lunedì 22 agosto 2016

Padre, madre, figlio, figlia, zia e cognata, cugina e nipote, scrivono tutti.

- E come state in famiglia?
- Bene, grazie, scriviamo tutti.
 Così rispondono i fortunati consanguinei della penna, gli scrittori dei florilegi e dei madrigali.

Solo a casa mia se apro bocca vengo redarguita con: - Smettila di parlare di mafia - mio zio alquanto seccato, e a nulla vale per mia discolpa chiarire  che io di mafia non scrivo. 
- Allora smettila di parlare di gay! - mi intima ancora più seccato. Mah! dove avrà letto da me non so, sono sicura che non mi ha letto mai. 
Sono altresì sicura che non mi hanno letto mai i miei familiari, dal più stretto al più allargato.  
Non solo. Nella mia famiglia la scrittura è vista con fastidio. Da sempre. Mio padre leggeva moltissime riviste, ogni giorno. Mia madre, quando poteva sedersi, sfogliava il giornale e ora ha imparato la settimana enigmistica, fratello e sorella non leggono e non scrivono da poeti e scrittori, quindi finisce qui il rapporto con le amene letture a casa mia.
Io fuori sto. Da lettrice. 
Noto però con vero piacere e ammirazione che esistono famiglie in cui tutti leggono e scrivono, uno poi presenta e incensa l'altro, e nella felicità più assoluta stanno, avendo un libro per le mani. Il loro.
Evviva.
Felice per loro che non conosceranno mai i dispiaceri degli esiliati, degli esclusi, di chi legge per sopravvivere un testo al giorno e che non sia il suo o della proprio famiglia.
Leggersi la letteratura prodotta nelle stanze di casa propria deve dare quella soddisfazione spalmabile che prende a chi prepara le marmellate in estate, autunno e inverno. Fatta in casa meglio è. 
La marmellata. 
  

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