Un anno sull’altopiano
Nel 1984 sono stata vincitrice di concorso nella scuola
media e contemporaneamente ebbi l’incarico dal provveditorato di Bergamo nella
scuola superiore per filosofia e storia. Nello stesso giorno! Scelsi la
cattedra in uno sconosciuto paesino del crotonese.
Ma come sarebbe stata la mia
vita se avessi avuto la grinta e il
coraggio necessario per andarmene lontano? Un’altra vita e sono ora sicura più
felice, più aderente alla mia
preparazione. Ma la vita è questa qua.
Partii alla volta di Umbriatico con papà e mamma, io non guidavo per luoghi
così lontani e sconosciuti, con la cartina in mano. Facemmo tutta la
famigerata statale 106, la statale della
morte, la chiamano, per i numerosi incidenti stradali, e dopo Crotone, dopo
Cirò, incominciammo a salire, salire, inerpicandoci e giravoltando lungo i fianchi di un burrone.
Poi su un cocuzzolo, circondato dal
vuoto intorno, con corvi neri gracchianti e volanti passammo l’unico ponte
romano che collegava il medioevo alla modernità.
I miei genitori erano costernati io incredula. Era quella la Calabria? Dov’ero?
Avevo una cattedra spezzata e completavo con una classe di Pallagorio, altro
paese in quell’entroterra aspro e
difficile. Un paese albanese, l’italiano era una lingua straniera che parlavano
benissimo, ma un popolo straniero, che ancora celebravano e celebrano i loro
riti ed usanze che io non conoscevo e che allora imparai con fastidio. Che
fastidio! Quale orrore entrare in classe
e non poter parlare del declino del capitalismo!
Le ore non passavano mai!
Guardavo l’orologio fermo, immobile era sempre la stessa ora, mi prendeva lo
sconforto. Ad Umbriatico, per fortuna, perché io sono sempre stata fortunata, c’era
una collega del lametino che era entrata
di ruolo dopo tanti anni nella media. Una preparata, brava, che venne a vivere
nella stessa casa e mi consigliava, mi
dava le sue programmazioni, ascoltava il mio malessere, io, buttata in una classe con individui vocianti ed
incomprensibili, io che, al massimo, in tanti anni di disoccupazione avevo solo supplito qualche mese al liceo classico filosofia e storia ed avevo letto tanto, tutto
lo scibile del tempo, mi ero riscritta di nuovo all’università, questa volta
giurisprudenza e poi avevo lasciato perdere. Ed ora cosa faccio? mi chiedevo in
quella prima ad Umbriatico, cosa faccio? maledizione! Che gli dico?
Urlavo, presumo, anche se
alcuni alunni poi mi hanno scritto lettere molte belle, io mi sentivo una
stronza, una volta addirittura feci quasi come il conte Ugolino all’arcivescovo
Ruggero nell’inferno dantesco! Menomale che eravamo nel medioevo, ora mi
avrebbero licenziata all’istante! Ma allora nessuno fece caso! La mia collega
mi esortava a fare raccontini facili, a parlare con termini comprensibili, a
non essere saccente, a mettermi al loro livello, ma io odiavo la scuola, quella
scuola, ed odiavo la me stessa che non poteva più tornare indietro. E’ stato un
incubo. Per anni poi ho vagato nella scuola media come un fantasma, disperdendo
la mia vita, sfilacciando il mio essere in assenze sempre più lunghe, consumando
le mie giornate in un tedio senza fine.
Ero Oblomov. Nel novanta sono
diventata mamma e mi sono assentata per tre anni! Quando poi ho ripreso, nel vibonese
questa volta, nella civiltà, sono stata la brava professoressa e quando persi il posto a Monterosso i genitori andarono in
delegazione a protestare al provveditorato: una grande gratificazione! Ero
cambiata, perché nello sforzo di farmi capire da mio figlio, che pure ho sempre
trattato da adulto, ho imparato a parlare con gli alunni. Che mi adorano. Ora
sono amata ed apprezzata per quel che feci nei primi anni duemila ma cosa farò
adesso non lo so. Boh! Ora che sono imprenditrice e presidente, consigliera e
deficiente (nel senso di deficere - mancante delle tante cose che ero e che non
son più!)
Grazie Ippolita PER QUESTE MEMORIE CONDIVISE....la buona scuola esisteva, esiste ed esisterà SEMPRE nonostante chI GOVERNA!
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