domenica 27 giugno 2021

Graziano Gala Sangue di Giuda

 


Mi giunge nel Regno della Litweb Graziano Gala Sangue di Giuda per vie amicali di grande affettività. Mario me lo consegna in regalo, un regalo graditissimo unisce la scuola amata da insegnanti e alunni in un filo che ci lega da molti anni. Anche Graziano è insegnante e ora scopro del mio stesso segno zodiacale! sembra sia il segno degli scrittori, o almeno dei fissati, in senso buono, con la scrittura. Insieme abbiamo un autore amatissimo, Flaiano, io scherzosamente dico addirittura di essere Flaiano redivivo. 

Leggo Graziano Gala. Sangue di Giuda è il suo romanzo d’esordio con minimum fax. Un romanzo in una lingua dialettale, tra pugliese e campano, scritto con una voce narrante, Giuda, che in effetti non è il suo nome ma quello che gli ha appioppato il padre. Giuda è un vinto, con la saga di Verga in testa, lo leggo. 

Graziano costruisce un racconto raccontato, vi dicevo, dalla voce di chi ha perso tutto anche il televisore. Col furto del televisore inizia la vicenda. Il dialetto dapprima rende difficile la lettura, io traducevo in italiano, volta per volta, poi leggendo mi è stato comprensibile e scorrevole. Addirittura alla fine Graziano ha messo un dizionario per spiegare in dialetto i termini dialettali!

 Non vi racconterò la trama ma uno degli snodi più interessanti per me sono le situazioni orribili nel rapporto col padre. C’è un episodio in cui il padre vuole costringere il figlio ancora bambino a toccare una prostituta in un bordello. Il bambino si ribella e ne resta traumatizzato e il padre gli urla contro le peggiori cose. 

Successe uguale quasi ad un mio amico, ora rimasto single, e lui raccontava da adulto quanto in effetti il padre, un graduato dell’esercito mi sembra, lo avesse costretto. E al suo rifiuto rimase una frattura insanabile. Educazione sessuale violenta, potremmo chiamarla. Chissà quanti bimbi l’hanno subita!

Graziano racconta un vinto che viene sconfitto dalle istituzioni orbe e senz’anima, dalla politica e dagli stessi affetti familiari. Vinto ma non domo, Giuda recupererà l’italiano, non vi dico quando e dove, in un sussulto di dignità mai persa.

"Gala si muove soprattutto nei territori del surreale e del lunatico, lunare o stralunato (credo che tutti e tre i termini vadano bene, il primo va riferito ovviamente alla "scuola" di cui rappresentati eminenti sono Celati e Cavazzoni)." dice Marco Patrone in Recensireilmondo, a proposito di Felici Diluvi, opera del 2018, quattordici racconti che leggerò. Il titolo dice Gala " Il titolo è venuto da una constatazione semplice e sincera: quando piove, quando si soffre, quando le vicende vanno poco bene si può decidere di rintanarsi sotto al proprio ombrello, di condividerlo o, addirittura, di cederlo. La condivisione del dolore, la sopportazione comune e solidale è una delle esperienze più intime provabili. La pioggia in compagnia fa meno paura." ed è questo che emerge anche in Sangue di Giuda.

Leggeremo ancora Graziano Gala nelle sue sperimentazioni, qui in Sangue di Giuda ha voluto scrivere in un dialetto che richiede un adattamento del lettore alla lingua, una lingua interiore di un personaggio che è alla ricerca come tutti noi di " Virtute e conoscenza"

Ippolita Luzzo 

Graziano Gala nasce a Tricase il 19 settembre 1990. Vive a Milano, dove insegna Lettere in un Liceo delle scienze umane. Nel 2012 vince il premio “Lo scrivo io”, indetto da “La Gazzetta del Mezzogiorno” nella sezione poesia. Il suo racconto “Variabili impazzite”, viene inserito nella collana “Chi semina racconti 2”, curato dall’associazione “Tha Piaza Don Chisciotte”. Nel 2013 vince il premio speciale della giuria nel “Premio internazionale di cultura” indetto dall’AEDE (Association Européenne des Enseignants). Due suoi racconti vengono selezionati nel bando “Bollenti spiriti”, indetto dalla Regione Puglia, dando origine al volume collettaneo “Parole battute”. Si qualifica terzo al “Premio Nazionale Bukowski” di Viareggio. Nel 2016 il suo racconto “Sabotare il silenzio”, viene pubblicato in un’antologia edita da “Testi&Testi” e vince il premio “Carlo Cultrera”. Nello stesso anno un suo racconto viene selezionato dall’associazione “Onalim” e letto durante la Piano City Milano 2016 e nella scuola di scrittura “Belleville”.




sabato 26 giugno 2021

Note a piè di pagina di Gilberto Floriani

 


Diario di un bibliotecario impegnato.

Una nota è un breve testo con funzione esplicativa.  Posizionata in fondo a una pagina di un libro o di un documento, viene chiamata nota a piè di pagina o nota in calce. Collocata nel margine esterno della pagina, è detta nota a margine. Le note possono essere raggruppate tutte in un'apposita sezione, alla fine del capitolo o del libro.

Il curatissimo diario di Gilberto Floriani in effetti è una riflessione su come siano stati gestiti e trasformati i luoghi di offerta culturale nel Mezzogiorno, una storia che ripercorre dalla fine degli anni Sessanta ad oggi lo sforzo sostenuto dallo Stato per favorire l'istruzione e la comprensione. 

Comprendere vuol proprio dire acquistare autonomia di pensiero e saper discernere, compito questo che era svolto dalla scuola e, per quelli che a scuola non andavano più, da corsi serali, biblioteche popolari, e nel 1967 dai Centri di Servizi Culturali. 

I Centri operarono fino al 1972 alle dipendenze della Cassa per il Mezzogiorno e poi furono trasferiti alle Regioni. La Regione Calabria tenne i Centri fino al 1979 e poi soppresse l'iniziativa trasferendo il patrimonio e il personale ai Comuni. 

Ieri sera io raccontavo la bellissima esperienza dei primi anni del Centro Servizi Culturale a Lamezia Terme alla mia amica, molto più giovane, che non aveva avuto modo di conoscerli. 

Gilberto Floriani ci riporta vividi quegli anni, anni di grande entusiasmo, conoscevamo Fortini e Sereni, Vogliamo Tutto di Balestrini, Donnarumma all'assalto di Ottiero Ottieri, vedevamo film che non venivamo proiettati al cinema tradizionale e poi seguivano dibattiti. 

Vero è che i Centri di servizi culturali favorirono l'aggregazione e insieme quella meravigliosa sensazione di stare imparando un mondo nuovo, il mondo o il modo della possibilità di essere artefici di un cambiamento, di essere quasi utili e di avere un senso nella storia del proprio paese. Ogni paese poteva diventare il centro del mondo e nessuno si sentiva escluso. 

Leggo con partecipazione le Note di Gilberto, proprio perché riportano gli anni del liceo, e seguo la trasformazione avvenuta negli anni Ottanta con un ripiegamento anche personale sul nulla. 

Siamo ora nel 2021 e dal 2012 esiste questo blog che mi permette, come negli anni Settanta, di poter partecipare agli eventi, un salto attraverso gli anni. Mi accorgo che anche il Festival Leggere e Scrivere è nato nel 2012 ed io ne sono stata ospite per ben sette anni, ho fatto parte della giuria del Premio "Un libro nel cassetto" e ho ricordi felici di un Festival che in sinergia con le Scuole dava agli alunni incontri con i protagonisti della vita letteraria della nazione. 

Ora siamo qui, fiaccati un po' dalla pandemia,  a leggerci con stima e a credere in tempi più fausti.

Siamo al Sud, ma io credo che tutto sia Sud, oramai, intendendo per Sud una sorta di emarginazione, di difficoltà a trovare spazi, di difficoltà ad avere opportunità. 

"Un po' di autobiografia" il capitolo conclusivo, ci regala il momento intimo della vita di Gilberto Floriani, ci regala la commistione Sud Nord, ci regala il momento felice in cui sembra che tutte le strade siano aperte, nell'adolescenza, e come tutto poi si racconti con la felicità, nel suo caso, di aver fatto le scelte più consone al proprio sentire. 

Ci riconcilia con gli studi, con le letture, con i libri, con tutto ciò che si è amato e continua ad essere amato nella bella sensazione di poter avere relazione con l'altro con un libro in mano.

Ippolita Luzzo 


mercoledì 23 giugno 2021

Pong di Sibylle Lewitscharoff


 “Sul soffitto saltano le rane, e ognuno gli genera un leggero disgusto, a una di esse si agita sulla lingua una fiammella che scrive, non è nella tua mano il potere di controllare la fortuna, a una sulla testa è legata una tazzina di latte, laverai invano la tua lingua nell’innocenza, a un’altra il ventre sì è infilato in una ruota, siederai nel mio potere saldo come l’acciaio, altre ancora gironzolano come delle minuscole pistole, spara sempre solo a vuoto, tu vecchio batacchio! Continue battaglie che l’Avversario conduce contro di me, sì diceva Pong, e hop! le rane erano sparite.” 

Pong è così, un saltellare di rane, un grande gracidare nello stagno, e nello stesso tempo un libro divertente e felice, nella stranezza della sua affabulazione. 

Scritto in modo torrenziale, appunto il torrente poi crea lo stagno e dallo stagno i girini, così leggiamo rapiti le gesta di Pong nato già adulto con capelli e denti, nato già al centro del mondo, del suo mondo. 

Tradotto con amorevole precisione e competenza da Paola Del Zoppo, io credo che sia rimasta intera la musicalità della lingua originale della scrittrice. Scrittrice vincitrice di premi europei importanti, scrittrice innovativa e sorprendente. 

La casa editrice Del Vecchio editore ci ha abituato nel corso degli anni a libri preziosi, ricordo I mondi reali di Abelardo Castillo, comprato con grande emozione a Più libri più liberi a Roma molti anni fa. Un lavoro certosino che sembra quello di Manuzio nella Venezia di cinque secoli fa. Libri preziosi come questo.

 Pong, un pazzo " “Il pazzo gira su una diversa giostra di associazioni. La persona comune vive qualcosa di simile la sera, prima di addormentarsi, ma di giorno no.” Pong nasce già adulto e così i suoi figli, i suoi innumerevoli figli. Una moltiplicazione senza fine.

Un libro meraviglioso. Meraviglioso. L’autrice è Sibylle Lewitscharoff, nata a Stoccarda, vive a Berlino. Il libro, come vi ho detto, è tradotto in italiano da Paola Del Zoppo, ed è sua la postfazione “L’incoerente continuum del reale: Leggere e tradurre Pong di Sibylle Lewitscharoff. Una prefazione che ci illumina sul compito del traduttore, quel dovere di rispettare il testo, nient'altro che il testo. 

Il libro è del 1998 ma ora viene pubblicato in Italia da Del Vecchio Editore. Un vero gioiello di libro. 

Felicissima di averlo nel Regno della Litweb lo consegno alla lettura di tutti voi sempre più numerosi 

Ippolita Luzzo 


lunedì 21 giugno 2021

Strani giorni dal 2018

 L’orrore intorno non può interessarci più di tanto. C’è un limite alla ricezione dell’orrore.

 Ci ripetiamo che non può essere, che ci saranno altri modi, che un giorno cambierà. “Vedrai vedrai che un giorno cambierà, io non so dirti come e quando ma vedrai che cambierà. Forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà.” 

L’orrore ha già cambiato i nostri atteggiamenti, le vie, gli ospedali, le scuole ed i paesi. L’orrore ha cambiato tanti, troppi, tranne i mostri che lo creano. Orribili Nuovi giorni.

 Strani giorni. “Mi lambivano suoni che coprirono rabbie e vendette di uomini con clave ma anche battaglie e massacri di uomini civili.” 

Strani giorni nell’andare avvelenato di infamie continue

domenica 20 giugno 2021

Una storia infame

“Poi mi fece un regalo che non mi scorderò per tutta la mia vita” così la frase dolorosa in ricordo del suo “viaggio di nozze” di una violenza subita a 15 anni, questa era l’età in cui questa donna, ora di quasi ottanta, era andata in sposa. 

Matrimoni carnefici di vite violate. 

Fu poi una vita da incubo con un mostro. 

Mi  fidanzarono- racconta lei a bassa voce. A 15 anni la fidanzano con uno di 28. La fidanzarono e io domando: Quanto tempo sei stata fidanzata?- Una smorfia amarissima e poi mi risponde: Subito dopo mi sposarono. 

Complici la fame, le ristrettezze, il destino.

 Lei era bella. 

Ora ad ottanta anni non ha più nemmeno il volto e ogni centimetro di pelle è segnato da un tempo malvagio come la persona che la sposò.

 Sono molto tentata di andare a trovare in futuro questa signora per sentire la storia di mala sorte però non credo che lo farò

venerdì 18 giugno 2021

Dire ciò che si pensa

Si può dire la verità, ci insegnò Damilano, in un suo incontro al Liceo Campanella, basta trovare il modo. Ogni tanto ci credo a questa affermazione e faccio pezzi, pur blindati da una autocensura che protegga, tentando di far fuggire via la verità dalla coltre del testo. 

Un compito difficile è, perché la verità non deve offendere, non deve far nascere istinti aggressivi, non deve nuocere a chi ne è oggetto e nemmeno a chi la scrive. 

Mi dicono da più parti chi me lo faccia fare di esprimere perplessità su qualche facezia eppure mi rendo conto quanto sia difficile il dialogo in caso di divergenze di opinioni.

 Divergere non vuol dire possedere la verità.

 Ecco credo sia questo che ho imparato dallo stare qui. Divergere e dialogare anche con chi scrive in maniera pessima, anche con chi dipinge imbrattando, divergere in maniera amabile è l'unica verità che ci resta