Aria e mare... contando i passi.
Come un granello di sabbia
Giuseppe Gulotta, Storia di un innocente.
Al TIP Teatro di Lamezia Terme, nell'ambito di FARE/PUBBLICO, tre giorni di seminari con studenti e artisti, operatori e pubblico, assistiamo al monologo di Salvatore Arena, Mana Chuma Teatro finalista in Box 2016. Salvatore Arena e Massimo Barilla testo e regia. Non vi racconterò la storia tratta da una vicenda vera, raccontata in un libro da Giuseppe Gulotta con Nicola Biondo: ALKAMAR la mia vita in carcere da innocente.
Vi dirò invece cosa io ho preso nei miei appunti.
Appunti al buio intanto, quindi aggiunti a caso.
Come si conta l'aria, quanti respiri facciamo svegli, quanti ne facciamo la notte, quanti ne facciamo in 18 anni, di quanti respiri è fatta una vita? E contiamo respiri e passi fino agli auguri dei 18 anni, della canzoncina che "Tanti auguri a te" ci cantano ai brindisi. Contiamo e cantiamo insieme quella canzone dei 18 anni "Andava a piedi nudi per la strada mi vide e come un'ombra mi seguì Col viso in alto di chi il mondo sfida e tiene ai piedi un uomo con un sì. Anima mia dei Cugini di campagna" per segnare gli anni 1976
"La strage avvenne il 27 gennaio 1976 ad Alcamo Marina in provincia di Trapani, all'interno di una stazione dei Carabinieri, quando nella notte due carabinieri vennero assassinati a colpi di arma da fuoco." Fu accusato e condannato Giuseppe Gulotta, innocente.
Altri appunti nell'inferno dei giorni in caserma. Lui firmerà. Firma Firma firma... La firma che segnerà un destino, una confessione. La firma che ci ferma ad una morte in vita. Contiamo anche noi e il bastone sbatte e fa un cerchio sul legno della scena. La verità è come un diamante, duro. L'isolamento continua. La parola che lava è la stessa che ha lordato e qui ormai Giuseppe sono io e passano e spassano i due testimoni del processo, e passano e spassano, e non ricordano.
Negli anni perduti, sulla scena, il respiro si conta, l'attore dona i gesti, il suo viso, le sue palpebre gonfie di una sconfinata tristezza, il suono di una voce che cambia, il rumore di una motocicletta che corre verso il mare.
Quanti aspettano senza avere una voce, quanti? Contiamoli, fuori e dentro il carcere. Quanti aspettano che il loro destino sciupato venga restituito nelle mani di chi lo sconta vivendo?
Forse non tutti i momenti avevano uno stesso pathos ma io ho sempre sentito sulla pelle il brivido freddo dell'ingiustizia, del gesto che condanna e disprezza, che impone e fa scontare ad altri la malvagità in questo atomo opaco del male.
Respiriamo se possiamo, contando i respiri.
Ippolita Luzzo
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