ITALIA "infine altri, pochi, si sentiranno tristi perché l'ostentazione delle merci, dei loro colori, forme, voci, profumi, ammiccamenti e invadenze, conferma in essi che il consumo è una qualità del tempo e più si consuma e più si invecchia e più si produce e più si muore. Saranno costoro gli eredi di un'Italia antica che da qualche vive ancora, nei ricordi di ricordi altri, affiora nei libri che divorano ogni giorno"
Edito dalla DelVecchioEditore, da un editore come il Manuzio dei nostri tempi, nella collana Formelunghe, il libro finalista al Premio Calvino di questo anno, viene presentato con una copertina di colori, celeste e giallo, una spirale che va verso un buco rosso. "Una danza macabra. Tutta l'arte che ho dentro"
Il libro di Fabio Massimo Franceschelli nella sospensione del tempo in un Centro Commerciale dove pochi avvertono il disagio.
La sospensione prima della valanga, la sospensione prima che l'aereo si infili nei grattacieli di Manhattan, la sospensione prima che il proiettile arrivi al centro e squassi tutto facendo zampillare il sangue. Una sospensione aleggia nelle pagine e nel senso di Italia romanzo a racconti. Ogni personaggio è un racconto di una storia sospesa che aspetta non sa cosa. Siamo fermi tutti all'aereo dell'undici settembre e così sono ferma allo zaino, ai due zaini. Anche gli zaini mi sembrano un motivo. Italia è un nome, il nome di una donna molto anziana forse italoamericana che ha mantenuto il suo dialetto e lo ha infarcito di termini americani un po' storpiati. Siamo in un Centro Commerciale. Nella mia cocciuta opposizione a questi luoghi conduco una battaglia solitaria di cancellazione e mai andrei se non fosse per le Multisale che ci permettono di vedere i film con bellissimi mega schermi. So però che molti usano i Centri commerciali come luoghi reali e vi trascorrono il loro tempo illudendosi di abitare uno spazio vivente. Cattedrale si chiama il Centro Commerciale di Fabio. Ed è in questa congerie di negozi che si svolge la rappresentazione di Italia, la scena, il palcoscenico brulicante di individui poi scelti uno per uno nella folla restringendo dall'alto lo sguardo su di loro. Si sente il rumore di sottofondo e si sente a volte la non linearità, mica sono lineari i gesti di chi non sa di essere nell'obiettivo di uno zoom. Così tendiamo orecchio alle chiacchiere, ai pensieri ed alle supposizioni, ai progetti che fanno i personaggi che via via incontriamo scorrendo le pagine di Italia. Mentre stiamo fermi e sospesi in attesa della pallottola iniziale già sparata. Siamo fermi al buco.
"Il male è una categoria dello spirito ed è una categoria della Storia. Secondo i santi Agostino e Tommaso il male si definisce in termine di deficienza di bene" ma Fabio dissente e vede il bene come momentanea assenza del male. "Il male si è distratto un attimo, si è assentato qui, per andare lì, ma appena ha finito qui tornerà lì. Il bene è un vuoto provvisorio, molto provvisorio, di male."
non c'è rete e non c'è futuro e Italia incontra la luce, in un altro luogo.
Un libro a cui ho messo tante orecchiette alle pagine ed ora vado a rileggermelo ascoltando un frastuono di storie comuni, il frastuono dei destini di una moltitudine vista dalla postazione della lettura. Nella sospensione.
Siamo fermi al buco del proiettile.
Ippolita Luzzo
domenica 29 gennaio 2017
sabato 28 gennaio 2017
La La Land
Oscar ai colori, alle automobili, alle autostrade, Oscar a Los Angeles, alle luci, al panorama, Oscar al jazz, ai locali, Oscar alla buona fede, all'entusiasmo, a Parigi. Los Angeles premia sé stessa.
Oscar 2017 ad un musical che inizia come un musical, con le automobili incolonnate nel traffico e tutti ballano e cantano come negli ingorghi veri. Molto carina la scena. Inizio della storia con un dito alzato, ma lei alza il dito oppure me lo sono inventato? la storia esile è sempre l'incontro scontro fra due giovani e belli che all'inizio si scontrano e poi si incontrano innamorandosi e sostenendo uno l'entusiasmo dell'altro. Comunque una storia inesistente, non hanno più storie da raccontare gli sceneggiatori di Los Angeles se non quella sempre uguale dell'individuo che deve coltivare il suo sogno, che non deve mai smettere di crederci, che deve poi dimenticare chi lo ha aiutato, e che darà emozioni perché un bel giorno arriverà Bill Gates, e siate folli, i sognatori sono tutti folli. Questa la trama di La La Land sviluppata con variazioni sul tema minime, apprezzabile e innovativo l'amore che tutti cercano nella vita, l'amore nello sguardo delle stelle e poi l'amore per la musica, per il jazz.
I protagonisti non esistono in realtà, esiste il messaggio, la strada, quello che si insegue, il successo, quello che avrà solo l'un per cento della popolazione mondiale mentre il resto degli abitanti saranno fortunati se, come il protagonista maschile, potranno farsi due polpette al forno nella solitudine di una casa e suonare nel locale la musica che si ama.
Nel sottotesto ci stanno gli altri, tutti gli altri, che verranno oscurati perché i tacchi vincono sulle scarpe del tip tap e sarà su tacchi vertiginosi che la protagonista arriverà alla fine a casa cinque anni dopo da un marito e da una figlia nella sua domus di attrice.
Lei ha vinto. Ha vinto il Cinema.
Peccato che il messaggio di lei sia non ringraziare, sia lasciare indietro e non guardare indietro, non andare a dire due parole due a chi prima è stato vicino. In effetti il mercato vuole solo questo, non guardare indietro, andare avanti e...
Film carino perché siamo stanchi di pugni in faccia, di contumelie e di sgambetti, siamo però anche stanchi di sogni, emozioni e imperativi categorici.
Quello che mi impensierisce è una cosa che verificherò, sempre all'alba di tempi terribili il cinema ci offre il musical.
"La collina voglia scalare, in cima voglio arrivare"
La collina di Los Angeles ha una cima? sulla collina di Hollywood
Oscar sarà questo anno a La La Land dal mio antico Lallalà
Oscar 2017 ad un musical che inizia come un musical, con le automobili incolonnate nel traffico e tutti ballano e cantano come negli ingorghi veri. Molto carina la scena. Inizio della storia con un dito alzato, ma lei alza il dito oppure me lo sono inventato? la storia esile è sempre l'incontro scontro fra due giovani e belli che all'inizio si scontrano e poi si incontrano innamorandosi e sostenendo uno l'entusiasmo dell'altro. Comunque una storia inesistente, non hanno più storie da raccontare gli sceneggiatori di Los Angeles se non quella sempre uguale dell'individuo che deve coltivare il suo sogno, che non deve mai smettere di crederci, che deve poi dimenticare chi lo ha aiutato, e che darà emozioni perché un bel giorno arriverà Bill Gates, e siate folli, i sognatori sono tutti folli. Questa la trama di La La Land sviluppata con variazioni sul tema minime, apprezzabile e innovativo l'amore che tutti cercano nella vita, l'amore nello sguardo delle stelle e poi l'amore per la musica, per il jazz.
I protagonisti non esistono in realtà, esiste il messaggio, la strada, quello che si insegue, il successo, quello che avrà solo l'un per cento della popolazione mondiale mentre il resto degli abitanti saranno fortunati se, come il protagonista maschile, potranno farsi due polpette al forno nella solitudine di una casa e suonare nel locale la musica che si ama.
Nel sottotesto ci stanno gli altri, tutti gli altri, che verranno oscurati perché i tacchi vincono sulle scarpe del tip tap e sarà su tacchi vertiginosi che la protagonista arriverà alla fine a casa cinque anni dopo da un marito e da una figlia nella sua domus di attrice.
Lei ha vinto. Ha vinto il Cinema.
Peccato che il messaggio di lei sia non ringraziare, sia lasciare indietro e non guardare indietro, non andare a dire due parole due a chi prima è stato vicino. In effetti il mercato vuole solo questo, non guardare indietro, andare avanti e...
Film carino perché siamo stanchi di pugni in faccia, di contumelie e di sgambetti, siamo però anche stanchi di sogni, emozioni e imperativi categorici.
Quello che mi impensierisce è una cosa che verificherò, sempre all'alba di tempi terribili il cinema ci offre il musical.
"La collina voglia scalare, in cima voglio arrivare"
La collina di Los Angeles ha una cima? sulla collina di Hollywood
Oscar sarà questo anno a La La Land dal mio antico Lallalà
venerdì 27 gennaio 2017
Gli Yanomani
Gli Yanomani 2 gennaio 2012
Quell'anno che mi fissai con la tribù degli Yanomani.
Insegnavo a Monterosso, in una prima media e facevo storia, o meglio avrei dovuto, ma non potevo.
Quell'anno esistevano solo le tribù amazzoniche, il loro mondo, perché si erano fermati, perché vivevano ancora in un periodo astorico senza progresso, senza divenire.
"Erano cretini?" mi domandava qualcuno
"Sicuramente" si rispondeva da solo "Sono inferiori, ma sì, ma sì" diceva quello, compiaciuto, a tavola, di tanta evoluzione, di tanta comodità.
"Noi occidentali siamo progrediti, noi siamo migliori" e poi continuava "Cos'è l’intelligenza? è sicuramente un popolo non intelligente"
Questo fra un primo ed un buon caffè.
Ed io ribattevo con tutto lo strutturalismo, con la filosofia dell’essere che loro avevano introiettato e noi no, noi eravamo figli del divenire mentre loro erano andati nel profondo dell’incontro fra uomo e natura e noi avevamo scisso per sempre il nostro legame beoti e incoscienti di vivere ormai nel migliori dei mondi.
Così andavo a scuola e quella tribù da ottobre a dicembre fu ben studiata, usi costumi, linguaggio, suddivisioni in uomini e donne, le donne vivevano solo tra loro.
Avevano capito prima di noi, semplicemente loro sapevano che niente dovevano dire agli uomini, noi ancora caparbie proprio non lo vogliamo capire. Gli uomini, certo, giocavano con i piccoli, quando tornavano dai loro giri, si dondolavano sulle amache, stanchi dalle cacce a piedi, dopo aver inseguito per molto tempo la scimmia, il tapiro, le tarantole e le termiti.
Studiammo il rapporto violento, aggressivo, dell’uomo civile nei loro confronti, il lento e veloce asservimento di un mondo ai biechi bisogni dell’uomo moderno.
Arrivammo a Natale ed io mi accorsi con vero terrore che non avevo fatto né fiabe, né favole, né pleocene e nemmeno sumeri ma avevo spiegato la favola nera dell’oppressione sul diverso, sull'altro da noi.
Nel salutarmi, però, i genitori, venuti agli incontri del primo trimestre, erano sorpresi ma tanto felici, si erano proprio sentiti coinvolti a ricercare cartine geografiche, a rivedere foreste pluviali, a considerare un mondo diverso fatto di riti e danze tribali.
Un mondo popolato da anime, dovunque, negli alberi, nei fiori, nei loro animali, di anime vive che sono con noi.
Ne fui sollevata ma al ritorno a gennaio ripresi il libro di testo e velocemente spiegai gli Assiri, i Fenici, gli Etruschi, gli Ebrei per poi rifermarmi su Greci e Romani.
Ma che meraviglia! Ma che assurdità!
Un duplice mondo, un mondo affannato ed uno fermo, un divenire ed uno stare immobile, un essere per sempre, così come lo chiamava il mio professore di storia della filosofia.
Quell'anno che mi fissai con la tribù degli Yanomani.
Insegnavo a Monterosso, in una prima media e facevo storia, o meglio avrei dovuto, ma non potevo.
Quell'anno esistevano solo le tribù amazzoniche, il loro mondo, perché si erano fermati, perché vivevano ancora in un periodo astorico senza progresso, senza divenire.
"Erano cretini?" mi domandava qualcuno
"Sicuramente" si rispondeva da solo "Sono inferiori, ma sì, ma sì" diceva quello, compiaciuto, a tavola, di tanta evoluzione, di tanta comodità.
"Noi occidentali siamo progrediti, noi siamo migliori" e poi continuava "Cos'è l’intelligenza? è sicuramente un popolo non intelligente"
Questo fra un primo ed un buon caffè.
Ed io ribattevo con tutto lo strutturalismo, con la filosofia dell’essere che loro avevano introiettato e noi no, noi eravamo figli del divenire mentre loro erano andati nel profondo dell’incontro fra uomo e natura e noi avevamo scisso per sempre il nostro legame beoti e incoscienti di vivere ormai nel migliori dei mondi.
Così andavo a scuola e quella tribù da ottobre a dicembre fu ben studiata, usi costumi, linguaggio, suddivisioni in uomini e donne, le donne vivevano solo tra loro.
Avevano capito prima di noi, semplicemente loro sapevano che niente dovevano dire agli uomini, noi ancora caparbie proprio non lo vogliamo capire. Gli uomini, certo, giocavano con i piccoli, quando tornavano dai loro giri, si dondolavano sulle amache, stanchi dalle cacce a piedi, dopo aver inseguito per molto tempo la scimmia, il tapiro, le tarantole e le termiti.
Studiammo il rapporto violento, aggressivo, dell’uomo civile nei loro confronti, il lento e veloce asservimento di un mondo ai biechi bisogni dell’uomo moderno.
Arrivammo a Natale ed io mi accorsi con vero terrore che non avevo fatto né fiabe, né favole, né pleocene e nemmeno sumeri ma avevo spiegato la favola nera dell’oppressione sul diverso, sull'altro da noi.
Nel salutarmi, però, i genitori, venuti agli incontri del primo trimestre, erano sorpresi ma tanto felici, si erano proprio sentiti coinvolti a ricercare cartine geografiche, a rivedere foreste pluviali, a considerare un mondo diverso fatto di riti e danze tribali.
Un mondo popolato da anime, dovunque, negli alberi, nei fiori, nei loro animali, di anime vive che sono con noi.
Ne fui sollevata ma al ritorno a gennaio ripresi il libro di testo e velocemente spiegai gli Assiri, i Fenici, gli Etruschi, gli Ebrei per poi rifermarmi su Greci e Romani.
Ma che meraviglia! Ma che assurdità!
Un duplice mondo, un mondo affannato ed uno fermo, un divenire ed uno stare immobile, un essere per sempre, così come lo chiamava il mio professore di storia della filosofia.
Quel filo spinato
Quel filo spinato che di continuo viene rimesso ad Auschwitz, risistemato per fare scena e consentire le fotografie alle scolaresche e ai turisti un selfie migliore è ciò che di orrore non è più capace. Sbiadito perché ne siamo lontani.
Eppure ne siamo troppo vicini se solo sapessimo vedere quanti fili spinati ormai accerchiano i nostri pensieri.
Fili spinati che limitano un campo, un podere, una casa, un territorio, una nazione.
Fili e poi muri, altissimi muri per arginare l'esodo ci sono sempre stati.
Siamo ignavi che stanno a guardare finché sono gli altri a crepare per noi, finché tu ti butti in un canalone e muori sentendoti chiamare "Africa" e "nero", a Venezia succede, e certo tu ti vuoi suicidare ma nessuno grida "Aiutatelo", possibile?
Possibile anche che una slavina copra un albergo e qualcuno telefoni per avvertire e si senta rispondere che è una bufala, controlleremo, senza però controllare davvero.
Sul filo spinato dal Messico, da tempo esistente, non si potrà più andare negli Stati Uniti, faranno una grande muraglia che si vedrà fin dalla luna e questo porterà progresso e una vera felicità.
Sul filo spinato della memoria anche in Italia si incita alla guerra civile, l'un contro l'altro armato, affinché l'odio purifichi e sterzi verso una guerra e non verso la comprensione.
Sul filo spinato di una memoria che sanguina e brucia, che rabbia fa, sul filo spinato dell'ignoranza ci stiamo bucando le dita e strappando i vestiti.
Ippolita Luzzo
Eppure ne siamo troppo vicini se solo sapessimo vedere quanti fili spinati ormai accerchiano i nostri pensieri.
Fili spinati che limitano un campo, un podere, una casa, un territorio, una nazione.
Fili e poi muri, altissimi muri per arginare l'esodo ci sono sempre stati.
Siamo ignavi che stanno a guardare finché sono gli altri a crepare per noi, finché tu ti butti in un canalone e muori sentendoti chiamare "Africa" e "nero", a Venezia succede, e certo tu ti vuoi suicidare ma nessuno grida "Aiutatelo", possibile?
Possibile anche che una slavina copra un albergo e qualcuno telefoni per avvertire e si senta rispondere che è una bufala, controlleremo, senza però controllare davvero.
Sul filo spinato dal Messico, da tempo esistente, non si potrà più andare negli Stati Uniti, faranno una grande muraglia che si vedrà fin dalla luna e questo porterà progresso e una vera felicità.
Sul filo spinato della memoria anche in Italia si incita alla guerra civile, l'un contro l'altro armato, affinché l'odio purifichi e sterzi verso una guerra e non verso la comprensione.
Sul filo spinato di una memoria che sanguina e brucia, che rabbia fa, sul filo spinato dell'ignoranza ci stiamo bucando le dita e strappando i vestiti.
Ippolita Luzzo
giovedì 26 gennaio 2017
In macchina
Oggi sono ospite di Una veranda per tre
https://unaverandapertre.wordpress.com/2017/01/26/in-macchina/
In macchina
In macchina- 20 aprile 2013 ore 19 e 45
Ho acceso la radio ad alto volume
per non sentire il silenzio assordante
che mi è accanto, mi accerchia senza scampo.
Ha vinto lui, stasera
Ha vinto nonostante io avessi messo in campo
le truppe in ordine
Una mamma piccina, fatina, vecchina
Una amica con nipotine giocose, ciarlanti, saltanti
Un momento all'Altrove associazione e poi
Una conferenza sull'arte africana e sull'origine del mondo.
Più scappavo più il silenzio, il disagio, era con me.
Ho provato con le compere
Ma lasciavo lì pantaloni e magliettine
verde intenso, verde mela
Reggiseni con il pizzo, con un po’ d’imbottitura,
mutandine e canotte da abbinare,
verde acqua, verde mare.
Li ho lasciati, erano estranei, inutili.
In gran fretta sono ritornata
Solo una fermata dal fruttivendolo
Due tre mele, le arance, le fragole biologiche
gli asparagi, la verdura a foglia larga
Al momento di pagare
la signora mi domanda: Le è successo qualcosa?
Ed io di rimando: Si vede, vero?
Una tristezza così non la sentivo da anni
la giostra gira e rigira e ti riporta al capolinea
Pfui
Spariscono in un baleno i contatti, gli impegni,
il mondo reale e immaginario
sparisce il piacere, la gioia, l’entusiasmo
non basta un’agenda fitta di parole nella settimana che viene.
ora c’è il vuoto
Ippolita Luzzo
mercoledì 25 gennaio 2017
Sci-Fi ad Arrival
Scienze e fiction nel film di Villeneuve sugli schermi mondiali per celebrare un arrivo, gli arrivi alieni.
Arrival vuol dire anche neonato, avvento, apparizione.
Il tempo dell'avvento e siamo già nel Carnevale.
"Arrivano" con le due r del verbo che scaldano i motori, arrivano nei gusci, astronavi del 2017, arrivano dei polpi, dei cefalopidi che emettono inchiostro nero attraverso un sifone, dice Wikipedia, e non uno dei tentacoli. Arrivano per darci un dono che fra tremila anni ci servirà, servirà a loro, ok ci servirà. Il dono di leggere nel futuro.
Andiamo dunque a vedere questo film al Centro Commerciale in una sala vuota, altri due spettatori più in là. In quattro.
Arrival e arriva il neonato, la neonata, la nascita della figlia della protagonista, insegnante e ricercatrice universitaria, non sappiamo se a contratto o meno, comunque linguista, che abita in una casa veranda spettacolare, in un bosco con vista lago. I film sono così.
Arrival sono dodici gusci che stazionano in alcuni punti della terra, Cina, Russia, America, l'Europa è un po' messa in disparte mentre la Cina si prepara ad attaccare il loro guscio, la Russia, il Pakistan ed il Sudan faranno lo stesso. L'America brava brava attende e cerca di comprendere quei segnali prima di intraprendere una guerra intelligente. Fantascienza dunque.
Visto così l'impianto sembra uno schema già fin troppo visto, ed infatti lo è, ridicolo a volte, come ridicolo l'arrivo notturno in casa della protagonista Louise e la battuta sui dieci minuti per preparare uno zaino necessario ad una così importante spedizione.
Un film senza una logica, prima i protagonisti indossano scafandri per andare ed è difficilissimo salire in una specie di parete uterina lunghissima per incontrare gli alieni, poi vanno e vengono senza protezioni come se andassero a passeggio sul corso cittadino e l'uccellino nella gabbia che portano dagli alieni cosa vorrà mai dire? Il grado di concentrazione dell'ossigeno, mi informano.
Protesteranno gli animalisti
La sceneggiatura è basata su un racconto dal titolo "Storia della tua vita" di Ted Chiang e contiene qualche spunto interessante. La difficoltà di comunicazione, di interpretare i segni, il concetto di memoria circolare con possibilità di conoscere il futuro.
Con l'inchiostro della penna stilografica anche io, da bimba, facevo quei cerchi e quelle figure, forse ancestrali, in una memoria dove passato e futuro si incrociano nel luogo effimero del presente.
Un futuro che conosciamo, ne siamo responsabili, scegliendo volta per volta la guerra, la vita o il disprezzo. Un futuro che è un cerchio, molti cerchi, che noi non vedremo.
Salviamo dal film i due attori, non aspettando l'Oscar
Ippolita Luzzo
Arrival vuol dire anche neonato, avvento, apparizione.
Il tempo dell'avvento e siamo già nel Carnevale.
"Arrivano" con le due r del verbo che scaldano i motori, arrivano nei gusci, astronavi del 2017, arrivano dei polpi, dei cefalopidi che emettono inchiostro nero attraverso un sifone, dice Wikipedia, e non uno dei tentacoli. Arrivano per darci un dono che fra tremila anni ci servirà, servirà a loro, ok ci servirà. Il dono di leggere nel futuro.
Andiamo dunque a vedere questo film al Centro Commerciale in una sala vuota, altri due spettatori più in là. In quattro.
Arrival e arriva il neonato, la neonata, la nascita della figlia della protagonista, insegnante e ricercatrice universitaria, non sappiamo se a contratto o meno, comunque linguista, che abita in una casa veranda spettacolare, in un bosco con vista lago. I film sono così.
Arrival sono dodici gusci che stazionano in alcuni punti della terra, Cina, Russia, America, l'Europa è un po' messa in disparte mentre la Cina si prepara ad attaccare il loro guscio, la Russia, il Pakistan ed il Sudan faranno lo stesso. L'America brava brava attende e cerca di comprendere quei segnali prima di intraprendere una guerra intelligente. Fantascienza dunque.
Visto così l'impianto sembra uno schema già fin troppo visto, ed infatti lo è, ridicolo a volte, come ridicolo l'arrivo notturno in casa della protagonista Louise e la battuta sui dieci minuti per preparare uno zaino necessario ad una così importante spedizione.
Un film senza una logica, prima i protagonisti indossano scafandri per andare ed è difficilissimo salire in una specie di parete uterina lunghissima per incontrare gli alieni, poi vanno e vengono senza protezioni come se andassero a passeggio sul corso cittadino e l'uccellino nella gabbia che portano dagli alieni cosa vorrà mai dire? Il grado di concentrazione dell'ossigeno, mi informano.
Protesteranno gli animalisti
La sceneggiatura è basata su un racconto dal titolo "Storia della tua vita" di Ted Chiang e contiene qualche spunto interessante. La difficoltà di comunicazione, di interpretare i segni, il concetto di memoria circolare con possibilità di conoscere il futuro.
Con l'inchiostro della penna stilografica anche io, da bimba, facevo quei cerchi e quelle figure, forse ancestrali, in una memoria dove passato e futuro si incrociano nel luogo effimero del presente.
Un futuro che conosciamo, ne siamo responsabili, scegliendo volta per volta la guerra, la vita o il disprezzo. Un futuro che è un cerchio, molti cerchi, che noi non vedremo.
Salviamo dal film i due attori, non aspettando l'Oscar
Ippolita Luzzo
domenica 22 gennaio 2017
Insisti, persisti, raggiungi e conquista
Open day a scuola ieri pomeriggio.
Inno alla gioia, l'adattamento dell'ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, adottato dal Consiglio d'Europa nel 1972 come inno ufficiale dell'Unione europea, viene suonato dalla orchestra degli alunni dell'istituto comprensivo Ardito-Don Bosco in accoglienza al libro Tante donne di Vittoria De Marco Veneziano, di seguito canta alcune canzoni il coro dell'Istituto comprensivo Manzoni-Augruso, iniziando con "Quelle che le donne non dicono" di Fiorella Mannoia, scritta da Enrico Ruggeri e da Luigi Schiavone, e tutta la presentazione del libro finisce sulle note della marcia di Radetzky,
una marcia militare, opera di Johann Strauss padre, composta in onore del maresciallo Josef Radetzky per celebrare la riconquista austriaca di Milano dopo i moti rivoluzionari in Italia del 1848. Una marcia che ha perso però il significato di sconfitta di un anelito liberale dell'Europa ed è diventata il saluto finale di ogni concerto a Capodanno.
Musica quindi nella sala dell'Istituto Tecnico Economico "Valentino De Fazio" insieme alle letture dei brani del libro.
Martina e Benedetta hanno letto la storia di Artemisia Gentileschi e quella delle gelsominaie di Milazzo, una storia di stupro e violenza la prima, una storia di violenza e lavoro la seconda.
Un libro dalla copertina rosa magenta dedicato a tante figure di donne che hanno messo a frutto il loro talento o che sono state perseguitate, costrette a piegarsi agli eventi come la triste storia di Mariannina Coffa, eppure donne sempre in grado di vincere ogni limite come Simona Atzori.
Un inno al libro, ai tanti libri letti, all'amore per la lettura, perché Libro è sinonimo di conoscenza e di emancipazione ci ha ricordato Vittoria mostrandoci fotografie delle donne da lei scelte, tutte con un libro in mano.
E nell'applauso che verrà fatto a chiunque sia meritevole mi piace chiudere con le parole della dirigente Simona Blandino, un invito ad andare oltre l'invidia, ad ammirare chi sa, a voler riconoscere il valore dello studio e della preparazione ed essere felici del talento in possesso delle donne e degli uomini. In grande serenità.
Alleluia.
"Insisti, persisti, raggiungi e conquista" con le parole della mamma tedesca di Vittoria De Marco Veneziano iniziano gli incontri nella settimana dell'Open day a Lamezia Terme
Ippolita Luzzo
Inno alla gioia, l'adattamento dell'ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, adottato dal Consiglio d'Europa nel 1972 come inno ufficiale dell'Unione europea, viene suonato dalla orchestra degli alunni dell'istituto comprensivo Ardito-Don Bosco in accoglienza al libro Tante donne di Vittoria De Marco Veneziano, di seguito canta alcune canzoni il coro dell'Istituto comprensivo Manzoni-Augruso, iniziando con "Quelle che le donne non dicono" di Fiorella Mannoia, scritta da Enrico Ruggeri e da Luigi Schiavone, e tutta la presentazione del libro finisce sulle note della marcia di Radetzky,
una marcia militare, opera di Johann Strauss padre, composta in onore del maresciallo Josef Radetzky per celebrare la riconquista austriaca di Milano dopo i moti rivoluzionari in Italia del 1848. Una marcia che ha perso però il significato di sconfitta di un anelito liberale dell'Europa ed è diventata il saluto finale di ogni concerto a Capodanno.
Musica quindi nella sala dell'Istituto Tecnico Economico "Valentino De Fazio" insieme alle letture dei brani del libro.
Martina e Benedetta hanno letto la storia di Artemisia Gentileschi e quella delle gelsominaie di Milazzo, una storia di stupro e violenza la prima, una storia di violenza e lavoro la seconda.
Un libro dalla copertina rosa magenta dedicato a tante figure di donne che hanno messo a frutto il loro talento o che sono state perseguitate, costrette a piegarsi agli eventi come la triste storia di Mariannina Coffa, eppure donne sempre in grado di vincere ogni limite come Simona Atzori.
Un inno al libro, ai tanti libri letti, all'amore per la lettura, perché Libro è sinonimo di conoscenza e di emancipazione ci ha ricordato Vittoria mostrandoci fotografie delle donne da lei scelte, tutte con un libro in mano.
E nell'applauso che verrà fatto a chiunque sia meritevole mi piace chiudere con le parole della dirigente Simona Blandino, un invito ad andare oltre l'invidia, ad ammirare chi sa, a voler riconoscere il valore dello studio e della preparazione ed essere felici del talento in possesso delle donne e degli uomini. In grande serenità.
Alleluia.
"Insisti, persisti, raggiungi e conquista" con le parole della mamma tedesca di Vittoria De Marco Veneziano iniziano gli incontri nella settimana dell'Open day a Lamezia Terme
Ippolita Luzzo
Il Banchetto di Nozze in Carmine Abate
Siamo all'Istituto Tecnico Economico "Valentino De Fazio" per l'incontro con Carmine Abate, scrittore di origine arbereshe che presenterà il suo ultimo libro Il Banchetto di Nozze.
Scopriamo per pura coincidenza che anche la Dirigente è di origine arbereshe, precisamente di Pallagorio, paese a cui io sono legata come prima esperienza lavorativa nella scuola. Scopro ora con mia sorpresa che anche Robert De Niro è arbereshe. Incontro dunque affettuoso, la Dirigente, anche se aveva più volte detto che sarebbe andata via per un altro impegno, è rimasta fino alla fine ed una alunna, Fera Domenica, grande lettrice di Abate, era seduta beata accanto all'autore. Presenta il libro la professoressa Liliana Piricò. Nella conversazione con Carmine Abate una parola emerge: "La rabbia". La rabbia costruttiva che deve trovare un canale di comunicazione, sia con la letteratura oppure con altro, la rabbia contro l'ingiustizia e contro un modello lavorativo, allora come oggi, distorto. Anche Abate scrisse per rabbia vedendo il lavoro del suo papà, emigrato in Germania.La rabbia, dice la Dirigente, deve trovare il canale per essere magica vera importante. Dobbiamo dare un senso ai sacrifici dei nostri nonni che lavorarono duramente per permettere ai figli di studiare.
Io dai miei appunti leggo uno studio di Karol Karp dell'Università Niccolò Copernico, Torùn, Polonia.
Si prende in considerazione tutto il corpus dell'autore nelle tre dimensioni per concentrarsi sulla lingua, l'immagine della Germania e l'immagine dell'Albania
Terzo convegno internazionale Studia Romanistica Beliana
Letteratura italiana dell'immigrazione, dice Karol Karp
E ricordo che
"Carmine Abate è nato a Carfizzi ed è proprio a Carfizzi, che nasce il primo Parco Letterario dedicato a lui, ad uno scrittore vivente.
Ci sarà una sede centrale in una vecchia casa signorile, già Centro Sociale. Accoglierà tutte le varie edizioni dei libri di Abate in cui è contenuta la storia del paese, dalla sua fondazione per opera di profughi albanesi, alla fine del Quattrocento, fino ai giorni nostri, passando dalle occupazioni delle terre all'emigrazione.
Saranno compresi nel Parco Letterario i luoghi più importanti e simbolici e in ogni luogo sarà presente una targa di metallo con una frase dell’autore che lo riguarda.
La prima reazione di Abate, quando ha ricevuto la notizia del Parco Letterario a lui dedicato, è stata di stupore." Ora invita i ragazzi ad andare a visitare quei luoghi descritti nei suoi romanzi.
Riproponendo un pezzo su Carmine Abate chiudo il mio intervento
Vivere per addizione al tempo del Banchetto di nozze
Seguiamo l’epopea di un popolo, nel Ballo tondo e nelLa moto di Scanderbeg, ritmata dal tamburello e fisarmonica del gruppo arbëreshe di Anna Stratigò.
Voliamo sul mare insieme all’aquila bicefala che portò sui nostri monti calabri gli albanesi in fuga dalla loro terra,
la fuga personale di Carmine Abate che insieme al padre, al nonno,
continua attraverso mari e continenti, dall’Albania in Italia, e poi in America, in Germania, in Trentino, andata e ritorno mille e mille volte su tornanti da stringistomaco…
Una vita di addizioni, di aggiunte, con sapori, lingua e quartieri da esplorare.
Una vita da emigrante
Da migrante con una valigia di cartone, con la laurea in lettere, con ostinazione e conservazione.
Abate ha fatto il salto, ha scoperto il cerchio magico che tutto racchiude e racconta l’epopea della famiglia Arcuri, racconta La collina nel vento di Rossarco.
Resistere resistere resistere…
Col colore oro del pomo trentino, frutto non frutto, liscio e tondo, la sfera che rotola sul piano inclinato di terre e di mari, Carmine Abate assaggia l’indifferenza, il freddo e insieme il rispetto, la dignità di essere un uomo che… dovunque vada sarà per tutti un altro da loro.
Per i calabresi è un germanese, per i trentini un calabrese, per i tedeschi altro ancora
Un abitante la terra di mezzo.
Una dieresi, due punti che indicano una separazione nello stesso segno grafico
Chi resta e chi va via
Insieme
Andiamo tutti con Tolkien nella terra di mezzo, nel luogo non piatto del vissuto fra individui che articolano suoni e fonemi su chitarre sbilenche e corrose dal tempo
Andiamo tutti a suonare ancora il canto errante del Pastore alla luna perlacea dei tempi che sono.
La terra di mezzo esiste- disse Tolkien
Io abito la terra di mezzo- Carmine Abate
E tutti noi abitanti nel mezzo, migranti aiutati dal dono del dire, del raccontare,
Fra un mare sporco e un cielo inquinato vogliamo credere che esista un luogo, perché lo creiamo in quell’istante, un luogo di mezzo che ci ospiterà nel continuo vagare. Il nostro quartiere, la casa, la scuola, il paese, la chiesa, un film, una canzone.
Metà per metà … una moltiplicazione
Altro che addizione!
Un bene immenso da farne divisione…
Dopo tanta sottrazione
Ippolita Luzzo
sabato 21 gennaio 2017
Le magnifiche sorti e progressive
Abituati ai film, alle fiction, ai videogame, ai giochi sul computer, prendiamo per vero ciò che vediamo sullo schermo e applichiamo alla realtà la stessa onnipotenza dell'uomo attore, del robot che muoviamo con un click, con una freccia, destra sinistra e olé.
Tutto facile, tutto semplice.
Abituati ad un pensiero semplice e privo di connessioni conosciamo, pensiamo di conoscere, il sì o il no, il buono o cattivo, e con la stessa caparbietà esaltiamo e condanniamo fenomeni e istituzioni, confondendo Stato con stato, soccorritori con volontari, e donando subito la patente di superman oppure di inadatti e incapaci a chiunque non soddisfi il nostro immaginario di super potenza.
Abituati a vederci come i dominatori del mondo e non come canne al vento...
Sempre attuali sono le riflessioni di chi invita a ripensare sul ruolo dell'uomo nella natura, sulla natura potente che tutto involve, come il tempo, sul nostro essere niente.
Riflessioni già fatte al tempo dell'Illuminismo, riflessioni da fare sempre, anche ora che siamo sempre più in balia di un immaginario di superpotenza e poi basta una valanga, un pugno di neve e siamo sepolti.
Basta una scossa, un fremito e siamo già ignudi, senza tetto, senza luce. Basta un mare in tempesta e giù dai barconi cadono i corpi, annegati.
Un niente della natura può lasciarci inermi, scriveva Leopardi, a chi si inorgogliva dei progressi del secolo. Un niente. Siamo quindi sempre in balia degli eventi, siamo sempre ospiti su questa terra, e se lo ricorderemo saremo più attenti. Almeno ce lo auguriamo
Da Leopardi.
La Ginestra
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive. (cit. daTerenzio Mamiani, cugino di Leopardi)
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami.
In fotografia Rigopiano sotto la valanga
Tutto facile, tutto semplice.
Abituati ad un pensiero semplice e privo di connessioni conosciamo, pensiamo di conoscere, il sì o il no, il buono o cattivo, e con la stessa caparbietà esaltiamo e condanniamo fenomeni e istituzioni, confondendo Stato con stato, soccorritori con volontari, e donando subito la patente di superman oppure di inadatti e incapaci a chiunque non soddisfi il nostro immaginario di super potenza.
Abituati a vederci come i dominatori del mondo e non come canne al vento...
Sempre attuali sono le riflessioni di chi invita a ripensare sul ruolo dell'uomo nella natura, sulla natura potente che tutto involve, come il tempo, sul nostro essere niente.
Riflessioni già fatte al tempo dell'Illuminismo, riflessioni da fare sempre, anche ora che siamo sempre più in balia di un immaginario di superpotenza e poi basta una valanga, un pugno di neve e siamo sepolti.
Basta una scossa, un fremito e siamo già ignudi, senza tetto, senza luce. Basta un mare in tempesta e giù dai barconi cadono i corpi, annegati.
Un niente della natura può lasciarci inermi, scriveva Leopardi, a chi si inorgogliva dei progressi del secolo. Un niente. Siamo quindi sempre in balia degli eventi, siamo sempre ospiti su questa terra, e se lo ricorderemo saremo più attenti. Almeno ce lo auguriamo
Da Leopardi.
La Ginestra
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive. (cit. daTerenzio Mamiani, cugino di Leopardi)
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami.
In fotografia Rigopiano sotto la valanga
mercoledì 18 gennaio 2017
Il bicchiere mezzo pieno. Storie di Calabria
"In Calabria esiste, soprattutto nei piccoli paesi il rimpianto nostalgico del passato. Oh com'era bella Cinquefrondi! e Taurianova? Taurianova era una piccola Parigi" racconta questa sera all'Uniter Nicola Fiorita facendo a me ricordare Argiroffi e Le azzurre sorgenti dell'Acheronte.
Manca in Calabria chi la racconti nel presente con lo stesso gusto di trovar il bello, il piacevole, la possibilità che ancora si possa essere felici qui, malgrado le brutture che la cronaca ci rimanda. Manca una narrazione della Calabria. ed è ciò che hanno tentato Nicola Fiorita e Giancarlo Rafaele, i due autori di Il bicchiere mezzo pieno, una sfida quasi di risposta ad una affermazione di un curatore della Collana Laterza Contromano che dal 2004 segue un percorso di geografia narrativa.
Un libro per i calabresi sulla Calabria non avrà lettori, era stato ciò che si erano sentiti rispondere, perché in Calabria si legge pochissimo. Anche vera come argomentazione, ma i due autori hanno pensato di trovare una casa editrice del sud, Sabbiarossa, e proporre storie sconosciute di calabresi che vogliono essere felici qui, in questi terra.
Così la storia del bergamotto ad Amendolea nasce dal passaggio occasionale di un amministratore delegato inglese che si innamora di un agriturismo, "Il bergamotto", così altre storie di Melito Porto Salvo, di Serrastretta, di Cirò e del vino curato e prodotto con i vitigni autoctoni. Vino ora fra i 20 vini del futuro secondo il New York Times. Ripenso sempre ai tanti vigneti estirpati ogni qual volta si parla di vino. Ma stasera Nicola Fiorita ci parla di piccole economie, in un immaginario nazionale dove la Calabria viene vista come un luogo terribile in cui non si riesca a trovare un calabrese buono e felice. Lui vuole sfatare questo immaginario e noi con lui quasi quasi ci crediamo, come nel film "Il fondamentalista riluttante", la storia di un professore pachistano che da Princeton torna in Pakistan stanco dei sospetti e dei pregiudizi contro i pakistani. Un sogno collettivo ci offre Nicola Fiorita, il sogno di credere possibile il movimento e sentendosi lui non un rivoluzionario bensì un agit- prop, vorrebbe agitarsi perché sia migliore lo stare qui, in Calabria.
Manca in Calabria chi la racconti nel presente con lo stesso gusto di trovar il bello, il piacevole, la possibilità che ancora si possa essere felici qui, malgrado le brutture che la cronaca ci rimanda. Manca una narrazione della Calabria. ed è ciò che hanno tentato Nicola Fiorita e Giancarlo Rafaele, i due autori di Il bicchiere mezzo pieno, una sfida quasi di risposta ad una affermazione di un curatore della Collana Laterza Contromano che dal 2004 segue un percorso di geografia narrativa.
Un libro per i calabresi sulla Calabria non avrà lettori, era stato ciò che si erano sentiti rispondere, perché in Calabria si legge pochissimo. Anche vera come argomentazione, ma i due autori hanno pensato di trovare una casa editrice del sud, Sabbiarossa, e proporre storie sconosciute di calabresi che vogliono essere felici qui, in questi terra.
Così la storia del bergamotto ad Amendolea nasce dal passaggio occasionale di un amministratore delegato inglese che si innamora di un agriturismo, "Il bergamotto", così altre storie di Melito Porto Salvo, di Serrastretta, di Cirò e del vino curato e prodotto con i vitigni autoctoni. Vino ora fra i 20 vini del futuro secondo il New York Times. Ripenso sempre ai tanti vigneti estirpati ogni qual volta si parla di vino. Ma stasera Nicola Fiorita ci parla di piccole economie, in un immaginario nazionale dove la Calabria viene vista come un luogo terribile in cui non si riesca a trovare un calabrese buono e felice. Lui vuole sfatare questo immaginario e noi con lui quasi quasi ci crediamo, come nel film "Il fondamentalista riluttante", la storia di un professore pachistano che da Princeton torna in Pakistan stanco dei sospetti e dei pregiudizi contro i pakistani. Un sogno collettivo ci offre Nicola Fiorita, il sogno di credere possibile il movimento e sentendosi lui non un rivoluzionario bensì un agit- prop, vorrebbe agitarsi perché sia migliore lo stare qui, in Calabria.
Per Amatrice
Cade anche il Campanile tutti giù per terra
Blogger per Amatrice
Blogger per Amatrice al freddo e al gelo
Blogger per caso
Tu scendi dalle stelle alla maniera del nostro giorno “E vivere in Abruzzo/al freddo e al gelo
Il pezzo su cosa possano fare i blogger
Scrivo su un blog che a giugno compirà 5 anni, un diario è un blog, una finestra sui giornali, sui libri, su qualsiasi cosa possa interessare.
Prendo in prestito l’immagine di Amatrice, la struttura sanitaria crollata sotto il peso della neve, il campanile, per il nostro presepe, per la realtà che viene seppellita da carte e burocrazia. Ricordiamolo, da blogger. Nella disfatta di stare a guardare terremoti e disastri, nell'impotenza di poter operare se non con un solo click. Senza tetto
Ippolita Luzzo
Blogger per Amatrice
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Blogger per caso
Tu scendi dalle stelle alla maniera del nostro giorno “E vivere in Abruzzo/al freddo e al gelo
Il pezzo su cosa possano fare i blogger
Scrivo su un blog che a giugno compirà 5 anni, un diario è un blog, una finestra sui giornali, sui libri, su qualsiasi cosa possa interessare.
Prendo in prestito l’immagine di Amatrice, la struttura sanitaria crollata sotto il peso della neve, il campanile, per il nostro presepe, per la realtà che viene seppellita da carte e burocrazia. Ricordiamolo, da blogger. Nella disfatta di stare a guardare terremoti e disastri, nell'impotenza di poter operare se non con un solo click. Senza tetto
Ippolita Luzzo
domenica 15 gennaio 2017
Niccolò Spirito di Sara Di Furia
Questo libro serve a mettere fine ad una maledizione, dice l'autrice Sara Di Furia in una intervista che mi sono appena ascoltata, in merito al libro nel libro, il libro che sarà scritto dal protagonista Niccolò Spirito, per scacciare una antica maledizione risalente al tempo delle Crociate. Un Paranormal Fantasy inserito in un definito periodo storico, nel 1793, a Venezia, e l'autrice rispetta i luoghi, le piazze, i personaggi di quel tempo.
Niccolò Spirito, primo fantasy che leggo, mi è venuto incontro alla fiera del libro a Roma, Più Libri più Liberi. Giorni fantasy per me. Fantastici.
Leggo quindi il libro amando quei giorni a Roma, gli incontri, le fotografie, le sintonie. Una fiera di conoscenze fra simili. Il mondo fantastico della piccola e media editoria indipendente. Astro del sol... ci verrebbe da cantare con tutti, mentre io mi fermo agli stand ed inneggio felice al mondo della lettura. Nel libro di Sara Di Furia la stessa passione è presente.
La voce narrante è una penna, la penna di Niccolò, questo nobile veneziano che sarà l'artefice di uno svelamento attraverso la lettura. Ed è tutto un inno alla lettura questo libro che inizia con l'incontro con Beatrice, mentre costei legge Les Femmes Savants di Molière
"mentre il buio avvolgeva, con le sue braccia stanche, i tetti dei palazzi"
e ritorniamo al motivo per cui maledizione fu gettata sugli Spirito
"lo stemma di famiglia Due spade si intersecavano a formare una
croce, facendo scaturire tre onde stilizzate del mare. Lo stemma
aveva origini molto antiche. Fu coniato durante la crociata del
1202 quando l’antenato della famiglia Spirito salpò, senza fare
mai ritorno, verso Gerusalemme, in difesa del cristianesimo. Il
padre di Niccolò amava raccontare di come quei tempi fossero
densi di moralità cristiana tradotta in atti concreti di eroismo,
in contrasto evidente con l’epoca frivola, superficiale e solo in
apparenza morale, a cui invece loro erano stati destinati. Niccolò però conosceva bene il paradosso dell’esperienza vissuta dal suo antenato e il peso che, a distanza di secoli, aveva ancora sulla sua famiglia. La crociata dei veneziani era passata alla storia come la più vergognosa per il mondo cattolico, poiché si trattò di una guerra fratricida. Il doge veneziano Enrico Dandolo infatti, essendo a conoscenza delle difficoltà logistiche della Chiesa nell'organizzare una nuova spedizione, offrì gratuitamente ai “soldati di Dio” le proprie navi, a patto che prima di arrivare a Gerusalemme si sbarcasse nella cristiana Costantinopoli. Lo scopo era in realtà la conquista della città ottenendo così il monopolio dei traffici con il Levante. Sangue versato per il vile denaro.
La liberazione di Gerusalemme dagli infedeli divenne allora un
fine accessorio. Si trattò di un ricatto conclusosi con la strage di
fratelli nella fede e che macchiò indelebilmente con una maledizione tutti coloro che vi parteciparono. La leggenda nera infatti, racconta che per aver sparso sangue innocente, i discendenti dei crociati non avrebbero vissuto oltre i cinquant'anni, schiacciati e logorati da un morbo invisibile, e che tutto sarebbe proseguito fino a quando anche un solo uomo avesse ridato il giusto peso ai valori cristiani."
Un libro scritto da chi ama la storia ed insieme l'immaginazione, da chi vive nella storia rispettandone i passaggi ed insieme ama la letteratura, riconoscendo alla scrittura, al potere del racconto, la salvezza.
Riuscirà la penna a sconfiggere la maledizione?
Niccolò Spirito, primo fantasy che leggo, mi è venuto incontro alla fiera del libro a Roma, Più Libri più Liberi. Giorni fantasy per me. Fantastici.
Leggo quindi il libro amando quei giorni a Roma, gli incontri, le fotografie, le sintonie. Una fiera di conoscenze fra simili. Il mondo fantastico della piccola e media editoria indipendente. Astro del sol... ci verrebbe da cantare con tutti, mentre io mi fermo agli stand ed inneggio felice al mondo della lettura. Nel libro di Sara Di Furia la stessa passione è presente.
La voce narrante è una penna, la penna di Niccolò, questo nobile veneziano che sarà l'artefice di uno svelamento attraverso la lettura. Ed è tutto un inno alla lettura questo libro che inizia con l'incontro con Beatrice, mentre costei legge Les Femmes Savants di Molière
"mentre il buio avvolgeva, con le sue braccia stanche, i tetti dei palazzi"
e ritorniamo al motivo per cui maledizione fu gettata sugli Spirito
"lo stemma di famiglia Due spade si intersecavano a formare una
croce, facendo scaturire tre onde stilizzate del mare. Lo stemma
aveva origini molto antiche. Fu coniato durante la crociata del
1202 quando l’antenato della famiglia Spirito salpò, senza fare
mai ritorno, verso Gerusalemme, in difesa del cristianesimo. Il
padre di Niccolò amava raccontare di come quei tempi fossero
densi di moralità cristiana tradotta in atti concreti di eroismo,
in contrasto evidente con l’epoca frivola, superficiale e solo in
apparenza morale, a cui invece loro erano stati destinati. Niccolò però conosceva bene il paradosso dell’esperienza vissuta dal suo antenato e il peso che, a distanza di secoli, aveva ancora sulla sua famiglia. La crociata dei veneziani era passata alla storia come la più vergognosa per il mondo cattolico, poiché si trattò di una guerra fratricida. Il doge veneziano Enrico Dandolo infatti, essendo a conoscenza delle difficoltà logistiche della Chiesa nell'organizzare una nuova spedizione, offrì gratuitamente ai “soldati di Dio” le proprie navi, a patto che prima di arrivare a Gerusalemme si sbarcasse nella cristiana Costantinopoli. Lo scopo era in realtà la conquista della città ottenendo così il monopolio dei traffici con il Levante. Sangue versato per il vile denaro.
La liberazione di Gerusalemme dagli infedeli divenne allora un
fine accessorio. Si trattò di un ricatto conclusosi con la strage di
fratelli nella fede e che macchiò indelebilmente con una maledizione tutti coloro che vi parteciparono. La leggenda nera infatti, racconta che per aver sparso sangue innocente, i discendenti dei crociati non avrebbero vissuto oltre i cinquant'anni, schiacciati e logorati da un morbo invisibile, e che tutto sarebbe proseguito fino a quando anche un solo uomo avesse ridato il giusto peso ai valori cristiani."
Un libro scritto da chi ama la storia ed insieme l'immaginazione, da chi vive nella storia rispettandone i passaggi ed insieme ama la letteratura, riconoscendo alla scrittura, al potere del racconto, la salvezza.
Riuscirà la penna a sconfiggere la maledizione?
venerdì 13 gennaio 2017
Irlanda e Scozia da Paginauno
Leggo "Il regalo di Nessus" di William McIlvanney, uno dei maggiori scrittori scozzesi. Sul mito di Eracle e Deianira, sua moglie, sappiamo di quella tunica, regalo di Nessus, che Eracle indossò lacerandosi tutto il corpo per strapparsela di dosso. Cameron e la sua tunica.
"La storia di un rapporto è un po' come la storia di una società.Inizialmente è piuttosto disorganizzata.Ferisci l'altro in modo discontinuo. Ma con il tempo ogni cosa diventa classificabile e centralizzata. La specializzazione prende piede."
Edizioni Paginauno nella collana Il Bosco di Latte, nei tascabili, propone due autori irlandesi, racconti brevi. Frank O’ Connor e Liam O’Flaherty, due scrittori, entrambi del segno zodiacale della vergine, entrambi quindi con una scrittura attenta alle sfumature, ai dettagli. Due scrittori del secolo scorso, due scrittori civili, attenti alla storia del loro paese, alle rivendicazioni di autonomia, alle lotte di un popolo per conquistare dignità e riconoscimento sia umano che politico.
La storia dell’Irlanda nei quattro racconti di “Ospiti della nazione” di Frank O’ Connor diventa una storia individuale, si insinua nei rapporti coniugali e familiari e confonde i ruoli, portando alla rovina situazioni già al limite. Nel racconto “La moglie di Jumbo” fra delatori e combattenti, fra violenze coniugali e ordine costituito, la moglie di Jumbo, una donna malmenata e umiliata, mostra una lettera giunta al marito ad un uomo che sta combattendo in clandestinità. L’uomo quindi viene a sapere che Jumbo è una spia. “Ognuno di noi non sa che effetto avranno le nostre azioni” questa frase di Pomilio mi sta nella testa per tutta la durata della lettura di questo racconto che vi fermerà a considerare quanto le nostre azioni vadano al di là del fine per cui avvennero.
Resterete a guardare la casa del racconto “Le sorelle” e chissà quanti rapporti di dipendenza e solitudine vi si riaffacceranno nella memoria visiva della vostra lettura!Una folla di uomini e donne chiusi nelle stanze dei rapporti, dipendenti gli uni degli altri, come “Le sorelle“.
Il racconto che ho amato di più sta nel libro di Liam O’ Flaherty “Il cecchino”. “Il re di Inishcam”. Leggetelo e mi direte uguale. Io l’ho letto accatto al caminetto, a casa dei miei genitori, e l’isoletta di Inishcam, separata dalla terraferma era in quel momento il regno della Litweb, quel luogo non istituzionale, lontano da quel mondo dove per scrivere bisognerebbe essere accreditati. Nell’isola l’industria principale è la distillazione illegale di whiskey. C’è un re in quest’isola, io mi sono subito sentita chiamata in causa, perché “Se un uomo viene chiamato “re” anche se solo per scherzo, nel corso del tempo acquisisce atteggiamenti regali.” Un duello fra due individui che indossano ruoli contrapposti eppure capaci di stimare uno l’operato dell’altro. Mentre la guerra imbratta di sangue e sciupa la vita di soldati e civili, questo racconto sembra appartenere ad un immaginario luogo in cui possano le azioni umane rimettere le cose a posto.
Negli altri racconti “La guerra civile”, “Il cecchino” le armi, fanno fuoco mirando alla testa le paure e le attese di ogni soldato. In “Verso l’esilio” sarà un’altra la morte che si affronterà, il distacco, la partenza dei figli. Una mamma dovrà morire in quell’attimo in cui tutto si compie e loro van via. “Pazienza” questa pazienza che ci fa sembrare vivi da morti, questa pazienza che sento svanire in me con un moto di ribellione e che mi viene regalata ora da letture così interessanti , così curate da indurmi a consigliarle a chi mi leggerà.
Ippolita Luzzo
"La storia di un rapporto è un po' come la storia di una società.Inizialmente è piuttosto disorganizzata.Ferisci l'altro in modo discontinuo. Ma con il tempo ogni cosa diventa classificabile e centralizzata. La specializzazione prende piede."
Edizioni Paginauno nella collana Il Bosco di Latte, nei tascabili, propone due autori irlandesi, racconti brevi. Frank O’ Connor e Liam O’Flaherty, due scrittori, entrambi del segno zodiacale della vergine, entrambi quindi con una scrittura attenta alle sfumature, ai dettagli. Due scrittori del secolo scorso, due scrittori civili, attenti alla storia del loro paese, alle rivendicazioni di autonomia, alle lotte di un popolo per conquistare dignità e riconoscimento sia umano che politico.
La storia dell’Irlanda nei quattro racconti di “Ospiti della nazione” di Frank O’ Connor diventa una storia individuale, si insinua nei rapporti coniugali e familiari e confonde i ruoli, portando alla rovina situazioni già al limite. Nel racconto “La moglie di Jumbo” fra delatori e combattenti, fra violenze coniugali e ordine costituito, la moglie di Jumbo, una donna malmenata e umiliata, mostra una lettera giunta al marito ad un uomo che sta combattendo in clandestinità. L’uomo quindi viene a sapere che Jumbo è una spia. “Ognuno di noi non sa che effetto avranno le nostre azioni” questa frase di Pomilio mi sta nella testa per tutta la durata della lettura di questo racconto che vi fermerà a considerare quanto le nostre azioni vadano al di là del fine per cui avvennero.
Resterete a guardare la casa del racconto “Le sorelle” e chissà quanti rapporti di dipendenza e solitudine vi si riaffacceranno nella memoria visiva della vostra lettura!Una folla di uomini e donne chiusi nelle stanze dei rapporti, dipendenti gli uni degli altri, come “Le sorelle“.
Il racconto che ho amato di più sta nel libro di Liam O’ Flaherty “Il cecchino”. “Il re di Inishcam”. Leggetelo e mi direte uguale. Io l’ho letto accatto al caminetto, a casa dei miei genitori, e l’isoletta di Inishcam, separata dalla terraferma era in quel momento il regno della Litweb, quel luogo non istituzionale, lontano da quel mondo dove per scrivere bisognerebbe essere accreditati. Nell’isola l’industria principale è la distillazione illegale di whiskey. C’è un re in quest’isola, io mi sono subito sentita chiamata in causa, perché “Se un uomo viene chiamato “re” anche se solo per scherzo, nel corso del tempo acquisisce atteggiamenti regali.” Un duello fra due individui che indossano ruoli contrapposti eppure capaci di stimare uno l’operato dell’altro. Mentre la guerra imbratta di sangue e sciupa la vita di soldati e civili, questo racconto sembra appartenere ad un immaginario luogo in cui possano le azioni umane rimettere le cose a posto.
Negli altri racconti “La guerra civile”, “Il cecchino” le armi, fanno fuoco mirando alla testa le paure e le attese di ogni soldato. In “Verso l’esilio” sarà un’altra la morte che si affronterà, il distacco, la partenza dei figli. Una mamma dovrà morire in quell’attimo in cui tutto si compie e loro van via. “Pazienza” questa pazienza che ci fa sembrare vivi da morti, questa pazienza che sento svanire in me con un moto di ribellione e che mi viene regalata ora da letture così interessanti , così curate da indurmi a consigliarle a chi mi leggerà.
Ippolita Luzzo
mercoledì 11 gennaio 2017
"Questi giorni" Il quadro di Giuseppe Piccioni
C'è un quadro che inizia e finisce il film nel circolare che chiude una storia di un viaggio fatto da quattro amiche sorprese nel passaggio da una vita all'altra.
C'è un trasloco da una stanza universitaria ad una vita di lavoro e responsabilità. Passano libri dagli scaffali negli scatoloni nel momento di abbandonare un luogo e c'è il quadro che viene preso da una delle quattro amiche a testimoniare un momento che resta. Resta il quadro alla parete della nuova casa di Caterina, una casa da adulta, con tanto di fiori alla finestra e con quel quadro che, per fortuna c'è, rimane, appeso alla parete, col rosso del colore la passione della vita.
Nella trama il viaggio verso il lavoro di una delle amiche, la nascita di un figlio per un'altra, il ritorno alla cura, per una malattia e lo svelamento di un tradimento per le altre due protagoniste.
Un film che ho letto quasi solo in immagini, mancandomi il testo per un audio non perfettamente calibrato nel pur bellissimo teatro dove è stato proiettato.
Moltissimi i momenti in cui mi è sembrato di veder quadri di pittori famosi e riferimenti a libri e ad altri registi, del resto Piccioni stesso poi nella conversazione fatta alla fine del suo applaudito film ha raccontato di aver "rubato" ai registi serbi, a Tolstoj di Guerra e Pace, alle tante letture le suggestioni fatte vivere sullo schermo.
Nella vita interiore che il film ha, mi restano le dissolvenze, l'ombra del corpo di Liliana che si alza dal letto, nella sua stanza, il surreale delle teste delle clienti, con i capelli in attesa della parrucchiera, la madre di Liliana, alla ricerca di una verità intuita. "Conviene ciò che accade" ci ripete Piccioni, nel conversare, e nel continuo sorprendersi che la vita sia un attimo, che il passato non si sa dove sia andato, ma è passato, e come è stato possibile? una domanda eterna, io scrissi, nel mio pezzo " Ciò che non muta" in quel continuo arrovellarci non muta lo stupore.
E non muta la voglia della giovinezza, di guardarla la giovinezza, con occhi teneri, delicati e rispettosi, come momento fragile, ma tenace, dove ritornare per un sorriso in più. E col sorriso che ci dona la voglia di alzarci ogni mattina il film dipinge su una tavolozza andata e ritorno on the road i colori di Questi Giorni
C'è un trasloco da una stanza universitaria ad una vita di lavoro e responsabilità. Passano libri dagli scaffali negli scatoloni nel momento di abbandonare un luogo e c'è il quadro che viene preso da una delle quattro amiche a testimoniare un momento che resta. Resta il quadro alla parete della nuova casa di Caterina, una casa da adulta, con tanto di fiori alla finestra e con quel quadro che, per fortuna c'è, rimane, appeso alla parete, col rosso del colore la passione della vita.
Nella trama il viaggio verso il lavoro di una delle amiche, la nascita di un figlio per un'altra, il ritorno alla cura, per una malattia e lo svelamento di un tradimento per le altre due protagoniste.
Un film che ho letto quasi solo in immagini, mancandomi il testo per un audio non perfettamente calibrato nel pur bellissimo teatro dove è stato proiettato.
Moltissimi i momenti in cui mi è sembrato di veder quadri di pittori famosi e riferimenti a libri e ad altri registi, del resto Piccioni stesso poi nella conversazione fatta alla fine del suo applaudito film ha raccontato di aver "rubato" ai registi serbi, a Tolstoj di Guerra e Pace, alle tante letture le suggestioni fatte vivere sullo schermo.
Nella vita interiore che il film ha, mi restano le dissolvenze, l'ombra del corpo di Liliana che si alza dal letto, nella sua stanza, il surreale delle teste delle clienti, con i capelli in attesa della parrucchiera, la madre di Liliana, alla ricerca di una verità intuita. "Conviene ciò che accade" ci ripete Piccioni, nel conversare, e nel continuo sorprendersi che la vita sia un attimo, che il passato non si sa dove sia andato, ma è passato, e come è stato possibile? una domanda eterna, io scrissi, nel mio pezzo " Ciò che non muta" in quel continuo arrovellarci non muta lo stupore.
E non muta la voglia della giovinezza, di guardarla la giovinezza, con occhi teneri, delicati e rispettosi, come momento fragile, ma tenace, dove ritornare per un sorriso in più. E col sorriso che ci dona la voglia di alzarci ogni mattina il film dipinge su una tavolozza andata e ritorno on the road i colori di Questi Giorni
mercoledì 4 gennaio 2017
"Margie" ha vinto, Domenico Modafferi
Margie: il tempo del perdono.
Il corto di Domenico Modafferi condensa in pochissimi minuti il passaggio dalla disperazione all'accettazione, al perdonare e perdonarsi e riprendere il dono della vita che si voleva buttar via. Sul terrazzo di un condominio si incontrano un cieco, il vate cieco, quasi, e la ragazza seduta sul muretto con le gambe penzolanti nel vuoto.
Vertigine.
La vertigine del nulla davanti. Un dialogo attento, una stesura senza sdolcinature, misurata e di una semplicità umana, ci coinvolge sul terrazzo e insieme a lei, alla ragazza, scenderemo dal muretto
Nella magia del cinema il signore cieco sembra l'inviato della speranza, e la sua sigaretta lasciata a spegnersi su quel muretto sembra che abbia fatto beffa alle Parche.
Vi dovrete accontentare di un mozzicone- sembra dica alla signora in nero che stava sul muretto a ghermire la ragazza
Due i colori: il nero soprattutto e il rosso del rossetto, del papillon,
il rosso che vincerà su nero nella dicotomia eterna fra vincere e perdere al gioco della vita
E il bianco a far da contraltare, a dare tutte le sfumature che renderanno possibile ogni diversità
Sul blog di Giacomo Verri un mio pezzo
Inizio l'anno ospite del blog di Giacomo Verri con un mio pezzo su Libri tanto amati. Ve lo ripropongo qui rimandandovi al blog di Giacomo.
Ho comprato I Miei Premi di Thomas Bernhard dopo.
Non sapevo più da tempo dove fosse quel mio simile e simile di Bernhard che mi chiamava zia, ma nel mio letterario immaginario era esistito uguale, se pur nell’espace d’un matin, quel giovane che, a me adulta, lui, come Bernhard, chiamava zia. Gli avrei fatto leggere Bernhard, se solo avessi avuto altra opportunità, ed ora, che nel tempo ogni cosa svanisce, voglio ricordare come i rapporti filiali, affettivi, parentali, sono scelte e vanno ben al di là dello schema usuale.
Thomas Bernhard, lo scrittore austriaco, geniale e ironico, scomparso nel 1989, viveva con una donna molto più anziana di lui, una donna che lui chiamava zia, in una famiglia scelta per grande comprensione, per somiglianza.
Ho comprato I Miei Premi di Thomas Bernhard dopo.
Non sapevo più da tempo dove fosse quel mio simile e simile di Bernhard che mi chiamava zia, ma nel mio letterario immaginario era esistito uguale, se pur nell’espace d’un matin, quel giovane che, a me adulta, lui, come Bernhard, chiamava zia. Gli avrei fatto leggere Bernhard, se solo avessi avuto altra opportunità, ed ora, che nel tempo ogni cosa svanisce, voglio ricordare come i rapporti filiali, affettivi, parentali, sono scelte e vanno ben al di là dello schema usuale.
Thomas Bernhard, lo scrittore austriaco, geniale e ironico, scomparso nel 1989, viveva con una donna molto più anziana di lui, una donna che lui chiamava zia, in una famiglia scelta per grande comprensione, per somiglianza.
https://giacomoverri.wordpress.com/2017/01/02/libri-tanto-amati-ippolita-luzzo-e-thomas-bernhard/