno, osservando le costruzioni non finite, i palazzi, le officine, cinema, alberghi, non finiti.
Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all'università della Calabria, riprende il tema della Calabria che soffre di un male eccessivo di rappresentanza. il male della retorica.
Nel libro di Caporale, dice Lesce, si narra la Calabria, una narrazione possibile attraverso le immagini di Angelo Maggio, che danno corpo alla teoria dell'incompiuto, alla teoria che ci sia indifferenza visiva alle costruzioni non finite. Una rimozione. Nessuno più vede lo scempio. Sembra una cosa naturale.
Uno stile di vita e non una eccezione. Nel tentativo di studiare il non finito come archeologia del fenomeno si è detto che è un monumento alle aspettative deluse dei calabresi.
Sono le fotografie di Angelo Maggio, presenti accanto al libro, a dar testimonianza delle parole, questa sera.
Francesco Lesce ammira di stima vera Angelo Maggio che, nel suo chiedersi continuo, ha quella curiosità onnivora verso ogni legge, ogni decisione politica, e ne svela le nudità come il celebre bambino del re è nudo della fiaba.
Entrambi contro ogni usi e abusi si accorgono che ora cultura e turismo rigenerano la retorica politica.
Angelo Maggio, inizia il suo intervento con la rappresentazione del dramma. Questo è un dramma, dice. Nel 2004 ha iniziato a far vedere le sue foto dove Cristi e Madonne venivano portati in processione fra case non finite, percependo che nessuno si scandalizzava per il brutto, per la sciatteria di luoghi deturpati.
Addirittura su quelle costruzioni venivano attaccati manifesti elettorali, bandiere della provincia, della regione. Come se fosse normale.
Un problema etico più che estetico ormai, perché abituandosi al brutto ci si abitua al non finito immateriale, un pensiero non finito, approssimativo, che ci priva della vitalità e della luce, presente invece negli occhi, questa sera, dei partecipanti alla serata. La luce della curiosità e della volontà.
Ippolita Luzzo
Rivìentu è l’anima della nostra montagna e delle sue valli che proprio da “Rivìentu” trae il nome “Reventino” (“Riventìnu” in dialetto è il nome della montagna che svetta sulla vallata). Per l’evento il gruppo di Rivìentu è composto dalle associazioni: Progetto Gedeone, La Fenice Bianca, Pedivigliano 200, Conflenti Trekking, Felici & Conflenti, Gas del Reventino, La Carovana, Forum del Reventino, Gruppo Spontaneo Colosimi e Centro Culturale Castagna.
Riesco ad andare ed è per me un miracolo possibile grazie al passaggio di due miei cari amici, Miriam e Stefano.
Acqua da tutte le parti: Viaggio in 102 paesi e città dell'Italia che fiorisce e sparisce.
Sulle copertina due mani lavorano a maglia un diritto e un rovescio, un punto riso, per noi.
Nell'abbazia, fra il pubblico, il sindaco di Carlopoli, Mario Talarico, l'assessore Maria Antonietta Sacco, e un dirigente regionale, Pasquale Mancuso, che interverrà, quasi con rabbia, alle circostanziate vicende raccontate da Antonello Caporale.
Quasi come se fosse un fatto personale e non un fatto quotidiano.
Antonello Caporale inizia da subito con le domande.
Cosa siamo e come potremmo essere. Cosa avremmo potuto fare se l'ignavia non ci avesse colpito come una malattia. Paurosi, dobbiamo imparare a vivere in una percezione di pericolo immanente, continua Antonello Caporale, riferendosi agli ultimi avvenimenti di attentati.
Come collegare il libro al momento storico vivente? Come un turismo al contrario, come volontà e comportamento. Un libro che non denunci solo lo sfascio e lo sciupio, ma dia suggerimenti con esempi di buon governo. Il buon governo delle tavole del Lorenzetti, mi viene in mente.
Acqua da tutte le parti è la storia di paesi e persone, la storia di Saverio Gigliotti e del suo libro mastro, dove lui annotava dal 1958 cosa comprassero i clienti nel suo negozio di generi vari.
Attraverso la vendita di catene per capre o di cemento e maioliche leggiamo, in quel suo annotare, lo sparire di una civiltà pastorale e contadina in favore di una edilizia sempre più invasiva.
Un territorio, il nostro, sempre più in balia dell'incuria e della depredazione.
E Antonello soffre, lo vedo, mentre ci racconta la sciagura delle Pale eoliche. Pale eoliche dappertutto. Proprietà di privati senza che ce ne stia una pubblica. Contentati i proprietari dei terreni con cinquemila euro annui, contentati i sindaci dei comuni con 250.000 euro. Una fesseria per affari di milioni di euro.
Una scelta illogica che va contro l'articolo 9 della costituzione sul paesaggio da salvaguardare, come bene pubblico, che va contro un utilizzo del vento, dell'acqua, della terra, come beni comuni. Racconta l'esempio di alcuni paesi del Molise, e di un notaio di Favara, come per dire che basta sconfiggere la mediocrità e l'immobilismo e sia possibile per pubblico e privato lavorare bene, proporre soluzioni. L'immobilismo è il male. Forse il peggiore. Non avere idee, non farle vivere.
La mediocrità. Il mediocre è colui che sta immobile, che non fa fare niente perché non si può e tu gli domandi perché non si può e lui non lo sa, sa solo che non si può fare. Mediocri sono la maggior parte dei funzionari della pubblica e privata amministrazione, sia essa a partecipazione statale o meno. Mediocrità è l'immobilismo.
Una Italia studiata e visitata lungo i suo fianchi litoranei, vuota al centro e che va franando con escrescenze di cemento dovunque.
Il libro come informazione, come esame di coscienza, che fa del dispiacere e della disperazione una lucidità d'azione.
E qui Antonello, rivolgendosi all'ottimismo di Francesco Lesce e di Angelo Maggio, ha un sorriso, sorridono loro e sorrido anche io, nel riso che è consapevolezza.
Francesco e Angelo hanno percorso con Caporale le strade che portano a Badolato sulla statale Ionica, e poi risalendo verso l'interno, osservando le costruzioni non finite, i palazzi, le officine, cinema, alberghi, non finiti.
Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all'università della Calabria, riprende il tema della Calabria che soffre di un male eccessivo di rappresentanza. il male della retorica.
Nel libro di Caporale, dice Lesce, si narra la Calabria, una narrazione possibile attraverso le immagini di Angelo Maggio, che danno corpo alla teoria dell'incompiuto, alla teoria che ci sia indifferenza visiva alle costruzioni non finite. Una rimozione. Nessuno più vede lo scempio. Sembra una cosa naturale.
Uno stile di vita e non una eccezione. Nel tentativo di studiare il non finito come archeologia del fenomeno si è detto che è un monumento alle aspettative deluse dei calabresi.
Sono le fotografie di Angelo Maggio, presenti accanto al libro, a dar testimonianza delle parole, questa sera.
Francesco Lesce ammira di stima vera Angelo Maggio che, nel suo chiedersi continuo, ha quella curiosità onnivora verso ogni legge, ogni decisione politica, e ne svela le nudità come il celebre bambino del re è nudo della fiaba.
Entrambi contro ogni usi e abusi si accorgono che ora cultura e turismo rigenerano la retorica politica.
Angelo Maggio, inizia il suo intervento con la rappresentazione del dramma. Questo è un dramma, dice. Nel 2004 ha iniziato a far vedere le sue foto dove Cristi e Madonne venivano portati in processione fra case non finite, percependo che nessuno si scandalizzava per il brutto, per la sciatteria di luoghi deturpati.
Addirittura su quelle costruzioni venivano attaccati manifesti elettorali, bandiere della provincia, della regione. Come se fosse normale.
Un problema etico più che estetico ormai, perché abituandosi al brutto ci si abitua al non finito immateriale, un pensiero non finito, approssimativo, che ci priva della vitalità e della luce, presente invece negli occhi, questa sera, dei partecipanti alla serata. La luce della curiosità e della volontà.
Ippolita Luzzo
Rivìentu è l’anima della nostra montagna e delle sue valli che proprio da “Rivìentu” trae il nome “Reventino” (“Riventìnu” in dialetto è il nome della montagna che svetta sulla vallata). Per l’evento il gruppo di Rivìentu è composto dalle associazioni: Progetto Gedeone, La Fenice Bianca, Pedivigliano 200, Conflenti Trekking, Felici & Conflenti, Gas del Reventino, La Carovana, Forum del Reventino, Gruppo Spontaneo Colosimi e Centro Culturale Castagna.
domenica 17 luglio 2016
Il viaggio possibile: Conversazione fra Ippolita e Ippolita
Ippolita Sicoli con me alla Giungla, Mercoledì 20 Luglio alle ore 19.
Dove si trovi La Giungla è bene dirlo; sul litorale di Falerna, in alto, poco distante dal mare.
Parleremo del Viaggio.
Lei affronterà il viaggio nel tempo del mito ed io il viaggio nel tempo interiore, nel nostro vissuto, come flash raccolti a fare un fascio di immagini.
Proprio oggi sulla Domenica del Sole 24ore l'articolo di Giulio Busi intitolato "Il mito ebraico è in moto" ripercorre il mito.
" L'idea che il mito sia bello e bugiardo ha una storia lunga, antica di millenni e veneranda di conflitti. Una religione accusa l'altra di bugie,...Poi però ricomincia a raccontare. Parola dopo parola, un apologo che segue il precedente, il mormorio delle generazioni riprende il filo interrotto. Mito deriva dal greco mutheomai, che significa dire, nominare. dare ordine. Chi potrebbe mai smettere di dire e di raccontare? E quale cultura saprebbe privarsi delle parole, che ammoniscono e consolano, che si sollevano dalla terra in cielo e poi discendono di nuovo, piano piano come se fossero neve leggera."
Mi sembrava nel leggere di sentire le parole dell'altra sera, le parole di Ippolita Sicoli, raffinata giornalista, responsabile delle pagine culturali del Centro Tirreno.it, autrice di diversi romanzi sul tema del mito e sono sicura che mercoledì la ascolterò con interesse maggiore.
Sarà il nome che ci ha riunito, su un mito, su un personaggio leggendario, su una regina guerriera, un mito di guerra e di violenza, così come sono intrisi i miti e i nostri giorni, sarà questo nome il legame fra il mio viaggio individuale fra il passato e il presente, in un tentativo di relazione con l'altro che si infrange nell'alto muro delle convenzioni, e poi trovi uno spazio dove spazio non è, il web quasi un altro mito ed il mito antico dove Cadmo sposa Armonia.
Per raccontare e raccontarci la storia infinita di esserci ancora.
Dove si trovi La Giungla è bene dirlo; sul litorale di Falerna, in alto, poco distante dal mare.
Parleremo del Viaggio.
Lei affronterà il viaggio nel tempo del mito ed io il viaggio nel tempo interiore, nel nostro vissuto, come flash raccolti a fare un fascio di immagini.
Proprio oggi sulla Domenica del Sole 24ore l'articolo di Giulio Busi intitolato "Il mito ebraico è in moto" ripercorre il mito.
" L'idea che il mito sia bello e bugiardo ha una storia lunga, antica di millenni e veneranda di conflitti. Una religione accusa l'altra di bugie,...Poi però ricomincia a raccontare. Parola dopo parola, un apologo che segue il precedente, il mormorio delle generazioni riprende il filo interrotto. Mito deriva dal greco mutheomai, che significa dire, nominare. dare ordine. Chi potrebbe mai smettere di dire e di raccontare? E quale cultura saprebbe privarsi delle parole, che ammoniscono e consolano, che si sollevano dalla terra in cielo e poi discendono di nuovo, piano piano come se fossero neve leggera."
Mi sembrava nel leggere di sentire le parole dell'altra sera, le parole di Ippolita Sicoli, raffinata giornalista, responsabile delle pagine culturali del Centro Tirreno.it, autrice di diversi romanzi sul tema del mito e sono sicura che mercoledì la ascolterò con interesse maggiore.
Sarà il nome che ci ha riunito, su un mito, su un personaggio leggendario, su una regina guerriera, un mito di guerra e di violenza, così come sono intrisi i miti e i nostri giorni, sarà questo nome il legame fra il mio viaggio individuale fra il passato e il presente, in un tentativo di relazione con l'altro che si infrange nell'alto muro delle convenzioni, e poi trovi uno spazio dove spazio non è, il web quasi un altro mito ed il mito antico dove Cadmo sposa Armonia.
Per raccontare e raccontarci la storia infinita di esserci ancora.
mercoledì 13 luglio 2016
Delia è di nessuno Ilaria Milandri
I papaveri rossi della guerra di Piero per ricordare i caduti in guerra.
I papaveri rossi nel campo di grano di Van Gogh ed insieme i petali a terra, sgualciti, nella grigio di un muro sbrecciato, sul grigio del nostro quotidiano. Un papavero sta integro, in primo piano.
La copertina del libro è anche essa di Ilaria Milandri, autrice di Delia è di nessuno, romanzo letto in questi tre caldissimi giorni di luglio, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine, dopo una prima e volante lettura sopraelevata.
Aprendo e chiudendo, scrivendo due righe sul senso del momento.
Nel mio non far recensione io dialogo con i personaggi e le situazioni del libro cercando le frasi e il piacere che riesco a trasmettere su questa architettura. Una storia infatti progettata come un disegno a tavolino per riuscire a veder Delia quasi come una dea, la dea della vendetta.
Aleggia nel libro questa aria da tragedia greca, di famiglie atroci, con legami malsani, ci sarà quindi un deus ex machina? E leggendo si scopre che il personaggio è proprio un architetto, almeno per studi, ed io subito soprannomino Delia l'architetto del destino. Sulla storia incombe la morte e la cenere, cenere siamo e cenere diventeremo, in una urna "Stiamo parlando di polvere"
Mentre intorno la città, le strade, e le persone fanno l'alba e aspettano la sera, telefonano e chiedono rapporti oppure corpi, sappiamo quali sono gli scopi.
"I nostri scopi qualunque essi siano riguardano qualcun altro. da soli non siamo nessuno, non abbiamo motivo di esistere, non esistiamo"
Dettagli da ogni foglio sul quale ho fermato un senso, il filo con cui ho letto un testo che guarda con la stessa distanza del distacco caratteriale di Delia lo spazio in cui muoversi. " Fa parte dell'uomo prendere le distanze da chi l'ha preceduto" questo ci dice Ilaria Milandri e questo sappiamo dagli studi e dall'arte che era stata così amata dal padre di Delia da voler lui essere polvere in un quadro manierista oppure nell'inchiostro del suo poeta vivente preferito.
Delle due lettere che Delia riceve una parla di felicità e l'altra di esser pavidi, fino alla fine. Una è la lettera del padre e l'altra quella di un saggio, un Nestore quasi, che sulla panchina ogni mattina, all'alba, siede per pochissimo prima dell'apertura di un cimitero.
Delia non è di nessuno mi ha ricordato i Gormiti. Avevo una loro frase al posto del trillo sul cellulare, un vecchio cellulare, che non ho più da moltissimo tempo, faceva pressapoco così: Quando l'imperatore della terra ti chiama rispondi" Vorrei tanto risentirla, come monito di un tempo malvagio, quasi come Delia vorrebbe incontrare di nuovo Adamo fra gli attimi di felicità perse.
Nella fotografia del racconto le immagini sono sempre nel centro della scena, anche il respiro, anche quell'annusare la pelle con i suoi vari afrori. Cosi fra respiro e lettura, fra il mio respiro di lettrice e il respiro di chi lo ha scritto sta con noi Delia.
"Delia era l'aria dentro alla quale stanno le poesie"
I papaveri rossi nel campo di grano di Van Gogh ed insieme i petali a terra, sgualciti, nella grigio di un muro sbrecciato, sul grigio del nostro quotidiano. Un papavero sta integro, in primo piano.
La copertina del libro è anche essa di Ilaria Milandri, autrice di Delia è di nessuno, romanzo letto in questi tre caldissimi giorni di luglio, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine, dopo una prima e volante lettura sopraelevata.
Aprendo e chiudendo, scrivendo due righe sul senso del momento.
Nel mio non far recensione io dialogo con i personaggi e le situazioni del libro cercando le frasi e il piacere che riesco a trasmettere su questa architettura. Una storia infatti progettata come un disegno a tavolino per riuscire a veder Delia quasi come una dea, la dea della vendetta.
Aleggia nel libro questa aria da tragedia greca, di famiglie atroci, con legami malsani, ci sarà quindi un deus ex machina? E leggendo si scopre che il personaggio è proprio un architetto, almeno per studi, ed io subito soprannomino Delia l'architetto del destino. Sulla storia incombe la morte e la cenere, cenere siamo e cenere diventeremo, in una urna "Stiamo parlando di polvere"
Mentre intorno la città, le strade, e le persone fanno l'alba e aspettano la sera, telefonano e chiedono rapporti oppure corpi, sappiamo quali sono gli scopi.
"I nostri scopi qualunque essi siano riguardano qualcun altro. da soli non siamo nessuno, non abbiamo motivo di esistere, non esistiamo"
Dettagli da ogni foglio sul quale ho fermato un senso, il filo con cui ho letto un testo che guarda con la stessa distanza del distacco caratteriale di Delia lo spazio in cui muoversi. " Fa parte dell'uomo prendere le distanze da chi l'ha preceduto" questo ci dice Ilaria Milandri e questo sappiamo dagli studi e dall'arte che era stata così amata dal padre di Delia da voler lui essere polvere in un quadro manierista oppure nell'inchiostro del suo poeta vivente preferito.
Delle due lettere che Delia riceve una parla di felicità e l'altra di esser pavidi, fino alla fine. Una è la lettera del padre e l'altra quella di un saggio, un Nestore quasi, che sulla panchina ogni mattina, all'alba, siede per pochissimo prima dell'apertura di un cimitero.
Delia non è di nessuno mi ha ricordato i Gormiti. Avevo una loro frase al posto del trillo sul cellulare, un vecchio cellulare, che non ho più da moltissimo tempo, faceva pressapoco così: Quando l'imperatore della terra ti chiama rispondi" Vorrei tanto risentirla, come monito di un tempo malvagio, quasi come Delia vorrebbe incontrare di nuovo Adamo fra gli attimi di felicità perse.
Nella fotografia del racconto le immagini sono sempre nel centro della scena, anche il respiro, anche quell'annusare la pelle con i suoi vari afrori. Cosi fra respiro e lettura, fra il mio respiro di lettrice e il respiro di chi lo ha scritto sta con noi Delia.
"Delia era l'aria dentro alla quale stanno le poesie"
Sulle tavole del buon governo di Lorenzetti
Nell'allegoria del buon governo ci siamo incontrati.
Erano in corso a Lamezia le elezioni a sindaco e nei candidati fervevano le liste, i fili e le cordate con chi portarsi appresso. Ignara di ogni politica diatriba, politica come aggettivo e non sostantivo, indugiavo io sulle tavole del buon e cattivo governo, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservati nel Palazzo Pubblico di Siena. Indugiavo e mi auguravo che i candidati riprendessero a leggersi quegli affreschi, così come mi erano stati spiegati a Rimini ad un convegno.
Il classico, citando Hegel e qui riprendo dalla "La Distanza da noi stessi" nell' Album di famiglia con sottotitolo "dagli archivi fotografici della provincia di Cosenza ai social network", richiama da sempre un'epoca istantanea sottratta all'avvicendamento dei tempi, dei linguaggi, delle forme"
La distanza
Che cos'è la distanza da un avvenimento, da un corpo? è lo spazio che ci permette di vedere sia il fatto che il corpo, con la distanza vediamo, riflettiamo, capiamo ciò che è stata l'azione, riportiamo con noi le sensazioni di un incontro.
"Stiamo a distanza tra provenienza e destinazione"citazione da Carlo Sini " Il silenzio e la parola"
Tutto questo per dire che sono lontana dal momento storico del mio paese quanto sia vicina al tempo del Lorenzetti.
Tutto questo per dire che "il passato è generato dal presente tanto quanto il nostro futuro, è la nostra rideterminazione oggettiva che ne fa un futuro anteriore" leggo sempre da " La distanza di noi stessi"
Tutto questo per dire che nasce una rivista, una rivista che prende dall'album le fotografie, un album che misuri la distanza di noi stessi, una sede che la distanza ci darà, "come condizione di ogni presente."
Vi presento il redattore responsabile col fucile,
armato dalla distanza, come può essere un'arma la distanza, migliore dello scontro ravvicinato nel tempo che scansione è.
Erano in corso a Lamezia le elezioni a sindaco e nei candidati fervevano le liste, i fili e le cordate con chi portarsi appresso. Ignara di ogni politica diatriba, politica come aggettivo e non sostantivo, indugiavo io sulle tavole del buon e cattivo governo, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservati nel Palazzo Pubblico di Siena. Indugiavo e mi auguravo che i candidati riprendessero a leggersi quegli affreschi, così come mi erano stati spiegati a Rimini ad un convegno.
Il classico, citando Hegel e qui riprendo dalla "La Distanza da noi stessi" nell' Album di famiglia con sottotitolo "dagli archivi fotografici della provincia di Cosenza ai social network", richiama da sempre un'epoca istantanea sottratta all'avvicendamento dei tempi, dei linguaggi, delle forme"
La distanza
Che cos'è la distanza da un avvenimento, da un corpo? è lo spazio che ci permette di vedere sia il fatto che il corpo, con la distanza vediamo, riflettiamo, capiamo ciò che è stata l'azione, riportiamo con noi le sensazioni di un incontro.
"Stiamo a distanza tra provenienza e destinazione"citazione da Carlo Sini " Il silenzio e la parola"
Tutto questo per dire che sono lontana dal momento storico del mio paese quanto sia vicina al tempo del Lorenzetti.
Tutto questo per dire che "il passato è generato dal presente tanto quanto il nostro futuro, è la nostra rideterminazione oggettiva che ne fa un futuro anteriore" leggo sempre da " La distanza di noi stessi"
Tutto questo per dire che nasce una rivista, una rivista che prende dall'album le fotografie, un album che misuri la distanza di noi stessi, una sede che la distanza ci darà, "come condizione di ogni presente."
Vi presento il redattore responsabile col fucile,
armato dalla distanza, come può essere un'arma la distanza, migliore dello scontro ravvicinato nel tempo che scansione è.
giovedì 7 luglio 2016
Per lettori forti Le Parole Orrende di Vincenzo Ostuni
Vincenzo Ostuni raccoglie da qualche anno parole. Parole orrende. Con la collaborazione di molti altri come lui incuriositi dai vezzi e dalle frasi alla moda di una conversazione scivolata sul banale invece che su una banana.
Parole orrende ascoltate con bonomia e trasformate in magneti da incollare sul frigorifero della cucina e sul cruscotto dell'automobile come il famigerato "Papà non correre" degli anni sessanta.
Parole orrende a volontà tutti noi usiamo, mai sazi di coniare nuovi neologismi e prenderli per veri sostantivi.
La lingua è viva, nasce e cresce con i suoi parlanti, si muove e si dibatte, si contorce nell'uso e nell'abuso, flessibile ai tempi ed alle occasioni. Vi sono lingue specializzate, per la scienza, per la burocrazia, per la medicina, sono lemmi conosciuti da pochissimi addottorati, poi vi è la lingua usata dal volgo, da noi, da tutti.
Una lingua vivace e mista, un cofanetto di Parole orrende, uno scrigno da regalare.
Dalla conversazione allo scritto, le parole si sono spostate e sui tasti si scrivono come se fossero un parlato. Si sono accasate con altre e, aggiungendo l'aggettivo e l'apposizione, vanno a passeggio sempre insieme come una famigliola affettuosa e ben assortita.
Per lettori forti
come idea-regalo
sfatiamo un mito
#paroleorrende
il primo stronzo che passa
non fa sconti a nessuno
Non sono bellissime? Chissà quante volte le avrete ascoltate anche voi, chissà quante volte le abbiamo dette pure noi! e se riflettessimo su ciò che diciamo?
Questo mi sembra il sorridente invito di Vincenzo Ostuni e dei suoi amici che si sono divertiti a segnalarle su Twitter e su Facebook per due o tre anni e ora diventeranno la moda dell'estate 2016 ed il ricavato andrà devoluto all'Accademia della Crusca, impegnata dopo quel petaloso a contare i petali...
Ridendo sull'immagine che mi si presenta, abituata io a visualizzare ogni frase ascolti o legga, vedo gli studiosi alle prese con margherite petalose.
sabato 9 luglio,#SummerKINO, ore 20.
grande #festaorrenda in arrivo!
venite già mangiati,
o anche no.
#bacissimi!
#paroleorrende, l'hastag lanciato su Twitter da Vincenzo Ostuni e Daniela Ranieri mi regala quella
"tenerezza che non ho,
la comprensione che non so
trovare in questo mondo stupido.
Alla Caterina Caselli, vorremmo cantare a questa lingua così orrenda " Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù."
Tic edizioni
Intanto andranno a Canelli #paroleorrende guest star!
Ospiti del Festival Classico, il 7 ottobre, a Moasca, in Piazza Castello,
Vincenzo Ostuni e Marco Drago dibatteranno di #paroleorrende, magnetiche e non. Come vorrei batter le mani mentre dibattono!
Sorrido sui suoni e sul ritmo delle frasi che allegre danzano nelle orecchie del regno della Litweb.
Evviva
Oggi 5 Agosto e PAROLE ORRENDE per tutti i luoghi e giornali vanno.
Io fui premiata da TIC Edizioni:
29 luglio alle ore 13:35 ·
Il parnaso orrendo di Ippolita (futura vincitrice di ricchi premi e cotillon).
La poesia di Ippolita Luzzo per l'estate orrenda di Paroleorrende magnetiche - Tic Edizioni." Con questa vincerò il Nobel, parola di Namatest. Vero Tic Edizioni?"
Parole orrende ascoltate con bonomia e trasformate in magneti da incollare sul frigorifero della cucina e sul cruscotto dell'automobile come il famigerato "Papà non correre" degli anni sessanta.
Parole orrende a volontà tutti noi usiamo, mai sazi di coniare nuovi neologismi e prenderli per veri sostantivi.
La lingua è viva, nasce e cresce con i suoi parlanti, si muove e si dibatte, si contorce nell'uso e nell'abuso, flessibile ai tempi ed alle occasioni. Vi sono lingue specializzate, per la scienza, per la burocrazia, per la medicina, sono lemmi conosciuti da pochissimi addottorati, poi vi è la lingua usata dal volgo, da noi, da tutti.
Una lingua vivace e mista, un cofanetto di Parole orrende, uno scrigno da regalare.
Dalla conversazione allo scritto, le parole si sono spostate e sui tasti si scrivono come se fossero un parlato. Si sono accasate con altre e, aggiungendo l'aggettivo e l'apposizione, vanno a passeggio sempre insieme come una famigliola affettuosa e ben assortita.
Per lettori forti
come idea-regalo
sfatiamo un mito
#paroleorrende
il primo stronzo che passa
non fa sconti a nessuno
Non sono bellissime? Chissà quante volte le avrete ascoltate anche voi, chissà quante volte le abbiamo dette pure noi! e se riflettessimo su ciò che diciamo?
Questo mi sembra il sorridente invito di Vincenzo Ostuni e dei suoi amici che si sono divertiti a segnalarle su Twitter e su Facebook per due o tre anni e ora diventeranno la moda dell'estate 2016 ed il ricavato andrà devoluto all'Accademia della Crusca, impegnata dopo quel petaloso a contare i petali...
Ridendo sull'immagine che mi si presenta, abituata io a visualizzare ogni frase ascolti o legga, vedo gli studiosi alle prese con margherite petalose.
sabato 9 luglio,#SummerKINO, ore 20.
grande #festaorrenda in arrivo!
venite già mangiati,
o anche no.
#bacissimi!
#paroleorrende, l'hastag lanciato su Twitter da Vincenzo Ostuni e Daniela Ranieri mi regala quella
"tenerezza che non ho,
la comprensione che non so
trovare in questo mondo stupido.
Alla Caterina Caselli, vorremmo cantare a questa lingua così orrenda " Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù."
Tic edizioni
Intanto andranno a Canelli #paroleorrende guest star!
Ospiti del Festival Classico, il 7 ottobre, a Moasca, in Piazza Castello,
Vincenzo Ostuni e Marco Drago dibatteranno di #paroleorrende, magnetiche e non. Come vorrei batter le mani mentre dibattono!
Sorrido sui suoni e sul ritmo delle frasi che allegre danzano nelle orecchie del regno della Litweb.
Evviva
Oggi 5 Agosto e PAROLE ORRENDE per tutti i luoghi e giornali vanno.
Io fui premiata da TIC Edizioni:
29 luglio alle ore 13:35 ·
Il parnaso orrendo di Ippolita (futura vincitrice di ricchi premi e cotillon).
La poesia di Ippolita Luzzo per l'estate orrenda di Paroleorrende magnetiche - Tic Edizioni." Con questa vincerò il Nobel, parola di Namatest. Vero Tic Edizioni?"
mercoledì 6 luglio 2016
Pedro Felipe di Emanuele Tirelli
In copertina la barchetta di Emanuele Tirelli e nel libro la bicicletta di Pedro Felipe.
Sulle onde scritte con la penna, righe, onda su onda, quando il mare è quello che impariamo a disegnare, naviga la barchetta di carta. Le parole formano sia le onde, onde di parole, che l'interno della barca, bianca, nel suo foglio esterno. Bianca al centro, barra al centro, in un verde mare.
Mare mare mare da canticchiare: sembrano felici le parole di navigare in questa storia che ha al suo interno un personaggio portato già in scena a teatro. Un personaggio che ha un nome in omaggio a “Sombrero”di Rino Gaetano. Da lui viene Pedro Felipe di Emanuele Tirelli.
Sulle onde scritte con la penna, righe, onda su onda, quando il mare è quello che impariamo a disegnare, naviga la barchetta di carta. Le parole formano sia le onde, onde di parole, che l'interno della barca, bianca, nel suo foglio esterno. Bianca al centro, barra al centro, in un verde mare.
Mare mare mare da canticchiare: sembrano felici le parole di navigare in questa storia che ha al suo interno un personaggio portato già in scena a teatro. Un personaggio che ha un nome in omaggio a “Sombrero”di Rino Gaetano. Da lui viene Pedro Felipe di Emanuele Tirelli.
Padre Felipe abita nel Polve, in Spagna. Esiste il Polve? No, è una citazione. Da Polvere? Polve sei e polve diventerai...
Per conoscere la trama dovrete leggere questa storia, io vi racconterò una scena, una soltanto, nella quale leggiamo i pensieri di Pedro quando la sua bicicletta viene regalata.
"“Quello che era certo è che prima o poi mi sarei vendicato. Mi consideravano uno scugnizzo ed ero molto più furbo di loro. Avrei potuto riflettere, organizzare un discorso, prevedere le risposte e cercare le contromosse per metterli a tacere, ma speravo in qualcosa di più soddisfacente. Non chiedevo mica l’attribuzione della vittoria. L’importante per me era vendicarsi. Ma ecco che arrivò l’occasione giusta, quella per cui dovetti ringraziare la generosità della mia famiglia. In qualità di titolare di uno dei pochi negozi d’abbigliamento del quartiere, mio padre conosceva gran parte dei genitori dei miei compagni di classe e, quando ricevetti la mountain bike come regalo per il mio ottavo compleanno, decise che la vecchia BMX con telaio blu, ruote, imbottiture e paramani gialli poteva essere ceduta a chi non era stato fortunato come me. Ed è così che la mia BMX fu regalata al fratello di Mauro Solsi, uno dei grassi e stupidi caporioni della classe. È così che la mia BMX fu regalata senza il mio permesso”
Il personaggio è qui con noi. Nel racconto seguiamo Pedro, bambino di otto anni, lasciare la Spagna per l'Italia, e insieme le oscillazioni dei suoi pensieri in crescita. Da uomo inadeguato, da uomo che non si accorge. Uno come noi. Ci accorgiamo noi delle cose che ci succedono?
Lui crede di accorgersi
"Adesso gli occhi degli uomini che incontro hanno preso ad allargarsi e le fessure a respirare in uno sguardo che non avverto più come indagatore. Anzi, ho iniziato a pensare che quegli stessi uomini dai quali mi sentivo osservato avrebbero potuto pensare lo stesso di me, che li stessi guardando per chissà quale motivo. Può sembrare semplice e riduttivo, ma per molti aspetti siamo davvero tutti uguali. Certo, può sembrare semplice e riduttivo, ma è di sicuro confortante. Nei mesi successivi a quelle rivelazioni e al nostro allontanamento, nulla era stato più valutato come un errore. Il passato, seppur lentamente, aveva iniziato ad essere davvero trascorso e a liberarsi dei vestiti di un continuo presente. Un po’ come dire che avere una tradizione ingombrante è come non averla affatto, perché in entrambi i casi nessuno è davvero capace di costruire la propria andatura senza la continua necessità di cronometrarla. Ma non fu più tardi allora e capii che tardi non sarebbe stato mai più"
capii che tardi non sarebbe stato mai più.
La piacevolezza del libro, risiede nella trama certo, ma soprattutto nel modo di scrivere pulito, senza involuzioni e ricercatezze. Una bella lingua curata per fare stare bene il lettore.
Questo perché anche il libro è un amico e come Pedro anche noi scegliamo i nostri amici
"Nella varietà delle persone conosciute esistono ruoli naturali e ruoli attribuiti. Come il pescato di una rezza che nella sua varietà si adatta alle richieste differenti dei commensali, così gli esseri umani si avvicinano tra loro per caratteristiche e necessità. Ed è molto probabile che la genuinità di un momento e di un incontro vada poi a condizionare il tronco portante di quella relazione. Ci sono amici ai quali consegniamo i sommovimenti più viscerali e altri a cui scegliamo di tenerli nascosti. Il ruolo di questi ultimi è altro, ma non per questo meno apprezzabile e decisivo: a loro spetta il compito della distrazione. Non sapendo, non conoscendo, possono essere ancora bendati e tenuti all'oscuro da qualunque informazione sia in grado di costringerci a noi stessi. Procediamo quindi con la creazione di un estraneo-conosciuto senza la fatica di doverlo cercare da capo. Con lui esistono già esperienze comuni capaci di alimentare una conversazione e affrancarci dal rischio di scivolare nel fosso del pensiero da rimuovere, o quantomeno da accantonare."
L'estraneo-conosciuto, con questa deliziosa definizione, che rimanda ad un mio antico pezzo, L'etica Nicomachea- Segnali di fumo- Le amiche, io vi aspetto felicissima di poter incontrare l'autore e proporre il libro come lettura.
Aggiungo due postille sull'autore e sulla casa editrice. Nel regno degli amici. Nel regno della Litweb
"“Quello che era certo è che prima o poi mi sarei vendicato. Mi consideravano uno scugnizzo ed ero molto più furbo di loro. Avrei potuto riflettere, organizzare un discorso, prevedere le risposte e cercare le contromosse per metterli a tacere, ma speravo in qualcosa di più soddisfacente. Non chiedevo mica l’attribuzione della vittoria. L’importante per me era vendicarsi. Ma ecco che arrivò l’occasione giusta, quella per cui dovetti ringraziare la generosità della mia famiglia. In qualità di titolare di uno dei pochi negozi d’abbigliamento del quartiere, mio padre conosceva gran parte dei genitori dei miei compagni di classe e, quando ricevetti la mountain bike come regalo per il mio ottavo compleanno, decise che la vecchia BMX con telaio blu, ruote, imbottiture e paramani gialli poteva essere ceduta a chi non era stato fortunato come me. Ed è così che la mia BMX fu regalata al fratello di Mauro Solsi, uno dei grassi e stupidi caporioni della classe. È così che la mia BMX fu regalata senza il mio permesso”
Il personaggio è qui con noi. Nel racconto seguiamo Pedro, bambino di otto anni, lasciare la Spagna per l'Italia, e insieme le oscillazioni dei suoi pensieri in crescita. Da uomo inadeguato, da uomo che non si accorge. Uno come noi. Ci accorgiamo noi delle cose che ci succedono?
Lui crede di accorgersi
"Adesso gli occhi degli uomini che incontro hanno preso ad allargarsi e le fessure a respirare in uno sguardo che non avverto più come indagatore. Anzi, ho iniziato a pensare che quegli stessi uomini dai quali mi sentivo osservato avrebbero potuto pensare lo stesso di me, che li stessi guardando per chissà quale motivo. Può sembrare semplice e riduttivo, ma per molti aspetti siamo davvero tutti uguali. Certo, può sembrare semplice e riduttivo, ma è di sicuro confortante. Nei mesi successivi a quelle rivelazioni e al nostro allontanamento, nulla era stato più valutato come un errore. Il passato, seppur lentamente, aveva iniziato ad essere davvero trascorso e a liberarsi dei vestiti di un continuo presente. Un po’ come dire che avere una tradizione ingombrante è come non averla affatto, perché in entrambi i casi nessuno è davvero capace di costruire la propria andatura senza la continua necessità di cronometrarla. Ma non fu più tardi allora e capii che tardi non sarebbe stato mai più"
capii che tardi non sarebbe stato mai più.
La piacevolezza del libro, risiede nella trama certo, ma soprattutto nel modo di scrivere pulito, senza involuzioni e ricercatezze. Una bella lingua curata per fare stare bene il lettore.
Questo perché anche il libro è un amico e come Pedro anche noi scegliamo i nostri amici
"Nella varietà delle persone conosciute esistono ruoli naturali e ruoli attribuiti. Come il pescato di una rezza che nella sua varietà si adatta alle richieste differenti dei commensali, così gli esseri umani si avvicinano tra loro per caratteristiche e necessità. Ed è molto probabile che la genuinità di un momento e di un incontro vada poi a condizionare il tronco portante di quella relazione. Ci sono amici ai quali consegniamo i sommovimenti più viscerali e altri a cui scegliamo di tenerli nascosti. Il ruolo di questi ultimi è altro, ma non per questo meno apprezzabile e decisivo: a loro spetta il compito della distrazione. Non sapendo, non conoscendo, possono essere ancora bendati e tenuti all'oscuro da qualunque informazione sia in grado di costringerci a noi stessi. Procediamo quindi con la creazione di un estraneo-conosciuto senza la fatica di doverlo cercare da capo. Con lui esistono già esperienze comuni capaci di alimentare una conversazione e affrancarci dal rischio di scivolare nel fosso del pensiero da rimuovere, o quantomeno da accantonare."
L'estraneo-conosciuto, con questa deliziosa definizione, che rimanda ad un mio antico pezzo, L'etica Nicomachea- Segnali di fumo- Le amiche, io vi aspetto felicissima di poter incontrare l'autore e proporre il libro come lettura.
Aggiungo due postille sull'autore e sulla casa editrice. Nel regno degli amici. Nel regno della Litweb
Biografia di Emanuele Tirelli
Emanuele Tirelli nasce a Napoli nel 1979. Lavora come autore, ufficio stampa e giornalista e cataloga i suoi libri per amicizia e conoscenza in vita degli scrittori. Per il teatro firma le drammaturgie degli spettacoli Questione di attimo (2013), Da questa parte (2012) e L'Incoronata (2011). Collabora con l’Espresso, Il Venerdì di Repubblica e Il Mattino.
con il magazine online PaneAcquaCulture. Debutta nella narrativa con il racconto La tempesta perfetta per la Raccolta Vicolo Della Ratta, Civico 14 (Mutamenti, 2012). Pedro Felipe è il suo primo romanzo con la Casa editrice Caracò.
La mia amica Caterina Prezioso scrive su Satisfiction "Per una volta partiamo dalla casa editrice conosciuta tramite questo piccolo, ma folgorante romanzo di esordio di Emanuele Tirelli. Caracò è una casa editrice napoletana-bolognese e caracò in napoletano arcaico significa chiocciola. Questa piccola intraprendente e indipendente chiocciola pubblica libri che sono totalmente biodegradabili e riciclabili, stampa su carta certificata Well Managed Forest ed ElementalChlorine Free Guaranteed. Caracò Editore ha un motto “C’è chi fa i libri e chi li ama”. In buona sostanza una casa editrice che tenta di coniugare qualcosa di lento come la chiocciola con qualcosa di estremamente veloce come @ la chiocciola della rete, il logogramma usato soprattutto per la posta elettronica, quindi il tentativo di trasformare il passato e il futuro in un presente vivibile a se stesso. In questo contesto, il romanzo di Emanuele Tirelli ha trovato una casa adatta ad ospitarlo "
Panorama Italiano al Museo delle Arti e dei Mestieri a Cosenza
Una collettiva di artisti in una mostra curata da Gianfranco Labrosciano ieri sera al Museo delle Arti e dei Mestieri a Cosenza.
Il tema è il Panorama italiano e nelle parole iniziali viene illustrato il progetto di far conoscere il Pollino agli artisti e far produrre opere artistiche che vengano ispirate dal luogo. Morano e il Pollino, la maestosità della natura. Il tempo della natura.
Su l'uomo "Essere e tempo" di Heidegger al tempo di un fotogramma, al video di Orazio Garofalo
che smonta le immagini dei film, le ricompone andando indietro, le ripropone lentamente, nella danza del tempo onnipresente. La mostra ha un omaggio a Luigi Cipparone ed io ripropongo uno stralcio di un mio pezzo del 2014
"Da Barthes una frase « La società si adopera per far rinsavire la Fotografia, per temperare la follia che minaccia di esplodere in faccia a chi la guarda »
Dalla follia del quotidiano fotografare, fotografarsi, postare piatti, torte, bimbi, costumi, seni, cosce, mare, cielo, dalla follia del condividere immagini già fatte, rifatte, corrette e abbellite, dalla follia del rubare immagini di codazzi festanti, di opere d’arte altrui, di occhio che scatta,
ne usciremo mai?
nell'unicità che dilata, impressiona e prolunga il tempo dell’apprendimento.
Si impara e si vede se tempo tu hai, il tempo dell’attesa.
L’artista Luigi Cipparrone, con la fotografia stenopeica, tecnica che utilizza uno stretto foro come obiettivo, riprende il principio della camera oscura.
Le camere oscure, chiare, le camere che delimitano, scelgono, profondità o superficialità, immagine nitida o sfocata, movimentata o immobile, tutte le camere della nostra percezione che poi ci fanno credere quello che ci appare vero, ad un occhio, che abbia o no, la sua coda, il suo foro, stretto o un obiettivo con zoom.
Così la fotografia di Luigi al ristorante con gli amici ha tempi lunghissimi, più di un’ora di esposizione, ed in quest’ora sola ti vorrei, gli amici hanno mangiato, fumato, chiacchierato e sono andati via, lasciando soltanto una nuvola, una impronta nella pellicola o in digitale, Come nella canzone Albergo ad ore i due corpi lasciati nel letto, immobili.
Solo una nuvola resterà del movimento, e le nuvole vagano, e noi guardiamo gli oggetti fermi e capaci ancora di essere usati di essere testimoni di un mondo che esiste nella rappresentazione di un interiore che un solo foro ha, quello della pazienza di saper aspettare."
La mostra mi riserva piacevoli incontri con Armida e Raffaele Scalamogna, lei artista che miniaturizza, non era presente con una sua opera però, e lui con i fili che tessevano il tempo della serata, la sua opera come una grande clessidra al centro della sala.
Saluto Enzo Palazzo, che non conoscevo, e mentre parliamo di un suo lavoro, esposto tempo prima al Limen, opera che, fotografata da me, ora ci permette il riconoscerci, ecco il tempo che salta nell'incontro di lui con le sue compagne di scuole del liceo artistico di Cosenza. Non si vedevano da moltissimi anni, si ritrovano ad annullare il tempo, a ridurlo un frammento fra il prima e il dopo, creando l'opera d'arte dal titolo "felicità".
La mostra continua con la direttrice al lavoro, nel tempo della lettura, con i libri da riporre,
e l'aria diventa tempo. Franco Paternostro, "sventoliando" cartolina della mostra, cerca refrigerio e con simpatia, ottenuto il sollievo del movimento aereo, mi regala il Panorama Italiano dopo l'azzurro della sua opera in mare. Intanto io rimango ad ammirare un tempo che non esiste se non per gli umani. Essere e tempo. In una.
Il tema è il Panorama italiano e nelle parole iniziali viene illustrato il progetto di far conoscere il Pollino agli artisti e far produrre opere artistiche che vengano ispirate dal luogo. Morano e il Pollino, la maestosità della natura. Il tempo della natura.
Su l'uomo "Essere e tempo" di Heidegger al tempo di un fotogramma, al video di Orazio Garofalo
che smonta le immagini dei film, le ricompone andando indietro, le ripropone lentamente, nella danza del tempo onnipresente. La mostra ha un omaggio a Luigi Cipparone ed io ripropongo uno stralcio di un mio pezzo del 2014
"Da Barthes una frase « La società si adopera per far rinsavire la Fotografia, per temperare la follia che minaccia di esplodere in faccia a chi la guarda »
Dalla follia del quotidiano fotografare, fotografarsi, postare piatti, torte, bimbi, costumi, seni, cosce, mare, cielo, dalla follia del condividere immagini già fatte, rifatte, corrette e abbellite, dalla follia del rubare immagini di codazzi festanti, di opere d’arte altrui, di occhio che scatta,
ne usciremo mai?
nell'unicità che dilata, impressiona e prolunga il tempo dell’apprendimento.
Si impara e si vede se tempo tu hai, il tempo dell’attesa.
L’artista Luigi Cipparrone, con la fotografia stenopeica, tecnica che utilizza uno stretto foro come obiettivo, riprende il principio della camera oscura.
Le camere oscure, chiare, le camere che delimitano, scelgono, profondità o superficialità, immagine nitida o sfocata, movimentata o immobile, tutte le camere della nostra percezione che poi ci fanno credere quello che ci appare vero, ad un occhio, che abbia o no, la sua coda, il suo foro, stretto o un obiettivo con zoom.
Così la fotografia di Luigi al ristorante con gli amici ha tempi lunghissimi, più di un’ora di esposizione, ed in quest’ora sola ti vorrei, gli amici hanno mangiato, fumato, chiacchierato e sono andati via, lasciando soltanto una nuvola, una impronta nella pellicola o in digitale, Come nella canzone Albergo ad ore i due corpi lasciati nel letto, immobili.
Solo una nuvola resterà del movimento, e le nuvole vagano, e noi guardiamo gli oggetti fermi e capaci ancora di essere usati di essere testimoni di un mondo che esiste nella rappresentazione di un interiore che un solo foro ha, quello della pazienza di saper aspettare."
La mostra mi riserva piacevoli incontri con Armida e Raffaele Scalamogna, lei artista che miniaturizza, non era presente con una sua opera però, e lui con i fili che tessevano il tempo della serata, la sua opera come una grande clessidra al centro della sala.
Saluto Enzo Palazzo, che non conoscevo, e mentre parliamo di un suo lavoro, esposto tempo prima al Limen, opera che, fotografata da me, ora ci permette il riconoscerci, ecco il tempo che salta nell'incontro di lui con le sue compagne di scuole del liceo artistico di Cosenza. Non si vedevano da moltissimi anni, si ritrovano ad annullare il tempo, a ridurlo un frammento fra il prima e il dopo, creando l'opera d'arte dal titolo "felicità".
La mostra continua con la direttrice al lavoro, nel tempo della lettura, con i libri da riporre,
e l'aria diventa tempo. Franco Paternostro, "sventoliando" cartolina della mostra, cerca refrigerio e con simpatia, ottenuto il sollievo del movimento aereo, mi regala il Panorama Italiano dopo l'azzurro della sua opera in mare. Intanto io rimango ad ammirare un tempo che non esiste se non per gli umani. Essere e tempo. In una.
Ph Monica Gigliotti per le foto delle opere di Alberto Badolato,
Gianni Curto
e Pino Pingitore
domenica 3 luglio 2016
Premio Berto e libertà
"Si vince con la diuturna fatica di vivere come uomini liberi" queste le parole di Don Pasquale Russo, amico di Giuseppe Berto e sostenitore del Premio, ieri sera alla premiazione del libro "La steppa" scritto da Sergio Baratto.
Nuvole in una gabbia è l'ossimoro di Forestieri, il cantante che, dopo venti anni a Padova, ritorna in Calabria per proporci il teatro canzone. Suoi gli intermezzi musicali della serata che termina con cipulla e pani, un inno al padre, un inno alla libertà. Meglio pane e cipolla che servi, era il refrain di un tempo dignitoso.
Siamo a casa di Giuseppe Berto, scrittore libero, siamo ospiti della figlia Antonia nella casa accanto al faro di Capo Vaticano a Ricadi.
Il Premio Berto riprende dopo una sosta, riprende unendo il suo paese natale, Mogliano Veneto, a Ricadi dove è vissuto ed è sepolto.
Sono in tanti stasera venuti da Mogliano Veneto, in un incastro, Treviso Vibo, perfetto. Veneto e Calabria vicini ed uniti nel premio che va oltre il pregiudizio dei confini.
Dal Sistema Bibliotecario Vibonese all'associazione culturale Giuseppe Berto, dal presidente Cesare De Michelis, professore universitario, l’obiettivo è riportare in auge il Premio Letterario Giuseppe Berto, dedicato ad un’opera prima di narrativa italiana edita, interrotto nel 2011 dopo 23 edizioni.
Il presidente della giuria, Antonio D'Orrico, vola, di associazioni in associazioni, in un libero costrutto di immagini mentali che dal night di Giuseppe Berto, luogo mitico negli anni sessanta, giunge alla notte appena trascorsa, al suo essere accompagnato dalla padrona di casa a dormire nel night, adiacente alla casa.
Ed eccolo D'Orrico, nella notte tropeana, a guardare il faro e la scogliera, a ricordare il faro e la grandezza.
Ora siamo con D'Orrico su un volo reale, in aereo, lui sfoglia una rivista e legge l'intervista ad Aznavour.
Qual è il segreto della grandezza? fu chiesto ad Aznavour
I fari. Sono i fari la grandezza.
Nella notte appena trascorsa D'Orrico comprende l'affermazione di Aznavour, lo sente cantare Com'è triste Venezia e, forse, in un night che ritorna a vivere, sente la voce di Tony Musante e Florinda Bolkan, mentre Giuseppe Berto scrive Anonimo Veneziano. Trascinati dalle immagini ora andiamo.
La grandezza del faro illumina la striscia dei pensieri. Una via sottile.
Un grande mare inesplorato è La Steppa, il libro che vince il premio.
Una statale che taglia in due i campi erbosi, dice Sergio descrivendo i luoghi del racconto.
" La steppa masticava l'asfalto che le fa da scogliera"
Sul banco dei libri i cinque finalisti e le opere di Berto.
Ho comprato La Gloria, Nicola mi regala La Steppa e tutto torna nei ringraziamenti finali.
Nella presentazione del libro La Gloria colgo le parole di Antonio Di Grado, riportate da Cesare de Michelis nella prefazione, sul Crepuscolo epocale che ci è toccato di attraversare per andare verso un futuro che rimane oscuro e sconosciuto.
Alla fine della serata scendendo verso la macchina vediamo il faro.
Il faro è acceso e illumina capo Vaticano e ogni capo pensante.
Da uomini liberi, Nella diuturna fatica del vivere.
Alcune immagini della serata: Nicola Fiorita con Antonio D'Orrico
Dai giornali " A RICADI, IN CALABRIA LA FINALE DELL’EDIZIONE 2016
Quest’anno si è svolta in Calabria, a Capo Vaticano-Ricadi, la finale del Premio Berto, con la proclamazione e la premiazione del vincitore sabato 2 luglio.
Giuseppe Berto, nato a Mogliano Veneto, visse gran parte degli ultimi anni della sua vita proprio in Calabria, dov’è tuttora sepolto.
La macchina organizzativa vede in prima fila il Sistema Territoriale Bibliotecario Vibonese, istituito dalla Regione Calabria in forma di Associazione tra enti locali della provincia di Vibo Valentia, in collaborazione con l'Associazione culturale Giuseppe Berto, con il Patrocinio del Comune di Mogliano Veneto e il contributo della CGIA di Mestre, main sponsor, e del Colorificio San Marco.
IL PREMIO LETTERARIO GIUSEPPE BERTO
Il Premio Letterario Giuseppe Berto per un'opera prima di narrativa è sorto nel 1988, su iniziativa di un gruppo di amici ed estimatori, critici illustri come Giancarlo Vigorelli, Michel David, Cesare De Michelis, scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati.
Scopo del Premio era ricordare e riproporre il nome e l'opera di uno scrittore che, nonostante i suoi grandi successi, è stato troppo spesso trascurato da una certa critica ufficiale a causa del suo straordinario anticonformismo.
Il Premio era riservato ad opere prime.
Il Premio è stato gestito per 22 edizioni dal 1988 al 2010, con una pausa nel 1994, dalle amministrazioni comunali di Mogliano Veneto, dove Berto era nato, e di Ricadi, in Calabria, dove lo scrittore aveva eletto la sua residenza e dove è sepolto. Le due cittadine ospitavano ad anni alterni la cerimonia di premiazione.
Nel 2011 a fronte di difficoltà economiche e organizzative il Premio ha subito una sospensione."
Nuvole in una gabbia è l'ossimoro di Forestieri, il cantante che, dopo venti anni a Padova, ritorna in Calabria per proporci il teatro canzone. Suoi gli intermezzi musicali della serata che termina con cipulla e pani, un inno al padre, un inno alla libertà. Meglio pane e cipolla che servi, era il refrain di un tempo dignitoso.
Siamo a casa di Giuseppe Berto, scrittore libero, siamo ospiti della figlia Antonia nella casa accanto al faro di Capo Vaticano a Ricadi.
Il Premio Berto riprende dopo una sosta, riprende unendo il suo paese natale, Mogliano Veneto, a Ricadi dove è vissuto ed è sepolto.
Sono in tanti stasera venuti da Mogliano Veneto, in un incastro, Treviso Vibo, perfetto. Veneto e Calabria vicini ed uniti nel premio che va oltre il pregiudizio dei confini.
Dal Sistema Bibliotecario Vibonese all'associazione culturale Giuseppe Berto, dal presidente Cesare De Michelis, professore universitario, l’obiettivo è riportare in auge il Premio Letterario Giuseppe Berto, dedicato ad un’opera prima di narrativa italiana edita, interrotto nel 2011 dopo 23 edizioni.
Il presidente della giuria, Antonio D'Orrico, vola, di associazioni in associazioni, in un libero costrutto di immagini mentali che dal night di Giuseppe Berto, luogo mitico negli anni sessanta, giunge alla notte appena trascorsa, al suo essere accompagnato dalla padrona di casa a dormire nel night, adiacente alla casa.
Ed eccolo D'Orrico, nella notte tropeana, a guardare il faro e la scogliera, a ricordare il faro e la grandezza.
Ora siamo con D'Orrico su un volo reale, in aereo, lui sfoglia una rivista e legge l'intervista ad Aznavour.
Qual è il segreto della grandezza? fu chiesto ad Aznavour
I fari. Sono i fari la grandezza.
Nella notte appena trascorsa D'Orrico comprende l'affermazione di Aznavour, lo sente cantare Com'è triste Venezia e, forse, in un night che ritorna a vivere, sente la voce di Tony Musante e Florinda Bolkan, mentre Giuseppe Berto scrive Anonimo Veneziano. Trascinati dalle immagini ora andiamo.
La grandezza del faro illumina la striscia dei pensieri. Una via sottile.
Un grande mare inesplorato è La Steppa, il libro che vince il premio.
Una statale che taglia in due i campi erbosi, dice Sergio descrivendo i luoghi del racconto.
" La steppa masticava l'asfalto che le fa da scogliera"
Sul banco dei libri i cinque finalisti e le opere di Berto.
Ho comprato La Gloria, Nicola mi regala La Steppa e tutto torna nei ringraziamenti finali.
Nella presentazione del libro La Gloria colgo le parole di Antonio Di Grado, riportate da Cesare de Michelis nella prefazione, sul Crepuscolo epocale che ci è toccato di attraversare per andare verso un futuro che rimane oscuro e sconosciuto.
Alla fine della serata scendendo verso la macchina vediamo il faro.
Il faro è acceso e illumina capo Vaticano e ogni capo pensante.
Da uomini liberi, Nella diuturna fatica del vivere.
Alcune immagini della serata: Nicola Fiorita con Antonio D'Orrico
Dai giornali " A RICADI, IN CALABRIA LA FINALE DELL’EDIZIONE 2016
Quest’anno si è svolta in Calabria, a Capo Vaticano-Ricadi, la finale del Premio Berto, con la proclamazione e la premiazione del vincitore sabato 2 luglio.
Giuseppe Berto, nato a Mogliano Veneto, visse gran parte degli ultimi anni della sua vita proprio in Calabria, dov’è tuttora sepolto.
La macchina organizzativa vede in prima fila il Sistema Territoriale Bibliotecario Vibonese, istituito dalla Regione Calabria in forma di Associazione tra enti locali della provincia di Vibo Valentia, in collaborazione con l'Associazione culturale Giuseppe Berto, con il Patrocinio del Comune di Mogliano Veneto e il contributo della CGIA di Mestre, main sponsor, e del Colorificio San Marco.
IL PREMIO LETTERARIO GIUSEPPE BERTO
Il Premio Letterario Giuseppe Berto per un'opera prima di narrativa è sorto nel 1988, su iniziativa di un gruppo di amici ed estimatori, critici illustri come Giancarlo Vigorelli, Michel David, Cesare De Michelis, scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati.
Scopo del Premio era ricordare e riproporre il nome e l'opera di uno scrittore che, nonostante i suoi grandi successi, è stato troppo spesso trascurato da una certa critica ufficiale a causa del suo straordinario anticonformismo.
Il Premio era riservato ad opere prime.
Il Premio è stato gestito per 22 edizioni dal 1988 al 2010, con una pausa nel 1994, dalle amministrazioni comunali di Mogliano Veneto, dove Berto era nato, e di Ricadi, in Calabria, dove lo scrittore aveva eletto la sua residenza e dove è sepolto. Le due cittadine ospitavano ad anni alterni la cerimonia di premiazione.
Nel 2011 a fronte di difficoltà economiche e organizzative il Premio ha subito una sospensione."