Uno stato d'animo sovrappensiero aleggia sul libro diventandone il filo conduttore. La Colpa è uno stato d'animo prima che il racconto di un uomo, vissuto dall'infanzia senza aver visto più il padre scomparso, che viene informato dalla morte di lui avvenuta in un convento dei frati minori di Acireale. Lo conosciamo, subito dopo aver ricevuto la telefonata con la notizia datagli dal frate guardiano del convento, sovrappensiero, mentre cammina per la strada e sconosciuti lo urtano senza scusarsi e lui si sente avvampare e si infila in un vagone della metropolitana
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo
mercoledì 31 ottobre 2018
martedì 30 ottobre 2018
"Pensiero e poesia", "Proiezioni" Martin Heidegger e Marco Luppi
"La natura poetica del pensiero è ancora/ avvolta nell'ombra./ Ove essa si manifesta/ assomiglia per lungo tempo all'utopia/ di un pensiero semipoetico./ Ma il poetare pensante è, in verità,/ la topologia dell'essere./ Essa gli indica il villaggio/ ove dimora la sua essenza."dai versi di Heidegger riportati in prosa da me, cambia il modulo scritto, la camminata delle parole sul foglio, e camminando esse si dispongono in un distico iniziale, una terzina interna e due distici finali. Da Heidegger Pensiero e Poesia
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
sabato 27 ottobre 2018
Libriamoci al Liceo Classico di Lamezia Teme con Alessandro Leogrande e Litweb
Alessandro Leogrande al Liceo Classico "Francesco Fiorentino" con La Frontiera, nella manifestazione nazionale di Libriamoci, è una opportunità nata da un incontro casuale con la mia amica, docente di filosofia, che ha subito contattato la docente di Italiano e Latino, Maria Chieffallo, dandole il mio numero di cellulare. Detto fatto, grande incontro sul nome di Alessandro Leogrande, proposto ai ragazzi della prima e seconda B del Liceo, in nome di una letteratura civile e militante. All'ingresso della porta della Biblioteca una frase di Luis Selpuveda: La frontiera scomparsa"La letteratura è il modo migliore per cancellare le frontiere, per dimenticarle e far sì che l'essere umano si muova liberamente nel territorio dell'immaginazione, in quel territorio che non conosce limiti né patrie, ed è semplicemente un luogo o mille luoghi in cui il lettore entra dopo aver aperto un libro. Il mare è uno solo, ma ha molti nomi. La terra è una sola, ma si nasce, si vive e si muore in posti che si chiamano in un modo o nell'altro."
Nel dare il messaggio di una letteratura di pace e di fratellanza eccolo Alessandro tra noi, nei video scelti dalla collega entusiasta della mia proposta, eccolo fra noi a dirci quanto sia perniciosa l'ignoranza, quanto noi tutti pochissimi o nulla sappiamo di questo esodo biblico, di questo movimento epocale di popoli, di quanto sia dura ed efferato il regime in Eritrea, di cosa successe ai curdi, ai siriani, di come sia preparato il viaggio, da quanti mesi è fatto un viaggio e di come il viaggio trasformi chiunque lo faccia. Video incredibili di testimonianza seria, come serio è stato il lavoro di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore, vicedirettore della rivista "Lo Straniero" che ha chiuso l'attività proprio pochi mesi fa. Alessandro è morto un anno fa, a quarant'anni. Il suo anniversario sarà il 26 novembre e noi stamattina ci promettiamo appuntamento proprio in quella data per riparlarne, per riparlare dei tanti temi da lui trattati, in "Uomini e Caporali" viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud, mai debellata la schiavitù nel lavoro, sull'Ilva, sull'Albania, sempre "in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell'ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, e ovunque ci sia stato un sopruso" per dirla con le parole di suo padre, morto dopo qualche mese.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
martedì 23 ottobre 2018
Tutta la solitudine che non reggo più: Poema bianco di Pasquale Panella
Il senso del fare il poeta.
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)"
Amo di un amore smisurato questi versi di Pasquale Panella, li porto con me e quando mi accingo a scriverne non riesco più.
" Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono."
Come si possa costruire una meraviglia di versi sul continuo dirsi, nel silenzio e nella chiacchiera, mi sembra un vero incantesimo.
Incantata sto "Così che leggere è aggiungere i rumori, fingendo la leggibilità del soliloquio, che è illeggibile."
Mi prende voglia che non sia vero, che non esista chi sappia così bene di cosa sono fatti i pensieri della solitaria, della solitudine, dell'essere soli, mi prende e mi accompagna verso il personaggio principale, "l'ascoltatrice", colei che trascrive il soliloquio.
"Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un'oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio."
Il soliloquio come il mare, come le onde, come le maree, come il moto di rotazione della terra intorno a se stessa, come il respiro nei polmoni arriva, invade, ossigena e va via in anidride, il soliloquio occupa e si disperde nella testa, nel pensiero, va e ritorna.
Puro e bianco movimento che viene fatto e cancellato dal suo farsi.
Nel parlarsi addosso "Torniamo alla mia voce che io sola sento" la raccontiamo a tutti, scrivendola su un foglio bianco, raccontiamo che vorremmo raccontare.
La volontà, la nostra " è vero che ci capiamo, umanità?"
Fra disperazione e divertimento, fra ironia e dramma, facciamo di un foglio bianco il tramite di pensieri e azioni, il tramite di un messaggio scritto, perché se lei, la voce, scrive, scritto è.
In un mio antico farneticare scrissi "Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno" ed in "Poema Bianco", in questa delizia in versi, noi ci lasciamo andare dove il poeta ci vuole portare: Essere cullati dalle parole, dalla ripetitività della certezza che ce le potremo dire ancora e ancora e ancora.
"Non è con il pensiero
che ti ricordo
Non è con il ricordo
che ti penso
È un'altra cosa:
è il senso
Prima non era
necessario"
Salutando con un inchino un autore inarrivabile, un gigante, un grande, e sentendomi rispondere
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)".
Ippolita Luzzo
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)"
Amo di un amore smisurato questi versi di Pasquale Panella, li porto con me e quando mi accingo a scriverne non riesco più.
" Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono."
Come si possa costruire una meraviglia di versi sul continuo dirsi, nel silenzio e nella chiacchiera, mi sembra un vero incantesimo.
Incantata sto "Così che leggere è aggiungere i rumori, fingendo la leggibilità del soliloquio, che è illeggibile."
Mi prende voglia che non sia vero, che non esista chi sappia così bene di cosa sono fatti i pensieri della solitaria, della solitudine, dell'essere soli, mi prende e mi accompagna verso il personaggio principale, "l'ascoltatrice", colei che trascrive il soliloquio.
"Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un'oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio."
Il soliloquio come il mare, come le onde, come le maree, come il moto di rotazione della terra intorno a se stessa, come il respiro nei polmoni arriva, invade, ossigena e va via in anidride, il soliloquio occupa e si disperde nella testa, nel pensiero, va e ritorna.
Puro e bianco movimento che viene fatto e cancellato dal suo farsi.
Nel parlarsi addosso "Torniamo alla mia voce che io sola sento" la raccontiamo a tutti, scrivendola su un foglio bianco, raccontiamo che vorremmo raccontare.
La volontà, la nostra " è vero che ci capiamo, umanità?"
Fra disperazione e divertimento, fra ironia e dramma, facciamo di un foglio bianco il tramite di pensieri e azioni, il tramite di un messaggio scritto, perché se lei, la voce, scrive, scritto è.
In un mio antico farneticare scrissi "Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno" ed in "Poema Bianco", in questa delizia in versi, noi ci lasciamo andare dove il poeta ci vuole portare: Essere cullati dalle parole, dalla ripetitività della certezza che ce le potremo dire ancora e ancora e ancora.
"Non è con il pensiero
che ti ricordo
Non è con il ricordo
che ti penso
È un'altra cosa:
è il senso
Prima non era
necessario"
Salutando con un inchino un autore inarrivabile, un gigante, un grande, e sentendomi rispondere
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)".
Ippolita Luzzo
domenica 21 ottobre 2018
L'arte di scomparire Pierre Zaoui
Un amico, su facebook, mi chiese di leggere e di parlare di questo libro molto tempo fa. Il 2015, anno della data di nascita, poi la seconda ristampa ed è quella che ho comprato io, ho letto il libro sottolineandolo, lasciandolo per casa e riaprendolo molte volte, ma sentendomi inadeguata a scriverne.
Il libro ci parla della discrezione, quella sospensione del tempo che ha valore in quanto sospensione, a condizione di non prolungare oltre un certo limite il nostro stare nascosto.
"Non è davvero sopportabile scomparire troppo a lungo, se non vogliamo che questi piaceri furtivi si trasformino in rinuncia e perversione. la prima specificità della discrezione è nell'esperienza di un tempo modesto, capace di badare a se stesso"
Viviamo fra il desiderio di essere riconosciuti e quello di essere anonimi e "la discrezione sottrae tutto l'essere alle apparenze solo per restituirglielo per intero"
Farsi discreti è nello stesso tempo uscire dal gioco delle apparenze e prestare attenzione al mondo. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere, scrive Zaoui analizzando l'aspetto politico e sociale delle pulsioni ad apparire e scomparire, durante i secoli, in filosofia e in letteratura, nelle tragedie greche e negli scritti di Machiavelli, in Proust, in Freud e Kafka.
"Nel suo significato etimologico discrezione viene dal latino discretio, discernimento, separazione, distinzione, e nell'inglese discretion, il significato matematico di discontinuo."
Non si può essere discreti a vita pena impazzire!
L'arte di scomparire è l'arte della discrezione, cercando di non farla diventare una ossessione, una patologia. Importante sapere quando uscire in anticipo da un gioco, da una eccessiva rincorsa al protagonismo, e importante non pensare che la salvezza possa stare esclusivamente nella tana.
Ritrovo in questo libro i filosofi studiati, da Rousseau a Foucault, a Lèvi-Strauss, il pudore e la prudenza, da Aristotele alla parresìa, "al coraggio della verità" il coraggio di non nascondere nulla, di mettere tutto a nudo. Parlare o non parlare, quanto parlare, desiderare di fare parte di un consesso amicale di simili, aver voglia di stare distanti, produrre arte per desiderio di comunicare e nello stesso tempo sparire per aver quella distanza che permetta l'osservazione.
Vedo per le strade cittadine molti "discreti", anche io qualche volta sono "discreta", però quel che distingue la mia discrezione da quella di molti altri è il mio insopprimibile bisogno di socialità, di dire al mondo intero quanto sii felice di vederlo, di guardalo, che è diverso, di parteciparlo, sempre da discreta che non ha paura.
Si può essere indiscreti anche essendo discreti.
" Ci sono tanti modi indiscreti di essere discreti: per paura dell'opinione pubblica. per sottomissione servile alle regole comuni delle buona educazione, per prudenza, per astuzia e calcolo; per ravvivare la propria immagine sociale, darle quel tocco di eleganza e di cortesia che le mancava"...come seduzione e narcisismo. Una discrezione snaturata.
Noi stiamo con le parole di Lèvi-Strauss e con il gheriglio di noce di Kafka, dai Diari, nel rabbi Meir: "Mettere il mondo prima della vita e la vita prima dell'uomo" Se non ci sono le anime che si accorgono di stare al mondo nel momento che esiste il mondo, che si accorgono della grande meraviglia di esserci per il mondo e non per una propria affermazione, non ci sarebbe più nulla di filosofia e conoscenza, sarebbe tutto uno specchio vuoto. Mi sembra di stare con Zaoui per quel che io possa stare, mi sembra di stringere con lui un patto di resistenza amicale e di chiamare quell'amico di allora alla passeggiata sui profili facebook
Ippolita Luzzo
Il libro ci parla della discrezione, quella sospensione del tempo che ha valore in quanto sospensione, a condizione di non prolungare oltre un certo limite il nostro stare nascosto.
"Non è davvero sopportabile scomparire troppo a lungo, se non vogliamo che questi piaceri furtivi si trasformino in rinuncia e perversione. la prima specificità della discrezione è nell'esperienza di un tempo modesto, capace di badare a se stesso"
Viviamo fra il desiderio di essere riconosciuti e quello di essere anonimi e "la discrezione sottrae tutto l'essere alle apparenze solo per restituirglielo per intero"
Farsi discreti è nello stesso tempo uscire dal gioco delle apparenze e prestare attenzione al mondo. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere, scrive Zaoui analizzando l'aspetto politico e sociale delle pulsioni ad apparire e scomparire, durante i secoli, in filosofia e in letteratura, nelle tragedie greche e negli scritti di Machiavelli, in Proust, in Freud e Kafka.
"Nel suo significato etimologico discrezione viene dal latino discretio, discernimento, separazione, distinzione, e nell'inglese discretion, il significato matematico di discontinuo."
Non si può essere discreti a vita pena impazzire!
L'arte di scomparire è l'arte della discrezione, cercando di non farla diventare una ossessione, una patologia. Importante sapere quando uscire in anticipo da un gioco, da una eccessiva rincorsa al protagonismo, e importante non pensare che la salvezza possa stare esclusivamente nella tana.
Ritrovo in questo libro i filosofi studiati, da Rousseau a Foucault, a Lèvi-Strauss, il pudore e la prudenza, da Aristotele alla parresìa, "al coraggio della verità" il coraggio di non nascondere nulla, di mettere tutto a nudo. Parlare o non parlare, quanto parlare, desiderare di fare parte di un consesso amicale di simili, aver voglia di stare distanti, produrre arte per desiderio di comunicare e nello stesso tempo sparire per aver quella distanza che permetta l'osservazione.
Vedo per le strade cittadine molti "discreti", anche io qualche volta sono "discreta", però quel che distingue la mia discrezione da quella di molti altri è il mio insopprimibile bisogno di socialità, di dire al mondo intero quanto sii felice di vederlo, di guardalo, che è diverso, di parteciparlo, sempre da discreta che non ha paura.
Si può essere indiscreti anche essendo discreti.
" Ci sono tanti modi indiscreti di essere discreti: per paura dell'opinione pubblica. per sottomissione servile alle regole comuni delle buona educazione, per prudenza, per astuzia e calcolo; per ravvivare la propria immagine sociale, darle quel tocco di eleganza e di cortesia che le mancava"...come seduzione e narcisismo. Una discrezione snaturata.
Noi stiamo con le parole di Lèvi-Strauss e con il gheriglio di noce di Kafka, dai Diari, nel rabbi Meir: "Mettere il mondo prima della vita e la vita prima dell'uomo" Se non ci sono le anime che si accorgono di stare al mondo nel momento che esiste il mondo, che si accorgono della grande meraviglia di esserci per il mondo e non per una propria affermazione, non ci sarebbe più nulla di filosofia e conoscenza, sarebbe tutto uno specchio vuoto. Mi sembra di stare con Zaoui per quel che io possa stare, mi sembra di stringere con lui un patto di resistenza amicale e di chiamare quell'amico di allora alla passeggiata sui profili facebook
Ippolita Luzzo
venerdì 19 ottobre 2018
Il teatro è una cosa fisica. Angelo Colosimo in Bestie Rare
"In tempi bui come questi, in cui qualcuno vorrebbe delimitare un confine, entro il quale sarebbe preferibile non andare, l'associazione Confine incerto, crea una Zona Transitoriamente Libera."
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
martedì 16 ottobre 2018
La fortuna in Litweb
La Fortuna Ben Data
Scrivevo il 16 ottobre 2016 su un post Facebook: Fino ad un minuto prima sei una nullità, uno sconosciuto, le tue opere non valgano un euro, nessuno le vuole, i tuoi scritti non vengono considerati, le tue canzoni meno che meno.
Poi passa lei, la fortuna bendata.
Ti sfiora e le tue opere raggiungono quotazioni altissime, ciò che hai scritto va sul Sole 24 Ore e le canzoni vengono cantate in eurovisione. Se passa lei tu vincerai, Litweb vincerà.
Lo trascrivo come mantra augurale, credendo nel potere delle parole, nel momento in cui: Se lo immagini Esiste.
Esiste un momento per tutti, basta riconoscere quale sia.
Ieri era il Premio Comisso 15 righe, domani chissà.
Piccoli segni, piccoli sassolini che servono per ritornare a casa, nella casa letteraria del nostro immaginario.
Non aspettare nulla al di là del tanto già immaginato, al di là della sfida vinta contro la disperazione di un quotidiano brutale nel suo continuo essere sempre uguale e ripetuto, un quotidiano indifferente, eppure così ricco di opportunità. Se non ci fossero stati questi tasti neri, se non ci fosse stato il web, i siti, i libri, gli autori, gli editori, le fiere, Più libri più liberi a Roma, Il salone del libro di Torino, il Premio Brancati a Zafferana Etnea, Radiolibri, i blog, se tutto questo non ci fosse stato...
Se non ci fosse stata l'opportunità di vivere e scrivere su Messenger: "Non ho il passaggio per venire al Marca, al Festival Delle Parole Erranti, dove tu leggerai passi del tuo nuovo romanzo" ed avere in risposta: "Ti trovo il passaggio. Viene un mio amico, glielo dico subito. Passa a prenderti" se non ci fosse stato tutto questo, non oso pensare come sarebbe potuto essere diversamente, se non annegare giorno dopo giorno nell'abiezione di tutti gli altri giorni cancellati.
Gli angeli.
Gli angeli con cui andai al Premio Berto a Capo Vaticano.
Gli angeli e la fortuna. La fortuna di vivere con un grande amore dentro: Il piacere di leggere una vita, le tante vite degli altri, a me precluse.
Si può vivere anche così, di un momento fortunato.
La Fortuna in Litweb è solo un attimo, tanti attimi, moltissimi attimi, per tutti noi.
Post di ringraziamento agli angeli che ho incontrato.
Ippolita Luzzo
Opere artistiche di Massimiliano Lo Russo da me intitolate: La Fortuna Ben Data
lunedì 15 ottobre 2018
Zeig Martino Ciano
Zeig "Invochi la morte, ma in fondo vuoi esistere ancora per un po' e, mentre la luce del giorno è ancora forte, tu già sai che la morte porterà scompiglio. Che farai?"
"Che fare?" fu scritto da Lenin all'inizio del secolo scorso, trattava i temi della politica, dell'economia, del lavoro, della sottomissione.
Lo avrò studiato per un esame universitario, insieme a Stato e rivoluzione. Erano questi i testi universitari degli anni settanta. Una analisi scientifica della trasformazione dei movimenti storici. La forza lavoro, disumanizzata e usata, dai campi alle fabbriche ed ora ai call center, alle serre, nei barconi, come merce di scambio. La fabbrica, la grande fabbrica, vista come la soluzione, vista come la fata che il futuro radioso porterà.
Azzurro futuro avvelenato, in un avvelenamento di pensieri, di aria, di cibo, di terra, di rapporti.
" Si partiva, cercando il senso quotidiano verso la fabbrica. Senso... che forse stagnava come il sudore."
Ed è un senso che non è.
Nella storia raccontata da Martino Ciano il protagonista brinda all'assunzione e al primo stipendio, lui pensava che il lavoro in fabbrica lo avrebbe sottratto alla povertà. Marselo era stato assunto come addetto al reparto pasta. "La campanella gracchiava. Era finito il turno."
"In vita non si è né eroe, né padrone" sembra una cronaca, un vero reportage sullo stato del lavoro in questi giorni, il romanzo di Martino, se lui non avesse premesso che no, non è così, bensì una sua immaginazione.
Noi però non possiamo più immaginare, la realtà supera qualsiasi distopia immaginata, così ci troviamo a leggere quello che ci passa davanti nella tristezza di un quotidiano ridotto e desertico.
C'è una cosa desolante a cui sembra nessuno riuscirà a trovare soluzione, in questo andirivieni storico ed è proprio la mancanza di relazioni, ed è il potere di riunire e di raccogliere sotto una idea per cui lottare "d'un volgo disperso che voce non ha"
Colpaca esiste nelle nostre città.
Zeig di Martino Ciano
Ippolita Luzzo
Martino Ciano lavora presso l’emittente televisiva Rete3Digiesse, scrive racconti e collabora con Satisfiction, Gli amanti dei libri, la rivista letteraria Euterpe e il blog Zona di disagio
"Che fare?" fu scritto da Lenin all'inizio del secolo scorso, trattava i temi della politica, dell'economia, del lavoro, della sottomissione.
Lo avrò studiato per un esame universitario, insieme a Stato e rivoluzione. Erano questi i testi universitari degli anni settanta. Una analisi scientifica della trasformazione dei movimenti storici. La forza lavoro, disumanizzata e usata, dai campi alle fabbriche ed ora ai call center, alle serre, nei barconi, come merce di scambio. La fabbrica, la grande fabbrica, vista come la soluzione, vista come la fata che il futuro radioso porterà.
Azzurro futuro avvelenato, in un avvelenamento di pensieri, di aria, di cibo, di terra, di rapporti.
" Si partiva, cercando il senso quotidiano verso la fabbrica. Senso... che forse stagnava come il sudore."
Ed è un senso che non è.
Nella storia raccontata da Martino Ciano il protagonista brinda all'assunzione e al primo stipendio, lui pensava che il lavoro in fabbrica lo avrebbe sottratto alla povertà. Marselo era stato assunto come addetto al reparto pasta. "La campanella gracchiava. Era finito il turno."
"In vita non si è né eroe, né padrone" sembra una cronaca, un vero reportage sullo stato del lavoro in questi giorni, il romanzo di Martino, se lui non avesse premesso che no, non è così, bensì una sua immaginazione.
Noi però non possiamo più immaginare, la realtà supera qualsiasi distopia immaginata, così ci troviamo a leggere quello che ci passa davanti nella tristezza di un quotidiano ridotto e desertico.
C'è una cosa desolante a cui sembra nessuno riuscirà a trovare soluzione, in questo andirivieni storico ed è proprio la mancanza di relazioni, ed è il potere di riunire e di raccogliere sotto una idea per cui lottare "d'un volgo disperso che voce non ha"
Colpaca esiste nelle nostre città.
Zeig di Martino Ciano
Ippolita Luzzo
Martino Ciano lavora presso l’emittente televisiva Rete3Digiesse, scrive racconti e collabora con Satisfiction, Gli amanti dei libri, la rivista letteraria Euterpe e il blog Zona di disagio
domenica 14 ottobre 2018
Da Malatimpa a Timpamara: Il piacere del testo
Se lo immagino esiste.
Siamo in ascolto della genesi del nuovo romanzo di Domenico Dara, questa mattina al Marca, durante il Festival delle parole erranti, organizzato dalla Masnada per la prima volta a Catanzaro.
Più che genesi è gestazione, siamo a metà dell'opera, ci dice Domenico, mentre racconta come sia nata e come sia cresciuta in lui l'idea del racconto in fieri.
A Pietrasanta c'è un Festival dove si parla di libri in uscita, quali saranno i prossimi libri, e si invitano gli autori a raccontare "in corso d'opera" come nascono i libri.
Ciò che prova a fare Domenico stamani, mentre il libro è in crescita, ed è una cosa curiosa ed un po' impudica per noi spettatori impicciarsi quasi di un momento creativo.
Appare sul PC intanto il primo titolo del libro "Il teorema di Malinverno"e il primo probabile incipit "Che passino i filosofi la vita a spremersi cervedda e cervedduzzu..." il vero mistero è la vita e non la morte.
La morte è solo il pretesto per parlare della vita, del filo sottile e fragile che può essere interrotto con un refolo di vento, con una alluvione di poche ore.
"Girifalco era delimitato a nord dal manicomio e a sud dal cimitero" Girifalco il luogo delle possibilità, ci aveva detto già Domenico, prima di invitarci in questa nuova costruzione abitativa dove vive un bibliotecario che di mattina svolge la mansione di guardiano del cimitero.
Un bibliotecario addirittura esistente, esistenza scoperta dopo la sua nascita come personaggio, un vero guardiano di un cimitero lucano.
Nel nuovo luogo, chiamato da Malatimpa a Timpamara, vivono ossessioni, ognuno ha la sua ossessione, e tutte le ossessioni, a loro volta, girano intorno ad una, un unicum, che avvolge lo scrittore, gli scrittori, il personaggio, i personaggi.
Ogni storia ha la sua ossessione e il suo linguaggio, sembra dirci Astolfo Malamura, il bibliotecario e guardiano del luogo, l'io narrante, il tramite, il messaggero, fra noi e il testo.
Astolfo cerca ciò che si è perso sulla terra, da Ariosto, Astolfo è un visionario e un uomo che resta indietro. Come lui tutti gli abitanti sono, o hanno, nomi dei personaggi letterari. Dalla nascita.
Si scopre, anche qui dopo averlo immaginato, che esiste un paese a Macerata, Piòraco, in cui gli abitanti hanno nomi stravaganti, nomi dalla letteratura e dalle arti, come Mercedes, da Dumas, nel Conte di Montecristo.
In questo luogo, inventato da Domenico, la commistione fra vero e immaginato si invera, nel macero immenso dove scompaiono libri e volano sciami, stormi, sui secchi di spazzatura, sulle riviste, sull'immenso cartaceo intorno. Sparisce tutto e allora si prova ad imparare fogli a memoria, io prendo appunti, ringrazio Piero, l'amico di Domenico, che porgendogli un foglio di giornale, con un articolo, ha fatto virare la storia, vissuta in una città letteraria. Nel mondo della letteratura la concezione animistica vive e si incontra, i libri hanno vita, i personaggi si innamorano tra di loro come succederà a Don Chisciotte ed Emma Bovary, e intanto scopriamo che non si nasce quando ci tagliano il cordone ma quando intuiamo di vivere.
"Quando io nacqui avevo 12 anni, cinque mesi e centosessantaquattro ore" nel passaggio dalla terza alla prima persona del nuovo incipit del romanzo noi tendiamo una mano a Roland Barthes "Lui scrisse un piccolo libro che potrebbe essere l’insegna di tutta l'opera: Le plaisir du texte, Il piacere del testo.
"Il testo che tu scrivi deve fornirmi la prova che mi desidera. Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra." Era il 1972. Nei Nuovi saggi critici, Roland Barthes scrive un libro su se stesso, è dedicato alla «scienza dell’agio dei godimenti del linguaggio». Il segreto dell’inaudita libertà di cui sembra godere, è tutto qui."
Nella libertà di scrittura e lettura di poter spaziare nel grande paese della letteratura dove "non esiste la morte", citazione mia, dal regno della Litweb: Se lo immagino esiste.
Ippolita Luzzo
Siamo in ascolto della genesi del nuovo romanzo di Domenico Dara, questa mattina al Marca, durante il Festival delle parole erranti, organizzato dalla Masnada per la prima volta a Catanzaro.
Più che genesi è gestazione, siamo a metà dell'opera, ci dice Domenico, mentre racconta come sia nata e come sia cresciuta in lui l'idea del racconto in fieri.
A Pietrasanta c'è un Festival dove si parla di libri in uscita, quali saranno i prossimi libri, e si invitano gli autori a raccontare "in corso d'opera" come nascono i libri.
Ciò che prova a fare Domenico stamani, mentre il libro è in crescita, ed è una cosa curiosa ed un po' impudica per noi spettatori impicciarsi quasi di un momento creativo.
Appare sul PC intanto il primo titolo del libro "Il teorema di Malinverno"e il primo probabile incipit "Che passino i filosofi la vita a spremersi cervedda e cervedduzzu..." il vero mistero è la vita e non la morte.
La morte è solo il pretesto per parlare della vita, del filo sottile e fragile che può essere interrotto con un refolo di vento, con una alluvione di poche ore.
"Girifalco era delimitato a nord dal manicomio e a sud dal cimitero" Girifalco il luogo delle possibilità, ci aveva detto già Domenico, prima di invitarci in questa nuova costruzione abitativa dove vive un bibliotecario che di mattina svolge la mansione di guardiano del cimitero.
Un bibliotecario addirittura esistente, esistenza scoperta dopo la sua nascita come personaggio, un vero guardiano di un cimitero lucano.
Nel nuovo luogo, chiamato da Malatimpa a Timpamara, vivono ossessioni, ognuno ha la sua ossessione, e tutte le ossessioni, a loro volta, girano intorno ad una, un unicum, che avvolge lo scrittore, gli scrittori, il personaggio, i personaggi.
Ogni storia ha la sua ossessione e il suo linguaggio, sembra dirci Astolfo Malamura, il bibliotecario e guardiano del luogo, l'io narrante, il tramite, il messaggero, fra noi e il testo.
Astolfo cerca ciò che si è perso sulla terra, da Ariosto, Astolfo è un visionario e un uomo che resta indietro. Come lui tutti gli abitanti sono, o hanno, nomi dei personaggi letterari. Dalla nascita.
Si scopre, anche qui dopo averlo immaginato, che esiste un paese a Macerata, Piòraco, in cui gli abitanti hanno nomi stravaganti, nomi dalla letteratura e dalle arti, come Mercedes, da Dumas, nel Conte di Montecristo.
In questo luogo, inventato da Domenico, la commistione fra vero e immaginato si invera, nel macero immenso dove scompaiono libri e volano sciami, stormi, sui secchi di spazzatura, sulle riviste, sull'immenso cartaceo intorno. Sparisce tutto e allora si prova ad imparare fogli a memoria, io prendo appunti, ringrazio Piero, l'amico di Domenico, che porgendogli un foglio di giornale, con un articolo, ha fatto virare la storia, vissuta in una città letteraria. Nel mondo della letteratura la concezione animistica vive e si incontra, i libri hanno vita, i personaggi si innamorano tra di loro come succederà a Don Chisciotte ed Emma Bovary, e intanto scopriamo che non si nasce quando ci tagliano il cordone ma quando intuiamo di vivere.
"Quando io nacqui avevo 12 anni, cinque mesi e centosessantaquattro ore" nel passaggio dalla terza alla prima persona del nuovo incipit del romanzo noi tendiamo una mano a Roland Barthes "Lui scrisse un piccolo libro che potrebbe essere l’insegna di tutta l'opera: Le plaisir du texte, Il piacere del testo.
"Il testo che tu scrivi deve fornirmi la prova che mi desidera. Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra." Era il 1972. Nei Nuovi saggi critici, Roland Barthes scrive un libro su se stesso, è dedicato alla «scienza dell’agio dei godimenti del linguaggio». Il segreto dell’inaudita libertà di cui sembra godere, è tutto qui."
Nella libertà di scrittura e lettura di poter spaziare nel grande paese della letteratura dove "non esiste la morte", citazione mia, dal regno della Litweb: Se lo immagino esiste.
Ippolita Luzzo
venerdì 12 ottobre 2018
Emanuela Cocco Tu che eri ogni ragazza
"Noi che rimaniamo,noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo. Gli oggetti ci sopravvivono e ci tradiscono, vivono con noi relazioni promiscue, mercenarie, abbiamo la sensazione che ci appartengano, costruiamo per loro una vita segreta che ci riguarda, ci proiettiamo insieme a loro in altri spazi, in altri momenti, siamo loro inutilmente fedeli, a volte crediamo di essere visti e riconosciuti da loro , figuriamo la loro permanenza oltre noi come una testimonianza di quello che siamo stati.
Non è così:le cose ci ignorano"
Quanto è grande questo fuori-
"Nella grande libreria di fronte si sfogliano libri, si portano avanti e indietro i bagagli tra un corridoio e l'altro.Qualcuno esce con i sacchetti d carta rigida piena di volumi. Molti si allontanano senza aver comprato nulla. Tutto mi passa dentro e se ne va, non è importante. A parte le tue scarpe. le guardo senza disperazione e senza scopo. Sono dentro i miei occhi... la sola cosa immobile stamattina alla stazione"
Un uomo in stazione vede passare le scarpe della figlia ai piedi di un'altra ragazza. La figlia è stata uccisa e lui sa che nessuno verrà risparmiato. Nella grande scoperta che comunica alla moglie c'è questa terribile consapevolezza. Nessuno di noi verrà risparmiato e finché non si prova il dolore noi siamo ciechi al dolore altrui, pensiamo che non esista. Il dolore che capiamo solo quando ci appartiene.
"Riguarda anche noi. Questa è la grande scoperta"
"Votate pietà" Scrive Emanuela Cocco alla fine di alcuni dialoghi presenti nel libro come quadri scenici a sé stanti, in una immaginaria rappresentazione teatrale. Ed applausi noi facciamo chiudendo il libro, dopo aver messo tante orecchiette, e dopo aver deciso che non potevo ricopiarvi qui tutto ciò che mi sembrava da riportare.
Vi avrei quasi ricopiato moltissimo del libro!
Invece vorrei che leggeste questo racconto con l'attenzione e la cura che l'autrice ha messo nel delineare le situazioni, nel tratteggiare violenza e pietà, i due moti dell'animo su cui ondeggia confusa la nostra società odierna insieme ai nostri comportamenti contraddittori.
"C'erano solo i fatti, nessuna storia"
Dopo calci, pugni e offese, sembra che si debba, dovere imperativo, capire che "Dentro è diventato fuori" e che bisogna, come bisogno primario, votare pietà.
Leggere questo libro nelle classi degli istituti superiori, leggerlo dappertutto, significherà dare un vero momento di consapevolezza, mi piace ripetere la parola, significherà riconoscere ancora alla lettura quel grande compito di essere la coscienza militante di un'epoca.
Viviamo, come sempre nella storia degli uomini, una grande fluidità di situazioni, alcune che sembrano comodissime, come i supermercati, e poi si rivelano mostruosità.
Viviamo dunque fra mostruosità e causiamo sofferenza e la subiamo, con un ritmo discontinuo.
Ed è questo ritmo discontinuo che viene intercettato da Emanuela, quel chiedere di "Prendete in considerazione il mio dolore, se non altro perché questo dolore che mi è piombato addosso, questo qui, è migliore del vostro, perché è mio."
Nel regno della Litweb noi questo facciamo, ringraziando Emanuela e il suo lavoro:"Noi che rimaniamo, noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo"
Ippolita Luzzo
Non è così:le cose ci ignorano"
Quanto è grande questo fuori-
"Nella grande libreria di fronte si sfogliano libri, si portano avanti e indietro i bagagli tra un corridoio e l'altro.Qualcuno esce con i sacchetti d carta rigida piena di volumi. Molti si allontanano senza aver comprato nulla. Tutto mi passa dentro e se ne va, non è importante. A parte le tue scarpe. le guardo senza disperazione e senza scopo. Sono dentro i miei occhi... la sola cosa immobile stamattina alla stazione"
Un uomo in stazione vede passare le scarpe della figlia ai piedi di un'altra ragazza. La figlia è stata uccisa e lui sa che nessuno verrà risparmiato. Nella grande scoperta che comunica alla moglie c'è questa terribile consapevolezza. Nessuno di noi verrà risparmiato e finché non si prova il dolore noi siamo ciechi al dolore altrui, pensiamo che non esista. Il dolore che capiamo solo quando ci appartiene.
"Riguarda anche noi. Questa è la grande scoperta"
"Votate pietà" Scrive Emanuela Cocco alla fine di alcuni dialoghi presenti nel libro come quadri scenici a sé stanti, in una immaginaria rappresentazione teatrale. Ed applausi noi facciamo chiudendo il libro, dopo aver messo tante orecchiette, e dopo aver deciso che non potevo ricopiarvi qui tutto ciò che mi sembrava da riportare.
Vi avrei quasi ricopiato moltissimo del libro!
Invece vorrei che leggeste questo racconto con l'attenzione e la cura che l'autrice ha messo nel delineare le situazioni, nel tratteggiare violenza e pietà, i due moti dell'animo su cui ondeggia confusa la nostra società odierna insieme ai nostri comportamenti contraddittori.
"C'erano solo i fatti, nessuna storia"
Dopo calci, pugni e offese, sembra che si debba, dovere imperativo, capire che "Dentro è diventato fuori" e che bisogna, come bisogno primario, votare pietà.
Leggere questo libro nelle classi degli istituti superiori, leggerlo dappertutto, significherà dare un vero momento di consapevolezza, mi piace ripetere la parola, significherà riconoscere ancora alla lettura quel grande compito di essere la coscienza militante di un'epoca.
Viviamo, come sempre nella storia degli uomini, una grande fluidità di situazioni, alcune che sembrano comodissime, come i supermercati, e poi si rivelano mostruosità.
Viviamo dunque fra mostruosità e causiamo sofferenza e la subiamo, con un ritmo discontinuo.
Ed è questo ritmo discontinuo che viene intercettato da Emanuela, quel chiedere di "Prendete in considerazione il mio dolore, se non altro perché questo dolore che mi è piombato addosso, questo qui, è migliore del vostro, perché è mio."
Nel regno della Litweb noi questo facciamo, ringraziando Emanuela e il suo lavoro:"Noi che rimaniamo, noi che veniamo dopo, dobbiamo fare i conti anche con questo"
Ippolita Luzzo
giovedì 11 ottobre 2018
Dove si guarda è quello che siamo - Giovanna Casadio
"... Non finisce", scrissi nell'estate degli anni settanta, come impegno e come augurio, su quel biglietto a Giovanna ai suoi diciotto anni, e "... non finisce" mi riscrive lei nella nostra scommessa vinta all'alba dell'autunno del 2018.
Mi sembra già questa una trama bellissima per amare e accompagnare il viaggio di Giovanna a Trapani "Dove si guarda è quello che siamo"
Mi arriva come regalo di compleanno, almeno a me piace pensarlo così, mi arriva con una riflessione sul numero 13, da noi considerato un numero fortunato, mentre sembra non sia così nel resto d'Italia.
"Le regole del luogo" A pagina 13 Giovanna ci scrive del numero tredici. Un numero che ci unisce, facciamo entrambe il compleanno il giorno tredici. Abbiamo o avevamo medaglietta con il numero 13, come a Trapani, e ci sentiamo molto protette dal tredici, come viaggio e ritorno nella stessa direzione.
La collana della EDT che pubblica questo libro si chiama Allacarta, una collana di scrittori che raccontano un luogo come se fosse cibo, con un cibo. Vi trovo un amico, Alessio Romano, di cui ho scritto su "D'amore e baccalà" dedicato a Lisbona.
Da Lisbona a Trapani.
A Trapani: La condizione umana di vivere in luoghi bellissimi, fatti di trine, di saline, di coralli, di gelsomini, e dover convivere con la mafia, con la falsità e la prepotenza, con la manomissione delle parole.
" E davvero bisogna ritornare sui passi già dati. Bisogna vedere di notte quello che hai osservato di giorno, d'autunno quanto hai trascurato in estate" ritorno su queste frasi di Giovanna e su quell'estate del nostro liceo, dei nostri studi, della grande illusione che ci sorregge in autunno. "D'autunno, improvviso e sorprendente, il vento di tramontana s'intrufola sotto le vesti, fischia nelle orecchie e ingrossa il mare soprattutto là dove le mura spagnole , le mura di tramontana, fanno scudo"
Mi sembra di vederle queste mura, e mi sembra di vederli i venti: il maestrale, il grecale, le raffiche di libeccio, la tramontana, mi sembra di sentirli soffiare anche ora.
Come in "Soffia il vento, infuria la bufera" il canto dei popoli oppressi verso l'avvenire di giustizia sociale.
Nella Trapani delle mura spagnole, nella Trapani del barocco, i frutti finti regalati nel giorno dei morti. Frutti fatti di pasta di mandorla, dolcissima sensazione, nel "Carnevale della vita. Mascariari l'assenza."
Leggendo Giovanna imparo che "cosca è semplicemente la corona di foglie di carciofo, come diceva Leonardo Sciascia."
Seguendo le contaminazioni fra cibo e politica, fra cibo e modo di essere, quando la fame era fame, nei catoi del Casalicchio, si racconta che vivesse la madre di San Pietro, donna perfida. Da una minestra di cavolofiore capiamo tante cose.. Donna condannata alle pene infernali dopo morta, leggendo noi plaudiamo quasi alla punizione verso la cattiveria e l'avarizia quando la foglia del cavolo si slabbra nella risalita verso il Purgatorio, e fa precipitare la madre di San Pietro di nuovo nell'inferno. Se ci si salva ci si salva insieme, sembra la morale della storia.
I gelsi, la ventresca e la bottarga, il cùs cus, l'odore e il sapore della vita intensa, fatta da una "tramontana che entra sotto i vestiti alle mura"
Conosco ogni frase scritta in queste pagine, sono state le frasi del nostro quotidiano esserci, e riesco ad andare a memoria su una Trapani che conoscerete ora dalle pagine di un delizioso atto d'amore, un luogo dell'anima, di ciò che ognuno pensa e vorrebbe dire del suo paese.
Nella dolce cura dei termini, nella limpidezza della narrazione, stanno le mura di difesa ai venti crudeli che sembra soffino impetuosi, dall'estate all'autunno del 2018.
Continuando... non finisce
Ippolita Luzzo
Mi sembra già questa una trama bellissima per amare e accompagnare il viaggio di Giovanna a Trapani "Dove si guarda è quello che siamo"
Mi arriva come regalo di compleanno, almeno a me piace pensarlo così, mi arriva con una riflessione sul numero 13, da noi considerato un numero fortunato, mentre sembra non sia così nel resto d'Italia.
"Le regole del luogo" A pagina 13 Giovanna ci scrive del numero tredici. Un numero che ci unisce, facciamo entrambe il compleanno il giorno tredici. Abbiamo o avevamo medaglietta con il numero 13, come a Trapani, e ci sentiamo molto protette dal tredici, come viaggio e ritorno nella stessa direzione.
La collana della EDT che pubblica questo libro si chiama Allacarta, una collana di scrittori che raccontano un luogo come se fosse cibo, con un cibo. Vi trovo un amico, Alessio Romano, di cui ho scritto su "D'amore e baccalà" dedicato a Lisbona.
Da Lisbona a Trapani.
A Trapani: La condizione umana di vivere in luoghi bellissimi, fatti di trine, di saline, di coralli, di gelsomini, e dover convivere con la mafia, con la falsità e la prepotenza, con la manomissione delle parole.
" E davvero bisogna ritornare sui passi già dati. Bisogna vedere di notte quello che hai osservato di giorno, d'autunno quanto hai trascurato in estate" ritorno su queste frasi di Giovanna e su quell'estate del nostro liceo, dei nostri studi, della grande illusione che ci sorregge in autunno. "D'autunno, improvviso e sorprendente, il vento di tramontana s'intrufola sotto le vesti, fischia nelle orecchie e ingrossa il mare soprattutto là dove le mura spagnole , le mura di tramontana, fanno scudo"
Mi sembra di vederle queste mura, e mi sembra di vederli i venti: il maestrale, il grecale, le raffiche di libeccio, la tramontana, mi sembra di sentirli soffiare anche ora.
Come in "Soffia il vento, infuria la bufera" il canto dei popoli oppressi verso l'avvenire di giustizia sociale.
Nella Trapani delle mura spagnole, nella Trapani del barocco, i frutti finti regalati nel giorno dei morti. Frutti fatti di pasta di mandorla, dolcissima sensazione, nel "Carnevale della vita. Mascariari l'assenza."
Leggendo Giovanna imparo che "cosca è semplicemente la corona di foglie di carciofo, come diceva Leonardo Sciascia."
Seguendo le contaminazioni fra cibo e politica, fra cibo e modo di essere, quando la fame era fame, nei catoi del Casalicchio, si racconta che vivesse la madre di San Pietro, donna perfida. Da una minestra di cavolofiore capiamo tante cose.. Donna condannata alle pene infernali dopo morta, leggendo noi plaudiamo quasi alla punizione verso la cattiveria e l'avarizia quando la foglia del cavolo si slabbra nella risalita verso il Purgatorio, e fa precipitare la madre di San Pietro di nuovo nell'inferno. Se ci si salva ci si salva insieme, sembra la morale della storia.
I gelsi, la ventresca e la bottarga, il cùs cus, l'odore e il sapore della vita intensa, fatta da una "tramontana che entra sotto i vestiti alle mura"
Conosco ogni frase scritta in queste pagine, sono state le frasi del nostro quotidiano esserci, e riesco ad andare a memoria su una Trapani che conoscerete ora dalle pagine di un delizioso atto d'amore, un luogo dell'anima, di ciò che ognuno pensa e vorrebbe dire del suo paese.
Nella dolce cura dei termini, nella limpidezza della narrazione, stanno le mura di difesa ai venti crudeli che sembra soffino impetuosi, dall'estate all'autunno del 2018.
Continuando... non finisce
Ippolita Luzzo
mercoledì 3 ottobre 2018
Paolo Ercolani Contro le donne e Le donne di Lazar' di Marina Stepnova
La casa editrice Nord del gruppo editoriale Spagnol manda in libreria un romanzo di Christina Dalcher Vox. Sulla copertina sta scritto: "Puoi dire non più di cento parole al giorno. Ma solo se sei una donna." Detto ciò poi il romanzo segue i canoni del gusto in voga, abbastanza scontato, ma è interessante come, almeno per la trama, "donne che hanno al polso un bracciale che monitora quante parole possano dire al giorno", si ricolleghi alle tematiche serie e ben argomentate presenti nel libro di Paolo Ercolani "Contro le donne"
Di volta in volta e seguendo il orso della storia Paolo Ercolani studia e indaga il pregiudizio e i pregiudizi sulla donna e sull'essere donna. Un saggio che mi riporta agli anni settanta, al periodo dei miei studi liceali, alle lotte femministe per gestire contraccezione e aborto, una sessualità libera dal peccato e dal concepimento. Far diventare il concepimento una libera scelta, era questo il significato delle parole "L'utero è mio e lo gestisco io" parole urlate dalle femministe in quegli anni. Sembrava lontanissimo San Paolo, quando proibisce alle donne di parlare in chiesa, sembravano lontanissimi Bacone o Montaigne, con le loro boutade sulle conseguenze nefaste del matrimonio e del chiacchierare con una donna.
Il libro di Paolo Ercolani mi arriva e lo leggo insieme al libro di Marina Stepnova "Le donne di Lazar" della casa editrice Voland. C’è del metodo per come arrivano e per come s’accompagnano. Questi due libri sembrano speculari
Anche in questo libro tre donne, intorno ad uno scienziato russo, ripercorrono i temi e pregiudizi delineati da Ercolani come appartenenti al genere femminile. Un libro da leggere come completamentari, accanto.
Noi, al liceo negli anni settanta, siamo vissute leggendo Simone De Beauvoir," Il secondo sesso" poi "Penelope alla guerra" di Oriana Fallaci, "La mela e il serpente" di Armanda Guiducci, pensando che con le letture avremmo potuto pareggiare il divario fra le relazioni con l'altro sesso. Impossibile. La distanza resta, ma, come Ercolani postula, sarà proprio questa distanza a creare la relazione, il rapporto. Fra persone.
In un film non troppo recente " Due Partite" della regista Comencini vi è nel finale questa bellissima lettera "Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile. E questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore... E questo progresso trasformerà n l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste: che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.” Quasi lo stesso finale di Paolo Ercolani, dopo il suo lungo studio dalla Patrologia greca e latina a Freud, a Marcuse, a quella libertà anelata da uomini e donne, la libertà dal pregiudizio.
Ippolita Luzzo
Di volta in volta e seguendo il orso della storia Paolo Ercolani studia e indaga il pregiudizio e i pregiudizi sulla donna e sull'essere donna. Un saggio che mi riporta agli anni settanta, al periodo dei miei studi liceali, alle lotte femministe per gestire contraccezione e aborto, una sessualità libera dal peccato e dal concepimento. Far diventare il concepimento una libera scelta, era questo il significato delle parole "L'utero è mio e lo gestisco io" parole urlate dalle femministe in quegli anni. Sembrava lontanissimo San Paolo, quando proibisce alle donne di parlare in chiesa, sembravano lontanissimi Bacone o Montaigne, con le loro boutade sulle conseguenze nefaste del matrimonio e del chiacchierare con una donna.
Il libro di Paolo Ercolani mi arriva e lo leggo insieme al libro di Marina Stepnova "Le donne di Lazar" della casa editrice Voland. C’è del metodo per come arrivano e per come s’accompagnano. Questi due libri sembrano speculari
Anche in questo libro tre donne, intorno ad uno scienziato russo, ripercorrono i temi e pregiudizi delineati da Ercolani come appartenenti al genere femminile. Un libro da leggere come completamentari, accanto.
Noi, al liceo negli anni settanta, siamo vissute leggendo Simone De Beauvoir," Il secondo sesso" poi "Penelope alla guerra" di Oriana Fallaci, "La mela e il serpente" di Armanda Guiducci, pensando che con le letture avremmo potuto pareggiare il divario fra le relazioni con l'altro sesso. Impossibile. La distanza resta, ma, come Ercolani postula, sarà proprio questa distanza a creare la relazione, il rapporto. Fra persone.
In un film non troppo recente " Due Partite" della regista Comencini vi è nel finale questa bellissima lettera "Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile. E questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore... E questo progresso trasformerà n l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste: che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.” Quasi lo stesso finale di Paolo Ercolani, dopo il suo lungo studio dalla Patrologia greca e latina a Freud, a Marcuse, a quella libertà anelata da uomini e donne, la libertà dal pregiudizio.
Ippolita Luzzo
Litweb: Una finestra sul mondo
Raffaele La Capria
24 ottobre Relazione Uniter in itinere per il 9 Novembre
Litweb: Una finestra sul mondo
La tentazione era di venirmene senza un foglio scritto, domandarvi con semplicità se ci conosciamo. Tutti voi mi rispondereste di sì, sappiamo il nome di alcuni, non di tutti, i presenti, e sappiamo, o almeno pensiamo di sapere, cosa ci accomuna. Sono tanti anni che ci sediamo insieme in questa stanza e sono tante le conversazioni che formano il patrimonio condiviso delle nostre conoscenze.
Ciò ci conforta e ci fa sentire comunità appartenere ad una associazione che nella sua rarità associa quasi per davvero.
Naturalmente è normale che nessuno o quasi conosca il mondo o il regno, per essere precisi, della Litweb, essendo un Regno nato nel 2012, per puro caso, ed essendo un regno, o mondo, nato sul web. Vi spiegherò quindi cosa sia Litweb, crasi della parola Letteratura, in inglese, literature, e della parola web Sottorete di Internet che riunisce i siti che permettono un sistema di navigazione ipertestuale e visualizzabili sul computer per mezzo di appositi programmi software (detti browser )
L' origine viene da world wide web ‘ragnatela estesa in tutto il mondo’; propriamente “rete” www e web sono la stessa cosa. www sta per world wide web e web è un modo più rapido per dire www.
Ma cos'è il world wide web? Letteralmente, ho appena scritto, significa ragnatela mondiale, perché world significa mondo, wide significa scala e web significa ragnatela. Questo però non ci spiega che cos'è. Le connessioni su Internet esistevano già, per scopi militari nel 1969, allora si chiamava Arpanet, e dal 1980 comincia la diffusione, ma solo intorno al 1990 la ragnatela del web ha permesso la nascita, fra molto altro, dei blog, dei siti, dei giornali online, trasformando in modo ineluttabile la comunicazione e la diffusione dei messaggi.
Scherzosamente, alcuni anni fa, io avevo inventato Il Lametame, mio giornale sul web, senza server. Scrivevo www. IlLametame.it e subito sembrava un giornale vero. Ovviamente non esisteva, appariva il link, molti cliccavano sul link, non trovavano che una pagina bianca perché il server non serviva, ma tanti conoscono ormai Il Lametame. Nel Web 2.0 e nel gergo di Internet, un blog è un tipo di sito web gestito da uno o più blogger che pubblicano contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile a un articolo di giornale. Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero diario in rete. Io ho definito il blog, in una lontana intervista sul Quotidiano del sud, un diario a cielo aperto.
Sono milioni di milioni i blog ora nel mondo.
E veniamo ai siti letterari da me incontrati per puro caso nel 2009 quindi già dopo molti anni dalla nascita. E alla nascita sempre per caso del blog, nel 2012.
Sembra sempre antipatico parlare di sé, però il blog è un diario, quindi nasce come Finestra sul mondo, come la mia finestra sul mondo. Il blog sul regno della Litweb nasce come idea comune con Bruno Corino, filosofo ed allievo di Tullio De Mauro, dovremmo proprio invitarlo, ve lo propongo ora, e viene gestito da me con costante curiosità sul fenomeno in corso di formazione. Sul mondo letterario.
Che cos'è una finestra sul mondo? Un'identità forte è una finestra sul mondo, capace di includere in sé anche le altre. Se è debole, invece, si limita a glorificare se stessa, rinchiudendosi nei confini del localismo, questo la una frase di Raffaele La Capria che ho messo come guida all'inizio della conversazione.
Noi possiamo decidere di aprire una finestra per far ammirare a tutti i nostri capelli, il colore dei nostri occhi e la bella voce che si possiede, ed è quel gesto uno specchio vuoto, dice Pierre Zaoui , nell'Arte di scomparire, possiamo decidere di ammirare dalla finestra il mondo che passa e dire agli altri quanto sia bello ed è questo ciò che chiamiamo comunicazione.
In questo modo diventa un modo di vivere, uno stare alla finestra, lontanissima dal luogo natio, lontanissima eppure vicinissima se stiamo qui a parlarne stasera tra noi.
Da quel luogo, da quella finestra, benché mai abbia chiesto nulla, mi sono giunti libri, autori, riconoscimenti e amicizia. Ed è proprio il riconoscimento quello che più ci fa piacere, vero? Riconoscimento fra simili, dovendo vivere fra chi ci sconosce, spesso in contesti pubblici, con poca grazia. Conoscersi tramite ciò che si scrive, capire come si trasforma questo e quello, affidarsi all'intuito e sorvolare sulle scortesie e sulle piccinerie, è ciò che si impara stando in rete.
Sulla rete.
Dalla Rete a noi poi, per contestualizzare ciò che da anni ormai avviene, ho proposto all’Uniter una rassegna letteraria sulla letteratura nascente, ossia, sulla letteratura che difficilmente troviamo in libreria, sulle piccole e medie case editrici che intercettano il buono. Il progetto in effetti, qui all’Uniter, da anni sono felice di dire, è stato accettato, deve ora fare i passaggi necessari per avviare la rassegna. Ospiti dell’Uniter, provenienti dal mondo della Litweb, cioè conosciuti, letti e segnalati da me e apprezzati anche da voi,sono stati, cito in ordine sparso: Nicola Fiorita, Maria Antonietta Ferrarolo, Claudia Melica, Tiziana Iaquinta, Anna Vinci, Mauro Francesco Minervino, Pinuccio Alia, Massimo IIritano, Marcello Comitini, Simona Zecchi.
Amici non contatti e soprattutto stimati professionisti.La stima che ci accomuna. Ricordo ancora la mia felicità quando lessi le prime bozze dei lavori di Maria Antonietta Ferrarolo, ricordo quanto ci siamo parlati e consigliate prima che venisse a Lamezia, e come ormai, fidandosi del mio intuito, mi mandi da leggere, a me per prima, ciò che scrive, dicendo ciò pubblicamente sia alla Nuova Frontiera che in intervista pubblica.
"Arrivi alle cose in base alle intuizioni che hai", raccolsi un giorno questa frase da Nino Racco, e ciò mi fa da guida.
Una rassegna possibile dunque, che dalla Litweb, una finestra sul mondo, possa far affacciare la piana lametina, tramite l’Uniter, sul panorama letterario conoscibile solo tramite il web, "da me", aggiungerei, ma non dirò.
Ippolita Luzzo