sabato 6 settembre 2014

Antonio Cannone- Gli Intrusi

Dall'anemone di Adone a San Francesco di Paola, la sceneggiatura era il suo sogno.
La consolazione, la rassicurazione, i favori che si sono chiesti.
La bellezza di ringraziare chi ci aiutò.
Se abbiamo un ideale teniamocelo caro, non tradiamo l'unico momento che dignità ci darà. 
La grande educazione di una scuola antica, dai sofisti a noi, dal regno delle idee, le idee che son sempre giovani e vive, malgrado il banale del quotidiano.
Cannone e Gli intrusi.
Il dispiacere di non contare nell'unico luogo dove si vuol contare. 
Ognuno ha il suo luogo, ed anche se  la vita ci ha dato professione, moglie, posizione, eppure, tanti, dicono:- Però io, avrei voluto  essere, il mio sogno è...
Così sento stasera questo dispiacere aleggiare nell'aria nelle forme di una sceneggiatura che sarà sicuramente ripresa e portata sulle scene. Facile profezia. Adoro San Francesco di Paola, sono appena stata al suo Santuario, e lo scrittore ora mi parla di lui. Coincidenza, direbbe il postino di Domenico Dara.
Il libro di Cannone, presentato stasera da Ugo Floro, ritorna al romanzo. Dice Ugo, del collega che ne è l'autore,come Asimov, al contrario.
 Infatti Cannone scrive di  un passato. Di un capitalismo piramidale, dove un' elite ha in mano formula in una società pietrificata davanti ad uno schermo televisivo o di computer.  Un passato che non piace.
Più che intrusi delusi. Così posso leggere un momento, un viso, avvenimenti che vengono filtrati dalla scrittura e raccontati. Affidati ad un libro che vada a dire al mondo quanto sia distante, quanto non abbia risposto alle aspettative, quanto, di tutto quello che vedevamo sui tavoli altrui ci sia toccato. 
Lo spettacolo del cinquecento mediceo
  • Sui tavoli della signoria Medicea banchettavano e alcune volte simili banchetti venivano fatti all'aperto,  in alto. Portate sontuose, trionfo di colori, di profumi, alzate stracolme di ogni ben di Dio. Mangiavano i signori. Mangiavano e scherzavano, vestiti per la festa. Abbiamo dipinti che li raffigurano seduti in questo estenuante lavoro del convivio protratto, nel darsi la facezia giusta, nel donarsi al popolo. Il popolo aveva la facoltà di poter assistere da sotto il tavolo, di fronte al tavolo, con lo sguardo, ognuno sceglieva se guardare, immaginare, oppure strisciare sotto il tavolo per leccarsi una briciola, uno scarto d'osso. Non poteva avvicinarsi troppo malgrado tanta munificenza dei signori. Loro si offrivano solo da lontano. Gli intrusi, soffrivano, e litigavano fra loro per essere in prima fila allo spettacolo. Firenze del cinquecento che io vidi nell'anniversario dei cinquecento anni della Signoria medicea in una Firenze ancora intatta. Gli  Intrusi che cosa scelsero? Se gli intrusi siamo noi, quelli che non accederanno alle stanze del potere... Solo artisticamente possiamo elaborare il fastidio e far un quadro che ne raffiguri lo sconcerto e la delusione, oppure un libro che immagini una ribellione, una impossibili vittoria. Gli intrusi oppure i non invitati, lo sconcerto è uguale.
    Meglio non vedere che assistere ad entrambi le ignominie. Quello del potere indifferente e la lotta, vile, fra poveri, per leccarsi un osso. Meglio l'arte, il volo, la sapienza. Tanto, dice Qoelet, Vanità della vanità, tutto è vanità, il potere  e  viralmente Facebook che morto è.

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