mercoledì 20 novembre 2019

Giovanna Villella mi presenta all’Uniter " Basta poco per sentirsi soli" di Grazia Cherchi


Giovanna Villella al leggio dell'Uniter in 
Ippolita Luzzo, ritratto di donna non convenzionale 2
Già lo scorso anno ebbi a delineare un suo ritratto di donna non convenzionale sotto forma di divertissement.
Tuttavia, questa sera vorrei soffermarmi su alcuni concetti che servono a delinearne il profilo in modo più intimo.
Ho già avuto modo di dire che Ippolita è donna fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta. Mossa da una curiositas irrefrenabile che investe ogni campo dello scibile umano, sotto quella sua aria svagata si cela un’osservatrice acuta e attenta.
Ma è anche donna docilmente ribelle. E uso questo ossimoro perché la sua disobbedienza alle convenzioni sociali, espressa magnificamente in quel “Manifesto alla libertà” intitolato Io non sono una donna del Sud e contenuto nel suo ultimo libro Pezzi, si palesa fisicamente con sudorazione, mal di stomaco, continuo accavallare e scavallare le gambe fino al suo silenzioso defilarsi ma non si traduce mai in parole che possano ferire o umiliare gli altri. Nemica della volgarità in ogni sua forma o manifestazione, il massimo del suo disprezzo si compendia in una stringa “Quello è un cretino” declinata, quando necessario, anche al femminile. Non adusa a blandire o a compiacere, preferisce tacere.
Ricordo l’imbarazzo di certuni quando bisognava aggiungere un titolo accanto al suo nome “blogger”? E che cos’è? “professoressa”? Ah già tu “eri” una professoressa... Ma perché una volta che non si insegna più non si rimane professori? Oppure lo si deve considerare “usurpazione di titolo accademico? I “maestri” rimangono maestri, anche se cattivi... i senatori restano senatori e i professori ? Sono sempre professori... O ancora “critico letterario”. Critico letterario? “Ma perché, tu scrivi su Repubblica?”. Le chiese un giorno un sedicente scrittore lametino al quale aveva osato rivolgere una osservazione sul suo ultimo romanzo.
La sua risposta? Un sorriso.
Eppure ha vinto tanti premi: nel 2013, a Cropani, ha vinto il Premio Parole erranti nell’ambito dei Poeti a duello, X Festivaletteratura della Calabria.
Nel 2016 ha vinto il concorso “Blog e circoli letterari” indetto da RadioLibri nell’ambito di Più Libri Più Liberi al palazzo dei Congressi a Roma.
Dal 2017 fa parte della Giuria del Premio Brancati.
Nel 2018 ha vinto il Premio Comisso 15righe dedicato alle migliori recensioni dei libri finalisti.
Il suo blog è stato inserito dal sito Correzione di Bozze Wordpress fra i Lit- blog e le riviste online nazionali che si occupano di letteratura.
Concede e pubblica interviste su radio nazionali.

E il suo regno della Litweb, la sua finestra sul mondo, è uno spazio privilegiato dove si ritrova il meglio della produzione letteraria italiana indipendente grazie alla sua rete di relazioni che è riuscita a costruire con case editrici, scrittori, critici senza sponsorizzazioni, senza raccomandazioni e senza fondi ma in virtù della sua scrittura intelligente, onesta, lucida e graffiante.
Tuttavia nel nostro “paesello”, fatte le dovute eccezioni, non è sufficiente aver ottenuto dei riconoscimenti nazionali per essere presi in considerazione. Al massimo si può avere la fortuna di diventare un “esperimento antropologico”. Le donne di cultura sono altre e con ben altro appeal...
Però, se a Lamezia abbiamo potuto avere il piacere di incontrare autori di alto profilo lo dobbiamo a Lei che in un mondo cinico e autoreferenziale ha saputo trasformare l’universo social in universo sociale, la virtualità in realtà, il contatto in amicizia e ospitalità.
Il suo regno della Litweb è un regno di pace
"A dispetto di quel che credono in molti, la nonviolenza è un mezzo efficace e una pratica attualissima. Un rifiuto attivo, che si realizza in una proposta filosofica funzionale al cambiamento sociale..." Scrive sul suo profilo personale
“Mettete un fiore nei vostri cannoni” dunque, come cantavano i Giganti negli anni ’60.
Perché Ippolita è una donna generosa che sa gioire dei successi di coloro verso i quali prova affetto e stima. Il suo candore la porta spesso a innamorarsi delle persone, - “Credo negli esseri umani” cantava Marco Mengoni qualche anno fa - e se qualcuno le piace particolarmente acquisisce l’appellativo di “angioletto” salvo a rivelare, poi, la propria natura luciferina. Dopo i primi momenti di delusione e di sgomento, però, il suo metabolismo interiore ha la capacità di lasciar decantare le sgarberie che riceve e trasformarle in gentilezze. Non dimentica, ma non cova rancore e ha la rara capacità di sublimare le scortesie in fantasie letterarie che diventano esilaranti sferzate al nostro vivere quotidiano.
Ogni 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza per ricordare che la gentilezza è contagiosa e ci aiuta a vivere meglio nella società. Essa viene dal cuore: è spontanea, disinteressata e accogliente, mentre la cortesia è formale e esteriore
Gentilezza, parola ormai rivoluzionaria e sottoutilizzata al pari di bontà, bellezza, felicità...
Parole che Ippolita ha il coraggio di usare, grazie all'intelligenza del cuore.

E concludo con una poesia di Angelo Maria Ripellino
“Come un pupazzo di Schlemmer” che ben si attaglia all'anima di Ippolita e di tutti coloro che, nonostante tutto, vogliono restare umani.
 Non ho mai detto d’essere solo
 come un pupazzo di Schlemmer.
 Le case come vecchine
 coi fazzoletti delle persiane sugli occhi
 mi ripetono sempre parole cordiali.
 Non ho mai detto di soffrire
 come un pezzo i legno sotto una pialla.
 Ma le stelle sempre si nascondono,
 quando cerco un briciolo di luce.
 Non ho mai detto d’essere triste
 come una bottiglia vuota,
 perché so già da tempo
 che l’acqua svanisce dalle fontane,
 quando ho bisogno di bere.
 Non ho mai detto d’essere felice
 come una spalliera di peone,
 perché non so catturare la gioia,
 che mi sfiora talvolta con piume di cigno.
 Non ho mai detto nulla, ma ciascuno
 comprende che adoro la vita.
Giovanna Villella
 Uniter 20.11.2019
 
Ippolita Luzzo con Teodolinda Coltellaro, critico d'arte, e Giovanna Villella, critico teatrale
Ippolita Luzzo con Costanza Falvod'urso, Presidente dell'Uniter, e Giovanna Villella


mercoledì 6 novembre 2019

Intervista ad Andrea Di Consoli


“MI DEPRIME L’ITALIETTA DEL POSTO FISSO, DELLE FALSE CERTEZZE, DEI RITI COMPIUTI PER NON PENSARE, PER NON METTERSI IN GIOCO, PER NON RISCHIARE NULLA”. DIALOGO CON ANDREA DI CONSOLI
Posted On Ottobre 11, 2019, 8:02 
Ippolita Luzzo intercetta Andrea Di Consoli sul treno Roma-Genova. Dalla Stazione Termini con la canzone di Jannacci in testa Prendeva il treno “Prendeva il treno per non essere da meno Prendeva il treno per sembrare un gran signor”. Viaggiando con Andrea, già autore di libri importanti (per Rizzoli ha pubblicato, tra l’altro, La curva della notte e La collera) ci smarriamo nel Diario dello smarrimento (Inshibboleth Edizioni, 2019), ultima sua confessione intima, che ci riporta ad una stazione come casa. Alla nostalgia di casa. Dice infatti Andrea di sentirsi a casa alla Stazione Termini sin da quando arrivò a Roma nel 1996 e a lui ora chiedo quasi fermandolo sui binari “Ma la casa vera dov’è? Cos’è la casa?”.

Andrea Di Consoli: “La casa è la pace. Ma cosa significa ‘sentirsi a casa’? Non credo di saperlo, non credo di averci mai ragionato a fondo. Nella mia vita ho cambiato tante case. Ma il concetto di ‘casa’ è legato esclusivamente al manufatto che siamo soliti, appunto, chiamare casa? Tuttavia il manufatto è importante, è cruciale, nessuno può negarlo. Per tanti la casa è rifugio, sicurezza, pace. Per altri è prigione, costrizione gabbia. Non so esattamente dove sia casa, per me. Anche perché non ce l’ho. Vivo da sempre in affitto. E la casa in Basilicata, a Rotonda, non è mia, ma dei miei genitori. In ogni caso, non mi sento a casa da nessuna parte. Anzi no, voglio dirla meglio: a volte mi sento a casa a Roma, a volte a Rotonda, a volte a Napoli, a casa della mia compagna. E questa pace ha a che fare con qualcosa di interiore, di psicologico. Il tema è enorme, e non so metterlo bene a fuoco. Forse l’unica certezza che ho sull’argomento è che vorrò essere seppellito a Rotonda, quel giorno. Di questo sono davvero certo. Per il resto, chissà se avrò mai una casa su questa terra dove, appunto, sentirmi in pace, al sicuro. Sinora la pace e la sicurezza li ho vissuti per degli attimi, ma mai interamente, e questo mi pesa, anche perché sento che le forze di un tempo stanno venendo meno, e il nomadismo richiede una grande energia fisica”.

Ippolita Luzzo: Io mi sono sentita molto a casa nel tuo libro, nei tuoi pensieri. Considerando la casa il nostro corpo, la nostra mente, i nostri abiti e ciò che abbiamo nelle tasche, noi siamo come le lumache e ci portiamo dietro chi abbiamo fatto entrare. Leggendoti, mi sembra di conoscerti da sempre e di conoscere con te persone che io non ho incontrato ma che fanno ormai da anni parte della mia casa. Tu ricordi Rocco Carbone, da me conosciuto per un delizioso articolo di Romana Petri, sua cara amica. Da allora Rocco quasi sta come presenza amicale qui da me, con i suoi libri. Questa è la grande potenza della letteratura, riuscire a dire e a dare oltre il tempo contingente. Riuscire a farci smarrire però facendoci ritrovare, vero?

Andrea Di Consoli: “Questo vale finché c’è la vita. Finché la vita è sopportabile, decifrabile. Poi vi sono dei momenti in cui purtroppo il buio del dolore non fa più apprezzare niente, tanto che le parole, in quelle circostanze, sono solo chiacchiere. La letteratura è un luogo caldo, fraterno. Ma solo finché c’è la vita, cioè finché la vita è sopportabile. Perdersi, ritrovarsi… A volte mi chiedo cosa ci abbia condotto sin qui, sino a questa scellerata convinzione che possa esistere un ordine, una sicurezza, una normalità. La gente è dilaniata da paure, insicurezze, paranoie, violenze di tutti i tipi, eppure se ti guardi intorno vedi tanta gente che si convince di un ordine assurdo, illusorio, certamente umano, ma ipocrita. Quando mi chiedono perché amo la globalizzazione e le grandi migrazioni io rispondo sempre perché mi deprime l’Italietta del posto fisso, delle false certezze, delle piccole cose di pessimo gusto, dei riti compiuti per non pensare, per non mettersi in gioco, per non rischiare nulla. Perdersi non è la malattia: la malattia è clinicizzare tutto. Considerare matto chi sta nella verità dello smarrimento, del fuoco, della paura, della Wanderung“.

Ippolita Luzzo: “Nella verità dello smarrimento” troviamo momenti individuali, l’individuo solo senza connessioni, l’individuo alle prese con i figli da crescere, con il lavoro precario e con un tessuto sociale sempre più sfilacciato. E l’individuo nella storia dei cambiamenti sociali ed epocali. Tu hai scritto diversi saggi sulle condizioni nel Mezzogiorno. Condizioni di potere uguali dappertutto. Se pensiamo che nel 1500 durante la signoria dei Medici si tenevano banchetti pubblici. I nobili mangiavano e il popolo assisteva allo spettacolo. Restava per il popolo lo spettacolo rutilante delle portate e i profumi di esotiche vivande e fra loro, fra i poveri, si litigava per i resti, per cosa cadeva dal tavolo. In uno dei tuoi frammenti ci porti a Rotonda dove comandavano quattro famiglie. Bisognava portare doni e riverire. Tu ci dici che si bussava alle porte dei potenti coi piedi perché le mani erano ricolme di doni. La sottomissione di chi aveva bisogno era umiliante. Poi è sembrato per un periodo che ci fosse la possibilità di sconfiggere per sempre l’umiliazione imposta dal forte sul debole con la scuola, con la Costituzione. Vorremmo ancora crederci, anzi invitiamo i nostri figli a crederci quasi come un mantra. Ed è questa una delle altre case che ci appartiene, vero? La scuola, il sapere…

Andrea Di Consoli: “Sì, ma la cosa più umiliante per noi è constatare che la contestazione delle classi subalterne avviene proprio sul terreno del sapere, considerato come luogo del privilegio, delle élite. Trovo assurdo disprezzare il sapere solo perché le classi dominanti, giustamente, amano sapere, sanno. Mi sembra un autolesionismo assurdo, incredibile. Ma il sapere non è solo uno strumento socio-economico di emancipazione, bensì un allargamento spirituale, che rende più vita la vita, più reale la realtà, più complesse le cose che, troppo spesso, ci sembrano facili per ignoranza, superficialità. Tuttavia, qualcosa della mentalità piccolo-borghese rispetto al sapere va scardinata. Quell’idea della laurea, del concorso pubblico, del posto fisso, la casa al mare, ecc. Quell’idea così angusta e svilita del sapere che ha reso il Sud Italia un deserto abitato da ex aristocratici, da impiegati pubblici e da un lumpenproletariat 2.0. Il sapere emancipa non soltanto da difficili condizioni socio-economiche, ma anche dalla grettezza di chi difende il proprio orto senza pensare al mondo, senza pensare all’infinito”.

Ippolita Luzzo: C’è stato un vero attacco, hai ragione, a chi ha studiato, a chi possiede una laurea, ed è pur vero che si dovrà ricominciare a ripensare al valore dello studio come forza e non come potenza. E ritornando alle case ideali dove noi abitiamo risento quel tuo “messaggio in bottiglia” che poi tu dici di essere la più atroce delle storie letterarie, da lì io vorrei riprendere idealmente il treno di quel personaggio di Jannacci, il treno di “Prendeva il treno” e con un tuo pezzo ritornare all’amore “La vastità desertica del terreno amoroso, la complessità dei legami tra due individui, che sono come due galassie solitarie destinate a incontrarsi e condannate a collidere. Con la più grande illusione che è la facilità dell’aggancio sensoriale. Quando due persone adulte si incontrano sono sempre diversi i motivi per cui due persone si ritrovano in quel territorio in apparenza stretto, in realtà larghissimo, che è l’amore”. Una delle case più care a tutti noi è la casa dell’amore. Nel Regno Della Litweb indubbiamente noi stiamo tutti con te, Andrea. Con te e con Jannacci “E prende il treno per non essere da meno, E piange e ride per quel grande, assurdo amor!”.  Messaggi in bottiglia dal “Diario dello smarrimento”.
Ippolita Luzzo
http://www.pangea.news/andrea-di-consoli-intervista-ippolita-luzzo

Intervista a Francesco Musolino

“SCRIVERE È FRONTEGGIARE IL DOLORE, È UNA CHIAMATA ALLE ARMI”: IPPOLITA LUZZO INTERVISTA FRANCESCO MUSOLINO, SCRITTORE “BIBLICO”
Posted On Ottobre 01, 2019, 10:14 

Ippolita Luzzo, da afona, senza voce, intervista Francesco Musolino, sotto la pioggia di Messina. L’attimo prima (Rizzoli, 2019), il libro di esordio di Francesco ha due capitoli da me amatissimi; il sette e l’otto. Si narra di una favolistica pioggia in Sicilia, una pioggia continua, senza sosta “gli agrumeti siciliani sferzati dalle piogge incessanti, Taormina invasa dall’acqua, Catania e Palermo che vomitavano traffico, con le auto impazzite e clacson a tutto spiano… I giorni passavano ed il maltempo continuava senza tregua a Messina, allagando le strade e trascinando sacchetti di spazzatura a zonzo”. Il diluvio universale siciliano raccontato da Francesco Musolino! Ad un certo punto arriva il terremoto e scrivi: “Ho visto il palazzo da fuori spaccarsi in due, sgretolarsi come un cracker”. Caro Francesco, vorrei iniziare da qui questa nostra conversazione per fare amare ai lettori L’attimo prima, il tuo libro di esordio da poco arrivato nelle librerie e già presentato e amato in moltissime rassegne letterarie. La prima domanda è forse la più strana. Sei consapevole di essere uno scrittore biblico?

Francesco Musolino:“Oddio Ippolita, non ci avevo pensato, come prima domanda partiamo con il botto! Ma la Sicilia è femmina, bellissima e spigolosa, mi ha ispirato quelle pagine con la sua forza e la sua natura talvolta crudele, piena di contrasti. Ricordi che qualche mese fa nevicava sui fichi d’India? Beh, dove può accadere se non in Sicilia?”.

Ippolita Luzzo: “La neve in Sicilia era un ossimoro, uno scontro culturale, un miraggio” e poi così come erano giunte, la perturbazione atlantica e la sciabolata siberiana scivolarono via…  la natura fece pace e io quasi vedo la colomba che porta il ramoscello d’ulivo! Ed adesso passiamo agli insetti! Come le calamità del passato. Leggendo su come l’uomo sia qualcosa di piccolissimo nella natura. Tu nel libro ci ricordi la teoria di Justin Orvel Schmidt. Una teoria sulla scala del dolore. E sulla “formica proiettile” la “Paraponera clavata” il suo morso è come camminare sui carboni ardenti: altro che Tarantino e la pistola lanciafiamme… Un dolore brillante! Quindi noi esseri umani in balia degli eventi atmosferici e del morso delle formiche proiettili quanto possiamo fronteggiare gli eventi? Te lo chiedo perché è un po’ il filo conduttore del tuo libro. Quanto e come può un uomo fronteggiare quel momento in cui tutto cambia per sempre?

Francesco Musolino: “Intanto complimenti per la tua lettura! È la prima volta che la classifica di Schmidt salta fuori in una chiacchierata sul libro. Mi ha affascinato, la trovo meravigliosamente folle. Serve a chiarire il fatto che noi abbiamo sempre bisogno delle parole per prendere le misure e pur parlando di dolore, siamo quasi costretti a razionalizzare per provare a comprenderne la portata. E allora, quanto dolore sente Lorenzo ne L’attimo prima? Più o meno della prima rottura in amore? E quando ci si spezza il cuore come lo si può riparare? Fronteggiare il dolore, affrontare l’attimo dopo, quando tutto è cambiato è il cuore del libro. La risposta? Ciascuno cura il proprio cuore come può. E del resto, la vita non ci aspetta, bussa alla porta, prova a stanarci ma alla fine tocca a noi: restiamo dietro gli scogli o ci tuffiamo in mare aperto?”.

Ippolita Luzzo: A un certo punto scrivi: “sarebbe bello poter sapere quando sarà l’ultima volta che incontreremo una persona amata”. Eppure io penso che sapere prima sarebbe terribile, certo il tuo è un auspicio per ricomporre le incomprensioni e lasciarsi imprimendo nella memoria quei momenti. Certo la riconciliazione è un balsamo. Ricordo le parole di Emanuele Trevi a proposito della morte improvvisa del suo amico Rocco Carbone. Lui, raccontandomi l’incidente di Rocco, era almeno sollevato dal fatto che si fossero riconciliati da poco. Ha poi curato e fatto la prefazione al libro di Carbone, uscito postumo, “Per il tuo bene”. Sono considerazioni umanissime che ci portano di nuovo a “L’attimo prima”, l’attimo prima che possiamo chiamare destino.

Francesco Musolino: “Sul senso de L’attimo prima – che può essere inteso come prima di perdere qualcuno, o cambiare vita, lavoro, amore – si gioca un bel dilemma. Sono davvero convinto che le coincidenze che accadono a Lorenzo nella seconda parte del libro – ad esempio, la carpa e il suo significato, il Bolero, la grammatica emotiva del cibo – non siano semplici coincidenze. Non saprei se sia più o meno confortevole parlare di caso o destino ma se davvero potessimo averne la certezza, sarebbe bello poter mettere da parte le stupidaggini, abbracciare chi si ama e dirsi parole sincere, finalmente. Il resto passa, il tempo scandisce tutto. Ma allora avrà ragione Elena – la sorella di Lorenzo – quando cita Einstein ovvero che passato, presente e futuro siano davvero così lineari o qualcosa resta sempre di chi abbiamo amato?”.

Ippolita Luzzo: Anche Camilleri ha detto che tutti noi abbiamo quasi un destino segnato dalla nascita e ciò è un po’ il fatalismo temperato però dalla volontà nostra di arginare gli eventi. Quindi, certo, ci sarà una eruzione dell’Etna ad impedire una partenza dalla Sicilia, ma ci può essere poi la nostra capacità di creare altre soluzioni con uno sforzo immaginativo. Leggendo oltre il libro, scorro i tuoi scritti su molte riviste, le interviste, le collaborazioni come giornalista culturale e l’iniziativa “Sto leggendo” su Twitter. Un immaginario che crea opportunità. Un immaginario che offre la zattera. Sarà anche questo che tu chiedi alla letteratura così come lo chiedo io al mio immaginario regno della Litweb? 

Francesco Musolino: “Karen Blixen era convinta che si potesse rendere tollerabile ogni sofferenza inserendola in una storia, parole come un balsamo che lenisce ogni ferita. Ma è così? Io credo che prima di tutto ci si debba mettere d’accordo su che tipo di storia vogliamo raccontare. Per me era forte il bisogno di mettere in pagina le mie emozioni e poi prendere la giusta distanza. Non volevo ci fosse troppo io, troppo ombelico ma il racconto di un ragazzo che sogna un futuro ideale, si rompe il cuore, fa i conti con i cocci e si rialza. Speranza sì ma anche consapevolezza di chi siamo. E allora il progetto noprofit @Stoleggendo, così come i miei tanti pezzi da precario del giornalismo e il tuo regno della Litweb, cosa sono se non un modo di rimboccarsi le maniche e darsi da fare? Siamo al Sud e abbiamo tanti limiti ma ciò non significa stare con le mani in mano. Anzi, forse, è una chiamata alle armi”.

Ippolita Luzzo: Mi sembra bellissima ed energetica questa chiamata, sento quasi gli squilli di tromba, e noi siamo pronti qui a sentirci in un territorio comune, siamo pronti a leggere, a scrivere e ad incontrare tutti i personaggi che tu hai creato.
Ippolita Luzzo



Intervista con Anna Vinci


HA SCANDAGLIATO L’ANIMA DI UN EX MAFIOSO, CREDE NEL MIRACOLO DELLA VITA. DIALOGO CON ANNA VINCI, DALL’INTERVISTA A GASPARE MUTOLO AL PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA A VENEZIA CON IL FILM DI FRANCO MARESCO

Ippolita Luzzo: “La mafia non è più quella di una volta”. Potrei sottotitolare così, direttamente dalla Mostra del Cinema di Venezia, dove il film di Franco Maresco “La mafia non è più quella di una volta” ha vinto il premio speciale della Giuria. Prodotto da Rean Mazzone e Anna Vinci per Ila Palma, il film racconta la contaminazione e trasformazione del fenomeno mafioso, oggetto anche di argomento del libro di Anna Vinci Gaspare Mutolo – La mafia non lascia tempo (Chiarelettere).
Sono con il suo libro in mano – che verrà presentato a Palermo il 20 settembre – e sono qui con Anna Vinci a parlare di una narrazione nata dallo scandaglio nell’anima di un ex mafioso, ex braccio destra di Riina, storico dissociato (la sua dissociazione risale al 1992): Gaspare Mutolo, la memoria orale di Cosa Nostra.
Anna è una scrittrice che segue l’immaginario, o lo cerca nella realtà per meglio tentare di conoscerla. Ha indagato sulla P2 attraverso i diari segreti di Tina Anselmi, di cui è la biografa ufficiale, ha curato inchieste e documentari per la Rai.
A lei la parola affinché ci racconti come sia riuscita a incontrare Gaspare Mutolo e cosa l’abbia spinta a conoscerlo, a narrare la sua storia.
*
Anna Vinci:” Lo incontrai mentre era intervistato, sarebbe stato utilizzato come fonte nel film Belluscone di Maresco sempre prodotto da Ila Palma. All’inizio cominciando a frequentarlo volevo soprattutto conoscere lui e attraverso di lui la mafia ‘da dentro’. E così, nella prima stesura del libro pubblicato da Rizzoli nel 2013, raccontai gli avvenimenti, le concomitanze, l’ambiente e la famiglia che avevano portato Gaspare Mutolo, ragazzino nato nel 1940 a diventare soldato di Mafia. Oggi a distanza di qualche anno, dopo che il libro ha subito un blocco dalla Rizzoli, pochi mesi dopo la sua pubblicazione, si era bruciato un loro magazzino, è stato pubblicato di nuovo da Chiarelettere, e ho aggiunto un’appendice dal titolo credo significativo: Nella mente di un killer di Mafia”.

Ippolita:” L’appendice ci riporta ad una domanda spesso ripetuta da te a Gaspare Mutolo, nel tentativo di capire di più su come sia possibile scindere gesti e delitti fatti per commissione. Gaspare Mutolo era un killer, dalla persona che ora lui è diventato. Il delitto diventa l’esecuzione di un ordine, lui è un soldato che rispetta gli ordini e le vittime quasi non esistono. Certo, racconta che le vittime lo riconoscevano e vedendolo arrivare già sapevano, infatti alcuni lo imploravano di avere pietà e altri lo fissavano terrorizzati. Ma era solo l’esecuzione di un ordine. Il killer è un soldato e non deve sbagliare, come in guerra. Infatti Anna tu non riesci a farlo spostare su un piano diverso. Cosa avresti in realtà voluto raggiungere con le tue domande?”.

Anna Vinci: “Vorrei, prima di rispondere alla tua domanda, fare una premessa. La mia ‘indagine’ nella mente di Mutolo, non è solo volta a capire i meccanismi mentali di un ex soldato di mafia. Scrivendo la prima parte del libro anni fa, intuii che alcuni elementi psicologici del mafioso, rimandavano a quelli che erano modi di agire, e quindi di pensare, che ritrovavo diciamo tra le persone della classe dirigente e non solo. Oggi, dopo l’esperienza passata, conoscendolo meglio, e avendo imparato pur nella diversità delle nostre storie a rispettarci, mi sono permessa di incalzarlo, e le mie intuizioni si sono rilevate vere. Ho colto elementi che sono purtroppo emblematici della nostra società, salvo, certo, non sporcarsi di sangue. Sinteticamente, sono questi: una forte auto referenzialità; un rapporto mediato con la realtà, tipo il Ciccio Mira del film di Maresco, per cui non si vede la realtà ma quella che la nostra prigione mentale ci fa vedere. Ultimo e non meno importante: la mancanza dell’assunzione su di sé del senso di colpa. La colpa sfuma nella responsabilità nel migliore dei casi, nella casualità, e peggio ancora nell’altrui responsabilità. Stretti tra offesa e lamento. Ecco forse ho avuto da Mutolo le risposte che cercavo… E ho accettato le sue risposte a metà, il suo racconto del percorso di avvicinamento alla fede – soprattutto dopo la morte della moglie Santina tre anni fa – senza tuttavia mettere in discussione i suoi ‘errori’, se non riconoscerli come tali. E il riferimento alla pittura come elemento di elaborazione inconscia delle sue ombre. Come dice lui parlando del passato: ‘Restano i rimpianti, il resto lo metto nella pittura’. Sul resto, fuori della tela, resta il silenzio alle mie domande incalzanti sulla colpa. Una parola difficile da declinare, per tutti”.


Ippolita: “Unendo in un discorso ideale il film di Franco Maresco, “La mafia non è più quella di una volta” e le risposte di Gaspare Mutolo si nota l’abitudine a considerare normale ciò che normale non è, a vivere nel chiuso di quartieri e conoscenze con il gusto di avere grande potenza, come se quello che si sta facendo avesse un senso. Sembra un mondo capovolto, un mondo dove anche principi sono stravolti e snaturati, basti pensare al concetto di onore, alla parola fiducia, o alla politica, la parola più mistificata. Ed anche coloro che combatterono la mafia morendo sono ora usati per mascherare strani giorni. È possibile una lettura simile di questa trasformazione nella mafia? E la mafia ancora adesso non lascia tempo? Voglio ricordare il grido di allarme di Nino Di Matteo procuratore di Palermo recentemente sui giornali”.

Anna Vinci: “Sì, la mafia non lascia tempo, la vita non lascia tempo. Il tempo perduto non si ritrova se non nella letteratura. Essere incalzati porta fretta e la fretta genera confusione e come diceva Tina Anselmi: ‘bisogna avere calma per comporre il puzzle. Tutti i tasselli’. Lei era esperta di tasselli mancanti. Per tentare di approfondire e rispondere con più chiarezza alle tue domande, tenendo presente quel grido di una bella persona come Nino Di Matteo, al quale accennavi, voglio rifarmi a una mia domanda a Mutolo. ‘Non hai pentimenti per le persone ammazzate? O almeno dolore ripensando a certi spasmi di morte?’ [n.d.a non dimentichiamoci che molti degli omicidi di Mutolo erano strangolamenti] Ed ecco la risposta sulla quale poi mi soffermerò. ‘Quella era la vita nostra e dei nostri vicini, uomini di Cosa Nostra, famiglie di mafiosi’. E non trovi una similitudine tra questo stare sempre tra simili, stessi pensieri, stesse emozioni, fuori gli altri, con quello che sta sempre più accadendo nel nostro Paese? Che cosa è la Casta? Che cos’è questo mondo claustrofobico dove sempre gli stessi parlano, rispondono ad altri simili. Per non parlare delle offese, dell’ossessione, dell’odio dell’altro. Per giungere allo squallore della manifestazione di Pontida – uso volutamente la parola ‘squallore’, non me ne viene altra –, quanti smarrimenti, quanta sciatteria nel condurre la Cosa Pubblica, quanti giochi sottobanco, quanto tempo perduto! E quanti pochi sguardi di donne. Uomini e ancora uomini come appunto nella mafia e nella massoneria. Diceva Tina Anselmi: ‘Bisogna aprire le stanze del potere far entrare aria’. Sottolineo ‘squallido’, manca la parola squallido.”

Ippolita: “Mi trovo accanto a te, Anna, e a Tina, così come credo moltissimi potranno ritrovarsi nel tuo stesso smarrimento di essere ancora qui a distanza di tanti anni a dover essere impotenti davanti al grido di allarme di Nino Di Matteo, su come tanti apparati dello Stato abbiano modi di pensare simili a ciò che dovrebbero condannare, attuano gli stessi sistemi. E sembra un mondo nerissimo quel che c’è in questo primo ventennio degli anni duemila se non ci fosse con noi una costante ironia e un disincanto che da Maresco e da Rean Mazzone ci riporta a Sciascia e insieme a Tina Anselmi e al suo vigilare. Quel suo monito mai dimenticato. Vorrei che tu in chiusura mi donassi la mano, quasi un abbraccio ai lettori, ad avere fiducia se non nella storia almeno nella letteratura. Come chiuderesti la nostra conversazione?”

Anna Vinci: “Chiudendo con una risposta di Pier Paolo Pasolini a Enzo Biagi. Pasolini poeta regista e intellettuale, lascio fuori la sua vita privata. Biagi gli chiese che cosa era per lui la fede, lui rispose che era lo stupore davanti alla vita. Al miracolo della vita. Mi scuso se non ho usato le parole esatte, ma credo di aver inteso e riportato il concetto. Ecco mi ritrovo in questo stupore che hanno i bambini, gli artisti, certi vecchi, uomini e donne, persone belle, ce ne sono. Ne ho conosciute tante. E l’Italia, con loro, che non sono per forza alla ribalta, con la bellezza del suo passato, della natura, delle piazze, sta contrastando il degrado. Io ci credo. D'altronde, potrei non credere al futuro e quindi al presente con quattro nipotini, che sono la mia passione?”.
Ippolita Luzzo