Amare i libri vuol dire esporsi a rabbia scomposta vedendo che chiamano libri qualsiasi formato cartonato.
Amare la lettura vuol dire soffrire quando viene offerta come lettura quel che lettura non è.
Amare la letteratura e ogni genere di narrazione mi porta a difendere come fosse un guerriero quel luogo che si chiama scrittura.
Amare vuol dire rischiare e quasi lottare affinché non si butti via quel che di bello abbiamo imparato.
Per questo soffro ogni qualvolta si sciupi così la bella occasione di portare alla gente la voglia di leggere un testo vero. Vero, diceva Boezio.
Siamo purtroppo al tempo del buio, del livello zero di una narrazione e, malgrado i moltissimi libri belli, trovano spazio solo testi banali, scritti male, senza un lessico apprezzabile, senza un tessuto. Spogli ma adorni. Un vero sconforto mi prende.
Quel che mi smarrisce sempre è come stiano zitti ad applaudire cotanta irrealtà giornalisti, che poi scrivono sui giornali pezzi grondanti ammirazione devota, televisioni che inquadrano e danno risalto, radio in diffusione, professori di lettere e filosofia, professori di greco e di latino, professori insomma che dovrebbero lanciare fischi e pernacchie ed invece stanno zitti. Perché?
su questo fenomeno mi sto ancora interrogando... per riuscire a trovare il livello del critico, di diversi critici, e dei loro estimatori
martedì 31 maggio 2016
lunedì 30 maggio 2016
Le libertà conquistate
La rivoluzione delle libertà, al tempo della falsità.
La libertà di essere ubriachi,
la libertà di essere sgrammaticati,
la libertà di essere scurrili,
la libertà di andare denudati,
la libertà di essere scemi in capo.
Liberi, finalmente liberi, di dormire fino a mezzogiorno
Liberi, finalmente liberi, nelle tenebre, come Nosferatu.
Liberi
Liberi nei letti e nella sessualità, dicono...
Liberi dagli affetti e dalle amicizie, liberi dal rispetto
Liberi
Liberi, hanno conquistato le libertà di essere scemi.
Liberi
Liberi, finalmente liberi, di scrivere qualsiasi cavolata.
Liberi dalla fatica possono recitarla.
Liberi dal lavoro e dalle necessità, la regione li aiuterà.
Liberi, finalmente liberi, liberi dalla responsabilità di dire la verità.
Liberi dalla libertà possono dir vittoria con la birra in mano.
La libertà di essere ubriachi,
la libertà di essere sgrammaticati,
la libertà di essere scurrili,
la libertà di andare denudati,
la libertà di essere scemi in capo.
Liberi, finalmente liberi, di dormire fino a mezzogiorno
Liberi, finalmente liberi, nelle tenebre, come Nosferatu.
Liberi
Liberi nei letti e nella sessualità, dicono...
Liberi dagli affetti e dalle amicizie, liberi dal rispetto
Liberi
Liberi, hanno conquistato le libertà di essere scemi.
Liberi
Liberi, finalmente liberi, di scrivere qualsiasi cavolata.
Liberi dalla fatica possono recitarla.
Liberi dal lavoro e dalle necessità, la regione li aiuterà.
Liberi, finalmente liberi, liberi dalla responsabilità di dire la verità.
Liberi dalla libertà possono dir vittoria con la birra in mano.
martedì 24 maggio 2016
Beat
Caro Beat, cantava Celentano nel 1967
mi piaci tanto,
sei forte perché hai portato
oltre alla musica
dei bellissimi colori
che danno una nota di allegria
in questo mondo pieno di nebbia.
O cambi nome.
O presto finirai.
Il fenomeno beat in Italia darà vita a tanti complessi e canzoni, L'Equipe 84 e i Dik Dik, e i Rokes di Ma che colpa abbiamo noi?
A me il movimento beat ora somiglia ai giambi di Archiloco, come lui i rappresentanti sono
individualisti, litigiosi, trasgressivi e anticonformisti. Con i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo: alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario. Rifiutò anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
I versi caratterizzati dallo ψόγος (biasimo) e dall'invettiva erano composti in metro giambico: per questo motivo con "poesia giambica"
Le invettive, in Archiloco, tendevano innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti
Tre passi avanti
e crolla il mondo Beat,
una meteora che fila e se ne va
ragazza svegliati.
Ehi, cosa fai,
mi lasci per andare con uno
che li mette nei guai.
Tre passi avanti
e sola resterai
in una nuvola di fumo
come il Beat
e sono certo che
rimpiangerai
i miei capelli corti
e questo amore nato con te.
mi piaci tanto,
sei forte perché hai portato
oltre alla musica
dei bellissimi colori
che danno una nota di allegria
in questo mondo pieno di nebbia.
O cambi nome.
O presto finirai.
Il fenomeno beat in Italia darà vita a tanti complessi e canzoni, L'Equipe 84 e i Dik Dik, e i Rokes di Ma che colpa abbiamo noi?
A me il movimento beat ora somiglia ai giambi di Archiloco, come lui i rappresentanti sono
individualisti, litigiosi, trasgressivi e anticonformisti. Con i caratteri satirici della poesia giambica: in spregio della morale del tempo, Archiloco afferma di aver gettato lo scudo ed essere fuggito per salvarsi la vita, ripromettendosi di comprarne uno nuovo: alla negazione dei topoi dell'ethos eroico, si affianca l'affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario. Rifiutò anche la καλοκἀγαθία (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù.
I versi caratterizzati dallo ψόγος (biasimo) e dall'invettiva erano composti in metro giambico: per questo motivo con "poesia giambica"
Le invettive, in Archiloco, tendevano innanzitutto a denunciare aspetti deformi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non per distruggere, ma anzi per costruire e affermare quei principi e quei valori che erano o avrebbero dovuto essere condivisi da tutti
Tre passi avanti
e crolla il mondo Beat,
una meteora che fila e se ne va
ragazza svegliati.
Ehi, cosa fai,
mi lasci per andare con uno
che li mette nei guai.
Tre passi avanti
e sola resterai
in una nuvola di fumo
come il Beat
e sono certo che
rimpiangerai
i miei capelli corti
e questo amore nato con te.
La Cultura lallallà
strisciata di sabato 9 settembre 2017 al ritorno da raduno poetico. Pezzo nato nel 2016, sempre attuale.
La Cultura Lallallà, La Cultura Lallallà,
la Cultura Lallallà, a Lamezia Lallallà.
Cantandola ad alta voce al volante della panda, torno a casa ilare ed in musica.
La Cultura lallallà, ogni due parole una è cultura.
A Lamezia Lallallà.
Rivoluzione culturale sarà, il sindaco della città
sinergia culturale verrà,
e tutto un coro di lallallà.
Si canta a Lamezia cultura forever, in ogni locale,
si canta e si balla in giro per la città. Lallallà.
Si prega e si mangia, si scrive a Lamezia cultura che bela, che miagola e ruggisce, cultura squittisce, barrisce e finisce.
Cultura per giovani,vecchi e piccini, cultura per ogni colore di pelle, di palle, di pollo, cultura per ogni sapore di marcio, di insipido, di stantio.
La Cultura Lallallà La Cultura Lallallà La Cultura ci salverà.
Cantando e leggendo ci prendono in giro con stupidario di ogni stagione.
Lallallà i giovani sono il nostro futuro, lallallà lasciamo un messaggio ai nostri giovani, lallallà i giovani ci chiedono di chi è la colpa, lallallà lasciamo ai giovani noi adulti un mondo in sfacelo lallallà e allora tendiamo una mano ai giovani lallallà disse ieri sera una culturata signora ad una conferenza.
Lallallà il mondo che è qua, lallallà In giro per la città.
Analfabeti analfabeti analfabeti cantano cultura lallallà
il mondo è loro lallallà.
Un mondo ignorante.
A Lamezia lallallà
canta così.
Lallallà
Quelli che non cantano sono coloro che si accorgono della presa in giro e stanno zitti. zittissimi. Hanno perso il controllo del volante. Lallallà
Ippolita Luzzo
lunedì 23 maggio 2016
Vi dichiaro divorziati
A Paola, a Paola. Prendo il treno per Paola dove, invitata da Ada Cassano, potrò conoscere Nicola Vacca e l'avvocato Gassani. Relatore ed autore del libro Vi Dichiaro Divorziati.
Sono felice. Nel treno alcune ragazze suonano. Il viaggio dura un attimo e Nicola, in arancio e limone vitaminico, mi aspetta in stazione.
Da Ada, che mi sembra di conoscere da sempre, c'è il soffio degli ultimi preparativi, l'attenzione che tutto sia fatto per bene. Nicola è ora in abito blu e cravatta, io gli aggiusto il colletto della giacca, stringo la fibbia alle scarpe di Ada. Mi rendo utile, insomma.
Partiamo.
Siamo nel complesso monumentale di Sant'Agostino a Paola, in Calabria. Di origine medievale, dopo aver ospitato il convento agostiniano, è la sede del Comune di Paola, in attesa che si compia la ristrutturazione del Palazzo di Città. Arrivano in tanti. Tutti i posti sono occupati da persone di età diversa, transgenerazionale.
Arriva anche Martino Ciano, impegnato in riprese televisive non posso salutarlo. Lo fotografo.
Seduta accanto a Lella, amica di Ada dall'infanzia, io prendo appunti. E a lei chiedo informazioni su quel ragazzo, appena andato via dopo aver salutato con un In bocca al lupo i relatori al tavolo.
Il sindaco, lei mi dice. Io da subito adoro quest'uomo, che non si perde in mille cincischierie.
E tutti gli interventi seguono la mia impressione. Interventi mirati con relatori competenti, dalla moderatrice Marianna Famà
a Margherita Corriere e Teodora Tiziana Rizzo.
Nicola Vacca, critico letterario, presenta il libro di Gassani, parlando di lui come un artigiano. Fondatore dell'associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gassani crede ad un diritto di famiglia come casa etica. Ciò che siamo e ciò che vogliamo è il diritto di famiglia. Un diritto di famiglia ancora da fare, in cui l'autore del libro rappresenta il suo dialogo interiore, il dubbio e la perplessità dell'uomo, nel dover usare un mezzo antiquato, le leggi, per una miriade di casi umani disparati. Si ferma, Nicola, sul termine sacro, un libro sacro, nel senso di libro vero, che si interroga sul dramma di situazioni difficili e sulla impossibile soluzione, molto spesso.
La solitudine dell'avvocato: queste le parole con cui inizia Gassani, riprendendo le parole di Nicola, su quella funzione sacra dello scrittore, dell'uomo avvocato, del rispetto dell'uomo.
Libro scritto per bloccare l'amarezza, per aiutare chiunque lo legga, siano semplici lettori che legislatori, a interpretare una società fluida, un cambiamento rapido di costumi, di usi, di opportunità, con l'unico punto fermo che ci rimanga: L'umanità.
Un diritto di famiglia antiquato, fermo a società immutabili, che sembra peggio di quello talebano, con un delitto d'onore assolto fino a pochi anni fa, con figli fuori dal matrimonio che non potevano avere il cognome del padre, con il rapimento della donna sanato col matrimonio, con le donne massacrate e uccise, dopo aver sporto una inutile denuncia di violenza.
Un luogo pericolosissimo la famiglia!
Nella raccolta delle varie storie c'è seduto accanto a lui il testimone di una storia terribile di inganni e mistificazione, di tribunali, Giorgio Ceccarelli.
Lo ascoltiamo stupefatti di quanto possa essere distruttiva la sete di vendetta.
Devo andare via, purtroppo ho il treno di ritorno, e il marito di Ada mi ricorda l'orario, non prima di aver appuntato l'ultima storia.
Gassani sta raccontando di un ragazzo, 19 anni, adottato ed ora in cerca della sua mamma. Per conoscerne il viso. Il regolamento per cui una donna lascia un bambino in adozione ad un ospedale contempla l'anonimato ed il ragazzo non potrà mai vedere il volto di chi lo ha generato. La legge protegge il riserbo della donna, eppure lascia nel vuoto quella domanda su "Chi siamo, da dove veniamo", ineludibile per ogni essere umano.
Nella strettoia fra legge e casi umani il varco della scrittura, la testimonianza che si fa grido, imperio, che chiede il rispetto per ognuno dei protagonisti di una storia chiamata Vita. Nella postfazione di Martinelli a noi tutti.
Sono felice. Nel treno alcune ragazze suonano. Il viaggio dura un attimo e Nicola, in arancio e limone vitaminico, mi aspetta in stazione.
Da Ada, che mi sembra di conoscere da sempre, c'è il soffio degli ultimi preparativi, l'attenzione che tutto sia fatto per bene. Nicola è ora in abito blu e cravatta, io gli aggiusto il colletto della giacca, stringo la fibbia alle scarpe di Ada. Mi rendo utile, insomma.
Partiamo.
Siamo nel complesso monumentale di Sant'Agostino a Paola, in Calabria. Di origine medievale, dopo aver ospitato il convento agostiniano, è la sede del Comune di Paola, in attesa che si compia la ristrutturazione del Palazzo di Città. Arrivano in tanti. Tutti i posti sono occupati da persone di età diversa, transgenerazionale.
Arriva anche Martino Ciano, impegnato in riprese televisive non posso salutarlo. Lo fotografo.
Seduta accanto a Lella, amica di Ada dall'infanzia, io prendo appunti. E a lei chiedo informazioni su quel ragazzo, appena andato via dopo aver salutato con un In bocca al lupo i relatori al tavolo.
Il sindaco, lei mi dice. Io da subito adoro quest'uomo, che non si perde in mille cincischierie.
E tutti gli interventi seguono la mia impressione. Interventi mirati con relatori competenti, dalla moderatrice Marianna Famà
a Margherita Corriere e Teodora Tiziana Rizzo.
Nicola Vacca, critico letterario, presenta il libro di Gassani, parlando di lui come un artigiano. Fondatore dell'associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gassani crede ad un diritto di famiglia come casa etica. Ciò che siamo e ciò che vogliamo è il diritto di famiglia. Un diritto di famiglia ancora da fare, in cui l'autore del libro rappresenta il suo dialogo interiore, il dubbio e la perplessità dell'uomo, nel dover usare un mezzo antiquato, le leggi, per una miriade di casi umani disparati. Si ferma, Nicola, sul termine sacro, un libro sacro, nel senso di libro vero, che si interroga sul dramma di situazioni difficili e sulla impossibile soluzione, molto spesso.
La solitudine dell'avvocato: queste le parole con cui inizia Gassani, riprendendo le parole di Nicola, su quella funzione sacra dello scrittore, dell'uomo avvocato, del rispetto dell'uomo.
Libro scritto per bloccare l'amarezza, per aiutare chiunque lo legga, siano semplici lettori che legislatori, a interpretare una società fluida, un cambiamento rapido di costumi, di usi, di opportunità, con l'unico punto fermo che ci rimanga: L'umanità.
Un diritto di famiglia antiquato, fermo a società immutabili, che sembra peggio di quello talebano, con un delitto d'onore assolto fino a pochi anni fa, con figli fuori dal matrimonio che non potevano avere il cognome del padre, con il rapimento della donna sanato col matrimonio, con le donne massacrate e uccise, dopo aver sporto una inutile denuncia di violenza.
Un luogo pericolosissimo la famiglia!
Nella raccolta delle varie storie c'è seduto accanto a lui il testimone di una storia terribile di inganni e mistificazione, di tribunali, Giorgio Ceccarelli.
Lo ascoltiamo stupefatti di quanto possa essere distruttiva la sete di vendetta.
Devo andare via, purtroppo ho il treno di ritorno, e il marito di Ada mi ricorda l'orario, non prima di aver appuntato l'ultima storia.
Gassani sta raccontando di un ragazzo, 19 anni, adottato ed ora in cerca della sua mamma. Per conoscerne il viso. Il regolamento per cui una donna lascia un bambino in adozione ad un ospedale contempla l'anonimato ed il ragazzo non potrà mai vedere il volto di chi lo ha generato. La legge protegge il riserbo della donna, eppure lascia nel vuoto quella domanda su "Chi siamo, da dove veniamo", ineludibile per ogni essere umano.
Nella strettoia fra legge e casi umani il varco della scrittura, la testimonianza che si fa grido, imperio, che chiede il rispetto per ognuno dei protagonisti di una storia chiamata Vita. Nella postfazione di Martinelli a noi tutti.
sabato 21 maggio 2016
Gli ottimisti come carriera
Gli ottimisti come carriera non leggono i dati Istat.
Gli ottimisti come carriera non spulciano nei tribunali e nelle
sedi della cronaca giudiziaria.
Gli ottimisti come carriera dimenticano Alessandro Bozzo e
tutti i giornalisti seri maltrattati.
Gli ottimisti come carriera non vedono il disagio dei pochi
abitanti che si impegnerebbero volentieri se la burocrazia ed
il malgoverno lo permettesse.
Gli ottimisti come carriera però hanno trovato il loro foraggio,
i loro fondi e non vedono più.
Gli ottimisti come carriera non spulciano nei tribunali e nelle
sedi della cronaca giudiziaria.
Gli ottimisti come carriera dimenticano Alessandro Bozzo e
tutti i giornalisti seri maltrattati.
Gli ottimisti come carriera non vedono il disagio dei pochi
abitanti che si impegnerebbero volentieri se la burocrazia ed
il malgoverno lo permettesse.
Gli ottimisti come carriera però hanno trovato il loro foraggio,
i loro fondi e non vedono più.
giovedì 19 maggio 2016
La pazza gioia di Virzì e Archibugi
Nei titoli di cosa passano le persone consultate, in testa il nome del senatore Luigi Manconi, firmatario di una legge del 2015 che riguarda la tematica del film.
Passano psicoterapeuti e psichiatri, personale che lavorano in ASL fornendo servizio parallelo ai malati, in luoghi come Villa Biondi.
Una struttura, dove si accolgono degenti con problemi psichici, donata dai Morandini Valdirana, per tenerci la figlia, Beatrice, una donna che ha dilapidato il patrimonio per amore di un delinquente, una bugiarda e instabile, fragile e ingenua nello stesso tempo.
Una intera comunità terapeutica si stringe tollerante intorno ai capricci di Beatrice che, con ombrellino e scialle, ordina agli ammalati strampalate sue decisioni. Lei, con il suo agire, ha costretto la nobile famiglia a dover affittare una parte del proprio giardino al cinema italiano, e questo mi sembra il passaggio più divertente del film.
Altro personaggio è Donatella, con una storia complessa, un tentato omicidio del suo bambino e un tentato suicidio.
Le due donne, diversissime, troppo facilmente si intendono, vanno via dalla struttura, rubano una macchina, mangiano ad un ristorante lussuoso e fuggono senza pagare, poi si ritrovano fra figuranti di un film e scappano via su una macchina d'epoca alla maniera di Thelma e Louise.
Il film avrà avuto di sicuro buone intenzioni, avrà voluto mostrare la follia nel genere commedia, con operatori che vanno a trovare le fuggitive e le riaccolgono nel finale come le pecorelle smarrite tornate all'ovile, eppure non riesce a convincermi.
Un film non è sulla malattia mentale, oppure sul disagio, bensì è un film sulla bravura delle attrici, sulla amicizia, che a quanto pare solo i pazzi possono ancora praticare come vera.
Loro si fidano in due e questo mi sembra bello e folle.
Infatti altro momento che salvo nel film è quando Beatrice cerca notizie su Donatella per cercare di esserle utile, per dare quel senso alle cose e alla vita che amicizia può dare.
Per il resto il film poggia su una sceneggiatura manichea, le due donne, guardate con indulgenza, e gli uomini mostrati come inservibili, l'episodio di Donatella, che fa il bagno in mare con il figlio, è quanto di più improbabile possiamo immaginare. Un bimbo che al mare fa il bagno con una sconosciuta... mah
Ed il finale con la canzone di Gino Paoli, espediente per legare il tutto ad un cantautore amato, mi infastidisce ulteriormente.
Amo Virzì, ho amato Ovosodo e Il capitale Umano, qui mi sembra tutto una forzatura, altro che pazza gioia!
Il pazzo conformismo dei tempi odierni
Passano psicoterapeuti e psichiatri, personale che lavorano in ASL fornendo servizio parallelo ai malati, in luoghi come Villa Biondi.
Una struttura, dove si accolgono degenti con problemi psichici, donata dai Morandini Valdirana, per tenerci la figlia, Beatrice, una donna che ha dilapidato il patrimonio per amore di un delinquente, una bugiarda e instabile, fragile e ingenua nello stesso tempo.
Una intera comunità terapeutica si stringe tollerante intorno ai capricci di Beatrice che, con ombrellino e scialle, ordina agli ammalati strampalate sue decisioni. Lei, con il suo agire, ha costretto la nobile famiglia a dover affittare una parte del proprio giardino al cinema italiano, e questo mi sembra il passaggio più divertente del film.
Altro personaggio è Donatella, con una storia complessa, un tentato omicidio del suo bambino e un tentato suicidio.
Le due donne, diversissime, troppo facilmente si intendono, vanno via dalla struttura, rubano una macchina, mangiano ad un ristorante lussuoso e fuggono senza pagare, poi si ritrovano fra figuranti di un film e scappano via su una macchina d'epoca alla maniera di Thelma e Louise.
Il film avrà avuto di sicuro buone intenzioni, avrà voluto mostrare la follia nel genere commedia, con operatori che vanno a trovare le fuggitive e le riaccolgono nel finale come le pecorelle smarrite tornate all'ovile, eppure non riesce a convincermi.
Un film non è sulla malattia mentale, oppure sul disagio, bensì è un film sulla bravura delle attrici, sulla amicizia, che a quanto pare solo i pazzi possono ancora praticare come vera.
Loro si fidano in due e questo mi sembra bello e folle.
Infatti altro momento che salvo nel film è quando Beatrice cerca notizie su Donatella per cercare di esserle utile, per dare quel senso alle cose e alla vita che amicizia può dare.
Per il resto il film poggia su una sceneggiatura manichea, le due donne, guardate con indulgenza, e gli uomini mostrati come inservibili, l'episodio di Donatella, che fa il bagno in mare con il figlio, è quanto di più improbabile possiamo immaginare. Un bimbo che al mare fa il bagno con una sconosciuta... mah
Ed il finale con la canzone di Gino Paoli, espediente per legare il tutto ad un cantautore amato, mi infastidisce ulteriormente.
Amo Virzì, ho amato Ovosodo e Il capitale Umano, qui mi sembra tutto una forzatura, altro che pazza gioia!
Il pazzo conformismo dei tempi odierni
mercoledì 18 maggio 2016
Valentina Di Cesare e Antonio Calabrò
Marta La Sarta e Chiudi E Vai i due libri di racconti mi giungono per posta quasi nella stessa settimana, sembrano fratelli, amici d'infanzia che si scambiano i personaggi incontrati e fatti vivere sul foglio del loro immaginario.
" Raccontare è una cosa seria, talmente seria e complessa che sempre più spesso le moltitudini depredate dalla propria umanità, la descrivono invece come un affare da niente, adatto solo agli sfaccendati senza rigore e agli inoperosi senza giudizio. Nel caso specifico Marta aveva solamente paura"
Marta è una merciaia e raccoglie i segreti. Vero, Valentina?
Antonio Calabrò è "un capotreno esistenziale che vaga di stazione in stazione come ha vagato nella vita, sempre cercando di afferrare le redini della comprensione, sempre vedendosele sfuggire proprio quando sembravano salde e sicure. Il suo lavoro è un'allegoria della vita, un lungo viaggio che vale la pena compiere anche se si è in galleria o se il sole brucia nella stazione di Rosarno, crocevia dei popoli dell'era moderna"
Valentina Di Cesare è al suo esordio, Antonio invece scrive da tempo. Articoli su articoli, scrive come vive, su un treno, inventa la rassegna Calabria D'Autore e trasmette da Radio Antenna Fabea.
Vi vedo entrambi qui, seduti a chiacchierare al mio tavolo, con tutte le storie che vogliono nascere, con i vostri incontri e le storie che raccogliete, con la nonna Bice che profuma di borotalco fra i seni, con il signor Vincenzo Scali che compie 105 anni sulla costa Jonica.
"Racconta chi sei" era il primo tema dell'anno.
Sorrido dietro al banco della merceria Pizzetti, con Marta, da ventitré anni puntuale commessa della merceria, sorrido sul treno di Antonio che mi chiede il biglietto per Reggio Calabria. Siamo insieme sul treno con Valentina Di Cesare e ci raccontiamo storie di ricordi "perché i ricordi tengono unite le cose come fanno i bottoni con le parti opposte di una camicia"
E con Antonio siamo tutti passeggeri.
"Un agente treno" ma chiamatemi Capo. Il Capo le fermate le conosce a memoria. Uno dietro l'altra. Si arriva al termine della corsa e si rimbalza. Una pausa di venticinque minuti e si torna indietro. La potenza della letteratura non smetterà mai di sorprenderci."
Ogni persona ha per Antonio un suo luogo letterario da abitare, esce da un libro per viaggiare con lui, così incontra l'Ultimo dei Mohicani, le carrozze sanno di Far West e il macchinista si chiama Placa, scrittore a tempo perso come tutti.
Nel nostro scrivere come relazione prendiamo per mano tutti i personaggi e con la voce squillante di Valentina che, al telefono, scappa per mettersi a scrivere, per far uscire dai suoi tasti, dalla penna, tanti e tanti altri personaggi, e con il fischio di Antonio, basta un fischio per far scattare la vitalità in ognuno di noi.
Chiudi e vai, si parte, si va a trovare Marta La Sarta, Antonio? Ne sono sicura. Andremo insieme dal balcone sullo Stretto.
28 ottobre 2017
Eppure ero convinta che avremo ospitato Marta la Sarta! Avremo Marta la Sarta! La attendiamo qui, a Lamezia Terme, magari a scuola!
E domani 29 Ottobre al Cine Teatro Metropolitano di Reggio Calabria andrà in scena il reading con il commento fotografico di Antonio Calabrò. Il libro ora editato e ristampato dalla Casa Editrice Città Del Sole. Telepatia magica stamani.
Ippolita Luzzo
" Raccontare è una cosa seria, talmente seria e complessa che sempre più spesso le moltitudini depredate dalla propria umanità, la descrivono invece come un affare da niente, adatto solo agli sfaccendati senza rigore e agli inoperosi senza giudizio. Nel caso specifico Marta aveva solamente paura"
Marta è una merciaia e raccoglie i segreti. Vero, Valentina?
Antonio Calabrò è "un capotreno esistenziale che vaga di stazione in stazione come ha vagato nella vita, sempre cercando di afferrare le redini della comprensione, sempre vedendosele sfuggire proprio quando sembravano salde e sicure. Il suo lavoro è un'allegoria della vita, un lungo viaggio che vale la pena compiere anche se si è in galleria o se il sole brucia nella stazione di Rosarno, crocevia dei popoli dell'era moderna"
Valentina Di Cesare è al suo esordio, Antonio invece scrive da tempo. Articoli su articoli, scrive come vive, su un treno, inventa la rassegna Calabria D'Autore e trasmette da Radio Antenna Fabea.
Vi vedo entrambi qui, seduti a chiacchierare al mio tavolo, con tutte le storie che vogliono nascere, con i vostri incontri e le storie che raccogliete, con la nonna Bice che profuma di borotalco fra i seni, con il signor Vincenzo Scali che compie 105 anni sulla costa Jonica.
"Racconta chi sei" era il primo tema dell'anno.
Sorrido dietro al banco della merceria Pizzetti, con Marta, da ventitré anni puntuale commessa della merceria, sorrido sul treno di Antonio che mi chiede il biglietto per Reggio Calabria. Siamo insieme sul treno con Valentina Di Cesare e ci raccontiamo storie di ricordi "perché i ricordi tengono unite le cose come fanno i bottoni con le parti opposte di una camicia"
E con Antonio siamo tutti passeggeri.
"Un agente treno" ma chiamatemi Capo. Il Capo le fermate le conosce a memoria. Uno dietro l'altra. Si arriva al termine della corsa e si rimbalza. Una pausa di venticinque minuti e si torna indietro. La potenza della letteratura non smetterà mai di sorprenderci."
Ogni persona ha per Antonio un suo luogo letterario da abitare, esce da un libro per viaggiare con lui, così incontra l'Ultimo dei Mohicani, le carrozze sanno di Far West e il macchinista si chiama Placa, scrittore a tempo perso come tutti.
Nel nostro scrivere come relazione prendiamo per mano tutti i personaggi e con la voce squillante di Valentina che, al telefono, scappa per mettersi a scrivere, per far uscire dai suoi tasti, dalla penna, tanti e tanti altri personaggi, e con il fischio di Antonio, basta un fischio per far scattare la vitalità in ognuno di noi.
Chiudi e vai, si parte, si va a trovare Marta La Sarta, Antonio? Ne sono sicura. Andremo insieme dal balcone sullo Stretto.
28 ottobre 2017
Eppure ero convinta che avremo ospitato Marta la Sarta! Avremo Marta la Sarta! La attendiamo qui, a Lamezia Terme, magari a scuola!
E domani 29 Ottobre al Cine Teatro Metropolitano di Reggio Calabria andrà in scena il reading con il commento fotografico di Antonio Calabrò. Il libro ora editato e ristampato dalla Casa Editrice Città Del Sole. Telepatia magica stamani.
Ippolita Luzzo
martedì 17 maggio 2016
Luigi Finucci Poesie
Le belle poesie di Luigi Finucci
alcuni versi per restar ancora ad ascoltarlo dalle pagine del suo Le prime volte non c'era stanchezza.
La memoria, il salto, il sasso, il dubbio, termini amati.
Leggo questa sera le delicate liriche di Luigi, un sussurro, mi dicono nella prefazione, io ne sento il canto, sarà per il titolo, immagino questa chitarra e un fiume, un raccontare che mi sembra amico, da sempre.
La fiducia, la consuetudine ed I sensi si sono riposati, ed io, ferita amica, chiedo gioia a questi sogni di carta. Se non ci fosse il balsamo non supererei quel tradimento di chi credevi cara, quell'abbandono da amica che prima era vicina. Sogni di carta e le gioie ricorderanno un dolore che da solo non sopporterei"
Imparo a memoria qualche verso come se Luigi Finucci fosse qui a leggerle al tavolo dei tasti neri che mi fanno compagnia.
Me li metto in tasca, questo versi, come Wilcock.
"Ci si stanca spesso
o forse ci si dimentica
del dolore e delle carezze,
si perde lentamente
il diritto
di essere deboli."
"Memorie
Come si può morire due volte?
il perseverare distrugge il cuore,
lo rende di vetro"
"Si può ascoltare ciò
che il tempo ha perso sulla strada?"
"Il mentre che s’accartoccia
in una nostalgia non avuta"
Leggo a mia sorella questi versi, sembrano fatti apposta per la conversazione appena avuta con lei, e lei, sorpresa di ritrovarsi in quella poesia che ora diventa sua, mi chiede la poesia, la imparerà a memoria, in un lascito di sorellanza che cammina.
Nei versi semplici, trait d'union, i sentimenti complessi, che vorremmo fossero e non sono, trovano la parola per esserci con quel che siamo. Siamo finché parliamo, siamo finché regge il bello dell'unione con un verso. E se non è possibile con te, dicono in tanti, in troppi, allora io posso scrivere due parole dall'odore di solitudine.
"Poi nella stanchezza
ho scritto due parole
dall'odore di solitudine"
e non sarò più solo finché avrò un libro di poesie in mano.
alcuni versi per restar ancora ad ascoltarlo dalle pagine del suo Le prime volte non c'era stanchezza.
La memoria, il salto, il sasso, il dubbio, termini amati.
Leggo questa sera le delicate liriche di Luigi, un sussurro, mi dicono nella prefazione, io ne sento il canto, sarà per il titolo, immagino questa chitarra e un fiume, un raccontare che mi sembra amico, da sempre.
La fiducia, la consuetudine ed I sensi si sono riposati, ed io, ferita amica, chiedo gioia a questi sogni di carta. Se non ci fosse il balsamo non supererei quel tradimento di chi credevi cara, quell'abbandono da amica che prima era vicina. Sogni di carta e le gioie ricorderanno un dolore che da solo non sopporterei"
Imparo a memoria qualche verso come se Luigi Finucci fosse qui a leggerle al tavolo dei tasti neri che mi fanno compagnia.
Me li metto in tasca, questo versi, come Wilcock.
"Ci si stanca spesso
o forse ci si dimentica
del dolore e delle carezze,
si perde lentamente
il diritto
di essere deboli."
"Memorie
Come si può morire due volte?
il perseverare distrugge il cuore,
lo rende di vetro"
"Si può ascoltare ciò
che il tempo ha perso sulla strada?"
"Il mentre che s’accartoccia
in una nostalgia non avuta"
Leggo a mia sorella questi versi, sembrano fatti apposta per la conversazione appena avuta con lei, e lei, sorpresa di ritrovarsi in quella poesia che ora diventa sua, mi chiede la poesia, la imparerà a memoria, in un lascito di sorellanza che cammina.
Nei versi semplici, trait d'union, i sentimenti complessi, che vorremmo fossero e non sono, trovano la parola per esserci con quel che siamo. Siamo finché parliamo, siamo finché regge il bello dell'unione con un verso. E se non è possibile con te, dicono in tanti, in troppi, allora io posso scrivere due parole dall'odore di solitudine.
"Poi nella stanchezza
ho scritto due parole
dall'odore di solitudine"
e non sarò più solo finché avrò un libro di poesie in mano.
Scuola è fare libro
Nel locale a piano terra del Palazzo Nicotera e nel giardino adiacente stamattina sono ospiti gli alunni della scuola primaria di S.Eufemia e di Gizzeria. La seconda porta Danze e canti arbereshe. Si esibiranno gli allievi in costumi e lingua originale.
La scuola primaria di S. Eufemia porta dei lavori, frutto di un laboratorio artistico, progetto di tutte le insegnanti e curato, grazie alla collaborazione, da Francesco Antonio Caporale, artista e scultore con prossima mostra al Marca
."L'albero delle mani, l'albero delle parole" e' uno spazio creativo e mentale.
."L'albero delle mani, l'albero delle parole" e' uno spazio creativo e mentale.
Il libro e le parole, le immagini incise sulle tavolette di terracotta dagli allievi, numeri e sillabe appese all'albero rosso nell'installazione presente in sala.
Gli alunni hanno composto storie semplici, storie di animali, come le prime storie che si narrarono gli uomini nell'infanzia dell'umanità. Esopo, Fedro, gli apologhi del ghiro, dell'uccellino, storie incise su un lessico universale che ci riguarda tutti.
Il cibo, il sole, la natura che ci fa compagnia donandoci le stagioni della vita. Ascolto le loro storie, le vedo, dalle storie in terracotta alle storie sul foglio coloratissimo del pensiero evolutivo, dai sei agli undici anni, il colore che astrae, dalla forma concreta all'astrazione." Primula Gialla. Storia di un fiore addormentato" Gli alunni leggono le storie, forse io avrei preferito maggiore silenzio e concentrazione, avrei chiuso ogni rumore esterno, per seguire come un rito religioso la lettura delle storie, ma io sono esagerata, tutti hanno ascoltato, le maestre, i genitori, gli alunni, tutti hanno partecipato sentendo proprio quel momento.
Andrea, alunno di scuola media, stringe il suo libro di fogli, gli altri bimbi della prima elementare guardano le loro tavolette, le prendono in mano e ne hanno cura.
La loro insegnante mi confessa quanto sia loro legata, quanto le mancheranno, anche i momenti più difficili. Sempre così ascolto da insegnanti che amano il mondo della scuola come lo amo io, un mondo di relazione affettuosa e di voglia di far conoscere quel che si ama, facendo il viaggio continuo verso l'infanzia che si lasciò. Credo che nessun altro lavoro dia lo stesso biglietto per un viaggio nel tempo. Lasciando gli alunni nella lettura di " Con il mondo nel cuore" ambientato al palazzo dei Conti de Franchis, vado via da Palazzo Nicotera verso un altro regno possibile:La scuola che fa libro.
Gli alunni hanno composto storie semplici, storie di animali, come le prime storie che si narrarono gli uomini nell'infanzia dell'umanità. Esopo, Fedro, gli apologhi del ghiro, dell'uccellino, storie incise su un lessico universale che ci riguarda tutti.
Il cibo, il sole, la natura che ci fa compagnia donandoci le stagioni della vita. Ascolto le loro storie, le vedo, dalle storie in terracotta alle storie sul foglio coloratissimo del pensiero evolutivo, dai sei agli undici anni, il colore che astrae, dalla forma concreta all'astrazione." Primula Gialla. Storia di un fiore addormentato" Gli alunni leggono le storie, forse io avrei preferito maggiore silenzio e concentrazione, avrei chiuso ogni rumore esterno, per seguire come un rito religioso la lettura delle storie, ma io sono esagerata, tutti hanno ascoltato, le maestre, i genitori, gli alunni, tutti hanno partecipato sentendo proprio quel momento.
Andrea, alunno di scuola media, stringe il suo libro di fogli, gli altri bimbi della prima elementare guardano le loro tavolette, le prendono in mano e ne hanno cura.
La loro insegnante mi confessa quanto sia loro legata, quanto le mancheranno, anche i momenti più difficili. Sempre così ascolto da insegnanti che amano il mondo della scuola come lo amo io, un mondo di relazione affettuosa e di voglia di far conoscere quel che si ama, facendo il viaggio continuo verso l'infanzia che si lasciò. Credo che nessun altro lavoro dia lo stesso biglietto per un viaggio nel tempo. Lasciando gli alunni nella lettura di " Con il mondo nel cuore" ambientato al palazzo dei Conti de Franchis, vado via da Palazzo Nicotera verso un altro regno possibile:La scuola che fa libro.
domenica 15 maggio 2016
Liceo Classico in Sogno di una notte di mezza estate
Il laboratorio teatrale del Liceo Classico Fiorentino di Lamezia Terme, accompagnato dalla professoressa Olga Sirianni e guidato da Greta Belometti e PierPaolo Bonaccurso, rappresentante della cooperativa Teatrop, mette in scena il 16 maggio, alla Rassegna Nazionale Scuola e Teatro a Campagna (Sa), dopo aver fatto anteprima al Teatro Costabile della propria città, la commedia di William Shakespeare "Sogno di una notte di mezza estate".
In un bosco costruito con aste di legno, come le asticelle elementari basiche con cui si iniziava la scrittura, leggiamo un testo recitato su un canovaccio sempre antico e moderno. Dalle metamorfosi di Ovidio a Romeo e Giulietta seguiamo gli intrecci di un testo giocoso, nel quale una improbabile aiutante di scena con in mano una cartelletta verde dona le parti al contrario.
Piramo, verrà interpretato da una donna e Tisbe, da un uomo con i baffi. Il muro sarà una ragazza vestita di un bianco lenzuolo e lei stessa parteciperà alla vicenda.
"Piramo e Tisbe, due fanciulli babilonesi, abitano in due case contigue; grazie alla vicinanza nasce l’amore. Il muro comune alle due case è solcato da una sottile fessura. La crepa viene così usata dagli innamorati per sussurrarsi dolci parole. Dopo essersi a lungo lamentati, tentano di uscire di casa nel silenzio della notte e di incontrarsi al sepolcro del re Nino e nascondersi al buio sotto l’albero" Questo l'antefatto che si snoda poi nelle immagini similari, e nelle parti salienti, alla tragedia Romeo e Giulietta, anch'essa più volte recitata sul palco, con i tempi tecnici di una commedia, suscitando quindi il riso e l'applauso tra gli spettatori.
Nel bosco che vede l'uccisione di Tisbe, convinta che sia morto Piramo, gli equivoci si susseguono fra le coppie di innamorati che scambiano il sogno per realtà e confondono amori, alla mercé di un fiore rosso che viene spruzzato sulle loro palpebre addormentate da un dispettoso folletto. La magia.
Gli alunni del Liceo Classico si muovono sulla scena e fra gli spettatori con grazia e abilità di attori già smaliziati, dimostrando di aver interiorizzato la disciplina dei gesti, della mimica, della postura richiesta dal contesto. Fra inseguimenti e colpi di scena, un testo del seicento prende forma nel 2016 con la freschezza immutabile dei classici, che non hanno tempo, perché sono di ogni tempo.
Da Ovidio al mito ellenistico, dal teatro che Shakespeare donava al suo pubblico al nostro tempo, in cui è la scuola a dar vita al teatro.
In un bosco costruito con aste di legno, come le asticelle elementari basiche con cui si iniziava la scrittura, leggiamo un testo recitato su un canovaccio sempre antico e moderno. Dalle metamorfosi di Ovidio a Romeo e Giulietta seguiamo gli intrecci di un testo giocoso, nel quale una improbabile aiutante di scena con in mano una cartelletta verde dona le parti al contrario.
Piramo, verrà interpretato da una donna e Tisbe, da un uomo con i baffi. Il muro sarà una ragazza vestita di un bianco lenzuolo e lei stessa parteciperà alla vicenda.
"Piramo e Tisbe, due fanciulli babilonesi, abitano in due case contigue; grazie alla vicinanza nasce l’amore. Il muro comune alle due case è solcato da una sottile fessura. La crepa viene così usata dagli innamorati per sussurrarsi dolci parole. Dopo essersi a lungo lamentati, tentano di uscire di casa nel silenzio della notte e di incontrarsi al sepolcro del re Nino e nascondersi al buio sotto l’albero" Questo l'antefatto che si snoda poi nelle immagini similari, e nelle parti salienti, alla tragedia Romeo e Giulietta, anch'essa più volte recitata sul palco, con i tempi tecnici di una commedia, suscitando quindi il riso e l'applauso tra gli spettatori.
Nel bosco che vede l'uccisione di Tisbe, convinta che sia morto Piramo, gli equivoci si susseguono fra le coppie di innamorati che scambiano il sogno per realtà e confondono amori, alla mercé di un fiore rosso che viene spruzzato sulle loro palpebre addormentate da un dispettoso folletto. La magia.
Gli alunni del Liceo Classico si muovono sulla scena e fra gli spettatori con grazia e abilità di attori già smaliziati, dimostrando di aver interiorizzato la disciplina dei gesti, della mimica, della postura richiesta dal contesto. Fra inseguimenti e colpi di scena, un testo del seicento prende forma nel 2016 con la freschezza immutabile dei classici, che non hanno tempo, perché sono di ogni tempo.
Da Ovidio al mito ellenistico, dal teatro che Shakespeare donava al suo pubblico al nostro tempo, in cui è la scuola a dar vita al teatro.
Agostino Tulumello da Be Cause
Si chiama Poesia Visiva e nasce, come movimento negli anni sessanta " "cultura del neo-ideogramma" la nuova civiltà dell'immagine, della tecnologia e dei mass-media, in cui l'Arte e la Letteratura divenivano un semplice messaggio, uno strumento dell'informazione e della comunicazione, a vantaggio del contenuto e del significato. È nella cultura del neo-ideogramma che la poesia diviene un segno, più precisamente un segno culturale e semiologico." Segno verbale e segno visivo assumono un rapporto reciproco di equilibrio senza subordinarsi a vicenda, avendo lo stesso peso nell'insieme dell'opera d'arte.
Dopo lo studio sulla corrente a cui possiamo ascrivere Agostino Tulumello, artista del segno, visivo e verbale, seguiamo le sue opere appese in scala cromatica lungo le bianche pareti della galleria Be Cause.
Assaggiando gli aranci che, nel trionfo di mandarini della Sicilia, arrivano al giallo solare dei limone di Amalfi, ci vestiamo delle trame e dei colori di Missoni, del tweed, quel tipo di tessuto in lana originario della Scozia, un tessuto con rigatura diagonale o disegni ricavati da varie combinazioni come la lisca di pesce e giungiamo nelle gradazioni del verde, dal verde bosco al verde prato, al leggerissimo verde delle foglie appena nate.
Nei colori di Agostino non mancano i rossi e il bianco, il grigio ed il celeste, il viola, l'azzurro che, dall'intenso, si accompagna al cielo del celeste che albeggia.
Trame e colori, presentati da Gianfranco Labrosciano, in apertura della mostra, come poesia visiva, un lungo lavoro di struttura e sovrastruttura alla De Sassure," Nella lingua, al contrario, non v’è altro che l’immagine acustica, e questa può tradursi in una immagine visiva costante..."
Agostino rende concreta la parola, la scrive e la riscrive fino a fonderla con il colore, viaggia sulla tela con i pennelli, scrivendo in orizzontale, in verticale, in trasversale, facendo sovrapposizioni di strati, uno sull'altro, così come i giorni si sovrappongono uno sull'altro sui mesi, sugli anni, sull'eterno.
Guardiamo noi quel lavoro impresso sulla tela, quel movimento di tempo, di mani, di spazio, che va a colorare, a riempire una tela che non finisce, potrebbe continuare, l'artista, a sovrapporre ancora un'altra scrittura ed avremmo un libro aperto verso l'infinito creativo della meraviglia.
D'altronde l'artista si chiama Agostino, e come Agostino D'Ippona, nelle Confessioni, ci domanda e si domanda "Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede non lo so più."
Il tempo come distendere su tela, come sovrapposizione, come azione della nostra gioia per essere partecipi ad un flusso eterno.
Negli occhi dell'artista quella passione, quel colore nel gesto, quella soddisfazione di poter giocare con un meccanismo che potrebbe ingabbiare. Il tempo per lui è un gioco che si può colorare.
Dopo lo studio sulla corrente a cui possiamo ascrivere Agostino Tulumello, artista del segno, visivo e verbale, seguiamo le sue opere appese in scala cromatica lungo le bianche pareti della galleria Be Cause.
Assaggiando gli aranci che, nel trionfo di mandarini della Sicilia, arrivano al giallo solare dei limone di Amalfi, ci vestiamo delle trame e dei colori di Missoni, del tweed, quel tipo di tessuto in lana originario della Scozia, un tessuto con rigatura diagonale o disegni ricavati da varie combinazioni come la lisca di pesce e giungiamo nelle gradazioni del verde, dal verde bosco al verde prato, al leggerissimo verde delle foglie appena nate.
Nei colori di Agostino non mancano i rossi e il bianco, il grigio ed il celeste, il viola, l'azzurro che, dall'intenso, si accompagna al cielo del celeste che albeggia.
Trame e colori, presentati da Gianfranco Labrosciano, in apertura della mostra, come poesia visiva, un lungo lavoro di struttura e sovrastruttura alla De Sassure," Nella lingua, al contrario, non v’è altro che l’immagine acustica, e questa può tradursi in una immagine visiva costante..."
Agostino rende concreta la parola, la scrive e la riscrive fino a fonderla con il colore, viaggia sulla tela con i pennelli, scrivendo in orizzontale, in verticale, in trasversale, facendo sovrapposizioni di strati, uno sull'altro, così come i giorni si sovrappongono uno sull'altro sui mesi, sugli anni, sull'eterno.
Guardiamo noi quel lavoro impresso sulla tela, quel movimento di tempo, di mani, di spazio, che va a colorare, a riempire una tela che non finisce, potrebbe continuare, l'artista, a sovrapporre ancora un'altra scrittura ed avremmo un libro aperto verso l'infinito creativo della meraviglia.
D'altronde l'artista si chiama Agostino, e come Agostino D'Ippona, nelle Confessioni, ci domanda e si domanda "Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede non lo so più."
Il tempo come distendere su tela, come sovrapposizione, come azione della nostra gioia per essere partecipi ad un flusso eterno.
Negli occhi dell'artista quella passione, quel colore nel gesto, quella soddisfazione di poter giocare con un meccanismo che potrebbe ingabbiare. Il tempo per lui è un gioco che si può colorare.
venerdì 13 maggio 2016
Teatro: La bevuta libertà
Didattica alternativa, chiama questo progetto di teatro la dirigente del Liceo Scientifico Caterina Calabrese.
Teresa Bevilacqua, dirigente del Liceo Classico, conferma sul valore pedagogico che da oltre quattro anni le fa scegliere la guida d di PierPaolo Bonaccurso, maestro di teatro e attore premiato a livello nazionale nonché rappresentante della Cooperativa sociale TeatroP, come regista e direttore del laboratorio di alunni del liceo Classico, già premiati in prove nazionali ed in partenza domenica per altri riconoscimenti.
Il 13 maggio fanno anteprima al Teatro Politeama con Sogno di una notte di mezza estate. Laboratorio svolto con la collaborazione di Valentina Arichetti.
Intanto stamattina
per la rassegna Teatro Ragazzi, Concorso nelle scuole 2015-2016, gli alunni del Liceo Scientifico di Lamezia Terme ci hanno stupito e deliziato con "The White Side Of The Moon" Il lato bianco della luna, Ipertesto, miscellanea, composto alla maniera di una Enciclopedia Einaudi Anni Settanta, con in mano un PC, le conoscenze e leggendo i link correlati e cuciti dal rigore del significato.
Una lettura che volge in bianco, nel senso di luminoso, di possibile riscatto, ogni momento difficile, ogni tragedia. Dal testo, fermo a sangue, vendetta, invidia, gelosia e follia, via verso una decisione di libertà.
Gli alunni del Liceo Scientifico hanno iniziato da questo anno, spinti dal suggerimento della loro insegnante di Materie letterarie Mara Perri, accolto dalla Dirigente, stamattina in platea a batter loro le mani.
Avevo già visto questo testo, in itinere, qualche tempo fa, nei locali del liceo stesso, ma il testo che ho avuto il piacere di applaudire stamattina è cresciuto, gli alunni preparati e padroni della scena, otto ragazze e un ragazzo, una compagnia vera e propria, con costumi e musiche, scenografie e tempi da professionisti.
Un testo ottimo, una rielaborazione sensata, uso il termine
"sensata" perché è ormai raro vedere testi così ben legati e mescolati, nuovi e antichi, con rispetto della tradizione del grande teatro di Carmelo Bene e insieme Osho e Capossela.
Mi piacerà rileggere il testo, mi piacerà seguire ancora questi ragazzi che con Caterina in scena si liberano di Petruzzo, liberano il rum dall'uso terribile e solitario dello sballo, dando al teatro, nella finzione, al rum il ruolo di risate dissacranti su un dolore immenso sull'abbandono dell' amore. Una bevanda che si chiama libertà, liberazione dalle strette maglie del dispiacere, dal sentirsi inadeguati. Nel ballo finale, dove tutti ridono e giocano, poi arriva lei, la saggezza, di celeste vestita, che riprende Shakespeare ed i sogni che si realizzeranno con studio e... respirando.
Ogni storia trova la sua soluzione, cambiando, e sono queste le parole del papà di uno degli attori stamattina, nel ringraziare la scuola, dirigente e insegnanti, nel ringraziare Pierpaolo. " Mio figlio è cambiato, da quando ha iniziato questo corso. Più sicuro, deciso, sciolto.
Una libertà bevuta che si chiama teatro. Un viaggio nel pensiero con una carrozza fatta di reti con le ragnatele più sottili.
Applausi e ancora applausi al teatro per davvero.
E dopo gli applausi il dolce e un fiore fra i capelli
Teresa Bevilacqua, dirigente del Liceo Classico, conferma sul valore pedagogico che da oltre quattro anni le fa scegliere la guida d di PierPaolo Bonaccurso, maestro di teatro e attore premiato a livello nazionale nonché rappresentante della Cooperativa sociale TeatroP, come regista e direttore del laboratorio di alunni del liceo Classico, già premiati in prove nazionali ed in partenza domenica per altri riconoscimenti.
Il 13 maggio fanno anteprima al Teatro Politeama con Sogno di una notte di mezza estate. Laboratorio svolto con la collaborazione di Valentina Arichetti.
Intanto stamattina
per la rassegna Teatro Ragazzi, Concorso nelle scuole 2015-2016, gli alunni del Liceo Scientifico di Lamezia Terme ci hanno stupito e deliziato con "The White Side Of The Moon" Il lato bianco della luna, Ipertesto, miscellanea, composto alla maniera di una Enciclopedia Einaudi Anni Settanta, con in mano un PC, le conoscenze e leggendo i link correlati e cuciti dal rigore del significato.
Una lettura che volge in bianco, nel senso di luminoso, di possibile riscatto, ogni momento difficile, ogni tragedia. Dal testo, fermo a sangue, vendetta, invidia, gelosia e follia, via verso una decisione di libertà.
Gli alunni del Liceo Scientifico hanno iniziato da questo anno, spinti dal suggerimento della loro insegnante di Materie letterarie Mara Perri, accolto dalla Dirigente, stamattina in platea a batter loro le mani.
Avevo già visto questo testo, in itinere, qualche tempo fa, nei locali del liceo stesso, ma il testo che ho avuto il piacere di applaudire stamattina è cresciuto, gli alunni preparati e padroni della scena, otto ragazze e un ragazzo, una compagnia vera e propria, con costumi e musiche, scenografie e tempi da professionisti.
Un testo ottimo, una rielaborazione sensata, uso il termine
"sensata" perché è ormai raro vedere testi così ben legati e mescolati, nuovi e antichi, con rispetto della tradizione del grande teatro di Carmelo Bene e insieme Osho e Capossela.
Mi piacerà rileggere il testo, mi piacerà seguire ancora questi ragazzi che con Caterina in scena si liberano di Petruzzo, liberano il rum dall'uso terribile e solitario dello sballo, dando al teatro, nella finzione, al rum il ruolo di risate dissacranti su un dolore immenso sull'abbandono dell' amore. Una bevanda che si chiama libertà, liberazione dalle strette maglie del dispiacere, dal sentirsi inadeguati. Nel ballo finale, dove tutti ridono e giocano, poi arriva lei, la saggezza, di celeste vestita, che riprende Shakespeare ed i sogni che si realizzeranno con studio e... respirando.
Ogni storia trova la sua soluzione, cambiando, e sono queste le parole del papà di uno degli attori stamattina, nel ringraziare la scuola, dirigente e insegnanti, nel ringraziare Pierpaolo. " Mio figlio è cambiato, da quando ha iniziato questo corso. Più sicuro, deciso, sciolto.
Una libertà bevuta che si chiama teatro. Un viaggio nel pensiero con una carrozza fatta di reti con le ragnatele più sottili.
Applausi e ancora applausi al teatro per davvero.
E dopo gli applausi il dolce e un fiore fra i capelli
lunedì 9 maggio 2016
Fausta Genziana Le Piane: Dipingere collages
Dipingere è amare di nuovo
Scrivere per collage.
Quel che ci accomuna con Fausta è questo nostro raccogliere e conservare in borsa, riponendo e dimenticando, ritrovando e rifacendo altro pensiero da quello fatto nel momento iniziale.
Un pensiero originale, nuovo, una sorpresa, su quell'oggetto, quel pezzo di carta, quel filo conservato per chissà quale scopo.
Credo di sentirmi, pur nella giocosità adulta, una compagna di Fausta, anche e solo nel gesto del raccogliere, io raccolgo pensieri, gesti, attimi, per poi buttare o fissare su brevissimi formati word.
Un foglio.
Lei mette su cartoncino i suoi pezzi di ogni materiale, crea collages, alcuni ora in mostra, giovedì 9 giugno, ore 17,00, in via Clitunno, 5, Quartiere Coppedé. Ci saranno 5 collages incentrati sui volti femminili e poi in autunno di nuovo con il progetto Dall'Emozione all'Immagine con Jole Chessa Olivares e Daniela Fabrizi.
... riprendo oggi 19 maggio a scrivere di Fausta, dopo aver tenuto i suoi collages con me, sul tavolo da cucina, sul comodino, accanto al PC come amici a far bello il mio tempo.
C'è un grande prato verde che si chiamano ragazzi, cantava Gianni Morandi, in una delle sue canzoni, ed io ripeto con lui stamattina che c'è un grande prato verde, il prato dell'amore per le cose belle.
Una grazia compositiva che ingentilisce le piccole cose, osservate e raccolte, riproposte con gesti delicati, oggetti da amare di nuovo.
Prato di fiori
Ritaglio di stoffa e fili di lana. Dal prato verde gli steli esili hanno colori verde pallido, verde intenso, quasi a darci l'età del fiore, il fiore più alto ha il verde più scuro nel suo stelo. Girandole di fiori, come giocattoli realizzati su una ruota per incanalare l'aria e roteare su un perno attaccato ad un bastoncino. Sarà sufficiente soffiarci per farla girare o orientarla ad un debole vento. Così i fiori di Fausta girano al vento, colorati di rosa, di grigio, di blu, a righe, a cerchi, con quadrotti, losanghe, petali inconsueti finora.
Pioggia
Ritagli di giornale, carta lucida, fiori di carta vellutata.
Piove sul prato che ora sembra un campo di grano, ci sono le spighe qua e là, e la pioggia sono chicchi che cadono, il pane che sarà.
Donne
Stencil, colori acrilici, carte veline disegnate, porporine colorate.
come fiori anche le donne ci appaiono nel fregio di un mosaico, tra l'architrave e la cornice. Donne vestite di colori, arabescate, in foglie, e a puzzle con tanti quadretti, oppure in tinta unica, in verde, in rosaaranciocolorcarne, donne che fanno esercizi in una palestra ideale ed io sono lo specchio e di lato c'è un istruttore, un efebo di Mozia, simbolo dei giochi olimpici della città di Atene.
"Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. Il movimento del suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla,come se reggesse un’elsa, increspa le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, sposta leggermente il suo baricentro. Sinuoso, fermo, ci aspetta, si offre al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue." così scrissi io un tempo lontano e con l'efebo nella palestra ideale di Fausta Genziane Le Piane noi stiamo. " Gli oggetti hanno un potere magico" Scomporre la realtà e ricomporla a piacimento, con le parole di Fausta, sorprende. L'oggetto che vive " Freme e respira" a dirla con Kandinskij, e stamattina l'efebo di Mozia si presentò nel fotomontaggio di un collage, nel frottage surrealista di Max Ernst. Il profumo del caffè raggiunge il foglio, le tante copertine che Fausta ha creato per i suoi "Ostaggio alla vallata" " La Chiave di Se Stessi" "Duo Per Tre" e Volo sul mare per il libro di poesie di Iole Chessa Olivares "In Pura Perdita" ed altre ancora. Per Kenavò, rivista da lei creata.
Da Casa Duir " il castello di cui è regina, un angolo di terra celtica trapiantato in Sabina, in una bellissima campagna nei pressi di Casperia." riprendo da Patti, Fausta regala a noi tutti poesie e collages, parole e colori per amare di nuovo dipingere.
Scrivere per collage.
Quel che ci accomuna con Fausta è questo nostro raccogliere e conservare in borsa, riponendo e dimenticando, ritrovando e rifacendo altro pensiero da quello fatto nel momento iniziale.
Un pensiero originale, nuovo, una sorpresa, su quell'oggetto, quel pezzo di carta, quel filo conservato per chissà quale scopo.
Credo di sentirmi, pur nella giocosità adulta, una compagna di Fausta, anche e solo nel gesto del raccogliere, io raccolgo pensieri, gesti, attimi, per poi buttare o fissare su brevissimi formati word.
Un foglio.
Lei mette su cartoncino i suoi pezzi di ogni materiale, crea collages, alcuni ora in mostra, giovedì 9 giugno, ore 17,00, in via Clitunno, 5, Quartiere Coppedé. Ci saranno 5 collages incentrati sui volti femminili e poi in autunno di nuovo con il progetto Dall'Emozione all'Immagine con Jole Chessa Olivares e Daniela Fabrizi.
... riprendo oggi 19 maggio a scrivere di Fausta, dopo aver tenuto i suoi collages con me, sul tavolo da cucina, sul comodino, accanto al PC come amici a far bello il mio tempo.
C'è un grande prato verde che si chiamano ragazzi, cantava Gianni Morandi, in una delle sue canzoni, ed io ripeto con lui stamattina che c'è un grande prato verde, il prato dell'amore per le cose belle.
Una grazia compositiva che ingentilisce le piccole cose, osservate e raccolte, riproposte con gesti delicati, oggetti da amare di nuovo.
Prato di fiori
Ritaglio di stoffa e fili di lana. Dal prato verde gli steli esili hanno colori verde pallido, verde intenso, quasi a darci l'età del fiore, il fiore più alto ha il verde più scuro nel suo stelo. Girandole di fiori, come giocattoli realizzati su una ruota per incanalare l'aria e roteare su un perno attaccato ad un bastoncino. Sarà sufficiente soffiarci per farla girare o orientarla ad un debole vento. Così i fiori di Fausta girano al vento, colorati di rosa, di grigio, di blu, a righe, a cerchi, con quadrotti, losanghe, petali inconsueti finora.
Pioggia
Ritagli di giornale, carta lucida, fiori di carta vellutata.
Piove sul prato che ora sembra un campo di grano, ci sono le spighe qua e là, e la pioggia sono chicchi che cadono, il pane che sarà.
Donne
Stencil, colori acrilici, carte veline disegnate, porporine colorate.
come fiori anche le donne ci appaiono nel fregio di un mosaico, tra l'architrave e la cornice. Donne vestite di colori, arabescate, in foglie, e a puzzle con tanti quadretti, oppure in tinta unica, in verde, in rosaaranciocolorcarne, donne che fanno esercizi in una palestra ideale ed io sono lo specchio e di lato c'è un istruttore, un efebo di Mozia, simbolo dei giochi olimpici della città di Atene.
"Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. Il movimento del suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla,come se reggesse un’elsa, increspa le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, sposta leggermente il suo baricentro. Sinuoso, fermo, ci aspetta, si offre al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue." così scrissi io un tempo lontano e con l'efebo nella palestra ideale di Fausta Genziane Le Piane noi stiamo. " Gli oggetti hanno un potere magico" Scomporre la realtà e ricomporla a piacimento, con le parole di Fausta, sorprende. L'oggetto che vive " Freme e respira" a dirla con Kandinskij, e stamattina l'efebo di Mozia si presentò nel fotomontaggio di un collage, nel frottage surrealista di Max Ernst. Il profumo del caffè raggiunge il foglio, le tante copertine che Fausta ha creato per i suoi "Ostaggio alla vallata" " La Chiave di Se Stessi" "Duo Per Tre" e Volo sul mare per il libro di poesie di Iole Chessa Olivares "In Pura Perdita" ed altre ancora. Per Kenavò, rivista da lei creata.
Da Casa Duir " il castello di cui è regina, un angolo di terra celtica trapiantato in Sabina, in una bellissima campagna nei pressi di Casperia." riprendo da Patti, Fausta regala a noi tutti poesie e collages, parole e colori per amare di nuovo dipingere.
mercoledì 4 maggio 2016
Franz Krauspenhaar Grandi Momenti
Grandi Momenti: "Abiura oblio aberrazione"
"La mia vita di parole la sento passare e leggermente trafiggermi."
Questo è lo scrittore, personaggio del libro che Franz fa vivere nel suo romanzo appena uscito nelle librerie con la NEO edizioni.
"Un economo dell’umore."
Lo conosciamo in day hospital mentre fa gli esami di routine per i post infartuati.
Leggendo di Franco, il personaggio che narra in prima persona, partecipiamo ai suoi esercizi, agli incontri con altri infartuati e alle sue passioni, le automobili. Dalla Jaguar alla Porsche, passando per l'Alfa.
Ci mettiamo dalla sua parte forse per empatia fra ammalati e però, man mano, ci allontaniamo vedendo sempre di più quanto sia un individuo moralmente vuoto e nichilista, malgrado le sue tirate anarchiche.
Nei suoi momenti migliori, quelli che a me sono piaciuti di più, dialoga con le sue automobili, come nei Monologhi Automobilistici, che Francesco Stella aveva immaginato anni or sono, dialoga con la lepre che corre e che lui vorrebbe finalmente raggiungere e uccidere, nel tentativo di liberarsi dall'immaginario paterno andato via anni prima.
Tenta il dialogo, o almeno una certa affettuosità con il fratello, pittore che "ha dipinto un cervello stilizzato e dentro, con poche
pennellate di colore scuro, ha creato come una cella, o un sentiero
che si perde dentro se stesso" per chiudere l'immenso nel piccolo.
Tenta anche una scrittura che non lo emancipa, anzi si fa beffa di lui, non è riconosciuto per i suo romanzi, ma giunge al successo con uno pseudonimo e per gialli, polizieschi che scrive senza prenderci gusto.
In effetti sembra che non prenda gusto a nulla, e il mondo letterario viene mostrato opaco, in questo atomo opaco del male, come nel
X agosto di Pascoli. Forse la parte più fragile del libro è nel livore o nel caratterizzare così un luogo che ha a che fare con la scrittura. Critici contrari e editore che consiglia una bella passata di botte pronta per l'uso.
"Sento delle fitte al petto. Mi spavento, naturalmente,
però con una certa classe." ed è la classe quella che lui cerca, lo stile che, a volte, felicissimo, mi fa sorridere, malgrado la tentazione di prendere a schiaffi il personaggio, specie quando argomenta di donne, che non ci sono, se non in veste di pelo.
Pelo da raggiungere.
Lo stile comunque mi fa superare la rabbia e leggo il racconto come se l'autore abbia voluto fare un personaggio all'incontrario, senza un messaggio che non sia una riflessione sui tempi senza tempo, nel tempo che è una convenzione, concetto da me sempre molto ripetuto, sulla vita che si arrotola su sé stessa e si incontra nei periodi di infanzia e maturità lasciando un cratere al centro.
"La cosa che più mi sconcerta è che,
pur ripassando le fasi salienti della mia vita dal 1984 ad oggi,
come nel cortometraggio che i moribondi vedono in chiusura
dei conti, io non trovo nulla di veramente importante. Nonostante
i lutti, le umiliazioni, gli insuccessi e anche i successi,
io non vedo, in fondo, nient’altro che un cratere. Nemmeno
grande: un cratere seminascosto in mezzo alla campagna"
Sulle note della canzone di Gaber, che amiamo entrambi, cantiamo uguale.
"Da solo
lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino.
Giorgio Gaber. L’illogica allegria.
Vorrei che parlasse di me.
Lo vorrei tanto. Vorrei essere felice come in questa canzone, ma
è impossibile."
"Finché, verso i quaranta, come un pazzo esagitato in fuga
dal manicomio, ho abbracciato la letteratura e i suoi meccanismi
insensati. Allora ho capito esattamente che il successo è
un otre vuoto, anzi svuotato"
e per dirla con lui, morte e vita "Ma tutto mi dice che fuori da questo schifo non esiste altro, che la natura è limitata È come quando vieni addosso a una donna, sei alla fine degli spasmi violenti, dell’invasione, e riprendi a pensare con un certo ordine: ecco che metti a fuoco i fiotti di sperma sulla sua pelle bianca, rilassata, come una specie di pioggia spaziale, esoterica. È la sostanza vitale che s’è spersa nel cosmo. Tutto vive e tutto muore, in quel momento. Un momento dolce e brutale al contempo"
Un applauso a Franz Krauspenhaar che con stile andrà in giro, guidando una Porsche!
"La mia vita di parole la sento passare e leggermente trafiggermi."
Questo è lo scrittore, personaggio del libro che Franz fa vivere nel suo romanzo appena uscito nelle librerie con la NEO edizioni.
"Un economo dell’umore."
Lo conosciamo in day hospital mentre fa gli esami di routine per i post infartuati.
Leggendo di Franco, il personaggio che narra in prima persona, partecipiamo ai suoi esercizi, agli incontri con altri infartuati e alle sue passioni, le automobili. Dalla Jaguar alla Porsche, passando per l'Alfa.
Ci mettiamo dalla sua parte forse per empatia fra ammalati e però, man mano, ci allontaniamo vedendo sempre di più quanto sia un individuo moralmente vuoto e nichilista, malgrado le sue tirate anarchiche.
Nei suoi momenti migliori, quelli che a me sono piaciuti di più, dialoga con le sue automobili, come nei Monologhi Automobilistici, che Francesco Stella aveva immaginato anni or sono, dialoga con la lepre che corre e che lui vorrebbe finalmente raggiungere e uccidere, nel tentativo di liberarsi dall'immaginario paterno andato via anni prima.
Tenta il dialogo, o almeno una certa affettuosità con il fratello, pittore che "ha dipinto un cervello stilizzato e dentro, con poche
pennellate di colore scuro, ha creato come una cella, o un sentiero
che si perde dentro se stesso" per chiudere l'immenso nel piccolo.
Tenta anche una scrittura che non lo emancipa, anzi si fa beffa di lui, non è riconosciuto per i suo romanzi, ma giunge al successo con uno pseudonimo e per gialli, polizieschi che scrive senza prenderci gusto.
In effetti sembra che non prenda gusto a nulla, e il mondo letterario viene mostrato opaco, in questo atomo opaco del male, come nel
X agosto di Pascoli. Forse la parte più fragile del libro è nel livore o nel caratterizzare così un luogo che ha a che fare con la scrittura. Critici contrari e editore che consiglia una bella passata di botte pronta per l'uso.
"Sento delle fitte al petto. Mi spavento, naturalmente,
però con una certa classe." ed è la classe quella che lui cerca, lo stile che, a volte, felicissimo, mi fa sorridere, malgrado la tentazione di prendere a schiaffi il personaggio, specie quando argomenta di donne, che non ci sono, se non in veste di pelo.
Pelo da raggiungere.
Lo stile comunque mi fa superare la rabbia e leggo il racconto come se l'autore abbia voluto fare un personaggio all'incontrario, senza un messaggio che non sia una riflessione sui tempi senza tempo, nel tempo che è una convenzione, concetto da me sempre molto ripetuto, sulla vita che si arrotola su sé stessa e si incontra nei periodi di infanzia e maturità lasciando un cratere al centro.
"La cosa che più mi sconcerta è che,
pur ripassando le fasi salienti della mia vita dal 1984 ad oggi,
come nel cortometraggio che i moribondi vedono in chiusura
dei conti, io non trovo nulla di veramente importante. Nonostante
i lutti, le umiliazioni, gli insuccessi e anche i successi,
io non vedo, in fondo, nient’altro che un cratere. Nemmeno
grande: un cratere seminascosto in mezzo alla campagna"
Sulle note della canzone di Gaber, che amiamo entrambi, cantiamo uguale.
"Da solo
lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino.
Giorgio Gaber. L’illogica allegria.
Vorrei che parlasse di me.
Lo vorrei tanto. Vorrei essere felice come in questa canzone, ma
è impossibile."
"Finché, verso i quaranta, come un pazzo esagitato in fuga
dal manicomio, ho abbracciato la letteratura e i suoi meccanismi
insensati. Allora ho capito esattamente che il successo è
un otre vuoto, anzi svuotato"
e per dirla con lui, morte e vita "Ma tutto mi dice che fuori da questo schifo non esiste altro, che la natura è limitata È come quando vieni addosso a una donna, sei alla fine degli spasmi violenti, dell’invasione, e riprendi a pensare con un certo ordine: ecco che metti a fuoco i fiotti di sperma sulla sua pelle bianca, rilassata, come una specie di pioggia spaziale, esoterica. È la sostanza vitale che s’è spersa nel cosmo. Tutto vive e tutto muore, in quel momento. Un momento dolce e brutale al contempo"
Un applauso a Franz Krauspenhaar che con stile andrà in giro, guidando una Porsche!
Con chi parliamo quando parliamo di libri
Dovremmo domandarcelo tutti noi che scriviamo e parliamo di libri da blog, da siti, col microfono in mano, in libreria, in biblioteca, a scuola, dal salumaio.
Intanto noi stessi diventiamo personaggi di libri, dovremmo dire a chi abbiamo in ascolto, e spiegare il perché di Una Lettrice Rampante, di Giramenti, di Billy il vizio di leggere, di un regno della Litweb.
E già nel fare questa prima operazione guardiamo negli occhi il dubbio e l'incertezza di chi non crede alle nostre parole, di chi, lontano da questo teatro, vorrebbe un consiglio su una lettura.
Un consiglio semplice, sempre diverso nel suo lessicale, a secondo che sia dato ad alunni, a docenti, a carcerati o ammalati.
Un consiglio uguale e comprensibile, dovrebbe essere, ma non è così.
Noi personaggi del letterario, parliamo del libro con interpretazione, con una cultura che rimanda il lettore a tante altre letture, al panorama europeo ed americano, ai mondi reali e alle storie infinite, facendo un bellissimo altro libro da leggere lontano dal libro vero.
Io stessa mi leggo, gustando molto, tutto un fiorire di recensioni che acquistano vita, una vita propria, anche se non conosco il libro.
In ogni presentazione si finisca a parlare di altro, anche perché quando si parla del libro si finisce solo per annoiare, per raccontarlo per filo e per segno, per ammazzare una suspense, per dimostrare di essere colti in un giardino ancora fiorente.
E gli ascoltatori? per educazione stanno seduti, in silenzio, pensano sicuro ai fatti loro, si guardano in giro e hanno ragione.
Non credo proprio che si possa parlare di libri, di quel libro, in particolare, che giace lì, per essere sezionato e da un chirurgo, a volte, operato.
L'operazione riuscirà? Dipende da chi opererà.
In entrambi i casi, sia da personaggi letterari, sia da chirurghi, ci domandiamo:" con chi parliamo quando parliamo di libri"?
La risposta soffia nel vento
Intanto noi stessi diventiamo personaggi di libri, dovremmo dire a chi abbiamo in ascolto, e spiegare il perché di Una Lettrice Rampante, di Giramenti, di Billy il vizio di leggere, di un regno della Litweb.
E già nel fare questa prima operazione guardiamo negli occhi il dubbio e l'incertezza di chi non crede alle nostre parole, di chi, lontano da questo teatro, vorrebbe un consiglio su una lettura.
Un consiglio semplice, sempre diverso nel suo lessicale, a secondo che sia dato ad alunni, a docenti, a carcerati o ammalati.
Un consiglio uguale e comprensibile, dovrebbe essere, ma non è così.
Noi personaggi del letterario, parliamo del libro con interpretazione, con una cultura che rimanda il lettore a tante altre letture, al panorama europeo ed americano, ai mondi reali e alle storie infinite, facendo un bellissimo altro libro da leggere lontano dal libro vero.
Io stessa mi leggo, gustando molto, tutto un fiorire di recensioni che acquistano vita, una vita propria, anche se non conosco il libro.
In ogni presentazione si finisca a parlare di altro, anche perché quando si parla del libro si finisce solo per annoiare, per raccontarlo per filo e per segno, per ammazzare una suspense, per dimostrare di essere colti in un giardino ancora fiorente.
E gli ascoltatori? per educazione stanno seduti, in silenzio, pensano sicuro ai fatti loro, si guardano in giro e hanno ragione.
Non credo proprio che si possa parlare di libri, di quel libro, in particolare, che giace lì, per essere sezionato e da un chirurgo, a volte, operato.
L'operazione riuscirà? Dipende da chi opererà.
In entrambi i casi, sia da personaggi letterari, sia da chirurghi, ci domandiamo:" con chi parliamo quando parliamo di libri"?
La risposta soffia nel vento
martedì 3 maggio 2016
Maggio dei libri 2016 Litweb Marchio depositato letto da Giovanna Villella
Costanza Falvo D'Urso, nel presentare il mio Litweb Marchio Depositato, parla di elzeviri ed io salto felice accanto a lei, perché mi sento capita, io proprio elzeviri faccio, piccoli pezzi, annotazioni, frammenti, bozzetti.
Giovanna Villella, costruisce, come mi dice Costanza al telefono stamattina, un romanzo di immagini e di riferimenti, un "se fosse" da gustare e riportare per intero, per leggere, al di là del ritratto della mia persona.
Giovanna inizia con un mio pezzo
Libri e Libertà
Libri e libertà. In latino hanno la stessa radice “liber”. Perché il piacere di raccontare implica un giocare con ciò che si narra, e questo giocare implica, a sua volta, una certa libertà riguardo alla materia.
Libertà di pensiero e libertà di penna ma con l’intelligenza, e il buon gusto di tacere - a volte - per non dire troppo male.
Perché libertà fa rima con sincerità e con onestà… intellettuale.
E scrivere, per lei, gioco serissimo è.
Fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta, se dovessi paragonarla ad un artista di teatro, sarebbe una Paolo Poli in gonnella senza le metafore erotico-verbali che Poli - tuttavia - sapeva porgere con tanto candore.
Se fosse un quadro sarebbe La donna che legge di Van Gogh.
Se fosse un libro sarebbe il suo, ovvero un non libro.
Se fosse una fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie ex-aequo con la moderna Cenerentola di Romeo Vernazza che ascolta i Joy Division.
Se dovesse scegliere un mestiere farebbe la “donna di lettere” nel senso della postina però, con gli stessi poteri del postino di Domenico Dara.
Ma Ippolita è Lei. Regina senza corona di un regno che non c’è, come l’isola di Peter Pan e di Peter Pan ha mantenuto quella euforia, quello stupore, quello spirito fanciullino che le fa battere le mani esclamando “Evviva” quando una cosa le piace, la fa felice. E a proposito di felicità, le basta davvero poco. Piccole felicità… per dirla con libro che entrambe abbiamo amato e raccontato.
Un regno doppiamente virtuale il suo, perché non è di questa terra ma neanche di lassù. Appartiene a quella vita parallela, quella second life, magistralmente raccontata nella favola della gabbietta. Un walled garden, un giardino recintato dove tutti siamo più o meno rinchiusi e dove lei, dopo essere stata bannata, segnalata ed espulsa, perché considerata un troll che, nel gergo di internet, è “soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”, si è ritagliata il suo spazio social a cui affida le proprie riflessioni personali e metaletterarie. Così, in poco tempo, viene seguita, corteggiata, ricercata, invitata come un vero e proprio guru della letteratura soprattutto per la sua capacità di scouting nello scovare giovani talenti. Da bannata a blandita… ma non a tutti è concesso di entrare a far parte del suo regno…
I suoi scritti sono, a prima vista deliranti, non certo nell'accezione psicopatologica di disturbo caratterizzato da un’alterata interpretazione della realtà, ma in senso etimologico. Dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione – del conformismo dire io.
I sui testi, spesso, non hanno un filo conduttore visibile, ma hanno un andamento irregolare, random quasi. Zeppi di richiami e di rimandi incrociati… Si passa dalle canzoni alla filosofia, dalla nutella a Dio, dalle filastrocche alla fisica quantistica… e con la leggerezza ludica di un prestigiatore, smascherano il banale e rifuggono dalla mediocrità.
Testi apparentemente privi di senso eppure totalmente pieni di senso, di doppi sensi, a volte. Perché ogni frase, spesso ogni parola, è una intuizione, una battuta, un lampo di intelligenza, una risata.
Eretica della scrittura non ama compiacere. Ella trascende il reale, disvelandolo.
Osservatrice attenta, ha lo spirito del detective, una sorta di Tenente Colombo. Pronta a cogliere e fotografare, con il suo smart phone, ogni minimo particolare: un cellulare con una cover a pois, gli abiti improponibili di signore invitate a un matrimonio, un tacco 12 che fa bella mostra di sé in prima fila a teatro, una dama dell’alta società lametina, ignara bagnante, acconciata come l’Ape Maia, l’orecchio a punta di un occasionale interlocutore che ricorda quello del mitico capitano Spock di Star Trek. Ma anche un fiore che nasce, una lucertola che si crogiola al sole, un ragnetto innocuo che tesse la sua tela…
Piccole cose, minimi gesti di ordinaria quotidianità e poi click, post, tag, like…
Perché lei è così, pensa per immagini.
I libri, i suoi libri, sono oggetti animati, abitano la sua casa, non sono mere suppellettili. Camminano, si nascondono, parlano con lei, pranzano e cenano alla sua tavola. Quando non riesce a trovarne uno, lo chiama come se fosse il gatto di casa.
Questo determina una visione personalissima delle storie che legge e che restituisce, a noi lettori, secondo un percorso che non segue un strada retta e lineare ma va avanti attraverso una successione dinamica di salti e fratture…
… con una partecipazione emotiva sottolineata spesso da caotici/teneri/dolorosi/ironici ricordi privati, un po’ come la madelaine di proustiana memoria.
Il libro di oggi, Litweb – Marchio Depositato, è una mise en abîme, un fenomeno di “libri in un non-libro” o meglio di tanti frammenti di libri letti, raccolti e disposti in una serie di sequenze intervallate da spazi in cui irrompe una forte componente personale unitamente a rimandi e citazioni che appartengono ad altri libri – che non sono i protagonisti – ma vengono usati in funzione di supporto concettuale.
Un format originale che già nel titolo richiama l’iter seguito dai brevetti per essere tutelati.
L’aspetto composito del tessuto narrativo non si risolve affatto nella creazione di un sistema di relazioni logiche e formali ma ha una struttura reticolare che mette continuamente in abisso il presente e il remoto, il quotidiano e lo straordinario… legando, nello stesso nodo scorsoio, con postille/note/notizie folgoranti o distese, i più trascurabili dettagli dell’esistenza, la cronaca, e gli eventi ufficiali della Storia.
Una sorta di reazione a catena, che potrebbe continuare all'infinito, se la Nostra non avesse il meraviglioso dono della sintesi e non fosse maestra nel gioco dell’alterità, del cambio di passo, dello spaesamento repentino.
Il risultato è una scrittura assolutamente rara, quasi impraticabile in questi anni di stupido cicaleccio sentimentale e di scribacchini innalzati al ruolo di scrittori.
E lo stile è uno stile epigrafico/ straniante/ non compiacente né accomodante… unico come Lei, Ippolita, Regina della Litweb.
Italo Leone Presidente dell'Uniter
Gian Lorenzo Franzì critico cinematografico
ph Enzo Caroleo
Giovanna Villella, costruisce, come mi dice Costanza al telefono stamattina, un romanzo di immagini e di riferimenti, un "se fosse" da gustare e riportare per intero, per leggere, al di là del ritratto della mia persona.
Giovanna inizia con un mio pezzo
Libero scrivere in libero regno
e poi legge il suoLibri e Libertà
Libri e libertà. In latino hanno la stessa radice “liber”. Perché il piacere di raccontare implica un giocare con ciò che si narra, e questo giocare implica, a sua volta, una certa libertà riguardo alla materia.
Libertà di pensiero e libertà di penna ma con l’intelligenza, e il buon gusto di tacere - a volte - per non dire troppo male.
Perché libertà fa rima con sincerità e con onestà… intellettuale.
E scrivere, per lei, gioco serissimo è.
Fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta, se dovessi paragonarla ad un artista di teatro, sarebbe una Paolo Poli in gonnella senza le metafore erotico-verbali che Poli - tuttavia - sapeva porgere con tanto candore.
Se fosse un quadro sarebbe La donna che legge di Van Gogh.
Se fosse un libro sarebbe il suo, ovvero un non libro.
Se fosse una fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie ex-aequo con la moderna Cenerentola di Romeo Vernazza che ascolta i Joy Division.
Se dovesse scegliere un mestiere farebbe la “donna di lettere” nel senso della postina però, con gli stessi poteri del postino di Domenico Dara.
Ma Ippolita è Lei. Regina senza corona di un regno che non c’è, come l’isola di Peter Pan e di Peter Pan ha mantenuto quella euforia, quello stupore, quello spirito fanciullino che le fa battere le mani esclamando “Evviva” quando una cosa le piace, la fa felice. E a proposito di felicità, le basta davvero poco. Piccole felicità… per dirla con libro che entrambe abbiamo amato e raccontato.
Un regno doppiamente virtuale il suo, perché non è di questa terra ma neanche di lassù. Appartiene a quella vita parallela, quella second life, magistralmente raccontata nella favola della gabbietta. Un walled garden, un giardino recintato dove tutti siamo più o meno rinchiusi e dove lei, dopo essere stata bannata, segnalata ed espulsa, perché considerata un troll che, nel gergo di internet, è “soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”, si è ritagliata il suo spazio social a cui affida le proprie riflessioni personali e metaletterarie. Così, in poco tempo, viene seguita, corteggiata, ricercata, invitata come un vero e proprio guru della letteratura soprattutto per la sua capacità di scouting nello scovare giovani talenti. Da bannata a blandita… ma non a tutti è concesso di entrare a far parte del suo regno…
I suoi scritti sono, a prima vista deliranti, non certo nell'accezione psicopatologica di disturbo caratterizzato da un’alterata interpretazione della realtà, ma in senso etimologico. Dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione – del conformismo dire io.
I sui testi, spesso, non hanno un filo conduttore visibile, ma hanno un andamento irregolare, random quasi. Zeppi di richiami e di rimandi incrociati… Si passa dalle canzoni alla filosofia, dalla nutella a Dio, dalle filastrocche alla fisica quantistica… e con la leggerezza ludica di un prestigiatore, smascherano il banale e rifuggono dalla mediocrità.
Testi apparentemente privi di senso eppure totalmente pieni di senso, di doppi sensi, a volte. Perché ogni frase, spesso ogni parola, è una intuizione, una battuta, un lampo di intelligenza, una risata.
Eretica della scrittura non ama compiacere. Ella trascende il reale, disvelandolo.
Osservatrice attenta, ha lo spirito del detective, una sorta di Tenente Colombo. Pronta a cogliere e fotografare, con il suo smart phone, ogni minimo particolare: un cellulare con una cover a pois, gli abiti improponibili di signore invitate a un matrimonio, un tacco 12 che fa bella mostra di sé in prima fila a teatro, una dama dell’alta società lametina, ignara bagnante, acconciata come l’Ape Maia, l’orecchio a punta di un occasionale interlocutore che ricorda quello del mitico capitano Spock di Star Trek. Ma anche un fiore che nasce, una lucertola che si crogiola al sole, un ragnetto innocuo che tesse la sua tela…
Piccole cose, minimi gesti di ordinaria quotidianità e poi click, post, tag, like…
Perché lei è così, pensa per immagini.
I libri, i suoi libri, sono oggetti animati, abitano la sua casa, non sono mere suppellettili. Camminano, si nascondono, parlano con lei, pranzano e cenano alla sua tavola. Quando non riesce a trovarne uno, lo chiama come se fosse il gatto di casa.
Questo determina una visione personalissima delle storie che legge e che restituisce, a noi lettori, secondo un percorso che non segue un strada retta e lineare ma va avanti attraverso una successione dinamica di salti e fratture…
… con una partecipazione emotiva sottolineata spesso da caotici/teneri/dolorosi/ironici ricordi privati, un po’ come la madelaine di proustiana memoria.
Il libro di oggi, Litweb – Marchio Depositato, è una mise en abîme, un fenomeno di “libri in un non-libro” o meglio di tanti frammenti di libri letti, raccolti e disposti in una serie di sequenze intervallate da spazi in cui irrompe una forte componente personale unitamente a rimandi e citazioni che appartengono ad altri libri – che non sono i protagonisti – ma vengono usati in funzione di supporto concettuale.
Un format originale che già nel titolo richiama l’iter seguito dai brevetti per essere tutelati.
L’aspetto composito del tessuto narrativo non si risolve affatto nella creazione di un sistema di relazioni logiche e formali ma ha una struttura reticolare che mette continuamente in abisso il presente e il remoto, il quotidiano e lo straordinario… legando, nello stesso nodo scorsoio, con postille/note/notizie folgoranti o distese, i più trascurabili dettagli dell’esistenza, la cronaca, e gli eventi ufficiali della Storia.
Una sorta di reazione a catena, che potrebbe continuare all'infinito, se la Nostra non avesse il meraviglioso dono della sintesi e non fosse maestra nel gioco dell’alterità, del cambio di passo, dello spaesamento repentino.
Il risultato è una scrittura assolutamente rara, quasi impraticabile in questi anni di stupido cicaleccio sentimentale e di scribacchini innalzati al ruolo di scrittori.
E lo stile è uno stile epigrafico/ straniante/ non compiacente né accomodante… unico come Lei, Ippolita, Regina della Litweb.
Giovanna Villella al pianoforte
Salvatore D'Elia ai comunicati
Antonio Raffaele Blogger Moda
Alberto Badolato La ragione dell'informale
ph Enzo Caroleo
lunedì 2 maggio 2016
A trenta anni dal web e a quattro anni dal blog La regina della Litweb
Internet compie trenta anni. Ha trasformato in maniera epocale abitudini, corrispondenze, conoscenze e letteratura. Ha facilitato contatti e permesso la creazione di un villaggio globale in continue connessioni.
Vedremo il sorgere del mondo nuovo noi che stiamo vivendo il finire di ciò che credevamo utile e necessario fino a trenta anni fa? Questo non so. Ho però chiaro che bisognerà adattare gli studi fatti e usarli come zattera anche nel mare di internet, che sembra titolata a dare tutto il conoscibile e può regalarci bufale assolute.
Internet, la rete delle opportunità e degli inganni.
Vedremo il sorgere del mondo nuovo noi che stiamo vivendo il finire di ciò che credevamo utile e necessario fino a trenta anni fa? Questo non so. Ho però chiaro che bisognerà adattare gli studi fatti e usarli come zattera anche nel mare di internet, che sembra titolata a dare tutto il conoscibile e può regalarci bufale assolute.
Internet, la rete delle opportunità e degli inganni.
Sto sui tasti da pochi anni, da sei o sette anni, ho fatto mail e guardato il mondo da uno schermo, e da quello schermo, dal web, continuo a guardare il mondo come va.
Gli studi classici e di filosofia mi hanno dato quella autonomia di pensiero per cui è difficile che mi lasci cooptare da ciò che non mi interessa e sono sempre rimasta con l'occhio attento su letture e letture.
Gli studi classici e di filosofia mi hanno dato quella autonomia di pensiero per cui è difficile che mi lasci cooptare da ciò che non mi interessa e sono sempre rimasta con l'occhio attento su letture e letture.
Sul web nasceva un nuovo modo di scrivere. Una interazione fra lo scritto e il lettore, un teatro vivente di battute e rimpianti, di liti e riappacificazioni.
Nasceva tutto ciò sui siti letterari, sui social, Facebook e Twitter, Google + e altre piattaforme varie.
Nasceva tutto ciò sui siti letterari, sui social, Facebook e Twitter, Google + e altre piattaforme varie.
Una vita squadernata su una finestra bianca.
La stampa ha la sua finestra online, i libri passano online, le merci, la musica, l'arte, il cinema, la politica, la guerra.
La stampa ha la sua finestra online, i libri passano online, le merci, la musica, l'arte, il cinema, la politica, la guerra.
Alcuni movimenti politici diventano forze parlamentari grazie alla rete.
A me è stato regalato un regno.
Dal giugno del 2012 scrivo su Litweb pezzi corti, il mio sguardo dal web sul web ed, incredibile ma vero, il web risponde.
Meglio che ad Emily Dickinson
Mi sono così letta libri su libri, ho visto film e dipinti, sempre con quella autonomia di pensiero che è frutto di una formazione classica alla quale non si può rinunciare se si vorrà essere liberi di avere un metodo e dei criteri su quali basare un giudizio.
Un giudizio libero da compiacente rassegnazione all'andazzo dei tempi. Tempi di spietati e lecchini, tempi di conformismo storico ed individuale, che una scarsa preparazione in moltissimi, rende tutti dubbiosi e pronti a scartare chi è bravo davvero ed omaggiare chi possa poi esser utile.
Un giudizio libero da compiacente rassegnazione all'andazzo dei tempi. Tempi di spietati e lecchini, tempi di conformismo storico ed individuale, che una scarsa preparazione in moltissimi, rende tutti dubbiosi e pronti a scartare chi è bravo davvero ed omaggiare chi possa poi esser utile.
Disdegnando un mondo siffatto faccio i miei auguri alla maturità di Internet, trenta anni vuol dire età adulta, augurando che dallo schermo nuovi regni liberi si costituiscano. Con la parola libertà che vuol dire relazione individuale.