I
Buddenbrook e il nuovo che avanza
Stamattina
mi svegliai con loro e mi ricordai come e perché tutti lessero I Buddenbrook.
Per
curiosità, per sapere cosa si celasse nella storia di una grande famiglia e
come fosse possibile che qualcuno lo raccontasse senza troppi infingimenti.
A Lubecca le
copie del libro andarono a ruba (per gli standard dell'epoca); tantissimo
infatti fu lo stupore e la curiosità derivante dal fatto che il figlio di un
senatore avesse scritto della propria famiglia, per di più in termini non
lusinghieri. Per la città giravano voci di come ogni personaggio del romanzo
avesse il suo corrispondente, il suo modello reale, tra i membri (presenti o
passati) della famiglia Mann.
Il coraggio
e l’incoscienza dei suoi ventisei anni.
Perché stamattina
mi rigiro questo romanzo spietato nella sua progressione, per dire una cosa
molto semplice, l’onestà intellettuale che spinge a dire almeno una parte di
verità.
L’elaborazione
letteraria permise a Mann di dirla tutta, chi non possiede il suo genio può
sempre tentare di dirla in parte.
Chiamo
disonestà intellettuale, invece, quell’atteggiamento comune fin troppo, di acquiescenza,
di asservimento al sentire comune che obnubila menti capaci.
Sul compito
degli intellettuali ho letto pagine e pagine, una sola rimane la pagina da
leggere. L’onestà.
Coloro che
posseggono studi e conoscenze e si mettono al servizio di situazioni infime
sono più disonesti di coloro che li assoldano.
Gli
intellettuali avrebbero la responsabilità di non imbrogliare, di squarciare il
velo, come Thomas Mann, e non di adulare e di appiattire giudizi sul nulla
della conversazione.
Se ha senso
avere studiato, usiamo questo senso.
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