domenica 22 aprile 2018

al Maon Màtaksa di Jano Sicura


Il gesto semplice delle onde nel tempo.
Ieri sera inaugurazione della mostra che si concluderà il 26 maggio al Maon di Rende. Andate a vederla, andate, andate via dall'usuale e godetevi la vista delle "sculture in libertà", così le chiama Tonino Sicoli,  il curatore della mostra, di Ianus Sicura.
Tommaso Evangelista, uno dei due curatori, parla di "Bozzoli di energia simbolici" e tanta energia ieri sera si trasmetteva effettivamente dalle opere di Jano a noi e poi di nuovo sulle opere, sulle sfere, sulle spirali che io vedevo correre nel vento, sui tanti omini fatti da un filo di ferro intrecciato, che io vedevo correre, ognuno nella sua diversità correvano dalla parete a noi, nella unicità della installazione.
Le opere di Jano sono uniche e unica resta l'installazione, sempre diversa, perché diverso lo spazio dove verrà installata, diverso quindi sarà il correre dei nostri omini su strade diverse. Ognuno di noi,  presenti, in quegli omini ha visto nodi da sciogliere, ha visto volontà e rappresentazione, io vedevo un agitarsi di mani che piegarono il ferro, tanti piccoli pezzetti di ferro, e fatti correre oltre la costrizione.
 Una voglia di di stringere e lasciare andare via avrà preso l'artista, uomo disponibile al dialogo e al raccontare quale meraviglia fu per lui passare dai ramoscelli di ulivo al ferro, per eternare ciò che non poteva esserlo.
Ci racconta di una sua installazione alcuni anni fa in Germania, di come lui avesse portato le foglie di ulivo dalla Sicilia, da Siracusa, della sua installazione fatta da ramoscelli di ulivo e della richiesta di acquisto fatta a lui dalle autorità locali. Questa opera non è in vendita, rispose lui, è deperibile, è solo per ora, è solo profumo.
Venne così a sapere di trovarsi in un luogo sacro, quel luogo dove si svolgeva l'evento artistico era stata una chiesa sconsacrata e vi era seppellita una suora. Come l'ulivo è una pianta sacra anche l'arte è un momento di sacralità. Ci parla Jano di grazia, di leggerezza, di levità, direi io, di far diventare il ferro leggero con il lavoro delle mani. C'è il lavoro nelle parole di Jano, nei video  sulle sue mostre al Museo de Artes Plasticas Eduardo Sivori di Buenos Aires, al Museo de Arte Contemporanea Latinoamericano di La Plata / Buenos Aires organizzate dall'Associazione "L'arco e la fonte" di Siracusa, facenti  parte di un progetto di scambi artistico-culturali internazionali tra l'Italia e l'Argentina.
Jano è un artista internazionale, usa proprio questo aggettivo Gianluca Covelli, nel dare un segno distintivo alle opere, una non appartenenza a una regione, ma forte e radicato invece il senso di vicinanza al ferro, al materiale duttile e incorruttibile che esso è.
Noi siamo creature nel tempo, onde nel tempo, sembra ci dica Jano, sembra ci dicano quelle forme e quei dipinti, quel suo offrire l'arte nel linguaggio semplice del gesto.    
Ippolita Luzzo 

2 commenti:

GiovannaAversa ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
GiovannaAversa ha detto...

Màtaksa

“Astrazioni diNamiChe, non lineari”

Ma semplici.

“Vitalizzate da una carica gestuale esasperata nella sua tendenza circolare e centrifuga”

Semplici: non sanno ingannare.

“Il suo movimento di torsione e nevrosi segnica e di tensione espressiva è ora azione, ora dialogo sul limite della rappresentazione; trasmette un’energia oscura, pulsante riassorbita in
frammenti
ridotti
e leggeri.”

Una struttura che nasce non per impulso ma per costruzione.
E’ pensiero e forma in un dialogo con lo s p a z i o.


Come un romanzo astratto con sintesi grafiche


Una Filosofia del R-o-t-t-o: “S’impone con una frattura. S’impone come installazione concettuale.”

I frammenti: si arriva alla “comprensione empaticamente e girando intorno al significato senza manifestarlo direttamente”. Come la scrittura: preserva il mistero.

Questo è esattamente ciò che succede quando proiettiamo le nostre attività corporee e psicologiche nel mondo esterno. Le “amputiamo” perché non possiamo sostenere a lungo una dolorosa e realistica riproduzione di noi stessi.

La simbologia dei Legami nell’arte ci offre una distanza vivibile in una società ‘liquida’.
Il nastro, il filo visibile e nascosto, rappresenta la vita di ogni singolo uomo e la pratica del filare da sempre implica una connotazione ‘fatale’, in grado di determinare il destino delle persone e scandirne il percorso.


All’approccio intimista si associa una versione più ampia, che guarda all’universale: l’ordine perduto delle cose, l’unione costruttiva e i legami che salvano. Un invito a costruire nuovi fili e anche nuovi ‘nodi’ stabili e resistenti, a ritrovare quei punti di riferimento autentici con cui ricomporre la nostra identità e collegarla a quella degli altri.

D’altronde nella sua Politica, Aristotele dice che “L’uomo è un animale sociale”.

La necessità di dipendere da qualcosa ci evita di precipitare nella disperazione dell’isolamento, la nostra forte individualità e personalità non basta. Il legame con il nostro io è insoddisfacente.
Gli uni per gli altri reciprocamente antecedenti e conseguenti. Per questo intessiamo instancabilmente una fitta rete di legacci, fili invisibili che mentre definiscono o ridefiniscono sempre più la nostra unicità, ci legano sempre più stretti.
Di fronte a questo si sente un desiderio di felicità e ragione. E’ a questo che bisogna aggrapparsi poiché possono nascerne le conseguenza di tutta una vita. L’assurdo sorge proprio da questa intima contraddizione, latente conversazione.

Dice Pascal: “Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo”.

Hesse risponde: “Ogni uomo è però non soltanto lui stesso; è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una sola volta, senza ripetizione”



E adesso come faccio a spiegare che mentre guardo fuori dalla finestra sto lavorando?