giovedì 23 giugno 2016

La via dell'agave Francesco Scopelliti

Imperia sembra Lamezia Terme, stamattina, mentre leggo i racconti di Francesco Scopelliti, lasciati dal corriere al cancello della cooperativa.
"Imperia. La città facile del conosco un amico, che conosce un amico che è amico di... gente distrutta da tutto il possibile di questi anni"
...e descrive Lamezia come Imperia, entrambe le città con il mare, senza che questo mare diventi turismo e vita, diventi opportunità, anzi quasi un impiccio, da usare come pattumiera.
Un mare da noi oramai perduto, inquinato irrimediabilmente.
Voglio far conoscere la mia città proprio da un'agave, da me fotografata su una collinetta, nella periferia verso la frazione di Bella. Un balcone sul mare Tirreno, nel golfo di Sant'Eufemia e mentre leggo Francesco vedo proprio il fiore alto e fiero nel cielo azzurro di un paesaggio e scrivo le sue parole "Non si è capito che quello dell'agave non è un gesto individuale, ma una semplice affermazione di volontà. Volontà senza secondi fini.Volontà che si muove oltre vita e morte. Volontà che non vuole interpretare la trasformazione, ma essere la trasformazione"
Fiorire per il gusto di esserci. Di far colore nell'azzurro del cielo. 
Mi trovo a parlare con i suoi racconti e mi fermo su "Guerre" il gioco della guerra fra bambini, quando erano le strade il parco giochi e mi riporta lo stesso visivo di I ragazzi della via Pal, senza le conseguenze del libro ora da me citato.
Attraverso i suoi racconti impariamo a conoscere Francesco  e a conoscere luoghi e situazioni che il lettore sentirà simili e vicini al suo vivere. 
"Lo stato ideale" dà una filosofia di vita che ci appartiene quando" perdi il confine fra pianura e prateria" In ogni futura dimensione parallela    
Racconti, ci dice l'autore, che non insegnano nulla, se non la loro stessa memoria. 
Ed invece io sento una carica affettuosa, una bella attenzione, non solo alle persone attorno ed agli ideali per cui ci si muove, ma anche verso la parola scritta, quel rispetto verso il foglio, verso la carta dove si è deciso che noi eravamo, chi eravamo e come eravamo come una pelle tatuata, nel racconto Carta, Forbice, Sasso.
Continuo a sfogliare e leggere e, dal mio luogo non luogo oggi abitato da lui, incontro Opiemme, che non conoscevo. Leggo la sua postfazione e mi affianco al suo scritto sul disagio che accomuna una terra: Scorbutica, scontrosa, inospitale, precaria. Una terra schiacciata fra acqua e monti, dove salutare è una fatica. A queste terre dove viviamo Francesco chiede con noi il diritto di esistere e il riconoscimento per tutti, non solo per i privilegiati, chiede nell'Ultimo stato di fondo, in fondo il coraggio di  mangiare i fichi d'India, che sono frutti  con spine dolorose e gustosi all'interno. 
Bello anche il titolo del racconto, "Ultimo stato di fondo", che vedrei come romanzo unico in una prossima pubblicazione.
Il  Ponente Ligure è la via dell'Agave, mentre le lettere del  disagio sono le radici che, in copertina, delimitano il golfo Ligure e come nel  Golfo di Sant'Eufemia danno il nutrimento a generazioni di individui che continuano a fiorire per affermare una volontà senza secondi fini. Voler essere trasformazione.    

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