Chiedeva la carità all'angolo di una strada, forse su un marciapiede, "uomo da marciapiede"
Chiedeva la carità e nessuno si fermava.
Sente una voce che gli chiede il suo cartello con su scritto "Fate la carità ad un povero cieco"
Lui porge il cartello e dopo un po' se lo vede restituire.
Cominciano a cadere monete nel piatto e al ritorno della voce, che aveva preso il cartello, domanda cosa fosse cambiato.
Sono un pubblicitario, risponde la voce, ed ho cambiato la scritta "Chiedo la carità" in " Oggi è una bella giornata di sole. Voi potete vederla, io no"
Questo apologo mi accompagna spesso, e nel dire al mondo che oggi è una bella giornata, voi potete viverla, io non potrò, mi avvio alla bella giornata che si vedrà.
Chiedere la carità. Umiliati e offesi. San Paolo e Dostoevskij, tutta la letteratura in un piatto vuoto teso all'angolo di una strada, su un marciapiede, da un cieco che aspetta il pubblicitario
Trovarlo sarà la sua fortuna? forse
Chi lo sa cosa chiediamo noi tutti con quel piatto vuoto?
Chi lo sa cosa spinge i passanti ora a gettare distrattamente la moneta?
vero è che esibire una debolezza ed una mancanza allontana ed infastidisce.
vero è che al mondo non puoi chiedere di più.
Chi è il cieco e chi è il passante?
Nessuno si accorge nemmeno di sé stesso.
Guarda e non vede.
Così la letteratura ha preso a dire baci bacini, caffè e cioccolata, sospiri e caramelle, il bello che avrete, "Un giorno in più" ed a vendere e vendere la carità ad ogni angolo di strada. Connivente con la pubblicità
mercoledì 30 dicembre 2015
lunedì 28 dicembre 2015
Leopoldo Attolico- Pesci
Pesci sì pesci no
Sono circondata da Pesci – zodiacali
–
Personalità affascinanti, donne,
uomini, con progetti inesauribili da realizzare, idee, idee, cervello che
produce senza stare mai fermo a riposare, un fermento. Perseguono le loro idee,
avanzando leggeri ma tenaci, avvolgendo gli altri e coinvolgendoli nel loro
stesso obiettivo. Parlano, convincono.
Grandi, grandissime cose vedrai se tu li
seguirai!
E così io, razionale, ma irretita da una luna
in Pesci, li seguo. E tutto cambia…
I pesci nuotano liberi nell'acqua.
Personalità così acquatiche non lavorano con… loro nuotano da soli nel mare,
nel fiume della vita. E ti trovi a nuotare anche tu, sperando di restare a
galla.
Pesci sì… per un po’ ti prendono per mano,
poi si allontanano, per un po’ sono tutti sorrisi, poi all'improvviso la
malinconia, e non trovi più il loro sguardo… puff… scomparso. Per i pesci, se
sbagli il metodo, se sbagli l’intonazione, se sbagli il momento, sei cancellato
per sempre.
Sono pesci no all'improvviso, lo diventano
senza ragione, così, cambiano direzione,
e tu puoi solo sentire il salato del loro passaggio.
Ma averli conosciuti arricchisce e impoverisce
nello stesso tempo in maniera considerevole la vita e la trasforma.
Spendono, spandono, acquistano,
riacquistano, regalano, donano, prestano, offrono, danno, e tu vorresti
arginare lo sciupio… avara…
Mah! Ma come può uno scoglio arginare
il mare…!
Vuoi andare con un pesce in una
località, vuoi mettere il navigatore, vuoi chiedere una indicazione? No! Loro
vanno per intuito. Il loro intuito non sbaglia mai. Loro sentono che quella è
la direzione giusta. E così ti trovi a girare a vuoto per strade sconosciute,
che non ti portano da nessuna parte e quando esausta stai urlando che non ne
puoi più… ecco all'improvviso imboccano quella giusta e trionfanti ti dicono di
smettere di borbottare perché tu sei già arrivata, dopo tanto, ma sei
arrivata. In ritardo.
Ma i pesci non sanno cos'è il ritardo, non
portano l’orologio, non guardano al tempo scandito da sequenze regolari, non
hanno orari e non ne vogliono.
La strada giusta è sicuramente la
loro.
Leopoldo Attolico
Cara felicità,
Leopoldo Attolico
Cara felicità,
qui si sta esagerando:
la gioia ti da troppa libertà.
Tu ne approfitti
lasci caterve di condomìni sfitti
in balìa dei disperati senza casa.
Pensa a quando saranno cacciati;
pensa all'infelicità che abita
ogni gioia privata del diritto di abitarla.
Cara felicità,
diventa dispensatrice di gioia desublimata,
quella legittimata dal diritto alla casa!
Da “ La realtà sofferta del comico “, Aìsara , 2009
la gioia ti da troppa libertà.
Tu ne approfitti
lasci caterve di condomìni sfitti
in balìa dei disperati senza casa.
Pensa a quando saranno cacciati;
pensa all'infelicità che abita
ogni gioia privata del diritto di abitarla.
Cara felicità,
diventa dispensatrice di gioia desublimata,
quella legittimata dal diritto alla casa!
Da “ La realtà sofferta del comico “, Aìsara , 2009
venerdì 25 dicembre 2015
Al Limen Al Limen con Antonio. Dalla Piramide a noi
Un viaggio
Già il viaggio per Vibo diventa un viaggio a Tusa, quel luogo dove Antonio Presti, imprenditore e mecenate italiano ha dato vita alla Fondazione Fiumara d’Arte. Su suggestione di quel che io mi porto dietro, salendo sull'auto. Il libro "La Tusa dei desideri" di Gianfranco Labrosciano
Un viaggio.
Ed è "Un viaggio" l'opera di Giuseppe Stissi, al Limen, un libro aperto per non vedenti quello che leggo e vedo. Un viaggio dall'Africa verso l'occidente, andata e ritorno, raccontato da un bambino a Giuseppe. Un viaggio da toccare.
In macchina parliamo con Antonio, Silvia e Saverio, mentre andiamo al Limen, di Antonio Presti, imprenditore che costruisce un albergo sul mare, decide di realizzare un museo all'aria aperta, dà vita al parco di sculture monumentali Fiumara d'arte, nella valle dei monti Nebrodi in Sicilia, un museo all'aperto, un parco di sculture il più grande d’Europa. Nel suo albergo Atelier sul mare (1991-2013) a Castel di Tusa, in provincia di Messina, decine di artisti sono stati coinvolti per la decorazione di camere d’arte.
L’ultima delle sculture della Fiumara d'arte, la Piramide – 38º parallelo di Mauro Staccioli sull’altura di Motta d'Affermo, noi avremmo dovuto vederla questo anno. Eravamo nei paraggi ma l'autista ci sconsigliò.
Antonio Pujia Veneziano racconta e racconta di come Antonio Presti subì alcune condanne prima di essere riconosciuto e mentre racconta siamo già arrivati a Vibo al Limen Premio Internazionale
alla VII edizione promosso dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia.
Un castello reale sembra la sede del Limen questo anno. Felici e felici ascoltammo i relatori, noi seduti ai primi posti riservati a non ben definiti notabili. Ed essendo della stessa stirpe nobiliare dell'arte ci venne concesso l'onore.
Così nel mentre parlava Domenico Piraina, Responsabile del Polo museale e dei Musei scientifici di Milano, io presi appunti mentali. Ricordo che lui, citando Federico Zeri, suo amico, ci raccontò che il genio non vive e produce da solo, ma ha bisogno di avere intorno quel crogiolo di bravi artigiani che lo sostengano e raccontava di quanti bravi scalpellini abbiano partecipato alla creazione di opere sotto la direzione di Michelangelo.
Dunque se intorno non vi è abilità non sorge nulla. Intorno a me avevo due artisti, Silvia Pujia,
già vincitrice del Limen 2013 con una installazione "Soglie" e Saverio Tavano, regista di Patres,
per non parlare di Antonio Puija Veneziano, di cui taccio, per non esser accusata di parzialità. Insomma il genio della lampada non poteva che aver più terreno fertile di quello. Ed infatti nella Litweb eravamo orgogliosi. Nel salutare Massimo Iritano e sua moglie Lara Caccia, già incontrati a Lamezia con Gioacchino da Fiore, abbiamo percorso le opere con la grande meraviglia di stare nel paese dell'immaginazione e quando siamo giunti ai due palazzi in aria con il verde in cielo abbiamo trovato la sede del regno della Litweb.
Alessandro Vinci mi fece foto per la stampa, per la posta e le telecomunicazioni ed io andrò ad abitare in uno dei palazzi lasciando l'altro a voi artisti.
Già il viaggio per Vibo diventa un viaggio a Tusa, quel luogo dove Antonio Presti, imprenditore e mecenate italiano ha dato vita alla Fondazione Fiumara d’Arte. Su suggestione di quel che io mi porto dietro, salendo sull'auto. Il libro "La Tusa dei desideri" di Gianfranco Labrosciano
Un viaggio.
Ed è "Un viaggio" l'opera di Giuseppe Stissi, al Limen, un libro aperto per non vedenti quello che leggo e vedo. Un viaggio dall'Africa verso l'occidente, andata e ritorno, raccontato da un bambino a Giuseppe. Un viaggio da toccare.
In macchina parliamo con Antonio, Silvia e Saverio, mentre andiamo al Limen, di Antonio Presti, imprenditore che costruisce un albergo sul mare, decide di realizzare un museo all'aria aperta, dà vita al parco di sculture monumentali Fiumara d'arte, nella valle dei monti Nebrodi in Sicilia, un museo all'aperto, un parco di sculture il più grande d’Europa. Nel suo albergo Atelier sul mare (1991-2013) a Castel di Tusa, in provincia di Messina, decine di artisti sono stati coinvolti per la decorazione di camere d’arte.
L’ultima delle sculture della Fiumara d'arte, la Piramide – 38º parallelo di Mauro Staccioli sull’altura di Motta d'Affermo, noi avremmo dovuto vederla questo anno. Eravamo nei paraggi ma l'autista ci sconsigliò.
Antonio Pujia Veneziano racconta e racconta di come Antonio Presti subì alcune condanne prima di essere riconosciuto e mentre racconta siamo già arrivati a Vibo al Limen Premio Internazionale
alla VII edizione promosso dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia.
Un castello reale sembra la sede del Limen questo anno. Felici e felici ascoltammo i relatori, noi seduti ai primi posti riservati a non ben definiti notabili. Ed essendo della stessa stirpe nobiliare dell'arte ci venne concesso l'onore.
Così nel mentre parlava Domenico Piraina, Responsabile del Polo museale e dei Musei scientifici di Milano, io presi appunti mentali. Ricordo che lui, citando Federico Zeri, suo amico, ci raccontò che il genio non vive e produce da solo, ma ha bisogno di avere intorno quel crogiolo di bravi artigiani che lo sostengano e raccontava di quanti bravi scalpellini abbiano partecipato alla creazione di opere sotto la direzione di Michelangelo.
Dunque se intorno non vi è abilità non sorge nulla. Intorno a me avevo due artisti, Silvia Pujia,
già vincitrice del Limen 2013 con una installazione "Soglie" e Saverio Tavano, regista di Patres,
per non parlare di Antonio Puija Veneziano, di cui taccio, per non esser accusata di parzialità. Insomma il genio della lampada non poteva che aver più terreno fertile di quello. Ed infatti nella Litweb eravamo orgogliosi. Nel salutare Massimo Iritano e sua moglie Lara Caccia, già incontrati a Lamezia con Gioacchino da Fiore, abbiamo percorso le opere con la grande meraviglia di stare nel paese dell'immaginazione e quando siamo giunti ai due palazzi in aria con il verde in cielo abbiamo trovato la sede del regno della Litweb.
Alessandro Vinci mi fece foto per la stampa, per la posta e le telecomunicazioni ed io andrò ad abitare in uno dei palazzi lasciando l'altro a voi artisti.
Una zebra a pois al Liceo Campanella
Assemblea d'Istituto in due giorni al Liceo Campanella. L'adolescenza è vivere e non esistere e al canto straorzante di Mina con una canzone di Lelio Luttazzi cominciamo a parlare con gli alunni.
Una zebra a pois
è una grande novità
assomiglia ad un sofà
non a strisce ma a pois
Una zebra a pois
Beh, che c'è!?
A pois, a pois, a pois!
1960, L.Luttazzi - M.Ciorciolini - D.Verde
La zebra del divertimento.
Il tema delle due giornate è l'adolescenza e siamo invitate io e Daniela, autrice di Matilde, adolescente in itinere. Io mi porto Cenerentola ascolta i Joy Division di Vernazza, altro racconto sull'adolescente Elly e tutte insieme sotto Litweb- Marchio Depositato con Domenico Dara e le sue coincidenze andiamo al tavolo della concertazione con Michela Cimmino, docente di filosofia e i rappresentanti degli studenti.
Reuel, Maria Sole, Angela e Francesco sono accanto a noi. Evviva
Iniziamo.
Iniziamo col dirci che non esiste l'adolescenza, invenzione dei nostri anni, invenzione per catalogare ogni anno, ogni periodo e generazione in una casella. Siamo tutti adolescenti e giovani, nel momento in cui siamo entusiasti e crediamo in ciò che facciamo, siamo tutti adulti e maturi quando siamo consapevoli dei rischi e delle necessità.
Senza barriere seguiamo Matilde visitare paesi della Calabria seguendo il piacere di essere come si sente, libera e non costretta in una festa di compleanno stereotipata e conforme al diktat dei tempi.
Sempre noi incontreremo ma saremo un impasto di altri. Nelle coincidenze di Dara e nel mio Litweb Marchio Depositato, che portai il giorno dopo, si sono depositati gli occhi di tanti ragazzi attenti e innamorati, fiduciosi che stavano ascoltando non adulti andati da loro per far lezione ma persone che si stavano divertendo di poter partecipare ancora una volta ad una assemblea studentesca che, come ben ha detto il Dirigente scolastico,
Evviva Evviva. Nello scherzo genuino poi ci siamo premiate e felicemente usando due palle e un fiore, poggiati sul tavolo, alla maniera degli antichi greci, Paride diede Mela rossa e Pomo d'oro, con fiore simbolo della primavera a me, Michela e Daniela, fra i sorrisi degli alunni che hanno capito come solo decontestualizzando ogni momento possiamo divertirci con ciò che impariamo. Liberi.
Studio, serietà, responsabilità e luce sorrisi e gioia nelle due giornate al Liceo Campanella. Con un grazie ancora
giovedì 24 dicembre 2015
Gli occhi piccoli di mia madre
Un ergastolo a vita.
Forse il carcere, per quanto sia terribile, non riesce a riassumere con una immagine la sua vita.
Carcerata da carcerieri inconsapevoli e brutali, esigenti di affettuosità scontate e riconosciute, è stata ammanettata e messa ai ceppi.
Al timone di una nave senza nocchiero, ha navigato con tutte le sue forze per salvare i suoi cari dalle tempeste.
Le metafore del carcere e dei ceppi sono poca cosa.
Lei saltellava con le sue trecce ed era piena di vita e sorridente alle adunate dei figli della lupa. A quel tempo erano tutti lupacchiotti.
Andava a scuola e le piaceva.
Avrebbe voluto insegnare e ridere, scherzare, cantare con i suoi alunni.
Oplà la vita è tutta qua
Saltando dall'infanzia con lei che accende il fuoco con la carbonella a lei che impara i segni per parlar con suo papà muto e paralizzato, Saltando anni e giorni lei diventa mamma di due gemelli, uno muore a dieci mesi, per una gastroenterite mal curata, e l'altro a quattro anni si ammala di meningite. Mal riconosciuta dai medici di famiglia.
Lui, il gemello sopravvissuto, diventerà uno dei suoi carcerieri inconsapevole.
Saltando fra braciere da preparare, quanti bracieri avrà preparato nei lunghi inverni!, saltando sul pane caldo e sui taralli, le parmigiane e le camicie da stirare, saltando sul niente di un accudimento senza sole, senza svaghi e senza felicità, un sorriso lei lo ha sempre avuto. Anche per chi non le permise nulla, nemmeno mettersi un vestito a giro maniche oppure andare a messa.
La messa fu una conquista degli anni della senescenza.
Oplà- saltiamo le offese, i tradimenti, le ingiurie, le umiliazioni.
Saltiamo anni, sempre uguali, senza vacanze, senza un giorno di cinema e teatro, senza una passeggiata.
Saltiamo il terribile "scura oggi che viene domani" sempre uguale di un carceriere anche esso inconsapevole del suo vivere inutile, egoistico e una partita la domenica al campo, unico suo svago.
I giornali sempre presenti, ed ora la settimana enigmistica, per lenire il vuoto immenso delle relazioni.
Saltiamo via agli occhi di mia madre che, ieri mattina, si fecero piccoli piccoli e lei tentò di aprirli allo specchio ingrato della vita.
Asciugandosi la prima lacrima che io le vedo in volto.
In novantadue anni mia mamma ha sempre sorriso, nel suo carcere, con pazienza e saggezza.
Saltiamo, oplà, oltre il giardino, con me che vorrei dare un sorriso e non riesco, essendo anche io una sua carceriera.
Saltiamo sulla scuola che mai la vide in cattedra, se non nei suoi sogni nella notte, saltiamo su un inferno che sta in terra, e saltiamo ancora nella cella della vita, con lei che mai un lamento e solo pace chiede.
Forse il carcere, per quanto sia terribile, non riesce a riassumere con una immagine la sua vita.
Carcerata da carcerieri inconsapevoli e brutali, esigenti di affettuosità scontate e riconosciute, è stata ammanettata e messa ai ceppi.
Al timone di una nave senza nocchiero, ha navigato con tutte le sue forze per salvare i suoi cari dalle tempeste.
Le metafore del carcere e dei ceppi sono poca cosa.
Lei saltellava con le sue trecce ed era piena di vita e sorridente alle adunate dei figli della lupa. A quel tempo erano tutti lupacchiotti.
Andava a scuola e le piaceva.
Avrebbe voluto insegnare e ridere, scherzare, cantare con i suoi alunni.
Oplà la vita è tutta qua
Saltando dall'infanzia con lei che accende il fuoco con la carbonella a lei che impara i segni per parlar con suo papà muto e paralizzato, Saltando anni e giorni lei diventa mamma di due gemelli, uno muore a dieci mesi, per una gastroenterite mal curata, e l'altro a quattro anni si ammala di meningite. Mal riconosciuta dai medici di famiglia.
Lui, il gemello sopravvissuto, diventerà uno dei suoi carcerieri inconsapevole.
Saltando fra braciere da preparare, quanti bracieri avrà preparato nei lunghi inverni!, saltando sul pane caldo e sui taralli, le parmigiane e le camicie da stirare, saltando sul niente di un accudimento senza sole, senza svaghi e senza felicità, un sorriso lei lo ha sempre avuto. Anche per chi non le permise nulla, nemmeno mettersi un vestito a giro maniche oppure andare a messa.
La messa fu una conquista degli anni della senescenza.
Oplà- saltiamo le offese, i tradimenti, le ingiurie, le umiliazioni.
Saltiamo anni, sempre uguali, senza vacanze, senza un giorno di cinema e teatro, senza una passeggiata.
Saltiamo il terribile "scura oggi che viene domani" sempre uguale di un carceriere anche esso inconsapevole del suo vivere inutile, egoistico e una partita la domenica al campo, unico suo svago.
I giornali sempre presenti, ed ora la settimana enigmistica, per lenire il vuoto immenso delle relazioni.
Saltiamo via agli occhi di mia madre che, ieri mattina, si fecero piccoli piccoli e lei tentò di aprirli allo specchio ingrato della vita.
Asciugandosi la prima lacrima che io le vedo in volto.
In novantadue anni mia mamma ha sempre sorriso, nel suo carcere, con pazienza e saggezza.
Saltiamo, oplà, oltre il giardino, con me che vorrei dare un sorriso e non riesco, essendo anche io una sua carceriera.
Saltiamo sulla scuola che mai la vide in cattedra, se non nei suoi sogni nella notte, saltiamo su un inferno che sta in terra, e saltiamo ancora nella cella della vita, con lei che mai un lamento e solo pace chiede.
martedì 22 dicembre 2015
Discorso di fine anno 2015- A Ciascuno il suo
A Ciascuno il suo
Un anno che completa una cinquina.
Adesso faremo tombola.
Dopo aver trascorso un quinquennio a scribacchiare, aver strappato tutto il pensiero precedente io avessi scritto su fogli, quaderni e diari, aver donato libri, enciclopedie, al sistema bibliotecario lametino, senza aver nemmeno una targhetta, tipo minuscola e con su impresso nome della donante, dopo insomma essermi liberata di cose inestimabili, per me, eccomi qui, all'alba di un nuovo quinquennio.
Faremo tombola e vinceremo i tanti soldini sul tavolo, faremo tombola e a ciascuno il suo sarà dato.
Dal luogo dove mi trovo voi non potete vedermi, non potete neppure eguagliarmi, voi che siete fatti di carne, di sangue e materia, voi che siete fatti di vere relazioni, case editrici e fiere, stand e convegni, associazioni e cooperative, scuole e giornali.
Voi siete la realtà.
Dal luogo dove mi trovo io posso però vedervi, ammirarvi e leggervi, desiderare di essere come voi, sapendo però che è inutile.
Nessuna realtà ci sarà per me.
Dal luogo dove mi trovo posso ricevere i vostri libri, i vostri file, le vostre mail, esultare del genio, e sostenere con tutto il mio entusiasmo chi io creda che valga.
Mi sembra un compito che possa alleviare lo sconforto di non possedere quella bellissima bacchetta magica per poter sistemare ogni cosa, raddrizzare i torti e punire i cattivi, eliminare le idiozie, e ghigliottinare il superfluo, la piaggeria.
A Ciascuno il suo, nel regno della Litweb, gli applausi ai bravi, agli artisti, tanti di voi, che hanno preso premi che valgono, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nel giornalismo.
A ciascuno il suo
Ad altri, che non stanno nella Litweb, uno sberleffo per aver accettato premi ridicoli, premi di scambio, io premio te, tu poi premi me, oppure premi di accatto, ti compro con un premio e poi, servo eri, servo resterai.
Nella disistima più totale verso i molteplici premi cosiffatti, la stima verso i premi vinti da chi è bravo davvero.
Nella Litweb abbiamo già fatto classifica dei libri, una classifica che appartiene al mio modo di stare al mondo.
Più bella cosa non c’è
A ciascuno il suo
Un anno che completa una cinquina.
Adesso faremo tombola.
Dopo aver trascorso un quinquennio a scribacchiare, aver strappato tutto il pensiero precedente io avessi scritto su fogli, quaderni e diari, aver donato libri, enciclopedie, al sistema bibliotecario lametino, senza aver nemmeno una targhetta, tipo minuscola e con su impresso nome della donante, dopo insomma essermi liberata di cose inestimabili, per me, eccomi qui, all'alba di un nuovo quinquennio.
Faremo tombola e vinceremo i tanti soldini sul tavolo, faremo tombola e a ciascuno il suo sarà dato.
Dal luogo dove mi trovo voi non potete vedermi, non potete neppure eguagliarmi, voi che siete fatti di carne, di sangue e materia, voi che siete fatti di vere relazioni, case editrici e fiere, stand e convegni, associazioni e cooperative, scuole e giornali.
Voi siete la realtà.
Dal luogo dove mi trovo io posso però vedervi, ammirarvi e leggervi, desiderare di essere come voi, sapendo però che è inutile.
Nessuna realtà ci sarà per me.
Dal luogo dove mi trovo posso ricevere i vostri libri, i vostri file, le vostre mail, esultare del genio, e sostenere con tutto il mio entusiasmo chi io creda che valga.
Mi sembra un compito che possa alleviare lo sconforto di non possedere quella bellissima bacchetta magica per poter sistemare ogni cosa, raddrizzare i torti e punire i cattivi, eliminare le idiozie, e ghigliottinare il superfluo, la piaggeria.
A Ciascuno il suo, nel regno della Litweb, gli applausi ai bravi, agli artisti, tanti di voi, che hanno preso premi che valgono, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nel giornalismo.
A ciascuno il suo
Ad altri, che non stanno nella Litweb, uno sberleffo per aver accettato premi ridicoli, premi di scambio, io premio te, tu poi premi me, oppure premi di accatto, ti compro con un premio e poi, servo eri, servo resterai.
Nella disistima più totale verso i molteplici premi cosiffatti, la stima verso i premi vinti da chi è bravo davvero.
Nella Litweb abbiamo già fatto classifica dei libri, una classifica che appartiene al mio modo di stare al mondo.
Più bella cosa non c’è
A ciascuno il suo
giovedì 17 dicembre 2015
Se tornasse Natale di Giacomo Cacciatore
L’assenza non è tempo né strada.
L’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello
più affilato di una strada.
Nazim Hikmet, Poesie d’amore, Mosca 1961
Se tornasse Natale, Natale non tornerà.
"Scomparire" è il libro di Claudio Marinaccio,
"Se tornasse Natale" il libro di Giacomo Cacciatore sembra faccia dialogo con l'altro.
Scomparire
Il protagonista, Natale Lo Bianco, Bianco Natale ( lo hai fatto apposta?), scompare, o per meglio dire, viene dissolto.
Sappiamo del suo destino attraverso l'attesa che suo figlio, di otto anni, consuma nell'auto paterna all'altezza del "corrimano di ferro dello scalone che lega via Roma, la strada grande, più in alto – dove si circola con le macchine – a quella del mercato della Vucciria,
più in basso – dove si vende, si compra e si cammina solo a piedi "
Bruno è lì, in macchina ad aspettare il suo papà, con in mano la torta al profumo dei pinoli abbrustoliti comprata per il suo compleanno. La storia poi prende due cavetti e si accende con Bruno. "Così, alla fine, il figlio di Natale Lo Bianco detto «u mago» stacca e collega i cavi come si deve. La scintilla scocca, il motore canta senza chiave. L’automobile rutta fumo nero verso la scalinata. Via Roma sembra infinita a uno piccolo come Bruno, dentro una macchina così grande, che colleziona sguardi curiosi, ma lesti a dimenticarsi di affari che non li riguardano"
Con lo stile del racconto orale onirico, Giacomo Cacciatore ci presenta i due personaggi dal dualismo perfetto di un divenire vitale per la città.
Bruno, il bimbo supereroe mancato, il mago che con la bacchetta magica di Silvan tenterà di modellare o meglio fare sparire quello che della realtà non piace, e Vicio Miraggio, cantante melodico guastato da un vivere falso ed ora in preda a quella falena che lo perderà per sempre, la donna che ama.
Un miraggio proprio.
Ho letto con molto interesse il libro di Giacomo, quasi contendendomelo al suo primo apparire.
Quella sua copertina favolosa, quelli della Baldini & Castoldi hanno copertina ipnotizzanti, ricordo sempre" La forma minima della felicità" di Francesca Marzia Esposito, anch'essa stupefacente, però dopo la copertina ci stanno libri dal contenuto ugualmente ipnotici.
In una Palermo che mi sembra di conoscere dal film " Belluscone" di Franco Maresco, dove i cantanti neo melodici sembrano Vicio Miraggio, si aggira Tatti Sanguineti, critico cinematografico, alla ricerca del regista, sparito.
Un documentario etno-musicologico, il film, che alterna il ritratto in bianco e nero del più famoso impresario palermitano di cantanti neomelodici, Ciccio Mira, sostenitore dei vecchi valori mafiosi, alle riprese di concerti di piazza degli idoli locali, Maresco vi fa capolino con la sua voce stentorea, e ogni tanto entra in scena ed è nostalgia vederlo in azione, adesso che è sparito.
A me sembra di vedere Giacomo Cacciatore, al posto di Maresco, girare in bianco e nero un film romanzo che io ho visto scorrere davanti ai miei occhi già in pellicola, pronto ad aver distribuzione in tutte le sale del regno.
Palermo amata e sciupata, la Palermo che io ho visto una sola volta e con una guida in lacrime che mi mostrava la conca d'oro che non c'era più, sparita, sotto l'assalto dei costruttori, il sacco di Palermo, e la guida piangeva... dissolto l'oro della civiltà restava il marcio di una vita mala.
Giacomo Cacciatore racconta e racconta, facendoci amare il piacere di leggere, facendoci amare la pagina scritta, come se, come Bruno, potesse anche lui "Scuotendo la bacchetta davanti a sé, con furia fosse convinto di poter tagliare a morte la tristezza.
Vi insegneranno solo a fare Ola
Fra le tante iniziative che nella mia città si vanno svolgendo in occasione delle festività natalizie, cominciate, alcune, con largo anticipo, già a novembre, ci sta il Villaggio di Babbo Natale.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie.
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero.
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento.
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.
Ne sentivo parlare favoleggiando di biglietto d'ingresso da pagare nel Chiostro di San Domenico, luogo dove studiò Tommaso Campanella e dove ho studiato anche io, al Liceo Classico Francesco Fiorentino.
Ne sentivo parlare e parlare, così, mossa a curiosità, ieri mattina sono entrata.
Le donne, al banco, non mi hanno chiesto biglietto ed io, entrata a sbafo, diremmo, ho potuto deliziarmi della vista.
Le bancarelle erano coperte da drappi e quindi non ho potuto fotografarvi la mercanzia.
Non ho voluto nemmeno fotografarvi quello che vedevo perché troppo irritata dalla deriva che prendono i nostri gesti.
C'erano nel chiostro, in visita, tre scolaresche degli istituti compresivi, sia del territorio che dalla periferia, e le loro maestre guidavano quei bimbetti fra giochi e fotografie.
Le tre maestre che vidi nello spiazzo aperto erano intente a far video e foto ai bimbetti, immersi nel puro niente saltellante.
Restarono così per tutto il tempo che io impiegai a fare il periplo dell'edificio, mentre palloncini lunghi lunghi, a salsicciotti con palle finali, mi annebbiavano la vista.
Ma forse i palloncini li vidi ad altra manifestazione e si sovrapposero.
Andai nelle stanze della cultura, e la cultura prese il sopravvento con ninnoli e renne, con immaginario comune al televisivo svolgersi degli eventi culturali che più culturali non si può. E d'altronde le maestre nulla potevano fare di più, nella cultura del nulla merce.
Chiedo scusa a chiunque abbia partecipato a questo scempio, alle bambine e bambini che hanno trascorso ore a guardare il nulla mentre appena sopra le loro testoline stavano i reperti della Terina che ci fondò.
Un degnissimo museo archeologico che avrebbe da dire tanto, anche sul tema del divertimento.
Intanto che osserviamo stupefatti i nostri pargoli videati e fotografati dalle loro maestre solerti al comando del diktat imperante facciamo ola al bosco e alla foresta nera che avanza, nel letterario dei termini.
martedì 15 dicembre 2015
Natale in casa Cupiello. Luca De Filippo per noi
Per noi Luca De Filippo resta il giovane trentenne che alla domanda del papà, Luca Cupiello, interpretato da Eduardo De Filippo, suo padre anche nella vita, te piace 'o presepe?, risponde sempre no, per tutto il tempo.
A niente valgono i tentativi di circuirlo con regali di due cravatte, oppure facendo vedere le tecniche su come avrebbe fatto scendere l'acqua, niente, lui esaspera il padre finché nella rabbia lo caccia di casa. A parole.
Per noi il presepe è sempre la colla da scaldare, i pastori da comprare, sughero, muschio, corbezzoli e la carta argentata, per completare con fiumi e laghi, cielo e stelle il paesaggio su cui pregare.
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Per noi presepe, nella commedia al secondo atto, resta la vestizione dei re magi, quel presepe, quando tutto precipita nella lite e Luca, il capofamiglia e gli altri due, arrivano vestiti da Re Magi
Natale in casa Cupiello, in omaggio a Luca De Filippo che ci ha lasciato il 27 novembre 2015 all'età di 67 anni, nella sua casa romana.
« Senza mio figlio forse io... scusate... me ne sarei andato all'altro mondo tanti anni fa. E io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato! Si è presentato da sé. È venuto dalla gavetta, dal niente, sotto... il gelo delle mie abitudini teatrali. »
(Eduardo De Filippo, al XXX Convegno dell'Istituto del Dramma italiano a Taormina, 15 settembre 1984)
Natale in casa Cupiello
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Tre atti composti dal '31 al '34, via via arricchito di episodi restando sempre integro l'asse portante del testo: La mistificazione e la rappresentazione.
Siamo alla vigilia di Natale e una volta il presepe si faceva rispettando i tempi, quindi nell'approssimarsi della festa.
Nella caparbietà dell'uomo che fa un presepe solo per sé, per divertirsi, così dice, all'inizio del secondo atto infatti Luca Cupiello confessa il suo pensiero a Raffaele, il portiere che si domanda fra sé e sè:"Vedete se è possibile che un uomo alla sua età si mette a fare il presepio. So' juta pe' le dicere:-Ma che 'o ffaie a fa'?-Sapete che mi ha risposto:-O faccio pe' me, ci voglio scherzare io!-"
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
la caparbietà si scontra con l'incomprensione del figlio che non vuole accontentarlo riconoscendo al papà quel divertimento, si scontra con la delusione della moglie di veder questo uomo perdersi in costruzioni futili.
Nelle giornate, che tanti magari conosciamo, delle inevitabili liti oppure degli equivoci, che costellano come stelle le riunioni familiari, la domanda sul presepe, se piace il presepe, vuole essere un riconoscimento degli affetti che avverrà solo in punto di morte, quando sembra che l'affetto e la vicinanza prevalga sui giochi egoistici di ciascuno dei componenti.
Sul finale vediamo Luca Cupiello (felice che sia riuscito a far fare la pace a Ninuccia e il marito, scambiando uno per un altro, ride soddisfatto) Hanno fatto pace, laggio fatto fa’ pace… Ha visto, Conce’? (a Ninuccia e Vittorio) Voi siete nati l’uno per l’altro. Vi dovete voler bene. Non fate prendere collera a Concetta che ha sofferto assai… (Ninuccia e Vittorio allentano la stretta della mano: ora Luca delirante farfuglia qualcosa di incomprensibile, agitando lentamente il braccio destro come per afferrare qualcosa in aria. E’ soddisfatto, vaga con lo sguardo intorno e chiede) Tommasi’, Tommasi’…
Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre mormorando appena) Sto qua
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole) Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?
Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire) Sì
Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Con un grande applauso a Luca De Filippo
lunedì 14 dicembre 2015
Dio non gioca a scacchi e suona da Antonello Anzani
Orazio Garofalo parla del Verbo ed il Verbo è presso Dio. Nel sacro della serata ci stavano le vecchie e le nuove scritture. Litweb e Bibbia salutano i partecipanti.
Nelle vesti di Antonello Anzani, perfetto Dio Michelangiolesco della Cappella Sistina.
Una serata a Cosenza, dove io sono stata invitata per una incursione su un tema musicale, il ritmo del romanzo, dolce o crudele, amaro dovremmo dire, in antitesi al dolce ci sta solo l'amaro?
La serata, condotta ed ideata da Gianfranco Labrosciano, presentava una artista che di secondo nome faceva Fiammetta e, come una fiamma intensa e appassionata, ci parlò dei suoi quadri in esposizione, dei duemila quadri lasciati dal suo papà, del suo amore per la pittura.
Mentre parlava tremava ed io pensai, ora è troppo, ci muore qui, ed invece con la presenza di Gianfranco che la rassicurava, finì suo dire e dipingere parole come se avesse fatto un quadro di visioni nell'aria.
Difficile tornare nella terraferma dopo di lei.
Viaggiammo infatti a ritroso, mia cronaca è proprio a ritroso, dalla fine verso l'inizio, viaggiando come Matilde, protagonista del libro di Daniela, viaggiando con lei, sui ponti del nostro immaginare.
Commistione fra quadri, musica e libri, al violino di Pasquale Allegretti con Capriccio numero 24 di Paganini, all'arpa di Rosalba, e ritorno su Orazio, Stefania e Giuseppe Perrone.
Ritorno ad Antonello Anzani e il suono del vivere. La musica usata per sedare o per ribellarsi.
Le frequenze
432 rilassarsi
440 nervosismo
rispondenza fisica alla musica, ed io direi a tutto, anche alle parole. Se leggo un libro senza ritmo io mi ammalo. Mi viene mal di stomaco.
Se sento un parlare vano mi viene mal di testa.
Se suoniamo, vibriamo, nell'elettricità, scambi di sinapsi e tutto torna. Anche il libro vibra, non di emozioni, avrei voluto io gridare ieri sera, no, di liberazione. Certo ci sta tutto il momento intenso, tutto, però se suoniamo, parliamo, cantiamo e scriviamo vogliamo liberare l'energia che possediamo.
Evviva evviva questo spazio bianco che mi permetterà di dirvelo ancora. Evviva evviva Alberto Badolato, che ha reso possibile il ponte fra me e voi stasera, evviva evviva la musica.
Forse sarà la musica del mare...
Ci salverà la musica...
E con tanta musica in testa, compresa quella dell'universo, del silenzio, del testo, del dolore e della gioia, chiudo con le parole di Antonello che ci riportano al testo che ha un ritmo, alle parole delle canzoni.
Dal testo della serata uno stralcio di un giornale... perché poi, tornata a casa, ho studiato!
Dimenticai dirvi di Riccardo che mi ha regalato bellissimo disegno sul mio quadernone verde. Lo ha intitolato: Lo SparaNemici
"Risulta estremamente difficile e triste pensare che la musica, che essenzialmente ci fa stare così bene, sia in realtà influenzata da fattori così negativi. L’intonazione a 440 Hz, alla quale siamo oramai assuefatti, è invece praticamente innaturale, crea disarmonie difficilmente percettibili dagli esseri umani, ha poche armoniche ed evidentemente non è stata scelta casualmente come intonazione standard. Scoperta dall'intelligenza militare tedesca e usata durante l’olocausto, anche per spronare al lavoro più arduo nei campi di concentramento. I tentativi di ritornare al La verdiano sono inevitabilmente falliti. La differenza tra le due frequenze si ritrova anche a livello fisico. Basta osservare le forme che si vengono a creare comprendendo che 432 Hz esse sono decisamente più armoniche. Fortunatamente esistono ancora degli artisti (anche se veramente molto rari) che compongono la loro musica con un’intonazione a 432 Hz. Tra questi non possiamo non citare i Pink Floyd che, specialmente in The Dark Side Of The Moon, possono darci un esempio lampante della differenza tra le varie frequenze.
I 432 Hz compongono quella che viene chiamata Love frequency e che fa parte di ciò che si trova alla base della natura, dell’universo, della filosofia portata avanti da diversi studiosi (tra cui Platone). È collegata al chakra del cuore, quello del sentimento, mentre i 440 Hz vengono ricollegati al chakra che si occupa del… controllo del cervello."
Nelle vesti di Antonello Anzani, perfetto Dio Michelangiolesco della Cappella Sistina.
Una serata a Cosenza, dove io sono stata invitata per una incursione su un tema musicale, il ritmo del romanzo, dolce o crudele, amaro dovremmo dire, in antitesi al dolce ci sta solo l'amaro?
La serata, condotta ed ideata da Gianfranco Labrosciano, presentava una artista che di secondo nome faceva Fiammetta e, come una fiamma intensa e appassionata, ci parlò dei suoi quadri in esposizione, dei duemila quadri lasciati dal suo papà, del suo amore per la pittura.
Mentre parlava tremava ed io pensai, ora è troppo, ci muore qui, ed invece con la presenza di Gianfranco che la rassicurava, finì suo dire e dipingere parole come se avesse fatto un quadro di visioni nell'aria.
Difficile tornare nella terraferma dopo di lei.
Viaggiammo infatti a ritroso, mia cronaca è proprio a ritroso, dalla fine verso l'inizio, viaggiando come Matilde, protagonista del libro di Daniela, viaggiando con lei, sui ponti del nostro immaginare.
Commistione fra quadri, musica e libri, al violino di Pasquale Allegretti con Capriccio numero 24 di Paganini, all'arpa di Rosalba, e ritorno su Orazio, Stefania e Giuseppe Perrone.
Ritorno ad Antonello Anzani e il suono del vivere. La musica usata per sedare o per ribellarsi.
Le frequenze
432 rilassarsi
440 nervosismo
rispondenza fisica alla musica, ed io direi a tutto, anche alle parole. Se leggo un libro senza ritmo io mi ammalo. Mi viene mal di stomaco.
Se sento un parlare vano mi viene mal di testa.
Se suoniamo, vibriamo, nell'elettricità, scambi di sinapsi e tutto torna. Anche il libro vibra, non di emozioni, avrei voluto io gridare ieri sera, no, di liberazione. Certo ci sta tutto il momento intenso, tutto, però se suoniamo, parliamo, cantiamo e scriviamo vogliamo liberare l'energia che possediamo.
Evviva evviva questo spazio bianco che mi permetterà di dirvelo ancora. Evviva evviva Alberto Badolato, che ha reso possibile il ponte fra me e voi stasera, evviva evviva la musica.
Forse sarà la musica del mare...
Ci salverà la musica...
E con tanta musica in testa, compresa quella dell'universo, del silenzio, del testo, del dolore e della gioia, chiudo con le parole di Antonello che ci riportano al testo che ha un ritmo, alle parole delle canzoni.
Dal testo della serata uno stralcio di un giornale... perché poi, tornata a casa, ho studiato!
Dimenticai dirvi di Riccardo che mi ha regalato bellissimo disegno sul mio quadernone verde. Lo ha intitolato: Lo SparaNemici
"Risulta estremamente difficile e triste pensare che la musica, che essenzialmente ci fa stare così bene, sia in realtà influenzata da fattori così negativi. L’intonazione a 440 Hz, alla quale siamo oramai assuefatti, è invece praticamente innaturale, crea disarmonie difficilmente percettibili dagli esseri umani, ha poche armoniche ed evidentemente non è stata scelta casualmente come intonazione standard. Scoperta dall'intelligenza militare tedesca e usata durante l’olocausto, anche per spronare al lavoro più arduo nei campi di concentramento. I tentativi di ritornare al La verdiano sono inevitabilmente falliti. La differenza tra le due frequenze si ritrova anche a livello fisico. Basta osservare le forme che si vengono a creare comprendendo che 432 Hz esse sono decisamente più armoniche. Fortunatamente esistono ancora degli artisti (anche se veramente molto rari) che compongono la loro musica con un’intonazione a 432 Hz. Tra questi non possiamo non citare i Pink Floyd che, specialmente in The Dark Side Of The Moon, possono darci un esempio lampante della differenza tra le varie frequenze.
I 432 Hz compongono quella che viene chiamata Love frequency e che fa parte di ciò che si trova alla base della natura, dell’universo, della filosofia portata avanti da diversi studiosi (tra cui Platone). È collegata al chakra del cuore, quello del sentimento, mentre i 440 Hz vengono ricollegati al chakra che si occupa del… controllo del cervello."
giovedì 10 dicembre 2015
Alessandro Iovinelli. La scala d'oro
Nato il 17/09/1957 Alessandro Iovinelli è del mio segno zodiacale, per quel che può significare, un quasi mio coetaneo, essendo io del 13 settembre del 54
Scrivo sempre questa storia del segno zodiacale perché sono moltissimi gli scrittori nati a Settembre, come se il mese, oltre che per l'autunno e la stagione della semina, fosse il mese della scrittura.
Naturalmente è una mia fissazione, smentita da chissà quanti altri scrittori di altri mesi.
Alessandro Iovinelli: La scala d'oro
Sette racconti per una raccolta. Si raccolgono i pensieri per donarli come fiori.
Giuseppe Antonelli nella prefazione scrive “Perché in questi racconti si alternano luoghi e personaggi diversi – è vero – momenti di felicità e sentimenti di perdita, però c’è un unico protagonista che resta sempre in scena e dà il tono a tutto il resto. La letteratura. La lettura come strenua forma di interpretazione della realtà: leggo dunque penso. E, ancor più, «la scrittura come forma irriducibile dell’essere»: scrivo dunque sono.” “Nondimeno, Alessandro Iovinelli decide di correre ancora una volta il rischio, lasciando la scena al suo Doppelgänger: un personaggio che vive la letteratura come un’infinita illusione senza lieto fine e racconta la sua vita come un saggio narrante.” Adorabile la bella ironia con cui ci racconta di Kirsten Dunst e del suo manoscritto come libello amoroso
Alessandro Iovinelli: Saggio come aggettivo qualificativo e come sostantivo concreto. Colui che sa.
Uno stocco al suo interno- Leggo la storia del teatro Ambra Jovinelli raccontato da lui che lo vide come patrimonio di famiglia, da lui che, bambino, guarda quel nonno alto e forte con un bastone con cui difendersi. Uno stocco al suo interno. Lo stocco è una spada. Così il racconto leggendario si mescola alle parole della mamma a cui Alessandro dedica il libro, si arricchisce con le cronache dell'epoca e con le trasfigurazioni cinematografiche.
Cosa sia il passato non sappiamo più.
" In tema di memoria bisogna essere molto cauti prima di convalidare l’autenticità di una reminiscenza. Su questo punto sono del tutto d’accordo con Mark Twain, quando afferma: più invecchio e meglio ricordo gli eventi che non ho vissuto. A un certo punto però mi è passata pure la voglia di sognare e tanto meno di scherzare sull'argomento. Ho deciso di non farmi più illusioni e di accettare la dura verità. Non avrei mai potuto recuperare tutto quel che il mio bisnonno aveva tirato su dal nulla. Eppure potevo fare un’altra cosa. Era un atto che dovevo a mio padre e ai miei antenati. Dovevo scrivere la loro storia, la storia della famiglia Jovinelli. Ci riuscirò? Porterò mai a termine una tale impresa? Non lo so. Ma so che è un mio dovere: es muss sein"
così scrive Alessandro e poi racconta in sette racconti sette, con il sette magico, racconta e racconta ancora, mentre io non distinguo più la lettura dallo scrivere e dagli incontri favolistici.
Mai avrei immaginato di incontrarlo qui.
Commossa. Strabiliata. Confessavo oggi a Maria Caterina Prezioso come io abbia letto molto tempo fa il racconto su Tabucchi fatto da Alessandro Iovinelli. Lo lessi avidamente allora. Lo imparai a memoria. Io avevo scritto, tempo fa, in un mio pezzo "Ad un anno dalla morte di Tabucchi". Uno dei miei pezzi da semplice lettrice ed intanto preparavo, forse sempre quell'anno, la presentazione del libro "Frontiera" di Pina Majone Mauro per il Maggio dei Libri. Quel Maggio facevo chiacchierare la poetessa con Pessoa.
Al di là dei miei fatti ininfluenti, resta la magia della testimonianza di Alessandro, al quale sono legata affettuosamente prima ancora di conoscerlo, di sapere chi fosse quello studioso che non prese appunti mentre Tabucchi parlava e che però è consapevole che qualcosa resta oltre noi.
Ascoltiamo il racconto di Alessandro
Dialoghi manca(n)ti La scrittura come forma irriducibile dell’essere: ecco, questo è il messaggio che ci ha lasciato Tabucchi Di tutto resta un poco.“Il tempo stringe” è l’ironia, quasi lo scherno dell’esistenza nei confronti dell’uomo: «Purtroppo nella vita non c’è mai molto tempo. Voglio dire: sembra che ci sia un sacco di tempo, ma poi, in realtà, non c’è mai molto tempo». Un teatro perfetto, quello della vita.
"Tabucchi ritornò sul tema al centro di quel racconto e, più in generale, di tutta la raccolta: il tempo. Le sue riflessioni mi anticiparono la trama sottesa a tutte le nove storie, nelle quali la dimensione temporale spariglia il classico ordine cronologico di
fatti passati, presenti e futuri, interrogandosi bensì sull'implosione temporale di tutto ciò che si compie e finisce il suo ciclo. Ascoltai questa sorta di autocommento con un senso di inquietudine, come se fossi anch'io un viaggiatore che sente descrivere un paese ancora ignoto, poco prima di attraversarlo
di persona."
Il tempo è circolare, scrissi in un altro mio pezzo "Dove ritorniamo"
Nel viaggio che si chiama vita capita poi di inciampare, di fermarsi, di non partire affatto.
Alcune volte sono proprio gli inciampi che sublimeranno un vivere complicato in pagine di scrittura immensa.
Completando studi amati e letture vissute, la scala d'oro può essere nello stesso tempo The Golden Stairs, il dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones, oppure la scala dove tutti saliremo, quella dell' ascendere verso la saggezza, del far tesoro di ogni difficile prova che il destino ha in serbo, trasformando il tutto in letteratura.
La scala d'oro: La scrittura come forma irriducibile dell'essere
Scrivo sempre questa storia del segno zodiacale perché sono moltissimi gli scrittori nati a Settembre, come se il mese, oltre che per l'autunno e la stagione della semina, fosse il mese della scrittura.
Naturalmente è una mia fissazione, smentita da chissà quanti altri scrittori di altri mesi.
Alessandro Iovinelli: La scala d'oro
Sette racconti per una raccolta. Si raccolgono i pensieri per donarli come fiori.
Giuseppe Antonelli nella prefazione scrive “Perché in questi racconti si alternano luoghi e personaggi diversi – è vero – momenti di felicità e sentimenti di perdita, però c’è un unico protagonista che resta sempre in scena e dà il tono a tutto il resto. La letteratura. La lettura come strenua forma di interpretazione della realtà: leggo dunque penso. E, ancor più, «la scrittura come forma irriducibile dell’essere»: scrivo dunque sono.” “Nondimeno, Alessandro Iovinelli decide di correre ancora una volta il rischio, lasciando la scena al suo Doppelgänger: un personaggio che vive la letteratura come un’infinita illusione senza lieto fine e racconta la sua vita come un saggio narrante.” Adorabile la bella ironia con cui ci racconta di Kirsten Dunst e del suo manoscritto come libello amoroso
Uno stocco al suo interno- Leggo la storia del teatro Ambra Jovinelli raccontato da lui che lo vide come patrimonio di famiglia, da lui che, bambino, guarda quel nonno alto e forte con un bastone con cui difendersi. Uno stocco al suo interno. Lo stocco è una spada. Così il racconto leggendario si mescola alle parole della mamma a cui Alessandro dedica il libro, si arricchisce con le cronache dell'epoca e con le trasfigurazioni cinematografiche.
Cosa sia il passato non sappiamo più.
" In tema di memoria bisogna essere molto cauti prima di convalidare l’autenticità di una reminiscenza. Su questo punto sono del tutto d’accordo con Mark Twain, quando afferma: più invecchio e meglio ricordo gli eventi che non ho vissuto. A un certo punto però mi è passata pure la voglia di sognare e tanto meno di scherzare sull'argomento. Ho deciso di non farmi più illusioni e di accettare la dura verità. Non avrei mai potuto recuperare tutto quel che il mio bisnonno aveva tirato su dal nulla. Eppure potevo fare un’altra cosa. Era un atto che dovevo a mio padre e ai miei antenati. Dovevo scrivere la loro storia, la storia della famiglia Jovinelli. Ci riuscirò? Porterò mai a termine una tale impresa? Non lo so. Ma so che è un mio dovere: es muss sein"
così scrive Alessandro e poi racconta in sette racconti sette, con il sette magico, racconta e racconta ancora, mentre io non distinguo più la lettura dallo scrivere e dagli incontri favolistici.
Mai avrei immaginato di incontrarlo qui.
Commossa. Strabiliata. Confessavo oggi a Maria Caterina Prezioso come io abbia letto molto tempo fa il racconto su Tabucchi fatto da Alessandro Iovinelli. Lo lessi avidamente allora. Lo imparai a memoria. Io avevo scritto, tempo fa, in un mio pezzo "Ad un anno dalla morte di Tabucchi". Uno dei miei pezzi da semplice lettrice ed intanto preparavo, forse sempre quell'anno, la presentazione del libro "Frontiera" di Pina Majone Mauro per il Maggio dei Libri. Quel Maggio facevo chiacchierare la poetessa con Pessoa.
Al di là dei miei fatti ininfluenti, resta la magia della testimonianza di Alessandro, al quale sono legata affettuosamente prima ancora di conoscerlo, di sapere chi fosse quello studioso che non prese appunti mentre Tabucchi parlava e che però è consapevole che qualcosa resta oltre noi.
Ascoltiamo il racconto di Alessandro
Dialoghi manca(n)ti La scrittura come forma irriducibile dell’essere: ecco, questo è il messaggio che ci ha lasciato Tabucchi Di tutto resta un poco.“Il tempo stringe” è l’ironia, quasi lo scherno dell’esistenza nei confronti dell’uomo: «Purtroppo nella vita non c’è mai molto tempo. Voglio dire: sembra che ci sia un sacco di tempo, ma poi, in realtà, non c’è mai molto tempo». Un teatro perfetto, quello della vita.
"Tabucchi ritornò sul tema al centro di quel racconto e, più in generale, di tutta la raccolta: il tempo. Le sue riflessioni mi anticiparono la trama sottesa a tutte le nove storie, nelle quali la dimensione temporale spariglia il classico ordine cronologico di
fatti passati, presenti e futuri, interrogandosi bensì sull'implosione temporale di tutto ciò che si compie e finisce il suo ciclo. Ascoltai questa sorta di autocommento con un senso di inquietudine, come se fossi anch'io un viaggiatore che sente descrivere un paese ancora ignoto, poco prima di attraversarlo
di persona."
Il tempo è circolare, scrissi in un altro mio pezzo "Dove ritorniamo"
Nel viaggio che si chiama vita capita poi di inciampare, di fermarsi, di non partire affatto.
Alcune volte sono proprio gli inciampi che sublimeranno un vivere complicato in pagine di scrittura immensa.
Completando studi amati e letture vissute, la scala d'oro può essere nello stesso tempo The Golden Stairs, il dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones, oppure la scala dove tutti saliremo, quella dell' ascendere verso la saggezza, del far tesoro di ogni difficile prova che il destino ha in serbo, trasformando il tutto in letteratura.
La scala d'oro: La scrittura come forma irriducibile dell'essere
Il topo morto con la pancia all'aria
Vi risparmio la vista.
Trattengo il conato di vomito ed inghiotto a vuoto.
Sta lì all'angolo dell'arco in via D'Ippolito, centro storico del paese.
Sta lì difronte le scale che salgono verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore, in effetti Chiesa di San Francesco.
Sta lì sul selciato, un grosso topo di fogna, morto nel giorno 9 del dicembre 2015, all'alba del nuovo che avanza.
Il topo morto non viene rimosso, dall'alba al tramonto se ne sta in panciolle.
In un centro storico preso a martellate, affinché la bruttezza abbia sempre la meglio e faccia perdere per sempre, negli antichi e pochi abitanti che furono, il ricordo della pulizia.
Se una volta il grido era "tornate nelle fogne" ora il grido è " salite dalle fogne" vivi o morti uguale è il vomito. Servite uguali al disservizio.
Destrutturare e distruggere tessuti urbani, non pulire più, cacche di cani a calpestare, bicchieri e bottiglie di birra abbandonati, piscio di umani ad ogni muro, scritte idiote per terra, case cadenti, in demolizione, non con le ruspe, ma con le erbacce.
Palazzi sventrati per farne garage, e tutto chiuso, in un puzzo di morte.
Su tutto trionfano le multiservizi, trionfano i grandi stipendi ai dirigentidipendenti, alle attività sociali e parasociali, da anni da tempo in un inferno continuo.
I topi invaderanno la città, vi rosicchieranno le orecchie, vi trasmetteranno malattie.
Cominceranno dal basso, come in ogni epidemia, ma poi ma poi, la malattia raggiungerà i piani alti, altissimi, dei vostri stipendi, dei vitalizi, delle confraternite e degli stendardi, delle fondazioni e dei multitavoli, degli organismi costituiti, delle CoCoCo delle commissioni, delle terribili associazioni, e tutti i topi trascineranno anche i vostri pacchi e pacchetti, alberi e viaggi al sole, trascineranno via, tutto via lasciando la lebbra sulla fattoria
Trattengo il conato di vomito ed inghiotto a vuoto.
Sta lì all'angolo dell'arco in via D'Ippolito, centro storico del paese.
Sta lì difronte le scale che salgono verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore, in effetti Chiesa di San Francesco.
Sta lì sul selciato, un grosso topo di fogna, morto nel giorno 9 del dicembre 2015, all'alba del nuovo che avanza.
Il topo morto non viene rimosso, dall'alba al tramonto se ne sta in panciolle.
In un centro storico preso a martellate, affinché la bruttezza abbia sempre la meglio e faccia perdere per sempre, negli antichi e pochi abitanti che furono, il ricordo della pulizia.
Se una volta il grido era "tornate nelle fogne" ora il grido è " salite dalle fogne" vivi o morti uguale è il vomito. Servite uguali al disservizio.
Destrutturare e distruggere tessuti urbani, non pulire più, cacche di cani a calpestare, bicchieri e bottiglie di birra abbandonati, piscio di umani ad ogni muro, scritte idiote per terra, case cadenti, in demolizione, non con le ruspe, ma con le erbacce.
Palazzi sventrati per farne garage, e tutto chiuso, in un puzzo di morte.
Su tutto trionfano le multiservizi, trionfano i grandi stipendi ai dirigentidipendenti, alle attività sociali e parasociali, da anni da tempo in un inferno continuo.
I topi invaderanno la città, vi rosicchieranno le orecchie, vi trasmetteranno malattie.
Cominceranno dal basso, come in ogni epidemia, ma poi ma poi, la malattia raggiungerà i piani alti, altissimi, dei vostri stipendi, dei vitalizi, delle confraternite e degli stendardi, delle fondazioni e dei multitavoli, degli organismi costituiti, delle CoCoCo delle commissioni, delle terribili associazioni, e tutti i topi trascineranno anche i vostri pacchi e pacchetti, alberi e viaggi al sole, trascineranno via, tutto via lasciando la lebbra sulla fattoria
domenica 6 dicembre 2015
Gli Indolenti- come me
Libertà, Eguaglianza, Diversità. Ip Ip Urrà
Nel regno della Litweb gli indolenti stanno benone, unica domanda che vi faccio: come mai non ci sono anche io che sono la regina degli indolenti?
E dire che cominciate con Bertrand Russel ed io che ho dedicato tutta la mia esistenza alla contemplazione ed al vuoto dove sto?" Il vuoto come liberazione dal dovere e dall'ubbidienza"
La mia vita è una pausa e quel che scrive Luca Desdra sembra mio autoritratto. Non per nulla sto qui a pigiare tasti di domenica pomeriggio, dopo aver osservato filosoficamente il sole e fatta passeggiata a passi lenti ed infine sbocconcellato un pane arabo con fetta di formaggio parmigiano leggendo i vostri racconti. Come scrittrice sarei indolente ed il mio blog lo testimonia, ma come lettrice, ah come lettrice io sono regina!
Io sono una pioniera, una avventuriera, una amante del rischio su carta stampata!
Vi presento intanto gli autori dei racconti
Alessio Viola scrive. Con “la Repubblica Bari”, con il “Corriere del Mezzogiorno”
Nicola Manuppelli scrive, traduce, cura e “importa” autori. Tiene corsi
Claudio Marinaccio scrive nel 2014 il romanzo Scomparire.
Pasquale Braschi scrive sui siti Santippe e PugliaLibre occupandosi di recensioni di libri.
Io mi sono fatta una mini rassegna di voi
Gli Indolenti
Alessio Viola… Il profumo fradicio dei tamburi. Il rugby a Taranto e poi la morte nell'aria che si respira
Nicola Manuppelli… Una storia di conchiglie. Con chi vorresti tu sentire il rumore del mare se non con il tuo amore? Paco ed il sassofono. Sono rumori che si sognano.
Claudio Marinaccio… Delirio di negazione. Un po’ di polvere nera
Foog. Nel 2023 sarà proprio così, anzi peggio ed il 2038 abbiamo risolto tutto.
Una giornata da dimenticare. Se Nacho può sedere a tavolo può anche lavorare.
Pasquale Braschi… Liberi di sognare. Inizio il mio viaggio sulle ali della fantasia. Adoro i limoni. L’isola di fuoco. Naufraghi di una stessa nave.
Il diario di mia madre. In casa Ditumolo 17 maggio 1952 lei e poi nel 1955 insieme a noi quel giorno l’acquedotto della Puglia.
La lettrice con vizio di scrittura. Il nostro meraviglioso stivale anfibio. La lettrice che vuole cambiare il finale dei libri e comincia con Emma Bovary, e Cosimo del Barone rampante… Emma non si suicida e va a Bari… e Cosimo si sposa
Christian Dellavedova ha disegnato la copertina
Luca Desdra ha scritto l’introduzione
Ed io vi ho letto con grande partecipazione. Mi sono letta, potrei scrivere.
Dal regno della Litweb una lettura indolente e lenta lenta
Ma noi ci capiremo. Sempre con voi, a disposizione
Dice Luca Desdra nella introduzione "Qui dentro non troverete racconti accomodanti che vi risuoneranno familiari. Perché l'atto creativo si è fatto essenza ed è andato a cercare momenti di assoluta verità. Qui troverete degli scrittori che si spogliano di ogni conformismo e diventano se stessi nel modo più puro, palpabile e negligente possibile. L'accidia sia con loro. E che questa resistenza passiva sia foriera di un ritorno alla purezza del racconto e al valore alto della creatività al di là di ogni adesione a canoni, cortili letterari o dittatura dei presunti lettori."
Da "Elogio dell'indolenza"
giovedì 3 dicembre 2015
La penna singhiozzante
La penna singhiozzante nel discorso della regina
Dal dunque carducciano alla tazza di caffè americano
Sui tasti di un web dove mi diverto sempre meno
Eppure sempre di più del reale acquitrino geografico
Mi viene in versi stamattina come le stanze del Poliziano,
Come i furori di Vittorio Alfieri, come Furore di Steinbeck
Mi viene un Giorno di Parini con il giovin signore educato
Conteso da tutta l’allegra compagnia di donne altolocate
Mi viene il canto della solitaria regina di un regno che non
c’è
Se vi ho donato un libro poi non mi parlate più, ormai lo so
Se vi sto vicino sarà per poco e poi con ogni gradevolezza
Tutto finirà in gloria, in salmo, in una Bibbia capace di
Contenere tutto il bello e tutto il brutto che fatto sia.
Troppo poco sarà il dirlo al mondo che parlare non so,
vero cara? Troppo poco ignorare che io scriva, vero cara?
E non è una sola la cara, siete in tante
E non è una sola la cara, siete in tante
Troppo poco e troppo inutile scriverlo poi qui
Nell'immensità del web e nel mio regno di tasti e di
cartone.
Dalla penna singhiozzante al divenire del web
da Furore "Mine eyes have seen the glory
I miei occhi hanno visto la gloria
Of the coming of the Lord
Della venuta del Signore
He is trampling out the vintage
Egli sta calpestando la vendemmia
Where the grapes of wrath are stored
Dove Furore sono memorizzati
He hath loosed the fateful lightning
Egli ha sciolto il fulmine fatale
Of His terrible swift sword
Della sua terribile spada rapida
His truth is marching on
La sua verità è in marcia su
Let us live to make men free
Viviamo per rendere gli uomini liberi
Il titolo originale The Grapes of Wrath, I grappoli d'ira (o I grappoli d'odio), è un verso tratto da The Battle Hymn of the Republic, di Julia Ward Howe)
Fino all'Apocalisse
Dalla penna singhiozzante al divenire del web
da Furore "Mine eyes have seen the glory
I miei occhi hanno visto la gloria
Of the coming of the Lord
Della venuta del Signore
He is trampling out the vintage
Egli sta calpestando la vendemmia
Where the grapes of wrath are stored
Dove Furore sono memorizzati
He hath loosed the fateful lightning
Egli ha sciolto il fulmine fatale
Of His terrible swift sword
Della sua terribile spada rapida
His truth is marching on
La sua verità è in marcia su
Let us live to make men free
Viviamo per rendere gli uomini liberi
Il titolo originale The Grapes of Wrath, I grappoli d'ira (o I grappoli d'odio), è un verso tratto da The Battle Hymn of the Republic, di Julia Ward Howe)
Fino all'Apocalisse
martedì 1 dicembre 2015
Bellezza e crudeltà. Da Attilio a Maria Parafati
La difficoltà di far vivere le librerie.
La libreria di Maria Parafati a Chiaravalle, grosso centro nelle Serre Calabresi, compie domani due anni. Nel nostro felice augurare a lei, ai suoi bimbi, ai suoi frequentatori, un compleanno solare, regalo due esordi letterari, letti di recente. Uno è "Finché dura la colpa" di Crocefisso Dentello, del quale ho già scritto e che di sicuro presenterò un giorno, l'altro è di Attilio Alessandro Ortalano, edito La Gru " Bellezza e crudeltà"
Nel leggere la dedica che Attilio mi scrive sul libro ho il desiderio che sia vera. " Ogni persona ogni giorno combatte una propria battaglia, ma la letteratura ci insegna che nessuno è solo"
Cara Maria, tu alle prese con ordini, fatture e commercialisti, bolle e rese di magazzino, non sei sola.
Noi, i lettori, siamo la forza delle librerie.
Jonathan, il protagonista del libro di Attilio, vaga in un 2112 dove i libri e coloro che se ne occupano verranno chiusi in manicomio...
ahah
"Il mattino dopo Jonathan fu deportato in una clinica ed etichettato come possibile sovvertitore dello stato. La sua libreria fu chiusa. Non gli fu data nemmeno la possibilità di salutare Aurora."
Ridendo del riso della consapevolezza scrivo però che noi correremo e sfideremo qualsiasi Grande Fratello e occhio di controllo.
" Correva Jonathan." e noi con lui.
"Corriamo ogni giorno alimentati più dall'angoscia dei desideri irrealizzati, che non con l'intenzione di realizzare veramente quelli che abbiamo"
" Cerchiamo persone ovunque, nell'esistenza ci dimeniamo tra il desiderio di avvicinarci agli altri ed il senso di allontanamento da questi"
" Ciò che non abbiamo può essere raggiunto"
"Jonathan aveva capito che cercando di possedere qualsiasi cosa, in realtà non si possedeva veramente nulla" ed ancora
" Chi non fa ciò che vorrebbe ha sempre la sensazione che manchi del tempo"
Lui sognava contro tutti, correva ora più veloce che mai.
Un libro che io ho letto, iniziando a volte dall'inizio, come si dovrebbe fare, a volte dalla fine, procedendo a ritroso, e mi è sembrato più affascinante leggerlo così. Come il gambero.
Un libro che ama i libri fino alla corsa
I libri di carta, i libri che parlano, i libri frutto del genio individuale, i libri non solo carta scritta dal presentatore o dalla attrice, "che poi sappiatelo che non li scrivono loro!", un libro scritto dal suo autore e amato, stampato e mandato nel mondo come creatura vivente.
a pagina 50 " Un libro lo scrive una sola persona"
e potrei ricopiare qui tanti altri momenti in cui si affida al libro la difesa delle nostre individualità, delle nostre librerie e relativi libraie e librai, del mondo della lettura non omologato come un pacco di detersivi. Che poi lo sappiamo che tutti i detersivi uguali sono composti, cambia solo il nome! I libri no, I libri, malgrado il tentativo in atto, di farne tante scatole di detersivi, troveranno in Attilio, in Crocifisso Dentello, in Fabrizio Coscia, in Romeo Vernazza e Domenico Dara, in Maria Parafati, "Come l'insalata sotto la neve", il risveglio e la difesa contro l'attuale barbarie.
Attilio è del 1993, al suo esordio nella battaglia.
Con un grande bacio a tutti voi dal regno della Litweb
La libreria di Maria Parafati a Chiaravalle, grosso centro nelle Serre Calabresi, compie domani due anni. Nel nostro felice augurare a lei, ai suoi bimbi, ai suoi frequentatori, un compleanno solare, regalo due esordi letterari, letti di recente. Uno è "Finché dura la colpa" di Crocefisso Dentello, del quale ho già scritto e che di sicuro presenterò un giorno, l'altro è di Attilio Alessandro Ortalano, edito La Gru " Bellezza e crudeltà"
Nel leggere la dedica che Attilio mi scrive sul libro ho il desiderio che sia vera. " Ogni persona ogni giorno combatte una propria battaglia, ma la letteratura ci insegna che nessuno è solo"
Cara Maria, tu alle prese con ordini, fatture e commercialisti, bolle e rese di magazzino, non sei sola.
Noi, i lettori, siamo la forza delle librerie.
Jonathan, il protagonista del libro di Attilio, vaga in un 2112 dove i libri e coloro che se ne occupano verranno chiusi in manicomio...
ahah
"Il mattino dopo Jonathan fu deportato in una clinica ed etichettato come possibile sovvertitore dello stato. La sua libreria fu chiusa. Non gli fu data nemmeno la possibilità di salutare Aurora."
Ridendo del riso della consapevolezza scrivo però che noi correremo e sfideremo qualsiasi Grande Fratello e occhio di controllo.
" Correva Jonathan." e noi con lui.
"Corriamo ogni giorno alimentati più dall'angoscia dei desideri irrealizzati, che non con l'intenzione di realizzare veramente quelli che abbiamo"
" Cerchiamo persone ovunque, nell'esistenza ci dimeniamo tra il desiderio di avvicinarci agli altri ed il senso di allontanamento da questi"
" Ciò che non abbiamo può essere raggiunto"
"Jonathan aveva capito che cercando di possedere qualsiasi cosa, in realtà non si possedeva veramente nulla" ed ancora
" Chi non fa ciò che vorrebbe ha sempre la sensazione che manchi del tempo"
Lui sognava contro tutti, correva ora più veloce che mai.
Un libro che io ho letto, iniziando a volte dall'inizio, come si dovrebbe fare, a volte dalla fine, procedendo a ritroso, e mi è sembrato più affascinante leggerlo così. Come il gambero.
Un libro che ama i libri fino alla corsa
I libri di carta, i libri che parlano, i libri frutto del genio individuale, i libri non solo carta scritta dal presentatore o dalla attrice, "che poi sappiatelo che non li scrivono loro!", un libro scritto dal suo autore e amato, stampato e mandato nel mondo come creatura vivente.
a pagina 50 " Un libro lo scrive una sola persona"
e potrei ricopiare qui tanti altri momenti in cui si affida al libro la difesa delle nostre individualità, delle nostre librerie e relativi libraie e librai, del mondo della lettura non omologato come un pacco di detersivi. Che poi lo sappiamo che tutti i detersivi uguali sono composti, cambia solo il nome! I libri no, I libri, malgrado il tentativo in atto, di farne tante scatole di detersivi, troveranno in Attilio, in Crocifisso Dentello, in Fabrizio Coscia, in Romeo Vernazza e Domenico Dara, in Maria Parafati, "Come l'insalata sotto la neve", il risveglio e la difesa contro l'attuale barbarie.
Attilio è del 1993, al suo esordio nella battaglia.
Con un grande bacio a tutti voi dal regno della Litweb
A Canossa a Canossa
5 dicembre 2009
A Canossa a Canossa
Correva l’anno 1077, Ildebrando di Soana, futuro papa Gregorio VII, vescovo di Cluny, spinto da un grande fervore religioso e da un intento moralizzatore verso i costumi degenerati dalla chiesa, si accinge all'opera di risanamento. Prima come consigliere del Papa, poi divenuto lui stesso Papa, raduna il sinodo del Laterano (1059). Il suo tentativo era favorito dall'imperatore Enrico III, che non ne poteva più di vescovi ribelli, simoniaci, barattieri, religiosi che vendevano l’anima al diavolo, inaffidabili anche come funzionari dell’impero.
Ildebrando prende il compito e lo svolge fino alle conseguenze più logiche. Rinnova i decreti contro la simonia e il concubinato del clero, obbliga questi ultimi al celibato, toglie la partecipazione delle autorità laiche alle cariche ecclesiastiche e svincola il papato e la chiesa dal dominio dell’imperatore. Ed è subito scontro con Enrico IV, figlio di Enrico III. Nel 1077 Gregorio VII, stanco dalla vessazioni e dalle minacce anche fisiche dei seguaci dell’Imperatore, lo scomunica e si ritira a Canossa sotto la protezione della Contessa Matilde, favorevole al papato, anche se cugina dell’imperatore. Qui, nel rigidissimo gennaio del 1077, giunge e sosta fuori del castello Enrico IV per ottenere la revoca della scomunica necessaria per mantenere il potere.
E Gregorio VII si trovò nella difficile posizione, tra l’incudine e il martello, di decidere una mossa che gli avrebbe nociuto. Qualunque essa fosse stata.
Enrico IV era agli occhi del mondo la vittima, il penitente colui che chiede perdono, e invece in cuor suo già predisponeva i piani per distruggere il Papa.
Gregorio VII era il papa severo, intransigente, che sembrava avere in pugno il destino, ed essere arbitro di una situazione che ormai gli era sfuggita. Non poteva non togliere la scomunica.
E così fa, condannandosi prima alla prigionia poi all'alleanza con Roberto il Guiscardo che saccheggiò Roma e portò il Papa quasi in ostaggio a Salerno dove morì.
- A Canossa, a Canossa – mi ripetevo fra me e me in quei giorni di freddo con costui in campagna, ma poi riflettevo, e più pensavo e più mi era chiaro. Non ripeterò un’altra Canossa.
Ci siamo rivisti molti in questa storia. Anche noi spinti da un sacro fuoco di giustizia, di rispetto cancellato, ci siamo vestiti nei panni di un personaggio, come un giocatore di scacchi, cercando di individuare la mossa giusta, dopo aver scomunicato. Ma poi…. visto Gregorio VII, abbiamo capito. Noi con Gregorio e contro gli inganni. Così vogliono fare passare la storia i prepotenti, manipolando , minacciando e infangando.