Il carcere e la cuccia, pezzo del 2011
Quelle unioni chiamate matrimonio
La bugia come finzione in due
La vedo palpabile sul viso di una lei, che ingurgitando corna su corna manifeste, coram populo, diventa malvagità e malizia nei confronti di altra donna, solitaria e sorridente.
Ucciderebbe l’altra, la sporcherebbe, per il solo motivo che l’altra le ricorda quello che lei non saprebbe mai essere. Libera.
Carcere e cuccia i matrimoni di molti, per esseri infelici e teatranti, un tirare a campare con obblighi e appuntamenti. I vostri raduni ai matrimoni altrui, della zia, della cugina, del vostro mondo mondano. I battesimi e le comunioni, le feste di laurea, i compleanni, poi la sfilata forse ci sta.
Al braccio portate un vostro ninnolo, marito o moglie, per l’occasione, lui intanto sacramenta oppure occhieggia, l’altra vorrebbe essere lontana da lì.
Chissà perché poi si chiami tutto questo-Stare insieme-
Vite tagliate- scrive Maria Gabriella De Santis, vite bugiarde, che tradiscono certo perché è umano tradire, nessuno può stare per sempre immobile su un sentimento che è movimento, su un desiderio che padroni non ha.
Vite tagliate con un coltello che mozzi la testa e il pensiero, che scolleghi per sempre il vero dal falso, che uccida quella fiducia che in noi sta.
Carcere e cuccia diventa una casa, dovere e peso sono i figli, da coccolare e da torturare, per fare scontare proprio ai più piccoli di esser la causa della prigionia.
Vite tagliate vissute osservando con vera malvagità chi si ritaglia in solitudine un vero momento di libertà. Quella verità che il tradimento mai vi darà.
Ippolita luzzo
Pezzi dal passato
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