Patrick
Modiano- Se perdo te non perdo te
Dora Bruder
Scomparsa
due volte. 31 dicembre 1941 e morta ad Auschwitz nel 1944
Modiano
racconta l’orrore raccontando se stesso, il suo rapporto vuoto con genitore, il
suo essere solo con la sua scrittura, i suoi occhi che vedono oltre le carte,
la burocrazia, il numero.
“Ci vuole
tempo per riportare alla luce ciò che è stato cancellato. Sussistono tracce in
alcuni registri e si ignora dove siano nascosti, quali custodi veglino su di
essi e se quei custodi accetteranno di mostrarli. Può anche darsi che ne
abbiano semplicemente dimenticato l’esistenza."
Si dice che
i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati.
Impronta, segno incavato o in rilievo. Per Dora Bruder e genitori, Modiano
dice: incavato.
“Ignorerò
per sempre come passava le giornate, dove si nascondeva, in compagnia di chi si
trovava durante l’inverno della sua prima fuga…
È il suo
segreto. Povero e prezioso segreto che i carnefici, le ordinanze, le autorità
d’occupazione, il Deposito, le caserme, i campi, la Storia, il tempo – tutto
ciò che insozza e involge – non sono riusciti a rubarle.”
Nella storia
dell’intolleranza e delle faide sociali, inutili, senza senso , ma
tremendamente sanguinose e feroci bisogna ricordare una semplice frase.
Del libro di
Jean Genet “ Il miracolo della rosa” Modiano cita questa“ Quel bambino mi
faceva capire che la vera sostanza dell’argot parigino è una mesta tenerezza”
riferita ora ai bambini che nascono in Italia da nazionalità diversa e parlano
italiano essendo stranieri, riferito a Dora, a tutti i bimbi ebrei, polacchi
oppure palestinesi, che parlavano e parlano con l’accento parigino usando
termini di argot di cui Genet sente mesta tenerezza.
Tenerezza
nel ricordare.
Dopo la
catastrofe dello sterminio, dei campi di concentramento, delle divisioni fra
razze, dei forni, degli esperimenti, del collettivo partecipare a riti di pulizia
etnica, dopo…
Tutto
cancellato nella Parigi disegnata dallo scrittore, i quartieri, i luoghi della
scomparsa di Dora, delle retate, dello smistamento.
“ Mi sono
detto che nessuno ricorda più niente. Dietro il muro si stendeva una no man’s land, una zona di vuoto e di
oblio…
Eppure sotto
quella spessa coltre di amnesia si sentiva qualcosa, di quando in quando,
un’eco lontano, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire
cosa, con precisione.
Era come
trovarsi all’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”
Tutto resta
fra le strade come un sussurro.
La
solitudine permette di ascoltare il fruscio dei suoni, delle parole di chi non
c’è più, la solitudine permette a sconosciuti di invadere i nostri pensieri e
dialogare con noi, oltre il tempo, oltre il sensibile, con un respiro.
Da cosa
scappava Dora, si chiede Modiano, parlando di lui, lui è Dora.
Che cosa ci
induce a scappare, oppure a nasconderci? Vediamo cosa scrive Modiano: “ Sembra
però che ciò che ci spinge a fuggire
d’improvviso sia un giorno di grigiore e di freddo che ci fa provare una
solitudine ancora più acuta è la sensazione di una morsa che si chiude”
Ora Modiano
dice una cosa che dico io, che diciamo tanti:” Come molti altri prima di me,
credo nelle coincidenze e talvolta a un dono di veggenza nei romanzieri… e la
parola dono non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di
superiorità. No, si tratta di qualcosa che fa parte del mestiere: gli sforzi di
immaginazione, necessari a questo mestiere, il bisogno di fissare la mente su
piccoli particolari…” questa tensione può suscitare fugaci intuizioni
concernenti fatti passati o futuri, come scrive il dizionario alla voce <
Veggenza>
E questo
pomeriggio di domenica, siamo di nuovo in inverno, il 25 gennaio del 2015,
passato con Dora Bruder, con Modiano, in una commozione di simili, di
appartenenza a fughe solitarie, di appartenere ai disegni della storia che ci
chiedono sempre una azione, ignorando noi il fine.
Un libro
grande nel suo essere vuoto di fatti e sull’abisso dove molti parteciparono per
annientare categorie, etnie, linguaggi, famiglie.
Un orrore
così grande che ci regalò altri settanta anni di pace. Terrorizzati.
Riusciremo
ancora a preservarci? L’augurio che mi faccio e che si saranno fatti al Nobel
consegnandolo nelle mani di Modiano.
E' vero, caro Patrick, il mondo dimentica tutto. Lo sappiamo bene. E anche tu lo sai, tant'è che, raccontando la breve e forse infelice storia di una ragazzina povera, nata in una famiglia povera ma ricca di amore, desiderosa di libertà e forse di ritrovare la sua umiliata condizione di donna, finita nella povertà e tra i soprusi di aguzzini, non riesci a suscitare in chi legge il minimo calore umano che il volto di Dora dovrebbe infondere. Tutto accade perché la storia tua e sua - confusa e incerta - cammina alla cieca in una città addomesticata al nazismo. E se non è addomesticata al nazismo - questo finito - è addomesticata a tuo padre. E se non è addomesticata a tuo padre è addomesticata a te con la piatta e monotona pedanteria di una ricerca che parte dal poco, incontra occasioni di umanità e sperde quel poco e le molte occasioni nella nebbia dei non ricordo. E adesso ho anche capito perché ti hanno assegnato il Nobel: perché il mondo non vuole ricordare, perché nessuno vuole più soffrire delle colpe che sente dentro di sé. E tu li aiuti a comprendere che la storia è storia, personale o collettiva che sia, che così doveva andare.
RispondiEliminaContinuo con la revisione delle mie poesie che non hanno, lo so bene, il valore artistico e morale della prosa tua, ma sono certamente il grido, forse troppo lagnoso, di un uomo che vorrebbe insegnare agli altri la libertà dal dolore attraverso la libertà dagli inganni.
Con amara stima.
Marcello Comitini
forse è proprio come tu ora hai scritto,infatti il mio commento fra le righe era simile. Marcello, ognuno racconta sé stesso, attraverso una filigrana che protegga.
RispondiEliminaLui mi ha sorpreso nel nulla, dici tu, io vi ho visto una rabbia trattenuta a stento dalla bravura nel raccontare.