Calendario nudo della Litweb 2014
Pezzi da web: corpo pensieri
Copyright © novembre 2013
Gennaio, Tutto quello che muta muta per sempre
Tutto quello che muta muta per sempre.
Ci sono dei cambiamenti irreversibili e mai più si ritroverà quella cosa mutata, mutata per sempre.
Cambiano nel tempo i nostri visi, la nostra pelle, i nostri sguardi.
Non tornano più la gioventù, la nostra mamma di nuovo quarantenne, il catechismo, le rondini in volo sul giardino scomparso, non tornano più quei giorni perduti a rincorrere il vento…
Muta per sempre il nostro umore insieme ai dolori articolari, muta per sempre il nostro entusiasmo vedendo passare inutilmente i mesi e gli anni, in silenzio perfetto.
Muta anche il tempo e la stagione, mutano sempre tutte le mode e non è vero che poi ritornano, niente ritorna e tutto muta, lasciando solo una scia, una bava, un risentimento o una gioia lieve.
Beati coloro che in questo mutare possono ancora poter conservare un affetto, un sorriso, una stretta di mano,
possono ancora poter contare su una stima, un rispetto, una risata.
Beati coloro che possono guardare ancora con fiducia il salumaio, il proprio vicino, il proprio cane.
I nuovi beati, in questo mutare, sono pochi, pochissimi, forse nessuno, ma ci illudiamo di essere in tanti e di essere tutti sempre più in gamba, sempre più forti, sempre più in alto, gonfiando e gonfiando il nostro ego davanti una specchio che non rifrange.
Cambiato è infatti lo specchio dei nostri tempi, uno specchio illusorio e televisivo, uno specchio soltanto computerizzato che ci rimanda immagini senza.
Senza più un solo ricordo, senza più impegno, ma solo saltelli, seni rifatti e labbra a canotto, fucili e omicidi senza ragione, violenza gratuita e amore erotissimo, senza nemmeno conoscersi un po’.
Ma tutto muta, muterà anche questo e mai più niente ritornerà all’alba di un nuovo anno
Un anno che muterà tutto
Perché la speranza rimane immutata di farcela ancora stavolta al destino, di andarcene via senza fardelli, senza sporcarci e in un solo momento.
Di andare felici per strade e per campi, di respirare l’odore del mare, di rincorrere farfalle e coccinelle all’alba rosea di un divenire
Di volare e volare nel cielo più blu tenendo stretto per una mano un figlio, un amore, un amico perfetto, tutto quel mondo che avremmo voluto e che è mutato mutando con noi.
Mutatismutandis - cambiare le cose che devono essere cambiate, dicevano i latini, ma non siamo sempre noi a cambiare le cose, spesso sono le cose a cambiare noi.
Brindiamo felici al nuovo anno, leggeri e oramai consapevoli che un altro anno ormai passerà e tutto muta e mai più tornerà.
Sarà un anno bellissimo e fortunatissimo, sarà un anno diverso perché anche noi siamo diversi, diversi da ieri e da tutti gli altri anni che abbiamo aspettato col calice in mano.
Evviva il nostro anno, evviva noi, evviva un anno che ci porterà.. tutto quello che muta nel nostro sentire.
Febbraio, Maschere vere e maschere finte
Carnevale di Venezia anni Ottanta
Ero io?
Sicuramente.
Unica e sola volta truccata e partecipe con gruppo di francesi al carnevale più bello che ci sia... non ne conosco altri, sono sempre per esperienze uniche.
Un fotografo americano ci fotografò, ci disse che... in inglese, ce lo disse, e poi noi lo ospitammo a dormire nel nostro ostello...
Le maschere per davvero.
Leggo stamani, leggo tanti, leggo e rileggo e porto insieme, portiamo insieme pezzi di uno pezzi dell'altro e meravigliata- poco- leggo che in un altro blog- Il primo amore- è il titolo-Antonio Moresco- Camminatori e sognatori- cammina e cammina per tutta l'Italia e mentre cammina e mentre scrive - Ma guarda?-scrive gli stessi pensieri che ho - scrive di Moccia- così come me- scrive del salone del libro di Torino- così come penso anche io.
Leggo Notte di cielo stellato- Omaggio a Vincent Van Gogh- di Bruno Corino e sono in Olanda e sono lontana con lui, col pittore, deluso e incompreso, con i suoi fantasmi, con le sue immagini che sembrano ora le nostre immagini, i nostri pensieri,
Ora lo sembrano, allora nessuno…
Che bello pensare che gli stessi pensieri li abbiamo in tanti
Che bello pensare che esistono Luca Bersani, Stefania Tolari e Bruno Corino
Che bello pensare che esistono ancora persone gentili educate e vere
che amano scrivere leggere e raccontare
il sogno, lo scarto, la differenza
fra noi e l'altro
fra tutti noi
la differenza che ci rende uguali donandoci insieme l'unicità
Marzo, Il sangue del fanciullo - Dino Campana
A casa mia non veniva nessuno, c’era però il salotto che veniva aperto quando parenti lontani passavano a salutare nei loro giorni di vacanze al sud.
Il salotto era in fondo al corridoio, soffitti alti e pomello bianco madreperlaceo alla porta liberty, ampia stanza con balcone, giardino della chiesa barocca accanto.
I parenti erano accolti con sorrisi, fatti accomodare e, preparato il caffè, mi chiamavano.
“Vieni a salutare lo zio, la zia, i cugini, vieni”.
Stavo nascosta fra i muri spessi di una casa antica, fredda e buia, stavo in silenzio sbuffante e non andavo, non subito almeno.
I richiami continuavano, qualcuno veniva a cercarmi, poi smettevano ed io, educatamente, apparivo sulla soglia ai parenti ormai in viaggio, nei saluti, sulle scale
Eppure ho avuto un affetto intenso per i miei, e ho sempre dato il nome timidezza al mio fare.
Non ero scontrosa come apparivo.
Neppure Dino Campana, sicuramente, lo era.
Quale insignificante momento della nostra infanzia ci segna il percorso che poi faremo?
Quale richiamo, quale frase ferisce inguaribilmente l’anima, e cancerosa poi fa metastasi nel nostro agire?
Non lo sapremo mai, anche ora che scaviamo e scaviamo, parlando con psicologi e psicoanalisti, terapeuti e amici, ormai tutti in possesso di conoscenze Junghiane, di testi su sogni e su associazioni, di sedute di gruppo e parliamo e parliamo.
Campana scappava nei boschi, io cammino di lato, Campana , beh ora, ora suppongo avrebbe continuato a vivere strano, magari scrivendo per scherzo o davvero su un foglio bianco di un tablet, di un cellulare.
Ripenso che siamo veramente fortunati noi figli di un’epoca nuova, senza catene, senza legami, senza detenzione coatta se scriviamo, se cerchiamo ancora quel solo motivo che dall’infanzia ci portò al domani.
Campana ricorda un verso di Whitman…essi erano tutti stracciati e coperti con il sangue del fanciullo…lo scandalo della vita che si cerca ancora di negare; la sua vita, ovviamente, orridamente scempiata dai familiari, dai vicini, dai concittadini.
A lui non comprarono nemmeno un pc
Noi, privilegiati, abbiamo incontrato sul nostro vissuto Joan Baez e Dylan, i Rokes e Lucio Battisti e l’infanzia ci aspetta, non ci fa paura.
Una adolescenza da padroni del mondo- una adolescenza lottante urlante caparbia e impegnata ci prese per mano
Noi abbiamo incontrato dopo quel bosco dell' infanzia l' entusiasmo e musiche e cinema , teatro e parole e…
Ormai in quel salotto saremmo stati i primi ad entrare, a porger la mano, a chiacchierare, noi, noi che ritorneremo indietro solo per la rincorsa.. come gli atleti
Aprile, Dopo una vita di onorato silenzio
Dopo una vita di onorato silenzio mi trovo a parlare soltanto sui tasti
Superando per pochi momenti il pudore e la vergogna di tacere un sapere
Intimo amato come se fosse un amante.
Mettendo in piazza i miei amici fraterni, i libri, gli autori, i miei film, le canzoni.
I pittori, gli artisti, il teatro e le scene, gli atti salienti del mio vissuto.
Mi sembra di averli traditi tutti per una gloria effimera, inutile, vuota
Per avere un click in più in un sito di autori anche loro in cerca di visibilità
Convinta di essere nell’Eldorado, nel giardino incantato del mio eden perduto
Non ho fatto caso a segnali e divieti, non ho fatto caso a meschinerie
ed a scaramucce per motivi irrisori.
Anzi di più, anche io supponente ho pensato di dare un contributo
Ingigantendo il chiacchiericcio con starnazzamenti da pennuti vari
Non accorgendomi che in un pollaio tutti polli e galline poi diventiamo
Non accorgendomi che in uno stagno come le rane poi tutti facciamo
Non accorgendomi che in un salotto buono solo di corna ci si trova a parlare
Ma è sempre così, dappertutto è così ed anche Margaret Atwood se lo chiede.
Smarrita:-Vuoi ancora attenzione?
Spogliati ad un semaforo nell’ora di punta, urla oscenità o uccidi qualcuno.-
Quegli studi, che noi coltiviamo, valgono più della capacità di vincere una gara di mangiatori di salsicce o di fare il giocoliere con sei piatti?
La civetta e il gatto qualche anno dopo … una poetessa canadese
Ed Elisabeth Bishop mi ricorda:- Esercitati a perdere di più, senza paura.
Luoghi, nomi, destinazioni di viaggio
Nessuna di queste perdite sarà mai una sciagura-
Ed io insieme a lei insieme a loro mi sono persa per ritrovarmi
Mi sono persa in una rete a maglie larghe larghissime
tanto da essere scivolata giù
Mi sono persa senza una torcia, senza una guida, scambiando le ombre per un Virgilio
Che mi accompagnasse fino all’uscita a rivedere di nuovo le stelle
Maggio, Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno
Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno - la nuova comunicazione dei sentimenti
Prima di arrendermi ho tentato con l’amica più vicina, ho cercato di interessarla a pensieri più intimi, ma lei, pur cara e composta, è sfuggita al profondo, e mi ha riportato al nipotino che cresce, al cane che le manca, all’altra amica distrutta.
D’accordo con lei ormai sono anch’io, d’accordo che ormai non si può più.
Magari il pensiero deve essere semplice, non deve annoiare, deve essere breve.
Un lampo.
Un twitter, e non abbiamo più amici ma followers.
Il pensiero breve.
Così abbiamo tutti, molti, abbassato la testa, piegati sui tasti,
sui quadrati di un tablet,
raccontiamo e pigiamo di storie dell’anima, dolori e sapori, gelati e ricordi, inserendo nei nostri profili immagini di infanzie lontane, fotografie di gite festanti, codazzi di amici che fanno vittoria con due dita alzate.
Vittoria, Vittoria.
Abbiamo vinto l’incomunicabilità.
Lo zio ci risponde malmostoso al telefono?
Io lo scrivo sul sito
Il figlio decide di non parlarci più?
Noi tutti possiamo confidarlo in Australia, ad Abu Dhabi.
Un marito ci tradisce con Petruska, ma cosa importa?
Possiamo sicuro saperlo perché abbiamo una rete che lavora per noi.
Una rete amica fatta di amici, di amici carissimi, di amici amici,
certo anche loro con i loro difetti
Spariscono, infatti, non sono mai gli stessi, non durano mai oltre tre giorni, per la regola aurea che… dopo tre giorni l’altro poi puzza.
Non esistono affatto questi nuovi amici, ma sono perfetti, finché tutto dura, finché
ancora valga per tutti l’insopprimibile bisogno di essere vivi, di avere bisogno di parlare e sfogarsi senza le inevitabili rotture dell’altro, senza dover sentire e raccogliere il vero sconforto di un prossimo vero.
Lo diciamo a tutti il nostro dolore così nessuno ci crederà, così nessuno ci sentirà, così come le donne africane urlavano e urlavano in una buca il dilaniamento di avere perduto
Noi lo urliamo nell’etere opaco del web
E diventa un gioco, diventa soltanto una fotina, un messaggino
Una mail
Un filmato
Un Url da trascinare, da saper ricopiare
Nella frammentazione dei rapporti retati
Nella immensa bugia di poter noi sconfiggere almeno una volta,
almeno ora, la nostra bellissima e solitaria malinconia
il nostro guscio di sensazioni, una prigione ma un universo,
da raccontare…a chi ci ascolta
Giugno, Culturannoiando si può
Culturannoiando si può
Cultura uguale noia
Molto bene molto bene.
Se è questo il manifesto dei nuovi futuristi del millennio appena iniziato
Se non passarono invano Balla e Marinetti
Se stiamo con Breton e i suoi collages, se abbiamo letto Barthes e i suoi frammenti
Come possiamo ora annoiarci all’alba del nuovo che avanza?
Una fatica pazzesca.
Eppure ce la mettono tutta, tutto il sapere, l’impegno, gli studi e a volte finanze, tempo e danaro, gli organizzatori, le associazioni, il comune, per darci il frutto del loro lavoro.
Una cultura deve essere fatta, così dicono nel manifesto, da tanti invitati che relazioneranno, dal politico o vescovo benedicente, dal critico premiato e onnisciente, da un pubblico plaudente e connivente.
Molto bene molto bene.
Spettacoli musicali, teatrali, artistici si susseguono, presentazioni su presentazioni dell’ennesimo libro, uguale preciso a quello di ieri, giornalisti solerti poi su carta stampata riportano il garbo, il calore e l’accoglienza degli spettatori in sala.
Molto bene molto bene se non fosse che, appena il teatro, la sala, il cortile sfolla, già si odono rumori di fondo sulla noia profonda di essere stati puniti ancora una volta.
Molto bene. L’ingenuità di credere che cultura sia leggerezza e colore, brevità e rapimento, stupore e sorriso, l’ingenuità è un peccato.
Scontiamolo dunque con tre Gloria al Padre, cinque Pater Noster, e sorbiamoci il luogo cultura del genio dei tempi.
Senza obiettare. Noi, spettatori, siamo nessuno. Noi siamo soltanto delle sedie occupate che servono tanto alla scenografia.
Ci sostituiranno nel tempo con manichini, con droni telecomandati.
Veramente lo hanno già fatto… culturalmente.
Luglio, Dalla surrealtà alla srealtà
Una comunità mandata fuori strada
Fra fossi e valloni
Le discese ardite e le risalite, su nel cielo aperto,e poi giù il deserto
una comune di popoli, senza più strade da percorrere, senza più cieli sopra noi,
e la legge morale di Kant non è più il cielo stellato perché noi siamo fuori strada, mille tir ci hanno affiancato, costretti ad una manovra pericolosa, ci siamo messi ai bordi
ma anche lì sono ripassati come bolidi Bmw Mercedes Ferrari una formula uno rumorosissima e i decibel sono aumentati
Sempre più frastornati, nella srealtà, usciamo timorosi dalle nostre autovetture ammaccate, con in mano una mappa sgualcita, ingiallita, con in mano una Lonely Planet, con in mano antichi sentieri che non esistono più.
Così vorrebbero farci credere quelli del soccorso stradale, ai quali noi ci rivolgiamo, per essere caricati e riportati sulla strada maestra.
-Ma dove siete? –Ci chiedono-
Nessuna mappa satellitare riesce a scorgervi, nessun collegamento, neppure un wireless
Ma dove siete?- continuano a chiederci.
Noi, intanto, camminiamo doloranti e zoppicanti, tenendoci stretta ogni tanto la fronte, toccandoci per essere sicuri di essere vivi, di avere ancora un solo sentire
Alziamo lo sguardo sul nostro cammino ed ancora una volta ripensiamo a chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo
E nel domandarci domande eterne, camminiamo e speriamo che quella srealtà, dove siamo finiti, possa essere per tutti più bella e più giusta di tutte le altre realtà che finora la sorte ci ha squadernato.
La sopravvivenza, il nostro istinto ci guida animale verso la tana, verso caverne e cimiteri, verso i Sepolcri di Foscolo ancora
Dal dì che nozze, tribunali ed are…con la pietà e con le idee, con tutta la nostra filosofia
Vera unica e sola certezza che sia
Dal dì che nozze e tribunali ed are
diedero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui,
dal dì che nozze tribunali ed are
sempre le idee ci hanno guidato
sempre le idee son stati un farsi di comunità
e
sempre l'idea
unica e sola
di avere bisogno uno degli altri,
anche nella srealtà ... fuori strada
Agosto, Fra due parentesi - La pietrificazione
Fra due parentesi – La pietrificazione
In una storiella un uomo mette davanti all’ingresso della sua dimora una pietra ogni qualvolta il suo vicino fa un’azione, secondo lui, riprovevole.
Alla fine della giornata, della settimana, in capo ad un mese, però, l’entrata di casa sua è completamente ostruita, murata per sempre da tutte le pietre che lui stesso ha sistemato per un fine diverso.
In un’altra storia un cane entra abbaiando ferocemente in una stanza con le pareti foderate di specchi
Il cane vede così davanti a lui abbaiare ferocemente cani e cani e inizia una lotta furibonda contro tutti gli urlanti, sbattendo i suoi denti, dimenando la coda, rompendo la testa contro tutti gli specchi, ed infine ferito a sangue si abbandona esanime e sconfitto sul pavimento, vedendo che tutti intorno a lui guaiscono flebili e anche loro sconfitti.
Secondo i saggi sarebbe bastato che il cane fosse entrato in quella stanza scodinzolante e avrebbe visto tutti felici venirgli incontro e lui soddisfatto avrebbe sentito soltanto il piacere di esser con loro.
Secondo i saggi anche l’uomo, invece dei sassi, avrebbe dovuto imparare a capire che ergersi a fustigatore, a grande maestro di ogni virtù, comporta avere la tolleranza, la dote che ha creato la civiltà.
I saggi così hanno detto
E con scuola, con chiesa, con libri in mano, da sempre poi tutti predichiamo
Con le canzoni un mondo migliore, con il teatro una catarsi, con i giornali e la politica
Il modo per non pietrificarci
E non restare in una foresta di pietra a guardare smarriti ed impotenti le nostre case vuote e malate
E il nostro paese desertificato.
E tutti insieme poi ci diciamo:-
Proviamo e proviamoci a non incupirci, a dare una mano, a conoscerci davvero, a rispondere umani e senza grugniti
- Proviamo a scollarci da un computer reale, strumento fatato, liberiamolo dal sortilegio che possa donarci la compagnia.-
L’utopia dei saggi è pensare che basta soltanto dimenare la coda per essere felici.
Certo va bene in una stanza di specchi, non va bene nelle nostre case, dove di specchi ci sono solo i nostri occhi, le nostre mani pietrificate dal nulla e dal niente quotidiano, dalla difficoltà di dire e parlare con gli esseri veri che sembri vedere.
Chi mai saranno queste donne, questi uomini, giovani o vecchi che stanno con te?
Nella foresta pietrificata nemmeno un sorriso ci basterà, nemmeno tutta la volontà di essere sempre con un fiore in mano, un grazie, un suono umano.
Chissà se possiamo, se mai potremo uscire da quelle parentesi tonde, incidentali, che chiudono per sempre la nostra vita in una proposizione che proprio non c’è
Una vera e dolente pietrificazione creata soltanto da un segno, parentesi aperta e parentesi chiusa, due segni di punteggiatura.
Settembre, Gli ombricoli del duemila
All’alba di una nuova civiltà si affacciano gli ombricoli in un mondo di ombre ombreggianti.
Timidi e nascosti, velati e nudi, della nudità della mente, nudi alla meta, si aggirano senza bussola e senza destinazione, incontrando senza incontrare altre ombre.
Voce di colui che grida nel deserto… anche loro, gli ombricoli, urlano la loro solitudine, la loro incapacità di essere felici, la loro terribile paura di dover sparire senza lasciare traccia, anche e soltanto un’orma del loro apparire nel mondo delle ombre.
Si agitano scomposti oppure rassegnati, cercano a tastoni nella nebbia delle ombre un viso, un suono, una corporeità che li rassicuri.
Si danno appuntamenti col nulla, con lo sconosciuto che non vedranno mai, si chiamano a gran voce ma il suono non raggiunge, il suono non si espande, rimane fermo lì, dove si è originato.
Scrivono a fiumi, concetti sopraffini che conservano ancora del mondo delle idee, della grotta antica dove un tempo abitarono gli antichi del cavernicolo degli anni novecento.
Quelli erano altri tempi, le guerre erano sangue, erano reportage su uno schermo bianco di comizi acclamanti, di folle oceaniche, di plauso ossequiante.
Ricordano le ombre, ricordano quel tempo gli ombricoli di ora, ed allora nel tempo senza età, nel tempo del digiuno, provano a ripetere di nuovo quel tempo che loro videro passare sulle pareti lisce di una televisione.
Sono sempre presenti, ora e sempre, sulla scena antica della rappresentazione a chiedere un perché, a chiedere ragione di tanta stupidità, di tanta infamità.
Non c’è però lo spazio, proprio perché è troppo, non c’è però l’ascolto, manca proprio il rimbalzo, l’eco, e nell’immensità noi siamo tutti uguali
Gli ombricoli di qua e gli ombricoli di là non fanno società, però scrivono, scrivono, scrivono … e poi nel buio più profondo vorrebbero sentire una voce soltanto.
La voce del silenzio, un mare di silenzio, un grande immenso mare che tutti poi nuotiamo, il mare della morte del secolo che fu.
Nel nuovo che c’è già voliamo e ritorniamo, senza quartieri, senza legami, e l’unico legame è una connessione che ci trasporterà nel mondo di domani
A rivedere le stelle
Perché anche gli ombricoli, nel loro vaneggiare, nel loro macchinare, nell’illusorio conservano stampato un cielo sopra loro, il cielo stellato sopra noi di Kant, la legge morale dentro e l’infelicità che è la misura del vivere fra esseri che rincorrono con caparbietà un mondo felice fatto di sorrisi, luce, suoni e fantasia.
Il mondo di domani paura non avrà, perché anche gli ombricoli una luce seguiranno, la luce della sopravvivenza della specie …
patrimonio dell’umanità!
Ottobre, Regina di un regno che non esiste - La Litweb
Già Fortini lo scriveva nel 1960-I luoghi dell’opinione e del gusto letterario sono stati sorpresi
nel giro di pochi anni dall’insorgere di forme per noi nuove dell’industria della cultura
che hanno mutato aspetto e funzione agli organi di mediazione fra scrittori e pubblico.-
All’apparir del vero tu misera cadesti…
la società letteraria all’apparire di internet si è erosa, oppure è esplosa,
e trasformata in pulviscolo è diventata una delle prime cause dell’inquinamento atmosferico.
La letteratura web, croce e delizia di tutti noi, utenti di un pc.
Nel 1993 Emanuele Trevi, nel suo Istruzioni per l’uso del lupo, lamenta la fissità marmorea e un po’ demente delle istituzioni.
Macchine sociali produttrici di consenso…noi cercavamo altro, abbiamo trovato internet, abbiamo il web.
Sarai regina e regnerai, le cose che tu sognerai diventeranno realtà- cantava Moustaki, un tempo lontano.
Perché non crederci?
Così anche io, a un anno a questa parte, pigio frenetica i tasti di un pc, iscrivendomi ai siti letterari, così è scritto su Google.
La Recherche, Neteditor, Alidicarta, Descrivendo, Altramusa…una infinità di siti dove, senza sbarramento, tutti possiamo iscriverci, tutti possiamo scrivere, tutti possiamo leggere e commentare.
Liberi tutti
Scriviamo tutti, molti, numerosissimi.
Scriviamo e scriviamo, poi litighiamo.
Le risse diventano furiose come in un salotto letterario vero,
per una virgola, per un commento,
per come e per quanto un romanzo possa chiamarsi romanzo.
Io, nel mio sito di allora, divento la pietra dello scandalo, io canticchio, faccio collage di canzoni, parole ed opere, di poesie, di film, un minestrone e i classici si impuntano, ne nasce un bellissimo dibattito e vengo incoronata regina della Litweb da dissidenti dell’ordine costituito.
Mi aprono un blog, mi invitano in un altro blog, divento una blogger e tutto si trasforma sotto il regno del nuovo millennio
Evviva questo mondo,
Evviva noi, in fondo siamo in tanti a crederci, però, una volta tanto vorrei che fossi tu a dirmelo, lo sai.
Tu… che non ci credi veri,
tu che non ci leggi mai,
tu, editore, scrittore,
tu giornalismo di prestigio,
tu premio letterario,
tu Università
il tu tu tu tu sempre occupato, una linea intasata da tante richieste.
Ma noi leggiamo e scriviamo, poi litighiamo, senza stancarci, senza annoiarci, perché nel regno della Litweb non tramonta mai il sole, come potrebbe?
Manca il cielo in questo regno, a dir la verità manca anche la terra
Novembre, Cosa è successo che ci ha sbarrato la strada?
Aver cinquanta anni, sessanta e poi oltre è un tempo per noi di nuovo guardare.
Cinquanta o sessanta e possiamo dire- noi c'eravamo-
C'eravamo quando l'uomo andò sulla luna, quando uccisero Kennedy, quando il televisore si accendeva solo per il telegiornale.
C'eravamo quando le nostre mamme stavano a casa, le nostre nonne ci tenevano in braccio e i nostri papà partivano all'alba ritornavano al tramonto e noi bimbi gli davamo il bacio andandogli incontro.
C'eravamo ubbidienti seduti ad un tavolo, in tanti, a mangiare lo stesso cibo, a chiacchierare e ad ascoltare il nonno che riportava un aneddoto, un fatto strano.
Guardiamo affettuosi il tempo che fu, un tempo ormai storia di tanti, di molti, un luogo dal quale noi abbiamo preso lo slancio... di corsa
Lo studio, la laurea, l'insegnamento, il fermo proposito che l'autonomia, la stima e l'impegno sarebbero serviti a forgiare quel nuovo modello di relazione che ci sembrava il vessillo della felicità.
Cinquanta o sessanta sono tempi di bilanci, per molti quella bilancia sembra che non abbia nulla più da pesare, un peso inconsistente, un peso da niente.
Ed ora ci chiediamo:-Cosa è successo che ci ha sbarrato la strada?-
C'eravamo un tempo e poi siamo spariti per venti, per trenta, per quaranta anni e all'improvviso ci ritroviamo in età adulta a ribaltare il nostro motore su una infanzia che ci corre incontro.
Epimenide dormì cinquantasette anni, poi si risvegliò e si stupì.
Sarà questo il miracolo, il dono di un pensiero informe che ogni mattina ancora si chiede:-Chissà come mi formerò?- Che forma mi regalerò per guardarmi ancora con indulgenza?-
Risposta non c'è ma forse chissà perduta nel vento sarà...
La storia risponderà
non ora
non subito
e noi non sapremo mai cosa lei ci dirà.
Resta intatto il nostro stupore.
Dicembre, Scollo tutto - Il nostro scollamento quotidiano
Facciamo piano, vien via anche la pelle…
Togliamo con delicatezza i nostri sogni cretini, il nostro guardare fiduciosi, il nostro tendere al nessuno.
Facciamo piano, pianissimo.
In fondo ci siamo inventato tutto.
Vero è forse questo nostro andare al cinema e al teatro?
Sempre meglio che niente.
Vero è sentire i suoni e le frasi articolate di gente che ti somiglia?
Ha capelli, un naso, ed una bocca, sicuramente ti appartiene.
Vero è forse andare in un supermercato, riempire un carrello, pagare e andare via?
Aprire le bollette, guardarle con sospetto e poi dimenticare, tanto sono accreditate in banca o alla posta, ci penseranno loro a stornare dal nostro conto corrente ed ad evadere il totale.
Vero è il nostro immobile sostare davanti un televisore, chini sui tasti di un cellulare, oppure semplicemente seduti ai tavoli di un bar?
Guardare passare il mondo leggero davanti a noi che osserviamo increduli la fretta dei gitanti, delle persone stanche, dei rari e ancora presenti bimbi di una epoca invecchiata.
Ci siamo inventato tutto.
La maternità adorante e l’affetto dei figli
La fedeltà e i valori coniugali, familiari, i valori valorizzanti da spalmare sulla pelle come una crema
Per una abbronzatura più nera, più brillante
Ci siamo inventati i ricordi, le amiche e poi gli amori, i legami e le convenienze, per darci un tono, per sentirci grandi
Ci siamo inventati la politica, gli ideali, la religione e la cultura, le arti e la disciplina, ci siamo inventati il vivere civile
Ed adesso, adesso proviamo a scollarci tutto
Piano piano
Per non togliere la pelle…
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